Resoconto seduta n.74 del 30/07/2007
SEDUTA N. 74 DEL 30 LUGLIO 2007



La seduta inizia alle ore 10,30


Presidenza del Presidente
Raffaele Bucciarelli



Comunicazioni

PRESIDENTE. Do per letto il processo verbale della seduta n. 73 del 24 luglio 2007, il quale, ove non vi siano obiezioni, si intende approvato ai sensi dell’articolo 29 del Regolamento interno.
Sono state presentate le seguenti proposte di legge:
- n. 179, in data 13 luglio 2007, ad iniziativa del Consigliere Ricci concernente: “Prime disposizioni in materia di controllo degli impianti termici degli edifici”, assegnata alla III Commissione in sede referente, alle Commissioni I e II per il parere obbligatorio e alla IV Commissione per il parere facoltativo;
- n 180, in data 25 luglio 2007, ad iniziativa dei Consiglieri Capponi, Badiali, Mammoli, Binci, Favia, Ricci, Giannini, Cesaroni, Santori, Ortenzi, Lippi e Pistarelli, concernente: “Modifica alla legge regionale 14 aprile 2004, n. 7, come modificata dalla successiva legge regionale 12 giugno 2007, n. 6”, assegnata IV Commissione in sede referente;
- n. 181, in data 25 luglio 2007, ad iniziativa della Giunta regionale, concernente: “Assestamento del bilancio 2007”, assegnata alla II Commissione in sede referente;
- n. 182, in data 26 luglio 2007, dei Consiglieri Capponi, Ricci, Massi, Romagnoli, Solazzi, Favia, Cesaroni, Badiali, Bugaro, concernente: “Valorizzazione della proprietà coltivatrice”, assegnata alla III Commissione in sede referente.
E’ stata presentata, in data 23 luglio, la seguente proposta di regolamento:
- n. 11, ad iniziativa dell’Ufficio di Presidenza: “Ordine delle precedenze nelle cerimonie a carattere locale”, assegnata alla I Commissione in sede referente.
E’ stata, inoltre, presentata la seguente mozione:
- n. 199 del consigliere Brini, “P.a.a. n. 59/2007 - Piano Sanitario Regionale 2007/2009 “Linee di intervento”.
Comunico, infine, che in data 24 luglio 2007 ho provveduto con decreto n. 43 alla costituzione del Consiglio delle Autonomie locali.


Proposta di atto amministrativo n. 59
della Giunta regionale
“Piano sanitario regionale 2007/2009 – Le linee di intervento”

Proposta di atto amministrativo n. 48
della Giunta Regionale
“Piano sanitario regionale 2007/2009 – Il governo, la sostenibilità, l’innovazione e lo sviluppo del Sistema sanitario regionale per la salute del cittadino marchigiano”

(Abbinate ai sensi dell’articolo 66 del Regolamento interno – testo unificato dalla V Commissione)

(Discussione generale)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le proposte di atto amministrativo n. 59 e n. 48 ad iniziativa della Giunta regionale, abbinate ai sensi dell’articolo 66 del Regolamento interno e unificate dalla V Commissione. Ha la parola il relatore di maggioranza Consigliere Luchetti.

Marco LUCHETTI. Finalmente siamo qui in Aula per trattare e votare un atto di rilevante importanza, il nuovo Piano sanitario. Il Piano precedente 2003-2006 è scaduto e secondo la legge n. 26 deve essere riproposto a valenza triennale – ma su questo ci ritorneremo –. Il Piano deve essere la strada maestra delle azioni positive che devono essere realizzate sulla nostra struttura sanitaria per fare in modo che il nostro sistema sanitario possa dare le giuste risposte ai cittadini.
La prima cosa che va sottolineata è che la nostra sanità è una sanità di livello, nonostante alcuni fatti e alcuni episodi che qua e là nella nostra organizzazione sanitaria vengono ogni tanto rilevati – sapete che, purtroppo, la cronaca dà più importanza alle cose negative che alle cose positive –.
Al di là di questo possiamo dire di avere nelle Marche una sanità buona, che può essere sicuramente migliorata, ma non solo, siamo in anche nelle condizioni di superare i vincoli oggettivi che esistono nella gestione di questo importante comparto che occupa circa l’80% del bilancio della nostra Regione, possiamo trasformare i vincoli in opportunità per realizzare una sanità più efficace e più efficiente.
L’itinerario di questo atto amministrativo è iniziato nel febbraio di quest’anno, nel momento in cui la Giunta regionale aveva fatto un primo atto di indirizzo a cui ha fatto successivamente seguito, a giugno, con un altro importante atto che ha completato e specificato il primo. Con questo secondo atto, soprattutto, quello dalle 1.700 pagine – è conosciuto in questi termini – la Giunta regionale ha fornito tutta una serie di informazioni che, oltre ad averci messo nelle condizioni di capire a che punto eravamo arrivati con la nostra sanità, ha anche fatto un quadro che oggi ci consente di poter operare le scelte di cui parlavo prima e che andranno a migliorare il nostro sistema sanitario.
Queste informazioni sono fondamentali, derivano, ovviamente, da studi epidemiologici, statistici e demografici che sono alla base di qualsiasi scelta che l’Assessorato alla sanità dovrà realizzare e che pongono le stesse scelte in sintonia con i reali bisogni.
In effetti dobbiamo recuperare, secondo me, una impostazione, che in parte viene recuperata dallo stesso Piano, ma su cui dobbiamo procedere, che è quella che dobbiamo sintonizzare sempre di più l’offerta sanitaria con le reali esigenze e bisogni dei cittadini.
Sotto questo punto di vista, in effetti, la tradizione che abbiamo perseguito nella gestione della sanità è sempre stata quella che ha tenuto conto più della storia della nostra sanità piuttosto che di quelle che dovevano essere le impostazioni reali.

PRESIDENTE. Scusi Consigliere, invito tutti i Consiglieri e anche gli Assessori ad evitare il brusio che impedisce ai Consiglieri il giusto ascolto di chi parla. Invito il Presidente Luchetti a proseguire l’intervento sperando nell’attenzione generale.

Marco LUCHETTI. Siamo andati avanti in questi anni perseguendo i grandi filoni storici su cui era basata la gestione sanitaria, sempre di più, invece, dobbiamo riportare la gestione agli effettivi fabbisogni.
Questo lo dico anche in rapporto alla necessità di un approfondimento delle condizioni organizzative delle nostre strutture sanitarie. Uno degli obiettivi che ci si ripropone in questo Piano è quello di riequilibrare la sanità sul territorio. Quindi, se non riusciamo a realizzare questo approfondimento, cioè quello di fornire strutture adeguate per il reale fabbisogno, il rischio è di creare strutture o sovrabbondanti o sottostimate rispetto ai bisogni reali della comunità.
Pertanto, questo Piano si porta su questa indicazione che cerca, nel rinnovamento complessivo dell’organizzazione sanitaria, proprio di svolgere il compito di gestire oculatamente l’offerta in rapporto alla reale domanda.
La Commissione, di fronte alle due proposte della Giunta regionale, ha ritenuto di compiere un’operazione di riorganizzazione degli atti e ha ritenuto di “asciugare” – se mi si concede il termine – tutte quelle informazioni importantissime delle 1.700 pagine, per fare in modo che fossero oggetto di pubblicazione – l’abbiamo detto anche all’Assessorato, lo vedremo anche come V Commissione se questo sarà possibile –, in quanto queste informazioni sono molto interessanti perché ci fanno capire a che punto siamo arrivati nella nostra organizzazione sanitaria.
E’ importante, soprattutto, lo studio epidemiologico per capire quali sono gli effettivi bisogni e le effettive esigenze della nostra popolazione in rapporto all’evoluzione che la popolazione stessa ha subìto.
Uno degli aspetti fondamentali, più volte analizzato e che oggi indubbiamente è uno dei problemi principali della nostra realtà comunitaria, è quello dell’invecchiamento. Fortunatamente siamo riusciti a raggiungere dei livelli di attesa di vita notevolissimi, siamo primi non solo nel nostro Paese ma anche in Europa, salvo alcune zone – così dicono, quindi credo siano notizie vere – di alcune realtà giapponesi, noi abbiamo una delle più elevate condizioni di attesa di vita.
Questo fatto comporta di per sé, nonostante la verifica positiva di questo dato, la conseguenza di dover supportare, appunto, nella parte più alta della vita dei nostri cittadini tutti quegli effetti che nascono inevitabilmente nella condizione dell’anzianizzazione e che oggi purtroppo sono la cronicità.
Le statistiche ci dicono che abbiamo decine di migliaia di non autosufficienti – poi i numeri li dirò in maniera più specifica – che purtroppo hanno l’urgenza e il bisogno di cure mediche di particolare rilevanza. Ma sulla questione dell’anzianizzazione ci tornerò.
La Commissione, dicevo, ha ritenuto di dover semplificare gli atti attraverso questo meccanismo – demanderemo ad una pubblicazione specifica tutte le informazioni che sono alla base del Piano – e, quindi, ha realizzato un Piano di 300 pagine che riassumono sostanzialmente tutte quelle parti, non tanto descrittive quanto di sostanza, che indicano le scelte.
Voglio dire subito la caratteristica principale di questo Piano. Non è un Piano simile a quello precedente, dove attraverso specifiche tabelle erano individuati degli obiettivi anche particolari. Se ci ricordiamo, nel vecchio Piano venivano individuate le specialità dei singoli plessi ospedalieri, venivano indicati nella territorialità i posti letto della riabilitazione, i posti letto per la non autosufficienza. Questo, invece, è un Piano non prescrittivo ma strategico, un piano di linee che, ovviamente, riprende anche le linee del vecchio Piano perché l’operazione che strategicamente si propone è analoga a quella precedente, cioè dobbiamo riequilibrare all’interno della spesa sanitaria la destinazione delle risorse.
Oggi abbiamo una grande spesa per quanto riguarda il settore ospedaliero, abbiamo una bassa spesa nella prevenzione e nella territorialità, pertanto dobbiamo compiere questa inversione di tendenza. Questo non è facile perché il vecchio Piano che lo poneva come obiettivo non ci è riuscito fino in fondo, tant’è che alla fine del 2004 la Giunta regionale ha dovuto mettere sul tavolo ulteriori 10 milioni di euro proprio per raggiungere gli obiettivi di copertura per la residenzialità e la copertura della parte sanitaria che non era stata raggiunta definitivamente.
Come dicevo, quindi, è un Piano strategico e non prescrittivo e una volta approvato dovrà – il Piano contiene anche le modalità e gli strumenti – implementare queste scelte strategiche sul territorio. Questa non sarà una cosa semplice, avremo di fronte un grande lavoro che dovrà avere il massimo della trasparenza e il massimo del coinvolgimento.
Anche durante le moltissime consultazioni fatte nei giorni e mesi scorsi è emerso un dato fondamentale, cioè che le scelte della sanità devono essere condivise non solo dagli operatori sanitari, i professionisti e tutti gli altri operatori sanitari, ma anche e soprattutto dalle istituzioni e dalle comunità locali. Tutte le grandi trasformazioni non possono avvenire senza il consenso, pertanto la fase attuativa dovrà vedere il coinvolgimento di tutti.
Questo è uno dei dibattiti che anima anche il confronto in questo Consiglio tra maggioranza e minoranza, cioè si ha la necessità, proprio per quello che significa la sanità per la nostra comunità, di avere la massima trasparenza e il massimo coinvolgimento.
E’ chiaro che il dibattito politico non mancherà sulle scelte che si fanno, però guai a noi se cadessimo nella strumentalizzazione, così come da qualche parte è iniziata quando il Piano prevedeva scelte di un certo tipo, è scattata subito la necessità di una presa di posizione in contrapposizione o a favore, e questo sicuramente non fa bene per le scelte migliori che devono essere fatte.
Comunque questo criterio è affermato dal Piano dove la partecipazione è fondamentale, pertanto riusciremo ad implementarlo con il consenso di tutto il territorio.
Il Piano è triennale perché la nostra legge n. 26 ce lo impone, però, capite bene, che un piano strategico non si può soffermare al triennio. Oggi come oggi il tempo è così veloce che un piano strategico non può essere relegato nel triennio, un po’ lo era, ripeto, anche il vecchio Piano che si proiettava ben al di là della triennalità, da questo punto di vista c’è anche un dibattito a carattere nazionale sul come realizzare la programmazione sanitaria. Oggi molte Regioni, anche quelle vicine a noi, più che di realizzare piani prescrittivi, piani specifici, scelgono di indicare le grandi linee sulle quali lavorare per poi modificare le scelte contingenti.
Tenete conto che sempre di più – la programmazione aveva un significato prescrittivo fino a qualche tempo fa – la velocità della tecnologia e della scienza e la modernità stessa di cui il mondo della sanità è protagonista, ci impongono la capacità di una gestione più specifica e programmatica dal punto di vista del breve periodo, salvo che questa gestione avvenga all’interno di scelte di grande respiro. Ecco perché molte Regioni non hanno più neanche il Piano sanitario, ma hanno una programmazione di carattere strategico. Ecco perché avremo la necessità di verificare poi nel contingente le scelte specifiche che dovremo fare.
Mi soffermo brevemente sul dato della partecipazione, che è un dato essenziale nella sanità, per dirvi che il Consiglio ha fatto tutto quello che poteva fare, ha coinvolto i soggetti, ha invitato, anche se non tutti hanno partecipato, più di 400 soggetti di rappresentanza nelle audizioni, ha accettato documentazioni.
E’ chiaro che ogni soggetto, in quanto rappresentanza particolare, aveva espresso l’interesse di far sì che nel Piano venisse segnalata la propria realtà organizzativa e professionale. Certamente non tutto si è potuto recepire proprio per la caratteristica programmatico-strategica del Piano. Tutto il materiale pervenutoci, comunque, sarà molto prezioso quando andremo ad implementare le varie scelte sul territorio e nelle strutture, perché quei suggerimenti fanno parte di quella che sarà l’implementazione vera del Piano.
Ci sono state anche molte critiche. Infatti, proprio per la mancanza di prescrittività, alcuni hanno ritenuto che il Piano fosse troppo leggero – passatemi il termine –.
L’indirizzo scelto dal Piano, credo, consenta il recupero anche delle critiche fatte, in particolare sulla non autosufficienza, quelle fatte da alcune associazioni e organizzazioni sindacali sono state anche piuttosto profonde. Penso che l’Assessore convenga sulla necessità di assumerci le responsabilità più stringenti, magari con l’approvazione di un ordine del giorno dove si possa puntualizzare e mettere nero su bianco quelle che dovranno essere le scadenze a cui attenerci per recuperare un dato come quello della non autosufficienza, che è un problema che riguarda soprattutto noi per le cose che dicevo prima, ma anche l’intero Paese.
Abbiamo suddiviso l’atto in tre parti. I 21 capitoli che erano stati proposti nell’ultimo atto di Giunta li abbiamo organizzati in 15 capitoli: la prima parte riguarda gli obiettivi e le strategie, la seconda riguarda tutta la parte organizzatoria e strutturale delle reti sanitarie e dei processi sanitari, la terza riguarda i processi di supporto.
Queste componenti sono fortemente legate fra di loro, nel senso che l’organizzazione della sanità è tale per cui se si modifica un processo questo ha direttamente effetto sul processo di supporto. Alcuni pensano di poter risparmiare – è un dibattito che è stato fatto anche nella nostra realtà – sui servizi di supporto, oggi come oggi dobbiamo convincerci che lo potremo fare unicamente se cambieremo strutturalmente anche il processo clinico.
La scelta della suddivisione in capitoli che è stata fatta non è solo per una migliore la lettura, ma anche per una migliore organicità. Ci saranno sfuggiti probabilmente anche alcuni aspetti che dovranno essere recuperati in sede di dibattito, sappiamo che sono stati presentati molti emendamenti.
Passo ora all’illustrazione dei contenuti di questo Piano partendo dalla prima parte, la strategia degli obiettivi.
La strategia del Piano vuole raggiungere gli obiettivi che sono fondamentalmente quattro. Il primo è quello del superamento degli squilibri. Sono squilibri che esistono anche se non eccessivamente macroscopici.
Nel territorio marchigiano non abbiamo la stessa offerta, o meglio, c’è un’offerta che può essere migliorata e razionalizzata in modo che tutti i cittadini marchigiani, ovunque si trovino, possano accedere ai servizi e avere la copertura sanitaria che pretendono.
Questi squilibri hanno bisogno, ovviamente, anche di investimenti e saranno anche oggetto di attenzione di dove fare gli investimenti relativi.
Sappiamo che gli squilibri non corrono dietro soltanto alla quantificazione organizzativa, per esempio, i posti letto, tanto per fare riferimento ad un criterio che tutti quanti possono percepire, ma non è questo il problema, il problema sono squilibri di carattere di qualità professionale, di qualità diagnostiche, di qualità terapeutiche. Noi dobbiamo recuperare questo.
E’ chiaro che un aspetto macroscopico, che abbiamo esaminato anche come quinta Commissione nel momento in cui abbiamo parlato del piano della riabilitazione, è la carenza di questa che talvolta fa anche riferimento alla mobilità passiva delle parti nord e sud della regione. C’è una concentrazione di offerta molto rilevante nel centro e manca nelle parti nord e sud e questo, ripeto, ha riferimento anche nella mobilità passiva.
Occorre, dunque, il superamento degli squilibri.
Un’altra questione che viene affermata è quella del mantenimento della strutturazione della legge n. 13. Nel 2003 abbiamo fatto la scelta organizzativa di affiancare l’Asur con due Aziende ospedaliere e con l’Inrca, oltre che con l’apporto dell’Università dell’Azienda ospedaliera di Ancona. Questa strutturazione intendiamo mantenerla, su questo c’è stato un forte dibattito. Il Piano, come atto amministrativo, non ha la forza di superare la legge, nonostante qualcuno avesse pensato, anche programmaticamente, di indicare la trasformazione della legge n. 13 come elemento fondamentale e fondativo della nuova programmazione.
Si è ritenuto di lasciare immodificata questa struttura anche perché avremmo riaperto un dibattito che ci avrebbe portato fuori dagli obiettivi del Piano.
Per cui si conferma l’impianto della legge n. 13 anche se abbiamo introdotto – poi ci ritornerò – il concetto organizzativo nuovo dell’area vasta, che molti vorrebbero surrogare con le strutture della legge n. 13, invece l’area vasta mantiene una impostazione funzionale, di organizzazione, di riferimento funzionale, in modo tale che l’area vasta sia una delle condizioni territoriali di riferimento nelle scelte della modificazione dell’implementazione delle reti cliniche e delle altre reti.
Terza strategia è l’individuazione delle scelte con il relativo monitoraggio nel cambiamento. Una delle questioni fondamentali che dobbiamo realizzare è la conoscenza.
Dicevo prima che le 1.700 pagine sono state di notevole rilevanza, ma è importante attivare sempre più la conoscenza quotidiana di ciò che avviene nella nostra sanità, perché senza sapere quello che avviene non si può decidere. Purtroppo questo monitoraggio, forse per la carenza dell’informatizzazione del nostro sistema, è complicato, non è semplice da realizzare.
Quarto elemento della strategia è trasformare in opportunità i vincoli finanziari che abbiamo di fronte. Questo è un bello slogan, ma concretamente non è facile. I vincoli economici sono i vincoli stringenti a cui è difficile dare soluzione se poi non si ha il coraggio di fare le scelte di mettere il sistema nella condizione di avere la capacità di dare la stessa risposta, anzi, innalzare la risposta senza prescindere dalla realtà che si va a modificare.
Pertanto l’obiettivo di questo Piano per la questione finanziaria è tentare di realizzare la strategia tenendo conto delle risorse date. Abbiamo realizzato nel 2006 un deficit di 96 milioni di euro, nella triennalità dovremo tentare di recuperare questo gap per mettere in linea il fondo sanitario, le entrate che abbiamo autonomamente come Regione, in modo da non creare disavanzi.
Questo strategicamente è possibile, sarà un lavoro lungo, e non è soltanto, come si dice, un problema dei piccoli ospedali, ma per raggiungere questo obiettivo è tutto il sistema che deve essere razionalizzato.
Gli obiettivi generali di piano, se queste sono le linee strategiche che vogliamo ottenere, sono quelli di andare verso uguali diritti dei cittadini. Parlavo prima delle disuguaglianze territoriali, ma più di queste dobbiamo fare in modo che l’esercizio del diritto della protezione sanitaria di ogni cittadino possa essere esercitato in tutto il territorio e da chiunque. Questo è uno degli elementi fondamentali.
L’aver garantito livelli essenziali di assistenza non è stato un atto che garantisce comunque, sempre e in qualsiasi parte della regione, la fruibilità della copertura sanitaria, quindi, quello che dobbiamo raggiungere è, intanto, ridurre i tempi di attesa, una delle problematiche più all’ordine del giorno. E’ chiaro che dobbiamo partire da una migliore organizzazione dell’informativa dei servizi, dobbiamo avere un collegamento più efficace, soprattutto nella diagnostica, tra l’altro noi abbiamo una rete diagnostica molto estesa, molto frammentata e poco collegata, quindi, dobbiamo fare in modo che i tempi di attesa abbiano una giusta risposta. C’è un capitolo specifico di come vogliamo affrontare questa problematica.
Terzo obiettivo, l’appropriatezza, cioè quello di non sprecare i soldi, uso questo termine semplificatorio, ma si tratta proprio di questo. Dobbiamo mettere le cose al posto giusto nel momento giusto. Purtroppo abbiamo in molte parti sovrabbondanza di offerta rispetto ai reali bisogni, non solo, da qualche altra parte abbiamo una sottovalutazione dell’offerta rispetto ai reali fabbisogni.
Quindi l’appropriatezza è una delle condizioni fondamentali di organizzazione della sanità che si sposa con i principi di qualità che la sanità deve assolutamente raggiungere.
Della promozione alla salute se ne parla tanto, gli stili di vita sono quelli che sono. Dobbiamo sempre più proporre azioni educative che consentano soprattutto ai giovani di rientrare in uno schema che purtroppo la logica consumistica non ci consente di perseguire. Se non riusciamo a modificare gli stili di vita molte della malattie si estenderanno nel corpo sociale della nostra comunità, invece, dobbiamo tornare a considerare la promozione della salute come un diritto oltre che come un dovere.
Nel Piano parliamo di prevenzione, pertanto la promozione alla salute si sposa con il momento preventivo. Abbiamo pensato, per esempio, di sviluppare un’azione sull’attività motoria dei cittadini, soprattutto degli anziani. Soltanto questo fatto ha comportato, perché sperimentato e scientificamente provato, che sviluppando un’azione di convincimento dei nostri cittadini a svolgere l’attività motoria, si arriva automaticamente ad un’elevazione della qualità della salute, e secondariamente, ma non da trascurare, ad un risparmio diretto sull’uso dei farmaci.
Abbiamo introdotto come obiettivo anche la medicina di genere. Al di là delle polemiche che possono essere fatte su questo dato, abbiamo introdotto la medicina di genere come attenzione della nostra sanità su una particolarità, quella del mondo femminile, che molte volte viene omologata all’interno della medicina generale senza, invece, le specificità che attengono alle condizioni di vita delle donne. Non ci sono solo le condizioni di vita che attengono fisiologicamente all’appartenenza ad un genere diverso da quello maschile, ma c’è anche un problema che attiene alle condizioni sociali e di crescita educativa e fisiologica delle donne a cui va data assolutamente importanza e a cui va data tutta l’attenzione necessaria. Per questo, quindi, abbiamo espresso linee molto importanti e molto interessanti per spostare un’attenzione che fino ad oggi probabilmente è mancata.
Il governo clinico è un altro obiettivo, cioè quello di poter realizzare delle reti cliniche su tutto il territorio, nel senso che dobbiamo considerare la nostra sanità, che è per un 1 milione e 500 mila abitanti, come un fattore strutturalmente integrato. O riusciamo a raggiungere una dimensione di integrazione reale di tutta la nostra organizzazione sanitaria oppure rischiamo una dispersione strutturale e di risorse enorme.
Tenendo conto di realizzare le integrazioni, soprattutto sull’area vasta come area ottimale della riorganizzazione delle reti cliniche, la cosa importante è che tutta la sanità venga collegata. Questo non solo per realizzare e superare quegli squilibri di cui prima ho parlato, ma soprattutto per tentare di dare le risposte giuste al posto giusto.
Possiamo anche avere punti di riferimento clinici diversi da quelli dell’area vasta, parlo per esempio delle specialità, ma dobbiamo sapere dove li mettiamo e dobbiamo sapere la risposta che devono dare.
La creazione delle reti nella sanità, di cui si fa tanto parlare da tutte le parti e in tutti i modi, è invece una strategia vera e propria, è una strategia fondamentale che deve essere supportata da strumenti informatici e tecnologici di alto livello. O riusciamo a fare questo salto di qualità oppure si abbasserà il livello complessivo della sanità.
Altro obiettivo fondamentale è quello dell’integrazione socio-sanitaria che ci consente di innovare un approccio che è iniziato con la legge n. 833 e che in tutti questi anni non ha avuto modo di trovare dei riferimenti specifici nell’attuazione sul territorio di una interazione specifica tra sociale e sanitario. Soprattutto oggi con la legge n. 328, che dal 2000 ha portato una nuova dimensione della gestione del sociale, si è sentita ulteriormente la necessità di integrare i servizi socio-sanitari, anche perché la delega del sociale alla sanità, e viceversa, è una delega sempre meno attuata. Pertanto è gioco forza che strategicamente si abbia la necessità di avere un’azione comune e dei protocolli comuni, tant’è che questa parte del Piano che riguarda, appunto, l’integrazione socio-sanitaria, dovrebbe essere analoga a quella del Piano sociale. Sono due cose distinte perché organizzativamente sono due fatti distinti, ma dobbiamo assolutamente trovare un’integrazione.
Ultimi due obiettivi: ricerca e innovazione, sanità elettronica e servizi al cittadino. Sono due obiettivi fondamentali per le cose che ho detto.
La questione della ricerca e dell’innovazione chiama in causa direttamente il coinvolgimento dell’Università e dell’Inrca che sono i due punti di riferimento che dobbiamo assolutamente utilizzare per la ricerca e per l’innovazione. Abbiamo la necessità di non perdere colpi rispetto alle novità che la medicina e la sanità in generale ci propone, proprio perché oggi stiamo facendo passi da gigante dove la medicina non è più relegata ai vecchi schemi di cura, ma dove si aprono, grazie alla ricerca scientifica, scenari assolutamente rilevanti.
Il capitolo che riguarda la programmazione finanziaria riprende le linee indicative del bilancio triennale della nostra Regione, pertanto c’è una conferma dell’obiettivo di cui prima ho parlato. E’ ovvio che questi obiettivi sono ambiziosi, che vanno sicuramente perseguiti, ma in questa programmazione, come vedrete, c’è una parte dedicata anche allo sviluppo. Non è soltanto un Piano che tiene conto della realtà, così come essa è, e delle modificazioni che possono intervenire sulla base di scelte quotidiane, ma dove si deve assolutamente pensare ad una novità sostanziale per quanto riguarda l’organizzazione tecnologica.
Il sistema organizzativo, complessivamente inteso, si scompone in quattro grandi aree.

PRESIDENTE. Consigliere le ricordo che il tempo è abbondantemente scaduto.

Marco LUCHETTI. L’attività socio-sanitaria, l’attività territoriale, l’attività ospedaliera e l’emergenza-urgenza.
Queste grandi aree saranno sicuramente l’oggetto del governo delle cabine di regia, che a livello regionale dovranno essere definite per la gestione complessiva della sanità. A questo, ovviamente, dovranno essere poi collegati tutti gli altri elementi di conoscenza e organizzativi.
La prima parte finisce con il sistema di qualità dove siamo a buon punto, come Agenzia siamo addirittura oggetto di attenzione dell’organizzazione mondiale della sanità per aver elaborato prima delle altre Regioni il sistema di accreditamento e di autorizzazione. Quindi dobbiamo andare avanti, dobbiamo incrementare sempre di più la capacità di governo della qualità e soprattutto dell’innovazione.
La seconda parte, e non mi soffermo, riguarda le reti strutturali. A questo proposito ritorno, come ho detto all’inizio, sulla questione del socio-sanitario per quanto riguarda l’anzianizzazione.
Nella nostra regione abbiamo la bellezza di 4.500 anziani ricoverati nelle nostre residenze protette, nelle Rsa e nelle lungodegenze, abbiamo più di 6.600 anziani che sono assistiti dall’assistenza domiciliare integrata nelle zone territoriali e abbiamo altre 12.000 persone non autosufficienti che sono assistite dalle badanti. Questo è un fenomeno enorme, se non ci fossero state le badanti, con tutte le questioni connesse perché si tratta di un fenomeno di emarginazione e qualche volta anche di schiavitù, probabilmente le nostre famiglie si sarebbero trovate in mezzo a una strada. Quindi anche da questo punto di vista dobbiamo intervenire.
Si parla di ritaratura delle nostre strutture per dare spazio alle geriatrie, per dare spazio alle lungodegenze, alle Rsa, ma occorre, secondo me, una grossa presa di coscienza da parte di tutta la comunità se vogliamo affrontare tematiche, ad esempio, come quelle dell’Alzheimer che oggi stanno massacrando intere famiglie e a cui, purtroppo, non si riesce esaustivamente a dare una risposta.
Abbiamo sulla rete territoriale ripreso il ruolo del medico di medicina generale. Dal punto di vista strutturale dobbiamo integrare adeguatamente con il sistema sanitario sempre di più questa parte di sanità che è direttamente vicina al cittadino. Dobbiamo dare la possibilità ai medici di medicina generale di ritornare ad essere i veri punti di riferimento della nostra sanità dando loro la possibilità di accesso al sistema, cercando di coinvolgerli nella prescrizione successiva alla medicina generale, che può essere quella della specialistica e diagnostica, ma occorre, soprattutto, integrarli completamente all’interno di un sistema che li deve vedere attori principali.
Sul territorio si stanno attuando e raggiungendo nuove modalità di organizzazione, come possono essere, per esempio, quelle delle Case della salute – ne abbiamo alcune sul nostro territorio – che stanno implementando la presenza sul territorio della sanità con le effettive esigenze, facendo leva sul medico di medicina.
Queste sono le strutture in alternativa agli affollamenti dei pronto soccorso, quindi, più struttureremo sul territorio della sanità più elimineremo quelle grandi pletore, quelle grandi file nei pronto soccorso.
Si è dovuta riorganizzare completamente la rete ospedaliera tenendo conto delle esigenze di integrazione nel nord e nel sud, ma anche di quelle del centro.

PRESIDENTE. Consigliere, per cortesia, non mi obblighi a toglierle la parola.

Marco LUCHETTI. Termino dicendo che la questione della rete ospedaliera è una delle questioni fondamentali che ci troviamo di fronte, a cui dobbiamo dare una risposta significativa per migliorare la sanità, facendo particolarmente riferimento ai ruoli delle specializzazioni – parlo delle aziende ospedaliere e dell’Inrca – che in questo momento sono punti di riferimento sempre più importanti nella cura delle acuzie.
Ci sono altri capitoli, fino a giungere alla rete tecnologica, al sistema del farmaco e alla rete della formazione. Questi capitoli sono molto interessanti, danno una svolta significativa ad un governo della sanità regionale, come dicevo, sempre più integrato.
Credo che se sapremo implementare queste linee strategiche otterremo sicuramente una sanità migliore e più vicina ai cittadini.

PRESIDENTE. Ha la parola il relatore di minoranza Consigliere Castelli, pregandolo di rispettare i tempi.

Guido CASTELLI. Sono le ore 11,16 quindi ho tempo fino alle ore 11,46.
Dov’è il dott. Ruta? Avrei voluto esordire con un saluto al dott. Ruta, perché nel corso delle innumerevoli occasioni di incontro sul territorio e in Commissione che abbiamo avuto con lui ho scoperto che è nato in Val di Siusi, un bellissimo ameno luogo della Val Gardena che è dominato da una montagna che si chiama Catinaccio, è particolarmente massiccia e ponderosa e che in tedesco viene chiamata Rosengarten (giardino delle rose). Questa stessa caratteristica binaria è tutta rappresentata dal dott. Ruta il quale sa essere massiccio – e dimostrerò in quali parti –, perché coraggiosamente si è armato di audacia, ma anche flessuoso, come si conviene ad un giardino di rose.
Questa è la caratteristica di un uomo che sicuramente non può essere ritenuto privo di sincerità, perché una cosa chiara ed inequivoca di questo Piano è il giudizio severissimo e durissimo per quanto riguarda la vecchia gestione sanitaria.
E’ una stroncatura che per certi versi riflette e fa riecheggiare alcuni tratti delle nostre critiche che sono state plasticamente consegnate a tre o quattro pagine – invito soprattutto i Consiglieri della maggioranza, ma anche il Presidente Spacca a rileggersele – dell’atto n. 48. Successivamente sono state un po’ ammorbidite perché probabilmente il Ruta “massiccio”, non “Rosengarten”, prendendo la penna e scrivendo queste tre pagine ha avuto un’onestà intellettuale che gli va riconosciuta.
Si parla di squilibri palesi, di gestione insufficiente, di un’offerta sanitaria totalmente priva della capacità e dell’attitudine di rispettare i precedenti Piani.
Ora c’è il dott. Ruta, quindi glielo dico senza ironia – prima lei non c’era, ma ho detto che è un po’ “Catinaccio” e un po’ “Rosengarten”, quindi un po’ duro e un po’ giardino di rose –. Sicuramente questo è un dato politico che offriamo non alla polemica, ma ad una constatazione che riguarda questo ultimo triennio che qualcuno definisce fallimentare, altri più benevoli lo definiscono di profondo ritardo per la nostra salute.
Allora è questa la premessa che oggi ci porta a dover esaminare – lo ha detto anche il relatore Luchetti – quello che è un Piano strategico, un Piano leggero, un Piano di larga massima, un Piano che non si impantana e non si infogna – se mi viene consentito l’uso di questo verbo – in questioni operative e gestionali, ma che illustra una tenenza, un senso.
La prima domanda che poniamo di fronte a questa scelta, dott. Ruta e colleghi della maggioranza, è se è stata una scelta o se è stata una necessità.
Il fatto di voler indicare una prospettiva, omettendo di dettagliare alcune strategie, è frutto di una debolezza politica, ovvero di una fragilità di questa maggioranza che non ha voluto arrischiarsi in sentieri impervi che avrebbero potuto preludere anche a “rivolte” politiche prima ancora che sociali. Quando si allude al taglio di servizi sapete che è come un riflesso pavloviano, vengono fuori, come probabilmente verranno, delle rivolte difficili da gestire, soprattutto nella calura agostana o pre-agostana che ci sta riguardando. Quindi è stato questo o è stata una scelta?
Penso che sia difficile dare una risposta univoca perché probabilmente gli attori di questa vicenda sono animati da propositi e da intenti diversi.
Credo che la strategia abbia una nobile ragione di esistere, ma inevitabilmente come soggetti politici abbiamo il dovere di interrogarci se questo Piano a maglie larghe voglia preludere ad una richiesta, da parte della maggioranza, di mani libere. Ovvero, esiste il rischio, che per noi è concreto, che in particolare questa Giunta voglia oggi dire al Consiglio “dateci pieni poteri poi ci penseremo noi”.
Allora, siamo di fronte ad una deregulation che sottende un nuovo e più moderno modo di fare sanità oppure siamo tra i marosi di una maggioranza in difficoltà che probabilmente, anche avendo indicato a se stessa alcuni temi e scadenze politiche importanti per settembre-ottobre, vuole sbarcare il lunario per poi arrivare con le mani libere a gestire il gestibile?
Credo che questo rischio sia concreto, credo, tra l’altro, che la nostra sanità ha già corso questo rischio quando dal dicembre 2003 ci si è, di fatto, introdotti in una prospettiva del tutto analoga a quella che io adombro. Quando nel giugno 2003 ci lasciammo con la nuova legge, consegnammo come testo normativo sull’architettura della organizzazione sanitaria delle cose che via via sono cambiate nel tempo.
La Giunta regionale ha ragionato quasi in senso omeopatico, inoculando pezzo per pezzo, norma per norma, istituto per istituto, elementi nuovi che oggi ci possono far quasi paragonare l’organizzazione sanitaria vigente nelle Marche a quello che era una volta il corpus iuris di Giustiniano, che non era un codice, non era un testo preciso, ma era un insieme di glosse, note, interpretazioni, prassi, che alla lunga rendeva la società priva di certezze.
Credo che l’atteggiamento di chi ha voluto in qualche modo andare a tentoni, aggiustando ex post il sistema sanitario, sottraendosi ad un confronto aperto e franco con chi la sanità la deve soprattutto attivare prima ancora che programmare, è alla base di quelle criticità così spietatamente evidenziate nell’atto amministrativo n. 48.
Allora, colleghi della maggioranza, non potete non considerare che la nostra difficoltà è soprattutto quella di dare un giudizio sulla fattibilità di questo Piano.
Come possiamo oggi dire quanta probabilità ha questa Giunta, questa maggioranza, di realizzare queste reti cliniche? Come possiamo – per carità, chi è di maggioranza giustamente può ispirare il suo atteggiamento ad un vincolo di maggioranza che ha un senso politico – pensare che questo Piano si realizzi o meno? Noi possiamo pensarlo nel momento in cui, e questo credo sia il punto nodale di tutta la vicenda, la nostra sanità non può solo ispirarsi a concezioni programmatorie più o meno intelligenti, ma deve fare i conti con un quadro economico e finanziario disastroso.
Noi per il 2007 – lo dobbiamo dire una volta per tutti – o meglio per i quattro mesi che residuano nel caso in cui questo Consiglio dovesse licenziare questo Piano, dovremmo, secondo quanto scritto precisamente sia nel bilancio di previsione che nello stesso Piano sanitario, recuperare 20 milioni di euro del deficit dell’anno scorso, ridurre comunque di 96 milioni di euro la capacità di spesa del sistema, in più, è scritto, prevedere attività nuove per 66 milioni di euro. Vi rendete conto che 96 milioni in meno, 20 milioni da recuperare e 66 di attività in più, sono una massa di denaro che è stupido pensare che possiamo riagguantare in quattro mesi!
La fattibilità a questo punto diventa qualcosa di estremamente remoto, allora, noi diciamo che vogliamo qualcosa di più e migliore se non altro come incipit che guiderà la mano di questa Giunta nel momento in cui dovrà adottare i tagli draconiani, che è inevitabile che ci siano perché 150 milioni di euro non ce li regalerà nessuno!
Anche in questo caso – non me ne vogliano gli altri suoi collaboratori – devo riconoscere al dott. Ruta una grande onestà intellettuale, perché queste cose io gliele ho dette in Commissione e lui mi ha risposto “io mi sono trovato questa programmazione di rientro finanziario prima ancora che mettessi mano alla sanità delle Marche”. Sicché quei dati – 20 milioni di recupero, 96 milioni in meno, 66 di attività – sono in realtà poste finanziarie di attendibilità, secondo me discutibili, ma che comunque non si connettono in maniera funzionale con il Piano strategico che, invece, si prefigge economie di scala che si sviluppano sicuramente nel futuro, sicuramente in un lasso di tempo pluriennale che, tuttavia, difettano di presbiopia – presbite è colui che vede lontano, ma ha qualche problema a veder vicino –. Credo che tutto sommato il difetto di presbiopia sia quello che con maggior forza possiamo ascrivere ad un Piano che, ripeto, si fonda su due accenni.
E qui arrivo ad Almerino Mezzolani che oggi ho definito fortunato, ma anche bravo, ci mancherebbe, non voglio soltanto considerarlo come una specie di Gastone della politica regionale, ma ho detto semplicemente che la fretta con la quale questa maggioranza ha chiesto e imposto a marce forzate che venisse approvato questo Piano, dipende anche dal fatto che a settembre-ottobre questa maggioranza, dovendo provvedere e svolgere le primarie per il segretario regionale del partito Democratico, le primarie per il segretario nazionale, ha voluto, non dico liberarsi, ma disfarsi di qualche impiccio, tra l’altro non secondario, che forse avrebbe creato qualche distonia o qualche disarmonia in più.
Questa è una facezia, una delle tante cattiverie di cui mi rendo protagonista nel momento in cui però, attenzione, vedo due intuizioni che immagino riconducibili ad una scelta politica, la prima è quella dell’area vasta. Qui credo di poter dire, a nome della minoranza, ma forse anche di parte della maggioranza, che si concentri un elemento fondamentale della nostra richiesta politica.
E’ noto, Assessore Mezzolani, che noi abbiamo presentato mille emendamenti, è noto che ci stiamo attrezzando per passare qui anche le notti, ma non vogliamo semplicemente dar fastidio, non vogliamo semplicemente dare sfoggio di esibizionismo più o meno voyeristico, per eccitare il voyeurismo della pubblica opinione, ma vogliamo usare tutta la nostra forza per richiedere almeno due correttivi che riteniamo assolutamente necessari nell’interesse della comunità marchigiana.
Il primo è dare concretezza all’area vasta che così come ci viene descritta nel Piano, non sono parole mie ma dei sindacati, delle associazioni, dei sindacati medici oltre che della triplice, è una sorta di ectoplasma, un’araba fenice, una situazione di vedo ma non vedo. Il Consigliere Luchetti, che è il più strenuo e feroce difensore dell’ancien régime, parlo dell’Asur, si sforza, e lo ha detto anche questa sera, di ripetere che non è un livello istituzionale, di governo clinico, è qualcos’altro, è un’area di collaborazione, come l’ha definita il dott. Malucelli direttore generale dell’Asur.
Per noi deve essere qualcosa di più, deve essere esplicitato meglio, soprattutto che attenga e afferisca all’organizzazione “costituzionale” della nostra sanità per effetto di un riconoscimento all’interno della legge n. 13. Diversamente sarebbe qualcosa che alla bisogna viene citata come fosse un grumo di una nuova Asl provinciale, di un ritorno ruggente delle Asl, altre volte, invece, viene evocata come bacino di assistenza ottimale.
Bisogna chiarirsi perché il nostro atteggiamento potrebbe essere più o meno orientato in un senso o nell’altro a seconda della soluzione di questo, che secondo Luchetti non è un enigma, ma che secondo noi, invece, è un punto di prova.
La seconda cosa sono le famose cabine di regia. Lo abbiamo detto più volte, le cabine di regia sono le strutture che dovranno adottare le scelte di Piano, cioè saranno loro a proporre o meno la chiusura o il potenziamento dei servizi, l’adozione di tutte quelle misure per i non autosufficienti che vengono reclamate a gran voce da tutti, ma ancora non adottate, oppure tutto ciò che è necessario per la rete dell’urgenza-emergenza. Cioè la cabina di regia, dato atto e posto che il Piano è a maglie larghe e sarà il luogo decisionale effettivo.
Allora anche qui ci sono due scelte. La cabina di regia come soggetto che dopo aver ottenuto la cartolarizzazione del diritto politico dei Consiglieri regionali di fare il Piano, essa stessa lo traduce in Piano vero, però sottraendosi sia ai riflettori che alla possibilità di interferenze di chi come noi è titolare del diritto di programmare la sanità e la salute marchigiana.
Altra alternativa è la cabina di regia come luogo che, pur riconoscendo ai funzionari e alla parte burocratica il diritto e dovere di istruire una scelta o un processo, rimette alla scelta amministrativa e politica dei Consiglieri regionali o della loro rappresentanza istituzionale il diritto poi di arrivare davvero alla scelta.
I casi potrebbero essere migliaia. Quando si passa in rassegna l’insieme delle aree vaste non vi sarà sfuggito, cari colleghi Consiglieri, che si parla di studi di fattibilità, si adombrano possibilità, si ipotizzano soluzioni. Ebbene queste eventualità un giorno, proprio per effetto di quelle emergenze finanziarie, dovranno diventare realtà.
In questo meccanismo di inveramento, di concretizzazione, questo Consiglio deve esserci, non parlo di maggioranza o di minoranza, perché è un grande fatto democratico, per usare un’espressione cara soprattutto all’estrema sinistra, che rispetto ad alcuni elementi portanti della discussione politica non fa altro, e giustamente, che invocare un argomento che attiene davvero al tessuto connettivo del vivere civile dei marchigiani.
Il responsabile di un’associazione artigiana nel corso delle audizioni ha ricordato che con il 40% di una tassa che grava soprattutto sugli artigiani e gli imprenditori, che è l’Irap, si finanzia il servizio sanitario regionale. Questo sta a significare non solo che il diritto alla salute è, come si ripete all’infinito, un diritto cui la Costituzione ha dato rango costituzionale, ma per quanto riguarda il prosieguo dell’esistenza di un cittadino nelle sue attività, nel suo farsi imprenditore piuttosto che dipendente, quindi in questa seconda fase della sua cittadinanza, si esprime una partecipazione e quindi un diritto ad avere risultati della sanità.
Ecco perché è una grande questione democratica che richiede risposte, e soprattutto, non è secondario colleghi Consiglieri, considerando il fatto che dal 2002 in poi la comunità marchigiana ha pagato mille miliardi delle vecchie lire di tasse aggiuntive per dare una mano e per riassestare i conti della nostra sanità.
In base a quella programmazione, che fu del Governo D’Ambrosio ma anche quello del Vicepresidente Spacca, nel 2006 le casse della nostra sanità regionale avrebbero dovuto avere un deficit pari a zero. Il deficit non è zero, ma è di 96 milioni di euro, e probabilmente, come ha detto il Consigliere Massi, è di più.
Ma vi rendete conto che abbiamo avuto le tasse più alte d’Italia e l’addizionale regionale Irpef ha raggiunto il 4% , cioè una misura che è davvero da film horror e che dovrebbe rendere tremebondo anche Visco, che probabilmente sarebbe impallidito se per un attimo avesse visto il documento che l’Agenzia delle entrate dà ai commercialisti per calcolare l’addizionale regionale Irpef!
Tutto questo, nel nome di un solidarismo che inevitabilmente deve anche acquisire il principio della contribuzione economica del cittadino in ragione della sua capacità economica, ha trovato questo risultato.
Allora, come poter esprimersi favorevolmente rispetto a un Piano che sicuramente dal dott. Ruta è stato costruito con onestà intellettuale, con convinzione scientifica, ma che nella fase intermedia e anche più prossima a quella che è la nostra attività, presenta queste gravissime diseconomie.
C’è da vergognarsi! Chi è stato alle audizioni ha raccolto dei giudizi su alcuni aspetti decisivi della nostra vita che avrebbero dovuto far arrossire i responsabili di tutto ciò.
Quello che abbiamo sentito da parte dei rappresentanti dei sindacati, ma non solo, sulla non autosufficienza, è una cosa che ha fatto tremare anche noi, cioè quando si dice che solo il 10% degli anziani non autosufficienti ha le cure nelle misure e nei modi che la Regione e la legge ha stabilito che debbano essere.
Quello che abbiamo sentito in termini di mancata realizzazione degli investimenti che per 10 milioni di euro dovevano essere realizzati per arrivare a quei famosi fatidici cento minuti di assistenza che non sono neanche raggiunti per la metà, è una cosa che, secondo me, rappresenta la pagina meno nobile di questo Governo regionale. Attenzione, questo Governo – questo non vale per il dott. Ruta, ma per tutti gli altri attori – non governa da sei mesi ma governa dal 1995.
Allora una regione dove si dice che si vive bene, che diventa tanto anziana, ma che non riesce a dare agli anziani un’assistenza degna di un paese civile, è una regione che deve vergognarsi di se stessa. Mi scuso di usare termini così alti, non voglio neanche sembrare strumentalizzante rispetto a questa tematica, ma sulla non autosufficienza si registra sicuramente il più grosso dei fallimenti di questo Governo regionale.
E questo vale non solo per gli anziani, ma anche per i disabili e per tutti coloro che, presenti nelle residenze sanitarie, devono vedersi sottratto il 100% della propria pensione perché debbono compartecipare alla spesa di servizi che la legge pone a carico del servizio sanitario regionale. Questo è una vergogna! Io stesso ho avuto modo di seguire alcuni riallineamenti delle contribuzioni degli ospiti disabili, delle persone incapaci di intendere e di volere, che si vedono togliere l’intera indennità di accompagno, oltre che la pensione, per poter continuare a stare nelle residenze sanitarie assistenziali di questa regione. Questo vale ovunque!
C’è anche un altro grande problema che deve essere affrontato e che si spera nelle cabine di regia, o dove sia, riuscirà ad essere considerato con la giusta priorità, è quello dell’emergenza-urgenza. Anche questo è un aspetto che ci portiamo dietro dopo aver scontato troppi e indecenti ritardi. Mi riferisco al fatto, ad esempio, della scarsa collaborazione fra pronti soccorso e reti di emergenza, la vetustà, il logoramento delle apparecchiature e delle strutture, un altro capitolo su cui noi, come Alleanza Nazionale, ma soprattutto come minoranza, abbiamo centrato all’attenzione.
Terzo punto, la grande questione territoriale che è connessa al discorso dell’area vasta. L’Asur, questo lo abbiamo capito, in maniera più o meno chiara, scompare dal Piano.
La maggioranza non lo dice, ma se attraverso un meccanismo di fine file – quello che ci consente di rintracciare le parole chiave all’interno di un documento word – andasse a trovare quante volte è citato il termine Asur, che ha funestato le nostre notti e alimentato i nostri incubi per tre anni, lo troverebbe pochissime volte.
C’è una doverosa, secondo me, controrivoluzione, anche perché all’Asur devono essere addebitati tantissimi limiti, ma forse ce n’è uno che merita di essere citato e sottolineato ancora con più forza, mi riferisco al fatto che l’Asur ha determinato un sistema secondo cui chi nelle Zone operava meglio veniva punito dal meccanismo del budget in quanto prendeva di meno, mentre chi realizzava economie di scala non aveva ripiani a pié di lista di cui, invece, godevano le Zone che andavano peggio, il tutto secondo un criterio opposto a quello della meritocrazia e dell’efficienza che non ha tardato a produrre effetti esiziali del nostro Servizio sanitario.
Quindi, il ripensamento dell’Asur, nel momento in cui lo si dovesse consacrare in maniera chiara e netta anche attraverso la modifica della legge n. 13, è sicuramente un aspetto positivo.
Certo, qualora venisse superata l’Asur, ma non venisse chiarito quale è il luogo decentrato delle decisioni, rischieremo, caro dott. Ruta, una sanità commissariata, una sanità che, di fatto, supererebbe addirittura la legge n. 502, non ci sarebbero più aziende, ritorneremo probabilmente al vecchio comitato di gestione, con la Giunta e il commissario prefettizio, il Radetzky – come l’ho definita in un’occasione della sanità marchigiana – che non è escluso che sia la cosa migliore se, ovviamente, dovesse avere i poteri, perché Radetzky dopo le cinque giornate ha dovuto, ahimè, fare fagotto, questo non lo auguro, ci mancherebbe.
Viviamo in una situazione di estrema rarefazione del momento decisionale. Il vero problema di questo Piano, se non sarà cambiato, sarà la fase due. Nel momento in cui verranno licenziate le linee strategiche e dovendosi, per l’urgenza finanziaria, adottare le scelte concrete, vi sarà una Babilonia di proteste, una Babilonia di cartelli, di serrate per ogni dove nelle Marche che potrebbero, in assenza di un livello decisionale chiaro e concreto, dare la stura ad un’ulteriore fase di instabilità di cui non abbiamo davvero bisogno. Certo, il fatto che in queste settimane segniamo il giro di boa della seconda parte della legislatura, non favorisce l’adozione di scelte draconiane o poco simpatiche all’elettorato.
Ma al di là di questo, noi chiediamo una rivisitazione della legge n. 13 perché sappiamo che il superamento dell’Asur e la definizione di un luogo che c’è ma non c’è, sono un rischio soprattutto per chi questo Piano lo ha voluto e pensato. Così difetterebbe sicuramente di forza colui che dovesse rapportarsi come fosse un plenipotenziario, ripeto, dell’impero asburgico che occupa la legge Monzabano, Verona e non mi ricordo quale altro pezzo del Quadrilatero, per poter imporre decisioni che non sarebbero praticabili.
Un’ultima riflessione su Ancona. Sono stato da sempre paladino – peraltro come tanti altri – dell’esigenza di superare l’Ancona-centrismo. Abbiamo sempre detto che l’Ancona-centrismo, di cui si sono stati intrisi i precedenti Piani, presto o tardi avrebbero nociuto alla stessa Ancona, questo è quello che è successo.
La stratificazione in quel di Torrette, di quella cittadella del potere, delle baronie, delle università interessate, ha fatto in modo che si creasse un imbuto tale che non ha tardato a produrre effetti mefitici ai danni della popolazione anconetana, proprio perché quel super ospedale è diventato ormai l’ospedale delle eccellenze, ma che deve anche occuparsi delle attività ordinarie degli anconetani, quindi non ce la fa più.
Questa polemica non era scioccamente territoriale, ma andava ad incidere su punti di interesse e non di attenzione verso il territorio anconetano. Gli sviluppi, le richieste, i problemi di Osimo, dell’Inrca, dei nuovi pronto soccorso, erano la plastica evidenza.
Quindi vediamo che nell’intuizione delle reti cliniche sicuramente ci può essere, dott. Ruta, la soluzione per l’annoso problema dell’equità territoriale dell’offerta sanitaria, questo è verissimo, però, attenzione, mentre indichiamo la rete clinica sappiamo anche che le decisioni vengono prese. Quindi quello che nel frattempo accadrà non è indifferente al futuro della rete clinica, alla possibilità di individuare il giusto apice delle varie reti. Oggi si diceva, magari, che sull’oncologia a Macerata c’è una eccellenza naturale, derivante anche dalla grande capacità medica, ma se nel frattempo non si alimenta e non si costruisce la rete, quella eccellenza cambia e va da un’altra parte.
Non sono secondari – questo è molto importante soprattutto per Pesaro –, nella costruzione della rete clinica, quelli che saranno gli atti gestionali che nel frattempo potrebbero decretare la morte o la vita di reparti che oggi appaiono come candidati a essere primari nella rete, che possono essere l’oncologia piuttosto che la cardiologia, ma che domani non potrebbero esserlo più.
Noi paventiamo la possibilità, ovvero, che si inoculi nel brevissimo periodo nell’organismo del servizio sanitario qualche veleno che potrebbe scompaginare anche ciò che di buono c’è nel sistema delle Marche.
Annunciamo la nostra strenua attività di ostruzionismo, non senza proporre a questa maggioranza l’occasione di un ripensamento e di una resipiscenza qualora su alcuni punti ci sia non un compromesso, attenzione bene, ma un ripensamento nell’interesse della comunità marchigiana e soprattutto del diritto alla salute di tutti coloro che vivono nella nostra regione.

PRESIDENTE. La discussione è aperta. Ha la parola il Consigliere Rocchi.

Lidio ROCCHI. Non inizierò il mio intervento parlando esclusivamente del dott. Ruta, non mi interessa né è il peso né dove è nato, ma ho l’interesse di far sapere a questa Assemblea che i socialisti hanno da sempre considerato la realizzazione, lo sviluppo e la difesa dello stato sociale come uno degli elementi costitutivi della sua politica sociale il cui cardine è un sistema socio-sanitario pubblico universale, equo e solidale.
Per questo motivo in tutti questi anni abbiamo condiviso le scelte di politica sociale e sanitaria delle varie Giunte che si sono succedute, mi riferisco alla legge di riordino del 2003, i Piani sanitari regionali fino all’ultimo, quello dell’Alleanza della salute.
Siamo stati sempre convinti che la realizzazione di una forte autonomia regionale in politica sanitaria, secondo quanto previsto dalla modifica del Titolo V della Costituzione, ci avrebbe permesso di rispondere ai bisogni, vecchi e nuovi, della società marchigiana.
Questo però non ci ha impedito e non ci impedisce di farci portatori, all’interno delle Istituzioni e della maggioranza, delle attese e delle necessità di una larga parte della popolazione della nostra Regione, specie delle fasce più deboli e mal rappresentate. Pertanto non rinunceremo ad esercitare la nostra funzione di stimolo, quasi una coscienza critica, in coerenza con quelli che da sempre sono i nostri valori.
Devo dare atto all’Assessore alla sanità e al Servizio alla salute di aver elaborato una proposta di Piano sanitario regionale 2007-2009, ambiziosa e, per certi versi, rivoluzionaria; per la prima volta al centro del Piano è messo il cittadino e i suoi bisogni e attorno ad essi si pensa di calibrare l’organizzazione strutturale e funzionale del sistema socio-sanitario.
Il Piano, innanzitutto, effettua una analisi dettagliata, minuziosa, impietosa dello stato in cui versa la sanità regionale. Ne viene fuori un quadro estremamente parcellizzato e diseguale, con sovrapposizioni, confusione dei ruoli, iniziative eterogenee e non coordinate.
Vi è una estrema difficoltà anche ad avere un quadro completo dei dati (personale, costi, tecnologia) anche e soprattutto per il forte ritardo del processo di informatizzazione integrato a livello regionale. Mi riferisco al sistema Iride dove sono stati spesi quasi 3 milioni di euro e poi i risultati sono stati zero. E’ evidente che la gran parte degli obiettivi del precedente piano non sono stati raggiunti, le reti cliniche non sono decollate così come caotica e disomogenea la rete territoriale e l’integrazione socio-sanitaria.
E’ condivisibile l’analisi di questo Piano, sono condivisibili le linee strategiche: la programmazione per reti cliniche in un sistema reticolare, la definizione dei livelli essenziali di assistenza sostenibili, la razionalizzazione, la centralità del territorio, l’integrazione tra il sociale e il sanitario, l’attenzione verso la ricerca e l’innovazione.
Inoltre il Piano individua con precisione l’accessibilità, il linguaggio comune, la rete d’emergenza come tessuto connettivo, la necessità di standard e la flessibilità negli obiettivi.
Tutto il sistema però, come avete potuto constatare, si basa su due presupposti tutt’altro che definiti, tanto meno consolidati. Mi riferisco al ruolo dell’area vasta che diventa luogo di riferimento e di integrazione per tutti i piani di intervento da quello delle reti cliniche a quello territoriale a quello socio-sanitario, e al ruolo dei medici di medicina generale chiamati a governare il sistema sul territorio, ma anche l’interazione tra le attività ospedaliere da una parte e il governo dell’organizzazione e della rete socio-sanitaria dall’altra.
Sul funzionamento di questi due cardini si basa la scommessa della riuscita del Piano sanitario regionale. Peraltro, al momento, sono obiettivi ancora non ben definiti, mal delineati e di difficile attuazione.
L’area vasta diventa il bacino di riferimento per ogni forma di organizzazione sanitaria e sociale; ad oggi la costruzione delle reti cliniche, che ne rappresentano il presupposto funzionale, è ben lontana dall’essere solo accennata. Analogamente succede per l’integrazione della medicina del territorio con quella ospedaliera. In questo ultimo caso tutto è affidato al volontarismo dei professionisti convenzionati che mal si coniuga con la sostanziale dipendenza della medicina ospedaliera.
Questo Piano – e penso che siate tutti d’accordo – non è, come del resto precisato, un Piano triennale ma è strategico, è a più lunga gittata. In questo sta il suo pregio e il suo limite: da una parte ha la flessibilità necessaria per adattarsi alle mutevoli situazioni spaziali e temporali, dall’altra risulta vago nelle scelte concrete delegando alla gestione anche ciò che compete alla programmazione.
Pur plaudendo allo sforzo enorme che questo Piano sottintende, non possiamo esimerci dall’indicare quelle criticità che pure ci sono. Indicheremo poi quali sono le priorità che, a nostro parere, debbono essere affrontate fin dalla stesura definitiva delle linee strategiche del Piano sanitario regionale.
Intanto dobbiamo prendere atto che la situazione sanitaria delle Marche è ulteriormente peggiorata in questi ultimi anni soprattutto per l’incertezza organizzativa, per la sottostima del fondo regionale con una esasperata politica di contrazione del personale a tutti i livelli senza una contemporanea riduzione di quelle strutture ridondanti e inefficienti, unica possibilità per concentrare risorse e garantire prestazioni di qualità, per l’obsolescenza delle strutture e delle tecnologie che riduce la competitività con le strutture delle regioni limitrofe, infine, per la disaffezione della componente sanitaria a tutti i livelli per la marginalizzazione nei fatti e nei momenti decisionali.
A questi problemi il Piano non dà al momento risposte concrete. Del resto non potrebbe, essendo focalizzato su una necessaria quanto minuziosa analisi e al disegno di una strategia di intervento in cui però i momenti programmatori e organizzativi sono solo accennati e poco si dice sul come effettivamente metterla in pratica, se non rinviando, come poi ho sentito dal Presidente della V Commissione, a future cabine di regia e gruppi di progetto.
Il Piano risente, inoltre, di indeterminatezza legislativa che non dissolve la confusione sui ruoli. Da una parte viene enfatizzata l’importanza delle aree vaste, dall’altra non si ridisegna in coerenza un nuovo ruolo per l’Asur.
L’introduzione delle aree vaste rinvia la programmazione della rete ospedaliera alla programmazione provinciale. Così facendo, almeno nel breve tempo, si continuano ad alimentare le attese e le paure delle popolazioni dell’entroterra, rinviando la soluzione di problemi quali l’inappropriatezza, la ridondanza, la scarsa qualità delle prestazioni, la sottrazione di risorse, specie quelle umane quanto mai necessarie se si vuole riprendere il percorso del miglioramento qualitativo.
Il Piano presenta ancora altre criticità: non risolve una certa confusione delle funzioni delle figure preposte all’organizzazione territoriale; ha un’eccessiva burocratizzazione e moltiplicazione dei piani di intervento nell’integrazione socio-sanitaria; manca l’indicazione delle risorse, anche aggiuntive, necessarie al processo di spostamento sul territorio di una parte importante dei processi assistenziali.
Mancano, inoltre, indicazioni specifiche alle tematiche, alle criticità e alle possibili soluzioni sugli Ospedali Riuniti di Torrette, il San Salvatore, l’INRCA, la sanità privata.
Ciononostante il Piano sanitario regionale è di ampio respiro, centrato sui bisogni, proiettato verso una futura, solida e compatibile sanità.
Chiediamo, però, una maggiore attenzione a problemi specifici che pure devono essere fin da subito inquadrati nelle linee strategiche generali.
Il Piano deve essere flessibile e partecipato, deve avere delle precise priorità quali, ad esempio, la progressiva sostituzione delle tecnologie obsolete o l’indicazione dei nuovi investimenti nella rete.
La programmazione economico-finanziaria deve indicare obiettivi prioritari e garantirne in maniera precisa i finanziamenti. Siamo contrari però all’istituzione di una tassa di scopo, come in questi ultimi giorni si è sentito dire, sia pure a favore dei servizi per la non autosufficienza.
Nel sistema amministrativo tecnico logistico la creazione dei Centri servizi svolgerà un ruolo fondamentale. Per questo motivo sottolineiamo la necessità di precisare in maniera coerente al ruolo delle area vaste i livelli di responsabilità e i modelli organizzativi che devono far capo al coordinamento delle stesse aree vaste.
E’ inutile ripetere, come nel capitolo della rete socio-sanitaria, che le aree vaste non rappresentano un nuovo livello organizzativo, perché così non è.
Bisogna con coraggio, in area vasta, e al più presto, ridurre se non eliminare, nei Presidi delle Zone territoriali e nelle Aziende ospedaliere tutti i doppioni funzionali onde concentrare il personale sanitario ove più serve. Non vi è, del resto, altro sistema per far fronte alle drammatiche carenze di organico.
E’ allora indispensabile approvare presto il Piano perché solo la certezza della cornice legislativa permetterà di arrestare il progressivo sgretolamento della struttura ospedaliera e la caotica situazione della medicina territoriale, chiudendo così le porte ad una sanità privata sempre più aggressiva e al rischio di meridionalizzazione della nostra sanità.
Va, inoltre, affrontato con lucidità e rigore il problema della mobilità passiva che rappresenta un indice negativo sulla qualità percepita del nostro sistema sanitario che grava come un macigno sul bilancio regionale.
Non credo che il problema si risolva solo potenziando i poli sanitari del nord e del sud delle Marche, operazione che pure va fatta, sempre nell’ottica di un sistema reticolare di area vasta. Non si risolve il problema se non si smantella l’antagonismo fra gli Ospedali Riuniti di Torrette e le Aziende e i Presidi delle altre province. Il controllo della mobilità passiva passa attraverso un miglioramento globale e qualitativo di tutta la rete sanitaria regionale, passa soprattutto attraverso una organizzazione razionale e rigorosa, organizzazione che oggi non c’è, passa attraverso accordi interregionali che si basano non solo su tetti programmati di prestazioni, ma anche attraverso il controllo dell’appropriatezza delle stesse e freni alla concorrenza sanitaria non giustificata.
Dobbiamo, a mio parere, soprattutto incrementare la mobilità attiva, sostenendo gli attuali centri di eccellenza e favorendo la reazione di altri. Penso alla chirurgia vascolare, ai trapianti, alla cardiochirurgia e alla cardiochirurgia infantile. Solo investendo sulla qualità potremo costruire un futuro solido, economicamente e strutturalmente.
Importante è poi, appena approvato il Piano sanitario regionale, che si ponga mano alla modifica della legge di riordino con la istituzionalizzazione delle aree vaste e il passaggio ad esse della personalità giuridica da parte dell’Asur.
Alle aree vaste vanno affidate le funzioni di programmazione, la regolazione dell’assetto organizzativo nonché del governo complessivo del sistema operativo e gestionale, quindi anche la contabilità e bilancio per il territorio di riferimento oltre che per il sistema informativo e il controllo di gestione. All’Asur le funzioni di indirizzo, di valutazione e controllo.
Su questa proposta, naturalmente, noi non faremo mancare il nostro contributo e il nostro sostegno.
Infine chiediamo indicazioni più precise nel Piano sul futuro della sanità anconetana.
In particolare definire quale è il ruolo degli Ospedali Riuniti di Torrette, che deve essere, a nostro parere, soprattutto un ospedale regionale per tutte quelle funzioni di alta specialità che richiedono un bacino di utenza tale da non essere compreso in quello di un’area vasta, penso alla cardiochirurgia, alla chirurgia vascolare, ai trapianti, all’unità spinale.
Se non si tiene conto di queste funzioni non è possibile confrontare i costi tra le varie realtà sanitarie della regione.
La realtà di Ancona e dintorni oggi è questa, come tutti voi sapete, vi è un solo ospedale, quello di Torrette, che di fatto è anche l’ospedale di riferimento per altre 200.000 abitanti per qualsiasi tipo di prestazione, dall’urgente alla programmata.
Non vi è altro pronto soccorso se non quello di Torrette con le inevitabili disfunzioni a tutti note.
L’Inrca è un ospedale che risente di oltre dieci anni di commissariamento e non assolve, almeno attualmente, in maniera valida al suo compito di ricerca e assistenza – speriamo che con la nomina di Aprile possano modificarsi sostanzialmente le iniziative – è carente in strutture e in personale, specie quello infermieristico.
Il comprensorio a sud di Ancona, mi riferisco a Osimo, Castelfidardo, Loreto e Recanati, attende da un decennio un ospedale di rete.
Conosco le necessità e le criticità di questo territorio, chiediamo da una parte il rispetto degli accordi con le Istituzioni locali e con la popolazione, dall’altra una programmazione coraggiosa e realista che tenga conto dei vincoli nazionali e locali, legislativi e di compatibilità di spesa.
Le nostre preposte, Presidente, sono le seguenti.
Nel breve periodo, tre-cinque anni, l’Inrca deve mantenere la sua attuale collocazione e farsi carico non solo del suo mandato istituzionale, ma anche del ruolo di secondo ospedale cittadino almeno per le prestazioni di I livello e parte del II livello per una popolazione “anziana”, utilizzando anche rapporti collaborativi con l’Ospedale di Torrette. In questo ambito deve presto iniziare l’attività del Centro di pronto soccorso per i codici bianchi e verdi come lo stesso Piano prevede e spostare, se possibile, la Potes dall’Umberto I all’Inrca.
Contemporaneamente si deve iniziare la costruzione del tredicesimo ospedale di rete, con almeno 250 posti letto, allocato nel Comune di Osimo che dovrà servire il comprensorio a sud di Ancona, che dovrà rappresentare il secondo ospedale per il capoluogo e ospitare l’Inrca, quando sarà dismesso dall’attuale sede, struttura leggera dal punto di vista assistenziale, ma altamente vocata al suo ruolo di Agenzia nazionale dell’invecchiamento.
Questo è quello che chiedono i Socialisti di Ancona.
L’Ospedale di Loreto deve rimanere fortemente ancorato all’immagine del Santuario, un ospedale che possa essere potenziato e, quindi, che possa dare risposte immediate.
In conclusione, il nostro giudizio sul Piano è positivo, pur non nascondendo le limitazioni che pure sono presenti. Ne auspichiamo la rapida approvazione, chiedendo attenzione e risposte ai nostri quesiti.
Lo Sdi voterà a favore di questo Piano sanitario.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Bugaro.

Giacomo BUGARO. Ci apprestiamo a discutere uno degli atti più importanti di questa legislatura. Non vorrei caricare di troppa gravità o eccedere a facili pratiche di retorica, ma è indubbio che dalla bontà del Piano e dalla sua applicazione potrà dipendere in parte l’andamento della politica sanitaria e del servizio sanitario della società marchigiana.
Per questo motivo non abbiamo gradito e ci rifiutiamo di accettare questa assurda ed immotivata volontà da parte della maggioranza, di approvare a tutti i costi il Piano prima della pausa estiva, snobbando, sull’accelerazione dell’iter approvativi, le ragioni di una intera comunità. Non mi riferisco tanto alle audizioni quanto ai livelli istituzionali di questa Regione. Faccio un esempio, avete fatto delle audizioni a macchia di leopardo sul territorio e la nuova Giunta provinciale di Ancona non è stata né audita né ascoltata su questo Piano, questo lo ritengo un fatto grave.
Questo è un metodo, caro Presidente della Giunta e collega Mezzolani, di tipo paracoercitivo, figlio di altre culture e figlio soprattutto di una cultura che non ci appartiene.
E’ chiara la volontà da parte vostra di tenervi le mani libere e di avere a disposizione il prossimo mese di settembre per dedicarvi non alle vicende proprie del mandato istituzionale, ma esclusivamente alle pratiche correntizie che caratterizzano il nascente partito Democratico che celebrerà il prossimo 14 ottobre l’elezione del suo nuovo segretario. In buona sostanza volete il mese libero da impegni.
Ma altrettanto chiaro oggi l’altro motivo su cui si è consumata l’ennesima sfibrante e deludente mediazione politica operata sopra la testa dei marchigiani. Infatti questo Piano è frutto di una mediazione che porterà da una parte ad acconsentire a lei, Presidente della Giunta, una probabile ricandidatura per l’eventuale secondo mandato, e ai DS, o a quello che ne rimane, ai superstiti della Quercia, la gestione sanitaria. Di qui l’accelerazione, di qui il frutto amaro che i marchigiani dovranno mangiare.
E sì, perché questo Piano sanitario, come abbiamo avuto modo di dire in premessa, non ci piace nel metodo e ci turba ancora di più nel merito. Tralascio le varie versioni e le varie delibere che si sono succedute e tutto quello che è emerso da quel tipo di dibattito.
Il fatto fondamentale è che questo Piano fa una scelta precisa, quella di non scegliere.
La Giunta regionale ha operato una delle più grosse operazioni di killeraggio alla politica eseguite negli ultimi anni, trasformando il Piano sanitario in una sorta di show mediatico. Sappiamo bene che ancor prima che il Piano arrivasse in Commissione le Marche erano tutte tappezzate di maxi poster 6x3 che pubblicizzavano la bontà del Piano, quando ancora di questo non si conoscevano i contorni. Questa è una assoluta vergogna che caratterizza e che macchia la storia di questa legislatura.
Le linee di obiettivo e di sviluppo del Piano e tutto l’articolato sono niente altro che una serie di enunciazioni che danno solamente gli orientamenti di superficie, ma che non entrano nel merito dei problemi.
Per supplire furbescamente a questo impianto aleatorio da parte della maggioranza si è voluto definire il Piano dinamico, aperto cioè a tutte quelle modifiche che i vari livelli interni di governo della sanità potranno introdurre con discrezionalità nel corso del periodo di vigenza dell’atto. Va da sé che la Giunta ha abiurato a quello che è il compito fondamentale assegnato dalla Costituzione e dallo Statuto regionale, quello di governare.
La maggioranza cioè ha preferito non entrare nel merito dei problemi, ma rimandare la gestione alla struttura così da diluire le scelte nel tempo, gestendole sottotraccia nella quotidianità, evitando anche di aprire quel “Vaso di Pandora” che è la sanità regionale, che se scoperchiato avrebbe inchiodato Spacca e la sua maggioranza sui grandi problemi che la sanità marchigiana ha vissuto, vive e grazie a questo Piano vivrà nel prossimo futuro.
D’altronde non c’è da stupirsi, basta leggere le prime pagine del Piano dove una persona di buon senso come Ruta, con la semplicità e con la razionalità che lo contraddistinguono, non ha fatto altro che fotografare una situazione critica dell’attuale stato di salute del settore. A poco sono valsi i tentativi della maggioranza di modificare le pagine 8, 9 e 10 così come arrivate in Commissione, che sono, seppure oggi mitigate dal lavorio e dall’impuntatura della maggioranza, una chiara denuncia della situazione della sanità marchigiana. Andatevele a rileggere, noi le terremo come memoria storica.
Queste pagine sono un rigido atto di accusa rispetto alla gestione precedente caratterizzatasi per l’opera di un manager, Giuseppe Zuccatelli, che ha fallito ogni sua previsione, contribuendo in maniera considerevole a peggiorare la qualità del servizio sanitario regionale. Nonostante questo, tra l’altro, si è visto rinnovare il suo contratto e oggi vaga per il Gabinetto della Giunta e, caro Rocchi, è uno dei suggeritori di quel polverone che è successo intorno a Osimo, lui è l’ispiratore di questo grande progetto che ha messo in dubbio l’ospedale di Osimo e che oggi vede il Presidente in maniera quasi imbarazzata tornare sui suoi passi.
Non vaglio addentrarmi nelle questioni tecniche perché lo faremo mano a
mano che illustreremo il Piano mediante la discussione degli emendamenti, che per quanto ci riguarda come forza politica non sono di tipo strumentale, ma al contrario svolgono un ruolo di supplenza verso la volontà scientifica della Giunta di non scegliere. I nostri sono emendamenti qualificanti che vogliono migliorare il livello del servizio sanitario
invertendo davvero, e non solo come enunciato propagandistico, l’ordine di attenzione, partendo cioè dai bisogni dei cittadini e non dall’offerta sanitaria.
In buona sostanza le nostre richieste di modifica tendono ad aprire e trasformare da una scialba rappresentazione di cose futuribili in un puntuale elenco di cose concrete da fare, tenendo sempre come stella polare davanti a noi gli interessi non tanto della politica che sono finanche comprensibili, ma soprattutto gli interessi della comunità marchigiana.
Un Piano che se letto attentamente porta inevitabilmente alla richiesta di modifiche all’impianto generale della legge n. 13 che invece il centro sinistra delle Marche ha eretto come sua icona intoccabile.
Pensate alla confusione ed alla indeterminatezza nel processo decisionale che la molteplicità dei riferimenti esecutivi che il Piano sanitario prevede e continuerà a generare. Vi leggo: il Direttore generale dell’Asur, il Direttore dell’unità operativa, il Direttore del dipartimento, il Direttore di distretto, gli Ambiti territoriali e i loro uffici, il Direttore di zona, il Coordinatore di area vasta, il Dirigente/Coordinatore del dipartimento ospedaliero, il Direttore/Coordinatore del dipartimento territoriale, il Responsabile del o dei servizi per l’integrazione socio sanitaria, il Dipartimento delle professioni, il Direttore e la struttura dell’Ars, il Dirigente del servizio salute, l’Assessore alla sanità, il Presidente della Giunta Regionale, i Consiglieri e i partiti. Ma chi governerà la sanità delle Marche? Come sarà possibile integrare tutti questi livelli di potere che avete messo e che avete accresciuto con questo Piano? Ma a chi volete farla capire?! O siete in malafede o siete veramente degli utopici, non definisco in altra maniera il vostro comportamento perché, caro Ruta, mettere in rete tutte questi livelli decisionali è assolutamente impossibile, se non sulla carta.
L’unica giustificazione a questa imperiosa struttura è comunque il controllo politico fatto di nomine, di acquisizione di fette di potere che trovano come comune denominatore la più alta rappresentazione di clientelismo applicato.
E dire che lei, Presidente, viene da una formazione culturale sicuramente di tipo aziendale e che declama in ogni momento la morigeratezza del sistema organizzativo della nostra Regione.
Mi auguro che in ultima analisi il barlume di senso di responsabilità che spero sia ancora un pochino presente nel Governo regionale porti, nell’esclusivo interesse dei marchigiani, ad accogliere gli aspetti più importanti delle nostre proposte emendative, così che il Piano si trasformi da un atto amministrativo fatto di parole legate alle parole, in un atto amministrativo di parole legate alle cose concrete.
Va da sé che se tutto ciò non avverrà – se la maggioranza preferirà percorrere pervicacemente la strada intrapresa – lasciando poi il lavoro sporco alle aziende e ai dirigenti così da poterli sostituire, quando il livello di critica dei vari comitati che si aprono e si chiudono nel territorio aumenterà, senza che il livello governativo si assuma le sue responsabilità e ne venga scalfito – il nostro giudizio non potrà che essere fortemente negativo ed organizzeremo tutte quelle forme democratiche di critica e di protesta per questa ennesima decisione sbagliata, pericolosa ed infruttifera per i nostri cittadini.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Procaccini.

Cesare PROCACCINI. Avremo modo di entrare nel dettaglio della discussione della proposta di Piano sanitario, quindi svilupperò poche considerazioni di carattere più generale.
In questi anni anche nel nostro Paese, in particolare dopo lo scioglimento del Pci, l’attacco liberista non ha risparmiato neanche la sanità.
La fine della legge n. 833 del 1978 che costituì la più grande conquista per una sanità pubblica e universalistica e l’introduzione dell’aziendalizzazione hanno equiparato ormai la sanità a qualsiasi altro aspetto o lavoro. La salute per molti versi è stata equiparata ad una qualsiasi merce.
Le Unità sanitarie locali sono diventate Aziende, il dibattito è stato attratto più dall’organizzazione e nel frattempo si è perso il controllo democratico sulla programmazione.
Le rappresentanze dei Comuni, delle Assemblee elettive, sono state espulse e sostituite dai tecnici. Il ruolo dei Comuni si è concentrato non più sui Consigli comunali, ma sui Sindaci, che nella situazione attuale anche loro hanno perso il proprio ruolo, hanno oggi un ruolo di secondo piano e residuale rispetto al Direttore generale dell’Asl o nel nostro caso della Zona.
In questo contesto, che non ho il tempo di approfondire, il motivo principale per cui si diceva che occorreva aziendalizzare anche la sanità, cioè il risparmio della gestione, è fallito. I costi sono aumentati, i risparmi hanno coinciso con la chiusura di rami importanti della sanità pubblica e la privatizzazione di aspetti significativi della stessa sanità.
Tutto ciò è stato aggravato dal cosiddetto federalismo, che nella versione italiana accentua la distanza tra le regioni ricche e le regioni povere.
Al di là di qualsiasi Piano sanitario l’autonomia regionale in materia di sanità porta con sé, oggettivamente, ad avere minori risorse e quindi minori servizi.
Il Fondo sanitario nazionale tende ad assottigliarsi e le Regioni sono costrette o ad introdurre tasse o a chiudere i servizi. Questo porterà problemi drammatici nella prospettiva perché negli ultimi dieci anni la spesa per la sanità è aumentata dell’81%. Ed anche le Marche dovrebbero riflettere perché avevano la possibilità di non restituire tutti gli addizionali Irpef di 36 milioni come noi avevamo chiesto.
Nonostante le incursioni neoliberiste il livello della sanità pubblica nel nostro Paese e anche nelle Marche è buonissimo, con punte di alta eccellenza, anche perché i costi elevatissimi delle strutture e delle tecnologie ospedaliere scoraggiano di fatto una concorrenza privata e anche perché quasi tutte le forze democratiche non hanno abbandonato del tutto la cultura e la sostanza di una sanità pubblica.
Il Piano sanitario regionale delle Marche, quello scaduto, in diverse parti non è stato attivato, anche perché – lo dico senza riaprire una polemica ora per allora – fu esaltato e drammatizzato l’aspetto organizzativo, costituito dall’Azienda unica con la legge n. 13 del 2003, la cosiddetta Asur, e sottovalutato l’aspetto programmatorio e il corretto utilizzo delle strutture sanitarie.
Questa scelta, che noi non votammo, non ha dato i risultati sperati, si è accentuata la centralizzazione e ad un certo punto sembrava che l’Asur avesse addirittura inglobato su di sé lo stesso Assessorato alla sanità e, per paradosso, si è accentuato anche il localismo delle Asl che nel frattempo avevano cambiato nome in Zone.
Un antagonismo che in molte fasi ha fatto perdere di vista l’appropriatezza del percorso clinico, non si sono ridotte né le liste di attesa né la mobilità passiva verso altre regioni.
E’ questo l’aspetto più grave, 136 milioni di mobilità passiva per prestazioni offerte dal Servizio sanitario regionale, quando l’Asur doveva essere un’unica cabina di regia, un’unica area vasta che doveva smistare le richieste sanitarie.
Ha fatto bene la Giunta regionale ad adottare una delibera che ha introdotto il governo della sanità su cinque aree vaste. Secondo noi quella delibera doveva essere parte della legge n. 13/2003, avrebbe dato più forza ad una visione di integrazione tra Zone. Abbiamo in tal senso svolto una battaglia, ma non siamo riusciti, perché per qualcuno, anche della maggioranza, la legge n. 13 ha assunto un carattere ideologico.
Non siamo riusciti a far mettere nella legge una delibera della Giunta regionale, non si è voluta una cosa ovvia, l’abc dell’organizzazione è stata insormontabile, mentre senza colpo ferire, in quattro e quattrotto, si è fatta una legge senza rete e senza copertura finanziaria per regionalizzare l’Inrca.
Al di là del fatto che l’area vasta non è a pieno titolo nella legge n. 13, tuttavia il Piano sanitario regionale che discutiamo assume oggi questo aspetto, può costituire una svolta perché inverte una tendenza. Introduce una nuova filosofia con una duplice declinazione: rafforzamento del governo centrale della programmazione regionale e processi gestionali per bacini di utenza unitari, appunto l’area vasta.
Il nocciolo del Piano è in questa sintesi e nelle sue linee di sviluppo come è ben scritto nelle pagine 15 e 27 della proposta del Piano.
Solo attraverso l’area vasta si potrà tentare di risparmiare le ingenti risorse per la mobilità passiva che sono di 136 milioni, quasi il 10%, e per lo più una mobilità per prestazioni ordinarie, più della metà per la chirurgia, l’ortopedia e la diagnostica, per non parlare della riabilitazione che nelle Marche ha il 100% di mobilità passiva verso soggetti privati, solo l’1,7% di mobilità passiva è per prestazioni molto complesse.
Questo vuol dire che le Zone si devono aprire, occorre eliminare i doppioni e integrare i servizi utilizzando al meglio gli ospedali di alta specialità, di rete e di polo, ognuno con una funzione integrata, dal basso all’alto fino alla rete dei trapianti e dall’alto al basso fino alla riabilitazione e al sociale.
In questo contesto occorre guardare anche alle nuove strutture ospedaliere, come quella di Osimo, che non è l’ospedale di Osimo, altrimenti non servirebbe, ma dobbiamo parlare di un ospedale di area vasta.
Il vero problema è che non c’è stato il governo appropriato del percorso clinico, c’è stato spontaneismo e in alcuni casi la mancata verifica.
L’utilizzo corretto di tutti gli ospedali è essenziale perché quasi il 50% delle risorse viene speso per i ricoveri.
Chi pensava per risparmiare di concentrare le prestazioni solo nei grandi ospedali non ha avuto ragione e neanche le aziende ospedaliere presenti nelle Marche hanno assolto al compito di fermare la mobilità passiva.
La zona di Pesaro con annessa l’Azienda ospedaliera San Salvatore ha una mobilità passiva del 17%, quella di Ancona con l’Azienda ospedaliera Torrette e l’Università con la facoltà di medicina ha una mobilità passiva del 9%. Tutti gli ospedali delle reti devono essere riqualificati, possono e devono dare più alte prestazioni, che non significa maggiori ricoveri ma, semmai, migliori ricoveri.
Il problema, che in passato un po’ tutti abbiamo esasperato, cioè quello del numero dei posti letto, non si pone più in quei termini, ma nell’appropriatezza delle prestazioni su area vasta, ad iniziare dal distretto che deve saper leggere i bisogni di salute e orientare un percorso appropriato che non sempre è il ricovero di primo acchito e prima ancora il grande ruolo del medico di medicina generale.
Tutto ciò comporta in primo luogo la stabilizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici precari, bisogna investire nel personale anche per abbattere le liste di attesa con più turni e occorre un nuovo centro di prenotazione unico su tutta la regione.
Occorre, altresì, un diverso e più corretto rapporto con le organizzazioni sindacali, sono incomprensibili le chiusure che ci sono state nel recente passato.
I Comunisti Italiani, anche in un proficuo rapporto unitario con i gruppi di Rifondazione Comunista e i Verdi, a livello politico anche con Sinistra Democratica e in alcuni casi con lo Sdi, hanno introdotto importanti aspetti migliorativi alla proposta di Piano sanitario: in primo luogo per il lavoro precario con l’inserimento di un emendamento unitario a pagina 17; la riclassificazione ospedaliera che deve riguardare tutti i livelli, polo, rete ed alta specialità, così come viene detto a pag. 38; la partecipazione dei cittadini, importantissima in un’accentuazione aziendalistica perché finora non è stato attuato l’articolo 24 della legge n. 13/2003, dobbiamo, altresì, valorizzare il testo uscito dalla V Commissione; la questione più importante è l’integrazione socio-sanitaria, dove, secondo noi, occorreva più coraggio. Tuttavia la prospettiva che si evidenzia a pag. 115 e succ. del testo uscito dalla Commissione guarda ad un Piano sociale e sanitario, all’unificazione degli ambiti del sociale che sono 24, dei distretti sanitari, alle zone sanitarie che sono 13.
Questo non è solo un aspetto di indubbio risparmio, ma è una esigenza per dare una risposta alle fragilità, in primo luogo alla popolazione anziana.
Abbiamo 4.000 posti letto tra esistenti e nuove richieste per le Rsa, ma solo 909 posti letto effettivamente sono soddisfatti, abbiamo 50 minuti di assistenza erogata a fronte dei 100 previsti dalla legge. Più di 12 mila anziani sono assistiti a domicilio dalle cosiddette badanti, solo 6.664 sono assistiti dall’assistenza pubblica, ma una parte importante della popolazione anziana, che nelle Marche oscilla tra le 35 mila e le 39 mila unità, ha una assistenza adeguata.
In questo senso tutto il dibattito sull’ubicazione dell’Inrca, secondo noi, è fuorviante. L’Inrca deve sviluppare ad Ancona la parte della ricerca – se diverrà un centro di tipo nazionale meglio ancora – deve avere un punto di primo intervento per non intasare il pronto soccorso di Torrette, la parte del ricovero non può essere solo Ancona, ma in tutto il territorio delle Marche, delle lungodegenze, degli ospedali di polo e della rete del sociale, così come è stato introdotto a pag. 264 del testo approvato dalla Commissione.
Ciò può avere un ulteriore sviluppo sul sociale e sulla importante previsione che anche il Ministero ha fatto sulle cosiddette Case della salute che dovrebbero avere un bacino di 20 mila persone e quindi potrebbe andare sul serio all’integrazione con il sociale.
Al di là di tutte le organizzazioni che devono essere sperimentate, al primo posto c’è la necessità di chi lavora nella sanità, dei lavoratori e delle lavoratrici, e in secondo luogo e al tempo stesso, il servizio reso ai cittadini e ai malati.
Sappiamo che una parte di liste di attesa e di mobilità passiva è anche indotta dalla doppia professione pubblica e privata dei medici. La normativa nazionale, purtroppo, non permette la separazione tra pubblico e privato. Nel pubblico i tempi sono lunghissimi, gli stessi professionisti, lavorando negli studi privati, accorciano i tempi di visita e di ricovero.
L’ospedale pubblico, soprattutto quello di alta specialità, in questo contesto e in diversi casi diventa il luogo di smistamento della “clientela” verso gli studi privati.
Per cercare di limitare questo malcostume, che solo la separazione delle carriere e una legge nazionale potranno eliminare, abbiamo fatto introdurre una significativa modifica a pag. 165 della proposta, che tutela di più il paziente, che mette in relazione lo specialista con il medico di famiglia per il percorso di visita e per l’eventuale ricovero, senza dover passare, come avviene adesso, ad una finta visita privata “obbligatoria” e costosa.
Anche la parte relativa al ruolo e al rapporto con i privati è stata migliorata da un lavoro unitario delle forze di sinistra.
Il privato nelle Marche ha un giusto spazio e anche nella sanità deve avere un giusto spazio. Tuttavia è sbagliato pensare ad una forte integrazione, così come veniva scritto per il passato, è più corretto parlare di un rapporto su convenzione, su accreditamenti decisi dalla programmazione pubblica, così come è stato scritto in maniera opportuna a pag. 251 del testo della Commissione.
Anche in questo l’area vasta su una pianificazione regionale deve svolgere un grande ruolo, deve dare appropriatezza, soddisfare la domanda di salute e non creare improprie offerte, come la proliferazione di macchinari e di doppioni.
Sappiamo che le cinque aree proposte hanno tra di loro molte diversità, sia nella qualità che nella quantità delle strutture. Ma se guardiamo i dati mi sembra che non esiste il problema di creare altre nuove specialità, soprattutto in una regione piccola come la nostra è del tutto fuori luogo una competizione tra poveri. Occorre, invece, assumere l’obiettivo di utilizzare al meglio le alte specialità.
In questo senso assume anche una grande importanza il completamento della rete delle emergenze e una postazione nell’entroterra del secondo elicottero.
In definitiva, secondo noi, questo non è un Piano di soli indirizzi, non è un piano di tagli, ma è un piano di sviluppo, perché esiste un nuovo impulso alla ricerca; questo aspetto è stato sottovalutato, ma secondo me è quello principale, è quello di svolta anche per il futuro, di una stretta relazione tra la ricerca, il ruolo delle università, la sperimentazione, il brevetto e la produzione dei farmaci. A questo deve accompagnarsi anche, vista l’alta spesa farmaceutica, la fornitura diretta da parte delle Zone sanitarie dell’Asur dei farmaci stessi.
Questo Piano, è ovvio, va verificato passo passo nelle scadenze proposte sia dagli organismi del Consiglio regionale, che dalle assemblee dei Sindaci, dai Direttori di Zona, perché la previsione di andare all’appropriatezza con una cabina di regia che controlla e esegue gli obiettivi della programmazione è importantissimo.
Per ultimo voglio ringraziare l’Assessore Mezzolani e la struttura tecnica che hanno sempre partecipato alle fasi della consultazione, dell’ascolto, sono state attente, qualificando quindi la proposta di Piano.
Voglio ringraziare anche il Presidente della V Commissione Luchetti che ha dato ampia partecipazione con le audizioni del Piano stesso. In particolare voglio ringraziare il personale della V Commissione che in maniera puntuale e paziente ha sostenuto un lavoro impegnativo e serio.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Viventi.

Luigi VIVENTI. Sarò brevissimo, il Presidente confida sempre nelle mie capacità si sintesi ed io, anche questa volta, cercherò di non deluderlo.
Questo è un Piano estremamente complesso, 1.700 pagine che però, nonostante la sua complessità, è incompleto. Credo che sia volutamente incompleto, perché è un piano generale che manca poi del piano particolareggiato. Io sono stato uno di quei Presidenti di gruppo che avevano chiesto nelle riunioni della Conferenza di rinviare l’approvazione a settembre in modo da poter avere la possibilità di completare questo lavoro.
Così non è stato perché l’amministrazione regionale ha deciso che il 31 luglio questo Piano doveva essere licenziato, credo che nel mese di agosto non succederà nulla di nuovo per la sanità marchigiana, ma così è, quindi dobbiamo prenderne atto. Alcune osservazioni, però, consentitemi di farle.
Quando a distanza di tre anni si fa un nuovo Piano sanitario è evidente che si deve prendere atto che quello precedente non ha funzionato, altrimenti non penso che ogni tre anni si debba farne uno nuovo.
In effetti questo Piano analizza e pone in evidenza tre punti critici: la mobilità passiva che da sola crea il deficit della sanità marchigiana annuale; il problema che io chiamerei della despecializzazione di gran parte degli ospedali, che significa che da noi in molti ospedali praticamente si fanno gli interventi di routine però per quelli a maggiore valore aggiunto, se vogliamo definirli così, si va fuori regione; il problema delle liste di attesa.
Il Piano affronta questi tre temi e dal punto di vista organizzativo suggerisce una soluzione nuova – ecco perché questo significa sostanzialmente la critica e il superamento dell’Asur, che tra l’altro, a scanso di equivoci, debbo ammettere di essere stato uno di quei Consiglieri regionali che in parte avevano creduto nell’Azienda unica sanitaria regionale –, propone di organizzare il territorio in cinque aree vaste, ritornando più o meno all’idea delle Asl provinciali di cui si discuteva qualche anno fa.
Di fatto gli cambiamo il nome, area vasta potrebbe essere a definizione variabile, più che a geometria variabile, ma più o meno arriviamo a questo concetto, rispetto al quale non sono era d’accordo nella scorsa legislatura e non sono d’accordo neanche ora.
Credo che le cinque aree vaste non tengano conto, Assessore, della specificità della realtà marchigiana perché ci sono delle situazioni differenti. Faccio l’esempio di Fabriano con Senigallia, 80 chilometri di differenza, dove i problemi per i collegamenti con Torrette, ecc., non sono gli stessi, Fabriano ha una analogia di problemi con le zone interne del maceratese e del pesarese, ecc., quindi in questo caso sarebbe più corretto pensare ad aree vaste costruite diversamente, cioè ad un numero di aree che tenga conto anche delle problematiche dell’interno e non solo della costa.
Questa organizzazione può essere discussa, ma sulla quale non può essere dato un giudizio positivo politico definitivo da parte nostra fino a che non verrà riempita di contenuti.
Il Piano dice che questa area vasta dovrebbe essere in sostanza autosufficiente come dotazione di servizi, di strutture, ecc., dice anche che non dovrebbero esserci inutili e costosi doppioni, possiamo essere d’accordo sul concetto – io sono uno di quelli che dice sempre che gli sperperi vanno eliminati ovunque essi siano – però come Consigliere regionale gradirei poter vedere come è organizzata questa area vasta, dove si vanno a realizzare le specializzazioni, i servizi, ecc..
Ecco perché il giudizio definitivo su questo Piano, secondo me, dovrebbe essere rimandato ad un secondo momento. Ed ecco anche perché l’unico emendamento che, al di là del discorso della differenza delle aree vaste come impostazione, mi sono sentito di preparare, è quello in cui chiedo che ritorni in Consiglio regionale l’approvazione degli atti attuativi delle linee che sono state dettate dal Piano stesso.
Questo è il condensato della discussione di oggi, quindi, se non vogliamo esautorare il Consiglio delle sue funzioni e delle sue competenze dobbiamo fare questo. Poi il Piano potrebbe essere anche più o meno condiviso ed essere giusto, però dobbiamo vedere dove va a parare, dobbiamo andare alle soluzioni concrete che esso propone e dobbiamo andarle a vedere. I Consiglieri regionali, anche quelli di maggioranza, fanno anche un atto di fede totale nei confronti della Giunta e sanno che devono essere ascoltati un po’ di più altrimenti non votano e il Piano non passa, ma non credo che sia questa la funzione del Consiglio regionale e degli stessi Consiglieri regionali.
Per svolgere adeguatamente il nostro compito sarebbe bene che gli atti attuativi delle linee dettate dal Piano ritornino in Consiglio regionale, solo allora si potrà dare un giudizio definitivo e completo.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Brandoni.

Giuliano BRANDONI. Dibattiti come questi rischiano a volte di appoggiarsi su giudizi apodittici e assertivi che non fanno giustizia della fatica e del lavoro che ha prodotto un documento così difficile e così complicato.
Un giudizio che mi è parso diffuso in questo dibattito è che questo nuovo Piano sanitario regionale o è un progetto e un processo di restaurazione o è, al suo contrario, un documento rivoluzionario.
Intanto io starei ai fatti e direi che i piani che facciamo hanno una valenza temporale, e il nuovo Piano sanitario non nasce figlio da un’emergenza, ma è esattamente il prodotto di un percorso amministrativo e anche politico che è congenito all’azione di governo.
E’ evidente che questo Piano presenta forti e notevoli novità e sarebbe stato grave se non l’avesse fatto. Parte da un lavoro importante, di questo dobbiamo darne atto, come le tante deprecate 1.700 pagine del primo progetto, che sono un punto zero interessante, che sono una fotografia della sanità marchigiana, una fotografia fatta di luci e di ombre, fatta di problemi e di eccellenze.
All’interno di queste questioni credo che dovremmo riflettere e discutere sul nostro Piano, intanto a partire da alcune innovazioni che propone e che sostanzialmente stanno insieme, non stanno in maniera diversa.
La novità funzionale che abbiamo di fronte non è l’area vasta, è il combinato disposto, come si usa dire negli atti amministrativi, tra un’idea più articolata e più particolare, che è quella della costruzione delle reti, e la dimensione entro la quale queste strutture funzionano, altrimenti rischieremmo di far pensare che – ecco il punto in cui per tanti aspetti è stato presentato come un elemento di restaurazione – la struttura funzionale viene prima e poi si pensa all’organizzazione complessiva. No, la novità, il centro, il cuore di questo Piano è essenzialmente la rete. E’ sulla base di questa novità e dentro questa riflessione, fatta di cose concrete come la mobilità passiva, la scarsa eccellenza in alcune reti cliniche, la duplicazione di prestazioni, che nasce il Piano. Piano che recupera per molti aspetti un processo di organizzazione della sanità regionale che ha nella legge n. 13 non una difficoltà e un orpello, ma le condizioni e la possibilità che questo Piano si realizzi.
E’ stato detto Piano strategico. Bene, un Piano strategico ha per sua natura l’assenza dei dettagli perché individua un percorso e vuole esaltare alcuni soggetti.
Penso che i soggetti che debbano cercare di esaltarsi in questo momento sono primo il Consiglio regionale, poi la Commissione e via via le istituzioni che stanno insieme, gli enti locali, ecc., che devono appropriarsi di questo percorso e dentro la condivisione di un percorso strategico come questo implementare con una particolare e assidua costanza di riflessione di proposte di progetto.
La legge n. 13 sostanzialmente ci permette e ci consente questo passaggio. Fare quello che ha proposto, normato e che ancora non è stato fatto, dare piena attuazione all’articolo 24 che può rimettere in sinergia il sistema sanitario da una parte e il territorio e i suoi bisogni dall’altra.
Quindi area vasta come nuova dimensione di un progetto di riorganizzazione funzionale che ha nelle reti il suo punto di riferimento che è l’articolo 24, cioè il ritorno del protagonismo dei territori e dei soggetti sociali, nuova e più articolata funzione da parte degli organismi istituzionali a partire dal Consiglio.
Queste sono le questioni dal punto di vista politico, non le minuzie, mi si consenta, sul fatto se l’approviamo prima o l’approviamo dopo, se ci sarà l’evento – se evento sarà – delle primarie del Partito Democratico, lasciamo queste questioni alla cronaca spicciola.
Per le questioni sostanziali in alcune parti ometterò il mio punto di vista, perché un piccolo fatto politico su questo Piano sanitario si è realizzato, quindi le ometterò perché sono state già dette in alcuni casi dal compagno Procaccini, visto che abbiamo potuto costruire una sinergia feconda e un percorso di riflessione comune tra le forze della sinistra, ed inviterei d’ora in poi di aggettivare oltre la questione. Sono forze della sinistra, punto, non è né radicale, né alternativa, né altro, è sinistra. E le forze della sinistra su questo Piano sono riuscite a lavorare insieme ed insieme hanno prodotto alcuni risultati, e penso che nel corso del dibattito di queste ore altri potranno realizzarli, a favore di tutti e della comunità marchigiana.
Vorrei concentrarmi, invece, su altre questioni. Intanto nella fotografia delle 1.700 pagine emerge un dato che è particolarmente preoccupante e che all’interno di questo Piano dovremmo in qualche modo risolvere.
Una struttura che impegna 20 mila lavoratori a vario titolo utilizzati, 3 mila dei quali sono precari, e in un settore come quello della sanità è un’anomalia preoccupante che va corretta e che va risolta dentro i tempi di questo Piano.
L’efficienza, la qualità, la migliore utilizzazione degli impianti e delle strutture può realizzarsi solo se riusciremo a far diventare tutti gli operatori della sanità lavoratori non solo stabili, ma capaci di percorsi che consentano una sempre più significativa professionalizzazione.
Dico questo perché il settore della sanità non va visto e non può essere visto e pensato come un settore scarso, cioè un settore marginale. Al di là dell’impegno finanziario, la questione vera è che nel settore della sanità si giocano in gran parte i livelli di più alta introduzione di tecnologie, i livelli di più alta introduzione di innovazione, i livelli di più alta introduzione del miglioramento della qualità professionale di chi vi opera. Ecco perché è incompatibile, a questi livelli, il lavoro precario, tanto più perché è un lavoro precario che dura non pochi mesi ma addirittura diversi anni.
Il fatto che il settore della sanità sia assolutamente di avanguardia mi fa pensare ad un altro avvenimento che sta accadendo in queste settimane e che dovrebbe essere attentamente monitorato non solo da questo Piano, ma nel proseguo del lavoro. L’avvenimento è semplice, è noto a tutti che il più importante istituto privato, il Santo Stefano, è stato detto qui, che è monopolio della riabilitazione nella nostra regione, ha cambiato di mano, è passato da privato a privato. E’ noto che nella zona di San Benedetto del Tronto due importanti cliniche private che coprono una quota molto significativa dell’attività sanitaria stanno cambiando di mano anch’esse e stanno diventando probabilmente proprietà di un unico operatore.
Cosa segnala questo? Intanto segnala una cosa che dovremmo accettare come sfida, cioè che il settore della sanità è anche un settore di valorizzazione del capitale e dentro questo settore abbiamo due sfide da percorrere. La prima è quella che dovremmo evitare di continuare a vedere la sanità solo come una spesa, la sanità è come un investimento ed è la possibilità vera di una crescita non solo della qualità della vita di un territorio, ma anche della sua qualità produttiva, è un settore importante di costruzione di progettualità, di professioni, di intelligenze, di ricerca, questo l’ha detto anche il Consigliere Procaccini.
Vorrei ricordare, quando si parla di mobilità passiva, che una quota importante della nostra mobilità passiva non è una quota di comparaggio, ma è una quota che va verso regioni, penso all’Emilia Romagna, alla Lombardia e alla Toscana, che hanno fatto della riorganizzazione del sistema sanitario anche un’intrapresa produttiva che fa della qualità un elemento di crescita dell’intero sistema. Quindi quando parliamo di spesa sanitaria dovremmo avere uno sguardo, un’attenzione, un’intelligenza che non la fa sì solo come costo, ma che punta a guardarla esattamente per quello che in molti aspetti è, cioè un investimento, un investimento pubblico fatto dal pubblico e nel pubblico.
Su questo punto di vista un rapporto deciso e serio con l’imprenditorialità che vuole entrare nella nostra sanità. Deciso e serio perché credo che sia buon senso per ognuno che si vada ad acquistare quel che serve e non quello che l’acquirente propone, quindi un atteggiamento di questo tipo è chiarissimo. Dall’altra parte una sfida dal punto di vista dello sviluppo che sia una sfida adeguata alle novità.
Penso che nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, questo Piano abbia bisogno oggettivamente, per le sfide alte che propone, di un percorso largamente partecipato, che non deve limitarsi, per esempio, al dibattito che a me è parso largamente arretrato sull’Inrca, che si concentra sulla sua ubicazione invece che su una realtà ricca come quella marchigiana che è fortunatamente indicatore di una sanità non da terzo mondo – come ho sentito qui raccontare – che ha una popolazione anziana percentualmente di dimensioni significative. Il dibattito dell’ubicazione dell’Inrca, di un Istituto che ha queste caratteristiche, che ha nella ricerca sulla terza età un punto di valore, al quale oggi si affida un ruolo di carattere internazionale, credo sia l’ultima delle questioni.
Il problema su questa vicenda è e resta di altra natura, dovrà essere affrontato a quel livello, magari evitando di duplicare strutture, funzioni, agenzie. Valorizzarlo, invece, dentro il percorso della ricerca sull’anziano, perché questo territorio ne ha la vocazione, perché è un elemento di crescita che fa parte di quel terreno di investimento sanitario dove le Marche possano operare e agire. Il dibattito quindi deve stare a quel livello. E così dovrebbe stare a quel livello anche il dibattito sulle tante questioni che riguardano le strutture ospedaliere.
Penso che dovremo fare un punto di riflessione che dica: ci occorrono le strutture o ci occorrono le prestazioni? Credo che in gran parte ci occorrano le prestazioni. Penso che in un territorio che ha 49 ospedali il problema non è certamente un ospedale in più, ma è una costruzione di una rete di prestazioni fatta con le strutture che ci sono oppure fatta riorganizzandole o cancellandone alcune per rifarne altre, ma dentro un percorso che sta nel quadro della rete e dentro quella funzione.
Questo è il livello del dibattito che dobbiamo continuare ad affrontare oggi e soprattutto nelle prossime settimane.
La questione della riabilitazione, dell’integrazione socio-sanitaria e la questione della non autosufficienza sono il centro, il cuore dell’iniziativa, su cui subito il Consiglio, insieme ai soggetti dell’articolo 24, deve andare al lavoro.
Con tale atteggiamento il dibattito su questo Piano non ha né i drammi, che ho qui ascoltato, di una sanità che è allo sfascio, né una fiducia senza problemi che invece fa dire “tutto va bene madama la marchesa”.
Eviterei, da ultimo, di guardare alla questione delle risorse finanziarie come un moloc. Qui vorrei aprire una piccolissima polemica con le organizzazioni sindacali che in gran parte sono state anche un elemento di crescita nel dibattito di questo Piano, perché penso che sia necessario un punto di sacrificio, certo non con un intervento finanziario indiscriminato, ma nelle forme con cui già l’altra volta la Regione ha scelto di chiederlo a una parte dei cittadini marchigiani – e in alcuni casi di sacrificio non era perché parliamo di redditi significativi e importanti, all’interno dei quali funzioni di questo tipo non hanno sacrificio – per migliorare un settore come quello della non autosufficienza, decisivo in questa regione. Credo che questo sia un tema e un dibattito che dovremmo avere il coraggio di affrontare.
Questo ossequio agli idolafora tra i quali aumentare una tassa e come realizzare un crimine, credo dovrebbe scomparire dal dibattito politico nel nostro Paese e spero anche in questo Consiglio.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Pistarelli.

Fabio PISTARELLI. Nuovo modo di fare salute, superamento degli squilibri di sistema, governo dei cambiamenti, livelli essenziali di assistenza in modo uniforme in tutti i territori, superamento progressivo delle disomogeneità e disuguaglianze presenti nell’offerta dei servizi sanitari. Questo non è un estratto da una relazione di minoranza, è quello che è scritto nel Piano sanitario che state proponendo a quest’Aula.
Sulla sanità la sinistra che governa la Regione dal 1995 ha fallito. Lo dice la Regione stessa, lo dicono le parti sociali, lo dicono le audizioni. Ha fallito nella riforma del sistema, l’Asur è considerata ormai una riforma da superare, ha fallito in termini di risposte sull’efficienza e sull’efficacia da dare al servizio sanitario e ai cittadini, ha fallito negli equilibri economico-finanziari che sono clamorosamente lontani dalle previsioni, e non quelle di tre o cinque anni fa, ma quelle dello scorso anno, lontani dai documenti economico-finanziari proposti a quest’Aula nello scorso anno.
Il rimedio che si sta proponendo è un inganno. Noi abbiamo detto di più, è una proposizione di un atto che è irricevibile, è un atto che non rientra nelle indicazioni normative che il quadro nazionale e il nostro quadro regionale danno agli esecutivi nel momento in cui definiscono il piano sanitario.
Quindi è un atto irricevibile, è un atto in contrasto con la normativa ed è un inganno.
Nel metodo è stato licenziato un primo atto a marzo che era solo di linee generali, poi, dopo una campagna che è stata propagandistica, molto forte, molto dispendiosa e costosa per le casse regionali, a giugno è stato licenziato un altro atto che ha avuto un prologo tragicomico perché in Commissione è stato consegnato un documento di 500 pagine, qualche giorno dopo ci siamo accorti che le pagine erano 1.700, poi si è voluto dire che questa era stata solo una questione di misunderstanding. Superata questa fase la Commissione ha dovuto rimettere mano a un documento assolutamente non in grado di essere proposto e affrontato nella discussione in maniera seria e agevole, ha dovuto ridefinire il percorso attraverso un quarto documento di 307 pagine che è quello su cui stiamo lavorando oggi.
Questo è avvenuto dieci giorni fa. Ditemi voi se nel metodo non è giustificata e fondata la richiesta che abbiamo proposto quattro volte nella Conferenza dei capigruppo e altrettante volte in Commissione, cioè quella di mettere tutti nelle condizioni di discutere in maniera seria! Non possono esserci addirittura quattro documenti uno dietro l’altro, gli ultimi tre tra la fine di giugno e la metà di luglio, l’ultimissimo nella settimana scorsa, e si possa dire poi che siamo di fronte a un confronto serio, a una partecipazione ampia, a un coinvolgimento di tutti gli aspetti, quelli istituzionali stretti, cioè i gruppi, la Commissione stessa, quelli politici in generale, quelli tecnici, non solo le parti sociali, ma anche le organizzazioni di categoria medica e ausiliaria o ancora di più quelle territoriali, che la nostra normativa, quella nazionale e regionale – che prima ho ricordato – dice di essere – parlo della Conferenza dei sindaci, della Conferenza delle autonomie – comunque essenziale, un punto di riferimento, e che le loro valutazioni devono essere in ogni caso affrontate in Commissione e discusse. Questo dice la nostra legislazione, la legge n. 502 e succ.. Tutto questo non è avvenuto.
La nostra richiesta non solo è fondata e seria, è anche una richiesta di legalità, di legittimità di atti e passaggi, non solo di sensibilità che è un discorso metapolitico, è rispetto delle norme, rispetto delle regole. Questo è tanto vero se andiamo nel merito. Lo faccio brevemente perché i colleghi che mi hanno preceduto hanno tutti toccato gli aspetti più importanti ed essenziali.
Con questo Piano in realtà che cosa si vuole fare? Non si assumono decisioni e questo è il vulnus di merito, perché la norma dice che un Piano per essere tale deve programmare, da qui ai tre anni, quello che farà la Regione Marche su una delega che è stata una delle prime deleghe piene, o quasi, che lo Stato ha dato alle Regioni, che è, appunto, quella sanitaria.
La materia sanitaria è nostra competenza, le risorse pro-quota, pur pesate, vanno proporzionate alla popolazione, poi sulla destinazione di queste risorse, in un quadro di principi generali sui quali assolutamente tutti quanti ci muoviamo e ci siamo sempre mossi, dalle Alpi alle Piramidi, sono proprio le stesse Regioni direttamente responsabili di quali e quante strutture, di quali e quante articolazioni, di quali risposte.
Tutto questo non c’è, si rinvia a cabine di regia, a deleghe che vengono chieste, ma che sono in bianco. Anche la stessa formulazione di questi organismi che saranno fondamentali è lasciata nella vacuità. Quali sono i soggetti che faranno parte delle cabine di regia e dei gruppi di lavoro? Non è specificato se non in linee generali. Gli operatori, quali, quanti? In rappresentanza di cosa, di quali principi? Sul territorio, sulla consistenza di popolazione, la specialità che deve essere coinvolta, i dipartimenti, su questi profili non si dice nulla!
L’organizzazione del sistema; lo stesso concetto di area vasta – lo hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto – è disancorato rispetto ad una architettura che è prevista da una legge, altrimenti cambiamo la legge n. 13! Perché continuate ad insistere – ho sentito anche nella relazione di maggioranza del collega Luchetti che di solito è attento al rispetto del quadro normativo e delle regole che richiamavo prima –, come si fa a continuare a dire che l’area vasta, così come definita a pag. 14 e a pagg. 27 e 28 in maniera più stringente, costituirà la dimensione ottimale affinché la strutturazione delle reti e dei servizi si costruisca su obiettivi di salute, che nascono dalla ricognizione e dai bisogni di domande espresse, che siano attuati attraverso una riprogettazione dell’offerta. Poi nelle pagine precedenti si dice che l’area vasta non è un nuovo modello, non è un nuovo livello organizzativo, ma è un ambito di riferimento corrispondente in un bacino di utenza idoneo per un’integrazione unitaria di funzioni e per azioni gestionali unificate. Una contraddizione spaventosa!
Tutto questo è realtà aziendale, provinciale, diciamolo! Siamo disposti a discuterne, ma in maniera chiara, modificando la legge n. 13, altrimenti non ci siamo! Oggi l’azienda è unica, si chiama Asur, Azienda sanitaria unica regionale, e le tredici Zone sono articolazioni della volontà unica. Dove è il concetto di area vasta su tutto questo? Vi è una contraddizione spaventosa e insuperabile.
Dobbiamo destinare al concetto di area vasta i poteri, le potestà, le facoltà, gli atti aziendali, la programmazione economico-finanziaria, lo dobbiamo fare attraverso lo strumento principe, cardine, che è la normativa, altrimenti stiamo parlando di un inganno. Questo mi ricorda i polli di Renzo che si beccavano nel sacchetto, ma poi Renzo li portava tutti e due dentro al pentolone per farci il brodo. Allora discutere dell’area vasta e poi dire “va bene, avete discusso, ma adesso decido io come Asur” mi sembra di fare la fine di quei polli!
Non è possibile far dialogare i territori e poi dire loro che non hanno il potere di firmare nulla, perché poi i budget li facciamo noi, li dividiamo per zona o per area vasta, quindi comunque decidiamo noi come, quando e perché.
Non è possibile, è una contraddizione insanabile che non vi porterà bene, perché anche voi dovrete superare le contraddizioni che vi bloccano in questo tipo di scelta. Diciamoci la verità! Non ci si è spinti oltre non perché non avete individuato queste contraddizioni, ma perché non ce la fate a trovare nelle cinque aree vaste una sintesi, che sarebbero le cinque Asl provinciali, le cinque aziende su cui articolare un’Asur unica in grado, allora sì, di coordinare regionalmente quello che poi nei territori deve discendere.
Oggi l’Asur è impossibilitata, tre anni fa quando facemmo la legge n. 13 avevamo detto che non avreste gestito questo sistema, infatti, oggi, anche i controlli contabili avvengono a campione. Come fa un collegio di revisione unico regionale a vedere tutti gli atti dei territori? Lo fa a campione, quando invece ogni zona ha assoluta discrezionalità, e l’Asur, al contrario, ha assoluta discrezionalità a trattare in maniera differente situazioni uguali e in maniera uguale situazioni assolutamente differenti.
E’ avvenuto anche nell’ultima budgettizzazione – lo ha ricordato Castelli e lo ricordo anche io –. I virtuosi che cosa hanno fatto? Sono stati dentro al budget di spesa dell’anno precedente e si sono visti applicare, in pratica, il 2,5% di aumento, come per legge. Padoa Schioppa lo ha detto anche recentemente che è costante l’aumento della spesa sanitaria in Italia che è del 2,6%, noi abbiamo dato il 2,5%-3% di aumento rispetto al budget precedente. Che cosa è successo a chi ha sforato, a chi invece di 100 ha speso 120? E’ stato applicato il 2,5% di aumento su 120! Perciò il danno e la beffa a chi è stato virtuoso perché ha preso pure meno soldi rispetto a chi è stato vizioso e fuori sistema. Questo è l’esempio di tante Zone, che potrei fare con i dati sotto, Assessore, lei li conosce meglio di me. Questa è stata l’Asur e sono le Zone, sono le politiche di investimento.
Nelle 1.700 pagine c’era qualcosina di più, ora nella parte economico-finanziaria – che è stata asciugata, dice Luchetti – addirittura non troviamo quasi più nulla.
Anche sulle cifre mi rifaccio a quello che è già stato detto, non solo siamo fuori dalle programmazioni dello scorso anno, ma ci dovete ancora spiegare come faremo a rientrare nelle previsioni di questo anno. Non abbiamo sanato, anzi, siamo preoccupati tutti di quello che è accaduto per il 2006 che addirittura doveva essere zero, nella programmazione di tre anni fa c’era scritto pareggio.
Non so come faremo ad affrontare i nuovi nodi per il futuro, non c’è scritto da nessuna parte, quando, invece, le scelte puntuali sono un obbligo per il Piano.
Tanto si potrebbe dire sulle scelte puntuali, ma lo diremo meglio nel dibattito di domani: il socio-sanitario, le liste di attesa, la rete ospedaliera con le specialità di cardiologia e oncologica, gli ospedali e le scelte che si fanno sulle strutture, le emergenze-urgenze.
Vado a volo pindarico sul socio-sanitario. Ho sobbalzato quando ho letto quelle poche righe sul fatto che dobbiamo razionalizzare la risposta e l’offerta del socio-sanitario. Siamo assolutamente lontani da quello che questa Regione si era impegnata a fare a livello di non autosufficienza, si è lontanissimi, le cifre che avevamo scritto sulle residenze protette e sulle Rsa non sono state nemmeno per la metà raggiunte.
Siamo stati aiutati da un sistema che è assolutamente volontaristico – passatemi il termine –. Perché per le case di riposo, per le strutture, addirittura il relatore di maggioranza Luchetti ha parlato delle badanti, stiamo parlando proprio di una cosa che è stata sostituita dalla buona volontà o dei Comuni o della famiglia che personalmente ha provveduto alla non autosufficienza.
Siamo lontanissimi in questo e parliamo di razionalizzazione e di contenimento! Di contenimento di quella che può essere l’offerta di istituzionalizzazione del malato e dell’anziano non autosufficiente, chiaramente non nel momento dell’acuzie, ma nel momento della stabilizzazione del suo trattamento. Di questo mi spavento! Come, diciamo sempre dell’anziano, diciamo sempre che siamo la popolazione più anziana d’Italia, siamo la prima regione d’Europa per il tasso di incidenza della popolazione anziana. E che facciamo, non affrontiamo questa come un’emergenza che è ormai diventata tale! I numeri che sono riportati dicono che forse nella regione sono dai 33 ai 35 mila gli anziani non autosufficienti, di questi vi risparmio le cifre di quelli che vengono posti in assistenza nel nostro sistema sanitario – che è socio-sanitario, lo ricordate sempre nelle titolazioni dei nostri atti –, queste cifre sono veramente ridicole rispetto al complessivo dato della popolazione anziana non autosufficiente.
Per le liste di attesa anche qui siamo lontani dal rispetto della normativa. Proviamo a telefonare anche ora al Cup e proviamo a chiedere un’ecografia, una Tac total body, a qualsiasi zona ci riferiamo, nessuna esente, forse qualcuna un po’ di meno e qualcuna un po’ di più, ma siamo fuori dalle previsioni che sono già ampie. Se si chiede una Tac total body significa che si ha una problematica, per cui i trenta giorni penso siano un po’ eccessivi! Ma lasciamo perdere, la normativa però dice trenta giorni e noi non stiamo nemmeno in quei trenta!
Per la rete ospedaliera, la cardiologica, le scelte, si dice che eleveremo fino a cinque i laboratori di emodinamica. Quando? Dove? Con quale priorità? Non si fa nemmeno il nome e cognome delle poche scelte rintracciabili. Peraltro, a seguito di una forte e accesa discussione in Commissione – perché nemmeno questo era, nella prima stesura c’era scritto solo quattro laboratori – arriviamo fino a cinque nei tre anni, ma dove e con quale priorità?
Per l’oncologia che cosa si vuole fare? Ci sono gruppi di lavoro formati da chi? In quale maniera? Con quale attenzione anche a quella che è stata e a quella che è oggi la realtà delle strutture oncologiche delle Marche?
Ricordo, per esempio, a Macerata; è assurdo che nel 2007 un malato oncologico venga seguito dall’oncologo fino ad un certo punto poi nei momenti terminali della sua vita non abbia la possibilità di essere ricoverato in un reparto ed essere seguito nei momenti più difficili che sono quelli vicini all’evento mortale! Oggi accade così, l’oncologo ti segue, ma siccome poi non c’è il reparto sei abbandonato a te stesso o vieni seguito per altre vie.
Sull’emergenza-urgenza si dice di razionalizzare i punti di pronto intervento o addirittura si mette in discussione i pronto soccorso se non hanno idea di secondo livello a collegamento. Tutto questo non è possibile. La rete dell’emergenza urgenza era stata disegnata nel 1997, sono passati dieci anni e ancora non sappiamo quali sono le potes che verranno riconfermate e quali sono quelle, invece, che non devono essere riconfermate.
Tutto questo deve essere oggetto di riflessione. Abbiamo ribadito anche oggi la necessità di rimandare questo Piano, di farne oggetto e confronto serio per non sbagliare ancora una volta, perché di atti di programmazione errati da parte della maggioranza, di questo centro-sinistra del governo alla Regione, ormai ne abbiamo visti troppi.

PRESIDENTE. Ha la parola la Consigliera Ortenzi.

Rosalba ORTENZI. Promesso, Presidente, che recupererò molto del tempo usato dal collega Pistarelli.
Il Piano sanitario regionale, mai ad oggi, ha effettuato un’attenta riflessione sullo stato dell’arte della rete dei servizi/interventi sanitari e socio-assistenziali del territorio. Il Nuovo Piano sanitario, invece, completa questa lacuna e non credo sia utile a nessuno attardarci a ripercorrere le strade del passato e ha colpevolizzare quello che è stato fino ad ora.
L’attivazione del Piano rappresenta una grande opportunità per pianificare opportunamente, in maniera coerente e integrata, le nuove politiche pubbliche territoriali per la salute, tenendo conto delle particolari caratteristiche locali, delle problematiche demografiche che i nostri Comuni presentano, delle sinergie e delle dinamiche positive che i molti operatori della salute hanno già posto in essere e sperimentato nel nostro territorio con evidenti risultati, alcune delle quali meriterebbero ancora più attenzione e sistemi di sviluppo, come: le demenze soprattutto di tipo alzheimer, la salute mentale che è già stato menzionato, la prevenzione orientata soprattutto ad una popolazione molto anziana, gli interventi di urgenza-emergenza, i sistemi di lungodegenza e la riabilitazione.-
Vorremmo interpretare questa occasione come una prima e non sporadica o ultima sollecitazione a leggere il territorio regionale, che è stato tanto ben fatto dal piano organizzato e presentato dal dott. Ruta e dai suoi collaboratori, che ringrazio, in maniera complessiva, ponendo l’attenzione ad una pianificazione socio-sanitaria di area vasta, tentando di attribuire ruoli e funzioni ai vari enti/soggetti interessati alle problematiche di salute, determinando, quindi, prima della fase operativa, le reti e le connessioni da implementare per rendere appropriato e sostenibile l’intero progetto organizzativo.
Porsi questo obiettivo significa stimolare i Sindaci del territorio e gli operatori stessi della sanità a definire in maniera chiara il proprio ruolo che sarà necessario sostenere nella prossima organizzazione territoriale.
Pianificare, infatti, vuole rappresentare la capacità di governare un territorio tenendo bene a mente le diverse variabili: le variabili di incidenza sull’organizzazione, le variabili di incidenza nel campo della razionalizzazione/omogeneizzazione dei servizi, le variabili di incidenza nel buon diritto di tutti ad avere gli stessi servizi in ogni luogo della regione.
Questo tipo di lettura mette in evidenza che il percorso che si andrà ad avviare, che si potrà avviare, anche se intenzionale e molto stimolante, richiede altissime capacità ed intese per coniugare gli aspetti di novità con gli aspetti di equilibrio delle risorse esistenti.
E’ questo il substrato che è necessario per rimodulare alcune parti essenziali delle linee strategiche del nuovo Piano, soprattutto nelle parti che attribuiscono un valore essenziale alla creazione ed implementazione delle reti cliniche e dei percorsi assistenziali.
E’ dai Sindaci, dai testimoni privilegiati territoriali, quali le associazioni di tutela e di cittadinanza attiva, dagli operatori del sistema salute, che deve partire un ineludibile processo di sussidiarietà verticale, cioè l’esplicitazione delle politiche pubbliche in tema di salute che siano effettiva espressione dal basso, lette, analizzate e rielaborate, per far parte poi di una programmazione più ampia che tenga conto delle caratteristiche specifiche territoriali e delle esigenze di tutti.
Solamente in questa maniera, ad esempio, una zona ampia, seconda nelle Marche dopo quella di Ancona, la n. 11 di Fermo, può e deve diventare una grande zona in tema di sviluppo sostenibile e benessere sociale.
Partire dal concetto di salute potrà, dunque, rappresentare la tipicità dello sviluppo di una nuova cittadinanza.
In sintesi, le dimensioni organizzative da considerare strutturali per conciliare le diversità e renderle in sinergie efficaci, possono essere: le direttrici fluviali che a pettine – come dice tante volte Ruta – da ovest ad est, definiscono valli più o meno estese e compatte; la varietà estrema dell’estensione dei Comuni e la loro popolazione; la corrispondente, anche se non sempre in maniera univoca, diversificata densità abitativa dove, ineludibilmente, compaiono sempre più cittadini della quarta età; l’aumento del numero delle famiglie monoparentali.
E’ necessario, dunque, costruire un modello organizzativo-funzionale idoneo per azioni gestionali, collaborazioni ed integrazione di funzioni con il fine di accrescere le economie di scala e migliorare l’efficienza dei servizi in un territorio montano che è già pronto culturalmente a lavorare in maniera integrata.
E’ però assolutamente essenziale rivedere il sistema attualmente in essere per cui si possa assicurare una reale unitarietà di programmazione, in aree problematiche come la montana e garantire percorsi assistenziali che si dovranno sviluppare con il contributo coordinato ed integrato di una pluralità di competenze appartenenti, al momento, a strutture organizzative zonali diverse.
Al fine di assicurare una omogeneità di procedure ed un opportuno equilibrio tra appropriatezza ed offerta, oltre che per sviluppare un corretto equilibrio economico-finanziario, costo-valore, è necessario emanare una chiara, unica, coerente linea di indirizzo per favorire l’integrazione delle competenze sanitarie su scala locale con i servizi propri dell’area sociale, creando anche una funzione di accettazione territoriale integrata, come lo sportello della salute e un ufficio di promozione sociale, che agevoli i percorsi legati alla continuità dell’assistenza ed alla facile fruibilità dei servizi.
In questo complesso processo l’azione comune di tutti i Sindaci della Zona territoriale può articolarsi come parte fondamentale e snodo dei sistemi di intervento territoriale, offrendo occasioni di confronto, individuando particolari fragilità, orientando sistemi di aiuto e progettando innovazioni e sperimentazioni.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Giannotti.

Roberto GIANNOTTI. Qualcuno, giustamente, si è posto, nel valutare il Piano, il dilemma se valesse la pena che le Marche avessero bisogno di un nuovo Piano sanitario oppure no.
Qualcuno ha anche detto che questo Piano rappresenta una riscrittura del vecchio Piano sanitario. Il primo dato desumibile, non solo dalla polemica, ma dagli atti ufficiali e soprattutto dalle dichiarazioni espresse dall’Assessore, dai rappresentanti qualificati della Giunta e da una lettura dello strumento, è che il vecchio Piano sanitario è rimasto inattuato.
Di fronte a questo stato di cose sarebbe stata cosa più utile fare quello che hanno fatto altre Regioni, cioè rinunciare a mettere mano ad un nuovo Piano sanitario e dare attuazione al vecchio. Ha fatto così l’Emilia Romagna, credo che l’Assessore avrebbe fatto meglio a spendere meno tempo nella creazione di questo mito e rifarsi, dandovi atto, alle previsioni del vecchio Piano sanitario. Io condivido questa analisi.
Il Piano non andava fatto perché le cose che sono scritte erano scritte anche nel vecchio Piano sanitario. E quelle che non sono state fatte non è per opera dello Spirito Santo, ma per opera di chi aveva la responsabilità di gestione della sanità delle Marche, che è la vecchia Giunta e questa Giunta regionale.
La logica voleva, quindi, che un percorso più intelligente doveva essere quello di dare attuazione agli strumenti di programmazione già in essere, intanto prendendo atto di una cosa fondamentale che era il caposaldo del vecchio Piano sanitario, cioè il fallimento dell’Asur. Credo che non ci sia nessuno in questo Consiglio, che non ci sia nessuno nel mondo della sanità, e non ci sia nessuno tra gli amici della stampa che maggiormente hanno seguito, che sia disposto a spendere una lira per affermare che l’Asur ha svolto una funzione positiva in questi anni.
Dobbiamo partire, quindi, dal fallimento dell’Asur e dal modello organizzativo ad esso collegato, cioè l’articolazione delle Zone, che avete voluto voi della maggioranza e che ci avete voluto imporre, rispetto ad una proposta molto più responsabile che era stata ventilata, quella delle Asl provinciali, che in qualche modo cercate di reintrodurre attraverso la deriva dell’area vasta.
Area vasta, Assessore, è uno snodo funzionale illegittimo, è illegittimo! Perché non c’è nessuna norma legislativa che introduce questo concetto organizzativo. La realizzazione dell’area vasta deve passare attraverso una revisione della legge n. 13 e se non avviene questo costruiamo il tutto su un dato di illegittimità e non dal punto di vista formale.
Il Piano non andava fatto in questo modo. Si può dire tutto e fare tutto, la politica è abituata a queste riduzioni, ma la riduzione della democrazia e la riduzione della partecipazione non è accettabile. Non si realizza uno strumento di programmazione su una materia così decisiva per la vita dell’uomo e per la vita dei marchigiani in questo modo, con una consultazione che definire precipitosa e deficitaria è buona cosa, mi verrebbe da dire di più.
E’ un Piano sanitario, però, che si colloca in un contesto sanitario preciso, dove vengono evidenziati i nodi della crisi che in questi anni hanno attanagliato la sanità marchigiana – e guarda caso oggi sono gli stessi di ieri –, mi riferisco alle liste di attesa che è la prima emergenza sanitaria delle Marche e non mi sembra che la lettura fatta dal Sole 24 Ore l’altro giorno sul livello del miglioramento delle liste di attesa marchigiane sia il viatico, il riconoscimento di un cammino fatto.
Registriamo la stessa scandalosa situazione con la quale per anni abbiamo convissuto. A nulla sono valse le raccomandazioni, in modo particolare del gruppo di Forza Italia, a nulla sono valsi gli accordi nazionali rispetto ai quali siamo assolutamente in ritardo.
Il dato di fatto è che i marchigiani ancora oggi continuano a dover fare i conti con una situazione, rispetto alle prestazioni specialistiche, che è quella di un paese in difficoltà, non voglio usare un altro termine.
C’è la questione delle emergenze sanitarie, una questione ancora aperta rispetto alla quale rimane ed è forte il limite operativo nelle aree più fragili della regione. Noi abbiamo un sistema di emergenza in grado di soddisfare le esigenze delle grandi città e delle aree costiere, ma che non interpreta le esigenze dei cittadini delle zone interne.
Vorrei che qualcuno di voi convivesse con la situazione dei cittadini di Casteldelci – l’Assessore li conosce – dove non ci sono nemmeno i tempi previsti per una patologia come quella cardiologica, cioè i venti minuti previsti per il raggiungimento della struttura sanitaria più vicina.
Rimane aperto questo discorso, così come rimane aperto il discorso del riequilibrio delle alte specialità. Quali sono gli atti? L’Assessore può citarmi la bufala della neochirurgia di Pesaro?! Un servizio a mezzo servizio realizzato in tre fasi, non in grado assolutamente di soddisfare patologie gravi in quel settore. Debbo parlare della cardiochirurgia promessa da diessini pesaresi e dagli amici della Margherita in cambio della rinuncia alla realizzazione dell’Istituto di ricerca dell’Irccs?! Debbo ricordarvi il dibattito di quando avete detto ai pesaresi che avreste comunque realizzato il riequilibrio delle alte specialità nelle aree di confine, ribadito come uno dei punti fondamentali del vecchio Piano sanitario?! Debbo ridirvi queste cose? Cose che sono di fronte all’evidenza di una mobilità passiva che nella provincia di Pesaro e che a Pesaro comportano un onere indiscutibile per la sanità e per la finanza regionale.
Il problema della mobilità non si risolve, come c’è scritto nel Piano, mettendo un tetto al livello di mobilità che può essere utilizzata, ma si risolve eliminando le cause della mobilità, dotando la città di Pesaro e la provincia di Pesaro delle strutture che lo consentono. Non siete stati nemmeno in grado di frenare l’emorragia delle intelligenze professionali o delle professionalità alte di tipo, tanto per capirci, dott. Zini. Non siete stati nemmeno capaci di sostituire questo medico che è fonte di mobilità passiva quotidiana, basta un attimo seguire da vicino la situazione.
Così come rimane critica la situazione della rete ospedaliera delle Marche perché non mi sembra che la strategia complessiva che viene disegnata, e che rimanda ad atti, vada nella direzione di aumentare l’efficacia e l’efficienza dei servizi ospedalieri.
Mi domando se questi problemi, se queste criticità, da sempre presenti, invece di essere discusse, di essere fonti di dibattiti, convegni, tavole rotonde, conferenza delle autonomie, con un impiego enorme di risorse finanziarie e di quello personale, non potevano essere sostituite con un impegno concreto e con provvedimenti risolutivi che in qualche modo consentissero di affrontare e risolvere queste criticità.
Così non è stato e oggi dobbiamo anche prendere atto che in questo contesto si è aggiunta un’altra criticità, quella della lottizzazione politica. Avete lottizzato anche i gabinetti degli ospedali, avete lottizzato tutto, la sanità marchigiana oggi è una palude di interferenze politiche.
Credo che questo sia contro lo spirito della legge, sia contro l’esigenza di affidare responsabilità in questo settore a persone capaci e valutabili – io non sono del partito di Baldassarri e non ho conoscenza di cose fatte dal Viceministro –. Io prendo atto di questa situazione, cioè che non solo vi siete limitati a lottizzare i direttori generali, ma intanto i vertici dell’Asur, i vertici dell’azienda sanitaria regionale, rispetto alla quale continuo a nutrire serie perplessità. Per anni abbiamo convissuto con la disputa dipartimento sanità o azienda regionale, oggi siamo al terzo punto di responsabilità, perché abbiamo l’Asur e abbiamo il dipartimento – se volete il servizio sanità –. Quindi credo che l’esistenza di questo terzo organismo sia una cosa sulla quale vale la pena di discuterne fino in fondo.
Ritengo che una lettura priva di ogni pregiudiziale ideologica porti ad esprimere un giudizio netto. Se dovessi riassumere un concetto per l’Ansa potrebbe essere: questo Piano certifica il fallimento della politica sanitaria del centro-sinistra delle Marche, basta leggere le pagine introduttive di questo strumento.
Questo Piano mette il sigillo sulla chiusura determinata dei piccoli ospedali delle Marche. Questo è l’altro dato. Mi viene da ridere quando il mio amico Ricci o l’Assessore Mezzolani dicono “guarda che noi non abbiamo scritto nulla”. E’ questo che mi preoccupa!
La situazione dei piccoli ospedali è una situazione di agonia, perché se lei non consente il recupero strutturale, se lei non consente l’assunzione di risorse umane e non consente l’adeguamento tecnologico, gli ospedali sono destinati a morire, Assessore, e se lei oggi nel Piano non mi ci mette qualcosa di positivo, non mi rilancia l’emergenza, certo, anche in una logica di diversificazione – la metta come le pare –, perché credo che se c’è un grande assente in questo Piano sanitario è proprio la prospettiva dei piccoli ospedali della Marche e i cittadini hanno ben ragione di essere preoccupati in virtù di un concetto che noi riteniamo fondamentale, cioè che la salute è un diritto e non un optional. Invece questo Piano certifica di fatto l’agonia degli ospedali di polo.
Questo Piano registra un altro dato cioè che siete incapaci di risparmiare. Perché al di là delle battute simpatiche che lei, Assessore, fa sui giornali rispetto a qualche altro Consigliere che dice il contrario – mi sembra Viventi – con il quale c’è stata una diatriba, però i dati sono i dati, Assessore.
Si può anche dire che risparmierete sulla mobilità passiva, ma dire che risparmieremo su questo o dire che risparmieremo sulla farmaceutica, senza avere introdotto prima modifiche strutturali, per esempio nel campo della farmaceutica, ricattati come siete dalla sinistra estrema. E’ inutile che si scandalizza il Consigliere Brandoni, qui dentro ci sono due sinistre, c’è quella estrema che condiziona l’altra sinistra, quella moderata. Ma se non introducete delle modifiche sostanziali per quanto concerne l’uso del farmaco – lei sa a cosa mi riferisco – noi quel trend negativo in crescita continueremo a subirlo, così come non affrontando i nodi strutturali della mobilità passiva, che è la dotazione nei poli di confine delle alte specialità che servono, noi non realizzeremo il calo della mobilità passiva.
Altro dato che si può dire è che la sanità regionale non è stata risanata, e se non si risolvono i nodi di crisi strutturali che ci sono non mi sembra che la ricetta che viene indicata vada nella direzione di un risanamento reale.
Il dato preoccupante di questo Piano non è tanto l’indicazione molto generica sul piano programmatorio, sul quale possono anche trovarsi punti di convergenza, ma sulla sua genericità decisionale, cioè non si decide nulla. Si rimanda alla discrezionalità della Giunta compiendo un atto illegittimo perché, ripeto, si espropria il Consiglio regionale delle sue prerogative. Non credo che tutto il percorso che è stato individuato, quello di demandare ad altri la responsabilità di scegliere, di realizzare in concreto alcune indicazioni di massima, sia un percorso corretto dal punto di vista della legittimità. Non mi meraviglierei se una delle associazioni marchigiane interessate a questo facesse ricorso rispetto ad un Piano sanitario che prevede questo tipo di scelte o un tipo di scelte prese in quel contesto e quindi ne contestasse la legittimità.
Altro aspetto, non secondario, che mi permetto di richiamare, è il costo delle responsabilità sanitarie. In questi tempi di discussione dei costi della politica, credo che anche noi dobbiamo avviare una riflessione sui costi delle responsabilità sanitarie. Abbiamo speso tantissimo in passato per pagare manager importati nella maggior parte dei casi da altre regioni, sulla cui validità professionale non avevamo certezze, ma dove abbiamo riscontri oggettivi, cioè abbiamo verificato che quello che abbiamo pagato per questi grandi manager è molto al di sopra di quello che questi grandi manager hanno reso.
Se a questo aggiungiamo che rispetto a questa responsabilità è stato introdotto il metodo avvilente del riciclaggio, cioè è stato di fatto sostituito, sì, il direttore di un’azienda, però è stato messo quel direttore a svolgere compiti in un’altra azienda, quindi alla fine il quadro che ne esce è desolante.
Comunque rimane il fatto che, nel momento in cui parliamo di ridurre i compensi degli operatori della politica, forse sarebbe opportuno porsi anche il problema di un adeguamento a ribasso dei costi dei manager sanitari.
L’ultima parte del mio intervento la faccio per quello che riguarda la mia città e la mia provincia.

PRESIDENTE. Vicepresidente Giannotti ha già parlato 22 minuti, quindi la prego di concludere

Roberto GIANNOTTI. La situazione gravissima della sanità pesarese è sotto gli occhi di tutti, tra l’altro c’è una preoccupazione che vedo nell’Assessore che è pesarese e nei colleghi Ricci e Mollaroli, che passeranno alla storia come i politici che hanno distrutto la sanità locale.
L’Assessore Mascioni ci ha impiegato dieci anni a portare a Pesaro 100 miliardi sull’articolo 20 per sistemare l’ospedale di Pesaro 1 e Pesaro 2, Muraglia e San Salvatore. Voi tre, invece, messi insieme, per le scelte che avete in mente completerete l’opera della uccisione della sanità pesarese.
Noi paghiamo intanto lo scotto di essere stati asserviti ad una logica Ancona-centrica – è inutile che qualcuno dica che non c’è, ha segnato le scelte del passato – e soprattutto il fatto che non sono stati realizzati gli obiettivi del vecchio Piano.
Non c’è stato un riequilibrio sul versante dei poli di confine, rimane la precarietà dell’Azienda ospedaliera, rimane l’insufficienza dei posti letto, siamo di fronte ad una evidente paralisi dell’attività del nosocomio pesarese perché ancora non avete avuto il coraggio di sostituire gli otto primari che sono vacanti da anni – otto primari non sono uno –, quindi parlo di una carenza nella dotazione delle risorse professionali, non è chiaro il discorso della utilizzazione delle risorse finanziarie destinate in base all’articolo 20, c’è un limite del rapporto con l’azione territoriale che oggi, per esempio, non consente di realizzare un’attività concreta sul piano delle semiacuzie, così come sul piano della riabilitazione rispetto al quale la struttura di Galantara non può che rimanere un punto di riferimento per ogni scelta politica che si viene fatta.
Due questioni velocissime.

PRESIDENTE. Per cortesia, chiuda o le tolgo la parola. E’ mezz’ora che parla, è poco rispettoso nei confronti degli altri.

Roberto GIANNOTTI. Sono poco rispettoso però ho detto che finisco. E’ un problema vero il problema del nuovo ospedale, ma non creiamo illusioni, Assessore Mezzolani. Quando si lanciano questi messaggi si commette un atto grave nei confronti dell’opinione pubblica, non solo degli amministratori locali che possono essere interessati. Se lei parla di un nuovo ospedale deve dire anche dove trova i soldi per farlo! Abbia il coraggio di dire ai pesaresi dove sono i soldi per fare il nuovo ospedale. E soprattutto deve avere il coraggio di dire ai pesaresi e ai fanesi dove lo vuole fare. Io personalmente sono contrario alla scelta indicata dal Sindaco di Fano di farlo a Carignano, allora la sfida è facciamolo a Fosso Sejore. Se lei trova le risorse lo facciamo a distanza giusta tra Pesaro e Fano, ma il problema vero è l’integrazione!

PRESIDENTE. Vicepresidente Giannotti, un po’ di rispetto per le regole, sono venticinque minuti che parla, quindi sono costretto a toglierle la parola, parlerà successivamente per dichiarazione di voto. Ha la parola la Consigliera Mammoli.

Katia MAMMOLI. Prima del mio intervento, che spero si mantenga nei tempi, nel caso mi avverta, Presidente, voglio ringraziare l’Assessore regionale e tutta la struttura che ha lavorato per la redazione di questo Piano. Non soltanto perché ci sono stati tempi brevi, ci sono stati consegnati tre atti diversi e successivi, quindi una serie di dati veramente notevole, ma anche perché, prima delle audizioni e prima dell’approvazione in Consiglio regionale di questo atto, una serie di incontri con il territorio e con gli ordini professionali a cui sono stati presenti sia il dott. Ruta che l’Assessore, hanno fatto sì che quando siamo andati alle audizioni, temendo anche uno scontro pesante perché questo Piano si pone in maniera diversa rispetto al passato, abbiamo trovato, invece, una grande disponibilità da parte di tutti, e tutto sommato – anche se più che critiche sono state dichiarazioni sulle difficoltà di operare nel territorio nell’ambito sanità – abbiamo trovato in gran parte una forte condivisione rispetto al Piano.
Naturalmente nessuno è così ingenuo da pensare che il Piano sia nato dal niente, penso sia nato proprio da un lavoro propedeutico che ha fatto sì che si potesse comprenderne il senso.
Forse l’intervento più pesante che è stato fatto durante le audizioni – ne parlo perché è stato più o meno l’intervento a cui si è riferito il Consigliere Giannotti – è stato quello che veniva dalle tre associazioni sindacali, le quali hanno detto che non capivano per quale motivo era stato fatto un nuovo Piano sanitario quando ancora non si è realizzato quello precedente o non è stato realizzato completamente, tanto che hanno utilizzato una frase “il Piano è uno strumento, non è un obiettivo” come a dire cioè che non è che se oggi approviamo un nuovo Piano abbiamo raggiunto un obiettivo, ma piuttosto abbiamo presentato un Piano senza raggiungere gli obiettivi che questo avrebbe potuto considerare.
Voglio fare una valutazione in merito al perché il Piano sanitario precedente non è stato portato a termine e non è stato concretizzato del tutto. Innanzitutto la gran parte dell’attenzione politica e anche dei cittadini più che sul Piano regionale vero e proprio si è orientata sul discorso della legge n. 13. Ricordo come politica, anche se non direttamente legata al settore sanità, che tutto il confronto si è svolto sul discorso delle 13 Asl, una Asur, quattro, cinque, tanto che rispetto ai contenuti veri e propri del Piano sanitario l’attenzione è stata minore.
Probabilmente non si è concretizzato completamente perché è mancata una forte volontà politica, forse sono mancate le professionalità per realizzarlo, c’è stata una non volontà del territorio e una grande difficoltà e preoccupazione sulla realizzazione di questo piano e forse ci sono state anche ragioni di carattere economico. Quindi tutti questi motivi hanno portato alla non realizzazione del Piano regionale precedente.
Credo che in politica quando questo avviene piuttosto che andare a riprendere un atto di qualche anno addietro che non ha trovato concretizzazione sia più importante rimettere le mani completamente su un nuovo atto. Ma questa è soltanto una scelta politica.
Dico, invece, che questo nuovo atto si pone – ed è questo il motivo per cui è utile rifare un nuovo Piano sanitario, non soltanto perché erano scaduti i tre anni – in maniera diversa rispetto al Piano sanitario precedente che era più puntuale, più prescrittivo. Questo Piano, invece, disegna le linee strategiche di quella che dovrebbe essere la sanità a livello regionale.
Faccio un esempio che potrebbe rendere più chiara la situazione, è un po’ come quando ci poniamo con i Piani regolatori generali. In passato, dopo le scelte di carattere politico, che non venivano deliberate dal Consiglio comunale, si faceva direttamente il piano del suolo. Oggi non è più così perché si fa il piano strategico e si fanno i piani attuativi.
Chi è rimasto ancora ancorato al vecchio metodo – per i vecchi piani regolatori alcuni Comuni continuano ad andare avanti in questa maniera e pretendono il piano del suolo – rispetto a questo Piano pensava che si sarebbe dovuto andare avanti con uno ben determinato, in maniera che dall’approvazione in poi si potesse partire immediatamente con le scelte rispetto alle modalità previste dal Piano stesso e che pertanto dovevano essere ben chiare.
Questo Piano, invece, è un piano strategico, è un Piano che disegna quella che dovrebbe essere la sanità regionale, che dà degli input politici, che dà molti dati politici, ma che necessita di piani attuativi.
Forse la differenza tra il piano regolatore, a cui facevo riferimento prima, e questo, è che mentre prima anche i piani attuativi venivano approvati dai Consigli comunali, in questo caso credo che la parte più importante delle scelte – anche se poi ci potrà essere un passaggio in Commissione e ci potrà essere un confronto e una partecipazione del Consiglio regionale e delle forze politiche – dovrà essere attuata soprattutto dalla Giunta.
Questo naturalmente comporta un enorme peso per la Giunta, perché oggi non stiamo scherzando, oggi stiamo approvando un Piano che dà una direzione specifica e precisa anche se ha bisogno di atti successivi. Questi atti, con l’intervento e la partecipazione di tutti, crediamo siano necessari e vogliamo che susseguano al Piano che oggi andiamo ad approvare.
Da questo derivano anche altre valutazioni. Questo è un piano sanitario strategico, non è quindi un piano puntuale della durata di tre anni, ma deve avere, secondo me, una durata ben più ampia. Se pensiamo che in tre anni possiamo attuare tutto o in parte quello che potrebbe essere necessario per la sanità marchigiana, sicuramente sbagliamo perché questo è un piano strategico.
Un piano strategico, quello a cui dovrebbe tendere la sanità regionale, non risparmia in prima battuta, secondo me, cioè non porta a risparmi. Perché quando si fa una strategia di lungo corso, in prima battuta ci vogliono investimenti in più, altrimenti si rischierebbe di fare delle piccole operazioni e non di portare avanti una strategia complessiva e completa sulla sanità marchigiana.
Quindi il primo investimento dovrà essere fatto sull’informatizzazione – ne abbiamo già parlato –. Se vogliamo mettere in rete tutto quanto c’è bisogno di un investimento, non possiamo continuare ad operare senza che ci sia una rete di collaborazione e di informazione tra i vari comparti della sanità se non mettiamo a norma l’informatizzazione.
C’è il discorso che riguarda le tecnologie. Abbiamo visto dai dati che ci sono delle tecnologie più o meno all’avanguardia, ci sono tecnologie obsolete, di dieci anni e più, ci sono situazioni territoriali in cui le tecnologie sono più avanzate e sono più ricche, in altre ce ne sono di meno, quindi se vogliamo dare la stessa opportunità a tutto il territorio regionale è necessario che anche sulle tecnologie ci siano gli investimenti.
Ci devono essere investimenti anche sulle strutture perché se trasformeremo i piccoli ospedali – non voglio entrare nelle polemiche – in qualche cosa di diverso rispetto a quello che sono, è evidente che bisognerà investire sulle strutture, altrimenti questo non sarà possibile farlo.
Abbiamo letto questi giorni per quanto riguarda il discorso di Osimo, che è un discorso completamente diverso, ma dicono che sono arrivati a un certo punto quindi vogliono completare l’operazione, così come per l’Inrca e per altre situazioni ospedaliere.
C’è un’altra operazione che porta ad un ulteriore investimento, o meglio ad una garanzia di investimenti successivi, quella della stabilizzazione del personale. Non c’è una sanità seria se dobbiamo continuare ad andare avanti con personale precario, che alla Regione costa alla stessa maniera e non dà la garanzia né per i lavoratori né per la sanità vera e propria, non dà la garanzia di sanità a livello alto, quello che vorremmo chiedere e quello che attraverso questo Piano strategico dovremmo dare.
Poi c’è il problema delle scelte politiche che è il cardine dei problemi, cioè la volontà e la forza politica di portare avanti sul territorio situazioni che sicuramente determineranno anche delle conflittualità, di questo dobbiamo essere assolutamente garantiti. Forse oggi diamo una cambiale in bianco, e io mi sento di poterla dare purché venga pagata, oggettivamente, non in maniera politica, ma purché vengano fatte le scelte che in questo Piano sono indicate, sapendo che comunque questo porterà anche ad alcune difficoltà sul territorio.
C’è un ultimo punto, la gestione tecnica del Piano. A volte siamo abituati nei Comuni a far fare dei bei progetti, magari la riorganizzazione del personale, o come facevo l’esempio prima, un piano regolatore, poi chi ha prodotto la proposta di riorganizzazione del personale o la proposta di piano se ne va e lascia il compito. Così non è e così non deve essere. Chi è il padre tecnicamente di questo Piano strutturale strategico deve anche essere colui che con la parte politica deve portare avanti quello che ha previsto, altrimenti rischieremo di aver fatto un bel compito, ma che poi rimarrà nel cassetto. Questo non è quello che vogliamo.
E’ stata chiesta alla parte politica, e a questo oggi stiamo rispondendo, l’esigenza di una rapida approvazione, proprio perché bisogna lavorare immediatamente per i piani attuativi e perché la sanità regionale e gli operatori della sanità sentono fortemente l’esigenza di risposte chiare e di un quadro chiaro, sono disponibilissimi a partecipare alle scelte, anzi, chiedono di partecipare a queste scelte necessarie, ed è opportuno che questo avvenga, e allo stesso tempo chiedono che ci sia una prospettiva chiara. Quindi c’è l’esigenza di risposte rapide.
La cabina di regia – è stato già detto – la parte tecnica, la parte politica, non so come sarà organizzata, ma è chiaro che non si realizza niente se non si lavora anche con la parte tecnica e la parte sanitaria del territorio. Ho avuto l’impressione che ci sia una grande volontà e una grande consapevolezza anche delle scelte necessarie da fare. Poi è vero che quando andremo a toccare il particolare magari, forse, ci sarà meno disponibilità, però il passaggio politico-culturale rispetto a questo è passato quando è stata approvata la legge n. 13 e quando è stato approvato il precedente Piano. Quindi da questo punto di vista credo sia maturata l’esigenza. Su questo dovremo lavorare fortemente insieme, così come per la partecipazione del territorio con le conferenze dei Sindaci e con le conferenze dei politici che del territorio sono gli amministratori.
All’interno di questo Piano troviamo il malato al centro del percorso, non è una novità. Anche questo sta passando culturalmente negli operatori sanitari più giovani, più moderni, più all’avanguardia, coloro che non vedono più il proprio reparto chiuso in se stesso – parlo dei reparti ospedalieri –, ma coloro che vedono l’ammalato al centro della cura. Quindi sono gli operatori sanitari che ruotano intorno e non viceversa.
Anche questo è un concetto che è passato culturalmente nei Comuni, passa con gli sportelli unici, anche se mi rendo conto che è difficilissimo attuarlo, ma è un concetto che culturalmente sta passando. Sono le carte, sono le informazioni che girano, non è l’ammalato che deve girare per andare a chiedere di qua e di là quello che deve fare. E’ un concetto importantissimo, è culturalmente forte, che, ripeto, sta passando, ma su questo dovremo essere forti e non dovremo fare sconti a nessuno.
Così come il discorso di partire dai bisogni e non dall’offerta territoriale. Se fossimo partiti dall’offerta avremmo scalato l’offerta piegando le necessità del territorio e dell’ammalato rispetto all’offerta che si ha. Il Piano prevede esattamente l’inverso. Anche questa è una rivoluzione, è stata una delle necessità di questo nuovo Piano per far passare culturalmente questo nuovo messaggio.
L’abbiamo già detto e non lo ripeto, la strategia degli obiettivi non è contrassegnata e stigmatizzata da obiettivi puntuali e già messi nei tempi, nei modi, nel quanto e nel come è stato chiesto precedentemente.
Se consideriamo questo Piano in questa ottica e in questa mentalità allora potremo dare risposte a quelle che apparentemente possono apparire come scelte non fatte.
Certamente ci sono problematiche in piedi sul tappeto, se questo Piano disegna le strategie poi le strategie devono portare a risultati concreti.
Allora c’è il discorso dell’Asur, che fine farà, se rimarrà oppure no.
Il discorso delle aree vaste, se ne è fatto un gran parlare questa mattina, ho sentito che molti le vedrebbero bene come nuove Asl provinciali o dicono che sono Asl provinciali, ma che qui non si vuole dire. A me non sembra che sia così, forse sono ingenua, forse ho letto male, ma a me sembra che area vasta sia una specie di ospedale diffuso, vogliamo chiamarlo così?! Un’area geografica in cui all’interno di questo comparto territoriale geografico, che non deve per forza essere di carattere provinciale, anzi è opportuno che non lo sia, troviamo tutte le specificità che servono al paziente, quindi senza doppioni, senza infrastrutture che non servono, dove si tiene conto soprattutto di quello che serve all’interno dell’area geografica.
Certo anche questo va chiarito, c’è una forma strutturale amministrativa oppure è soltanto un luogo territoriale geografico? E’ una cosa per la quale gli operatori per operare chiedono di avere chiarezza. Non credo, ma posso anche sbagliarmi, che questa sia la premessa per altre cinque Asl, perché così torneremmo indietro e perché, secondo me, quel percorso che è stato fatto anche per una visione futura ritornerebbe ad una visione tipicamente territoriale e geografica, anche di connotazione politica-amministrativa se è provinciale, quindi perderebbe la forza che dovrebbe avere.
L’altro problema molto importante è il rapporto ospedale con il territorio. I medici del territorio, che pure sono la gran parte della sanità e che hanno un ruolo importantissimo nella sanità, si sentono un po’ come i parenti poveri, quelli che sono meno considerati rispetto agli ospedali, rispetto alle dirigenze delle varie Asl e rispetto anche ai rapporti con la Regione.
E’ stato chiesto che ci sia un rapporto più pregnante con loro perché se lavoriamo bene sul territorio, se i medici territoriali riescono a svolgere al meglio il proprio lavoro, è chiaro che il discorso ospedaliero diventa meno pregnante rispetto a quello che è stato sino ad ora. Anche le situazioni di mobilità o di cambiamento dei piccoli ospedali potranno trovare una soluzione diversa perché si potranno trovare comunque, attraverso un rapporto con i medici di base o attraverso un rapporto con le strutture di base, soluzioni in altri tipi che non siano quelli dell’ospedalizzazione.
Rapporti con il volontariato. E’ stata posta fortemente l’esigenza del volontariato di un rapporto operativo con loro. Questo credo sia assolutamente di primo ordine perché hanno svolto un compito serio, necessario e con costi non assoluti.
Un’altra osservazione che è stata fatta e che trovo molto giusta, è che quasi sempre il problema ospedaliero è quello delle liste di attesa. Sembra che le liste di attesa siano il problema più duro e insormontabile, sicuramente lo è, però quello che è stato posto, anche attraverso un sondaggio, così diceva il rappresentante di una associazione di medici, era che rispetto alle liste di attesa, che è comunque di primaria importanza, il problema vero è quello dell’emergenza-urgenza. E questo è vero perché se io devo andare a farmi una radiografia perché mi fa male la gamba e devo aspettare qualche mese, sicuramente mi dispiace, ma se non trovo l’emergenza-urgenza e non trovo risposte appropriate quando ho una sintomatologia di carattere cardiologica o altro, sicuramente sarei molto più preoccupata rispetto ad altro.
Questo è uno degli aspetti prioritari su cui bisognerà porre attenzione, così come bisognerà porre attenzione – questo c’è già nel Piano e va benissimo – al discorso del pronto soccorso. In passato il pronto soccorso era quell’area dove si andava con i medici che magari non stavano ancora altrove, ora ha un ruolo più importante, è diventato il settore più importante. Se il pronto soccorso non sapesse immediatamente diagnosticare il male, così come per l’emergenza-urgenza, si rischierebbe la vita. Occorre anche cercare di disattivare quell’abitudine di andare al pronto soccorso anche per le cose per cui non è necessario andarci, sicuramente garantirebbe ai medici di poter svolgere al meglio il loro lavoro.
Avrei altre cose da dire, non so se lo farò dopo o lascerò perdere, l’unica cosa che vorrei ripetere è che oggi stiamo approvando un atto importantissimo non soltanto perché riguarda il comparto più importante in assoluto dal punto di vista economico del bilancio regionale, ma soprattutto perché riguarda la salute dei cittadini. Un atto su cui le forze politiche, la Giunta e tutti gli operatori devono mettere tutta la propria competenza, tutta la propria forza e tutta la propria capacità politica e professionale affinché finalmente questa sanità regionale – che non è vero che è all’ultima spiaggia, sicuramente potrà essere migliore di quanto non lo sia stata fino ad ora – possa effettivamente dare quei risultati che ci auspichiamo.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Santori.

Vittorio SANTORI. Ho ancora nelle orecchie l’eco delle parole pronunciate dal Presidente Spacca nel discorso introduttivo del suo mandato il 2 maggio 2005 quando proprio dinanzi a noi strinse un patto con i cittadini marchigiani imitando, a suo modo, il Presidente Silvio Berlusconi.
Si parlò di carta delle garanzie per una maggiore uguaglianza nella erogazione dei servizi ai cittadini e per una migliore tutela dello stato di diritto. Il potenziamento del sistema sanitario nel programma doveva essere in grado di garantire a tutti i cittadini marchigiani, al di là del loro reddito e del luogo in cui vivono, pari livelli di assistenza, equità di accesso e di ripartizione delle risorse. A ciò si accompagnava l’impegno ad una forte riduzione delle liste di attesa, l’azione di prevenzione ed assistenza agli anziani ed ai non autosufficienti. Tutti servizi, che pur nell’accentramento delle funzioni amministrative, dovevano essere erogati in strutture vicine ai cittadini – pag. 15 della relazione consiliare del 2 maggio 2005, come riferimento concreto –.
Una illustrazione del programma di governo del Presidente Spacca che, ricordo bene, colpì, per i principi e le dichiarazioni di impegno in esso contenute, anche il sottoscritto che offrì al pari di altri Consiglieri di opposizione la collaborazione nel realizzare alcuni di quei condivisibili progetti.
Sono passati due anni da quelle dichiarazioni e possiamo affermare con certezza che nessuno di quegli impegni assunti da questa Amministrazione sono stati realizzati né potranno essere mai raggiunti perché la stessa Regione Marche dimostra di non volerli realizzare.
Al pari del Governo Prodi, che presentò un programma di 281 pagine, successivamente ridotte a 56, per finire sintetizzate in una sola facciata in 12 punti di cui nessuno rispettati fino ad oggi, la Giunta Spacca ha realizzato un Piano sanitario di 1700 pagine iniziali, successivamente ridotte in quattro versioni diverse tralasciando di volta in volta parti importanti ed essenziali per finire in un Piano sintetizzato in 308 pagine.
Questa Amministrazione nonostante le dichiarazioni di principio non ha ben chiaro il concetto di Stato di diritto e cioè quello di Stato fondato su regole legislative imperative e uguali per tutti, altrimenti non eluderebbe le norme regionali comprese quelle statutarie.
I principi ispiratori del Piano dovevano essere indicati e decisi dal Consiglio regionale ai sensi dell’art. 21 dello Statuto. I detti principi dovevano essere condivisi e concertati con tutti gli operatori del settore e con i Sindaci dei Comuni del territorio che avrebbero dovuto essere sentiti prima ancora della redazione del Piano sulle linee fondamentali, di indirizzo e sulle scelte decisionali e di priorità attorno alle quali comporre il Piano stesso.
Ciò non è avvenuto. Nessuno di noi può distrarre la propria attenzione dalla grave violazione al diritto e alle funzioni del Consiglio regionale che ormai da anni viene puntualmente perpetrata rendendo la stessa Regione un organo incapace di legiferare correttamente ed intervenire efficacemente sui bisogni e sui problemi collettivi.
Occorre evidenziare che non potendo la Giunta modificare una legge regionale con un atto amministrativo, nel caso di specie la l.r. n. 13, si è inventata la figura dell’area vasta alla quale tuttavia non ha potuto conferire alcun riconoscimento giuridico o autonomia patrimoniale. Sicché tale istituzione, non essendo un soggetto di diritto, non potrà incidere in alcun modo nella modificazione strutturale dichiarata in sede teorica e rappresenterà un ulteriore appesantimento, di fatto, della struttura sanitaria esistente incrementandone la burocrazia ed i passaggi amministrativi.
Allo stato, infatti, l’area vasta non potrà sostituirsi alle zone territoriali interferendo con esse senza avere poteri specifici. Più che di area vasta – mi si consenta l’espressione – dovremmo parlare di “aria e basta”, tanto è fumoso ed inconferente l’istituto menzionato che rappresenta, comunque, una deviazione ed un allontanamento rispetto ai principi dei servizi sanitari vicino al cittadino tanto decantati nel discorso programmatico da questa Amministrazione.
Non sarà sfuggita ai colleghi la gaffe in cui è caduta la Giunta nell’operare siffatto Piano. Infatti per prima è stata approvata la proposta di atto amministrativo n. 48 contenente la sostenibilità del Piano, l’innovazione, lo sviluppo dei servizi e del sistema e solo successivamente con la proposta di atto amministrativo n. 59 sono stati definiti gli obiettivi generali, le linee di intervento, di sviluppo e di programmazione. Un lavoro fatto alla rovescia dando priorità temporale al contenuto del Piano rispetto ai principi ispiratori di esso. La Commissione sanità ed il suo Presidente abilmente hanno tentato di coprire questo grave errore di fondo unificando d’ufficio le due proposte di atto amministrativo.
E’ talmente spregiudicata l’azione della Giunta che questo atto nelle sue linee essenziali è stato già ampiamente anticipato con due delibere della Giunta regionale, esattamente la n. 434 del 7 maggio 2007 e la n. 644 dell’11 giugno 2007, che seppur titolate “Definizione del processo di budgeting delle aziende, zone territoriali, presidi di alta specializzazione, dipartimento regionale di medicina trasfusionale e dell’Inrca”, di fatto anticipano chiaramente tutti i principali punti programmatici del Piano senza che esso fosse stato a quelle date redatto in forma definitiva e portato a conoscenza di alcuno.
Nella delibera della Giunta regionale n. 434 sono riportati chiaramente gli obiettivi del Piano sanitario regionale per gli anni 2007/2009, gli orientamenti, il ruolo di programmazione dell’area vasta, le linee di indirizzo e di controllo, fondando su di essi la programmazione del budget finanziario 2007 ed anticipando così, senza alcun titolo ed in spregio dei diritti del Consiglio regionale, la decisione sul Piano sanitario regionale. Alla luce di tale comportamento che senso ha chiedere al Consiglio oggi di esprimersi ed approvare questo documento?
Grande assente in questo Piano è la funzione di controllo della spesa sanitaria e la volontà di evitare le spese inutili e superflue nel settore per utilizzarle a fini di adeguamento delle strutture e dei servizi.
L’attività di controllo della spesa sanitaria non è stata mai esercitata. In violazione della l.r. n. 29/04 la Giunta non ha mai fornito i budgets di spesa all’inizio dell’anno né ha preteso che gli sforamenti di spesa delle singole zone territoriali rispettassero le previsioni di legge mediante rientro nel trimestre successivo allo sforamento, perché se ciò fosse avvenuto certamente non si sarebbe verificato il deficit sanitario del 2005 e quello del 2006 che è stato già individuato in 96 milioni di euro.
Ma che fine hanno fatto le previsioni di legge che dispongono, senza alcuna possibilità di deroga in caso di violazione, il blocco della spesa e l’immediata decadenza del rapporto con il direttore della zona territoriale? La legge vale solo per alcuni cittadini e non per i dirigenti della Regione Marche? Quale credibilità può avere questa Amministrazione che da un lato ci presenta un dettagliato elenco di errori, omissioni e fallimenti della gestione sanitaria degli ultimi anni rappresentando una situazione territoriale a dir poco preoccupante e dall’altro la stessa viene a farci un elenco di promesse in gran parte già ascoltate nel discorso programmatico due anni fa, senza alcuna indicazione precisa in ordine agli interventi concreti sul territorio ed in ordine alla copertura finanziaria delle spese necessarie a tali interventi?
Appare incredibile che chi non è stato in grado di contenere la spesa pubblica disapplicando le proprie leggi e il principio fondamentale che l’azienda sanitaria di per sé non può spendere ogni anno più di quanto ha introitato, venga con questo atto a rinnovare promesse senza fornire in concreto alcun serio elemento per la riduzione delle liste di attesa, per potenziare l’attività di prevenzione e di emergenza, per realizzare nei territori maggiormente carenti un minimo di assistenza sanitaria uguale per tutti.
In questo Piano i servizi sanitari non vengono erogati vicino al cittadino, è il cittadino costretto ad essere trasferito nei centri più adeguati alla sua cura, se farà in tempo ad arrivarci!
Gravi lacune e pesanti silenzi si riscontrano in questo documento sui criteri e sui modi di intervenire per il riordino del personale, sui criteri di eccellenza e sulla effettiva dislocazione territoriale dei relativi servizi, sul necessario adeguamento delle strutture sanitarie ancora oggi per l’80% inadeguate rispetto alle leggi in vigore – mi riferisco alla legge n. 626 e alla legge n. 20 -, sull’importante ruolo da assegnare al medico di famiglia rivalutandone la figura e le funzioni, sulla continuità assistenziale prestata dai medici del 118.
Lo stesso bacino di area vasta introdotto dal Piano è da considerare puramente accademico in quanto privo di qualsiasi rilevanza o riconoscimento giuridico nonché in contrasto con il contenuto normativo della l.r. n. 13/2003.
La mancata individuazione di precise responsabilità, il mancato riferimento a qualsiasi forma di finanza di progetto per la riqualificazione strutturale degli ospedali, la mancanza di criteri di selezione dei primari e del personale sanitario e la mancata individuazione degli interventi realizzabili tra quelli contenuti nel vecchio Piano sociale, rendono questo documento assolutamente fumoso e generico, in grado di aggiungere ulteriore confusione e disordine nella delicata materia sanitaria.
Una certezza invece questo Piano dà al cittadino, quella dell’introduzione dei tickets sanitari sulle prestazioni di pronto soccorso e diagnostiche, che graveranno ulteriormente sulla tasca dei marchigiani unitamente ai deficit della gestione sanitaria che di anno in anno continueranno a sommarsi al già pesante debito della Regione.
Ma non finisce qui, attendiamoci anche una tassa di scopo per garantire i servizi alla non autosufficienza! Tasse su tasse questo è il vero incontestabile primato di questa Amministrazione!
Da non trascurare, infine, è la configurazione di una delega in bianco contenuta nel documento a favore della Giunta regionale per poter effettuare non solo tutte le modifiche che riterrà opportune all’organizzazione regionale della sanità, ma anche per intervenire senza controllo preventivo del Consiglio o della Commissione su tutti i settori e i principi non codificati dettagliatamente dal piano attraverso l’uso delle cabine di regia, scatole vuote senza responsabili, previste dal Piano stesso quale ultimo tocco illusorio agli occhi dei cittadini.
Dopo tanti anni di cattiva gestione del servizio sanitario e di promesse ci attendevamo qualcosa di più che semplici dichiarazioni di principio non seguite da precise indicazioni sui modi, tempi e risorse economiche necessarie alla realizzazione del Piano.
Non occorre un documento siffatto per eliminare le liste di attesa, basta disporre turni del personale infermieristico e medico per l’esecuzione delle diagnosi più richieste. Qui, come sempre, è mancata la volontà di affrontare decisamente il problema più importante della sanità pubblica rappresentato dalla mole di assunzioni inutili volute dalla politica di questi ultimi anni che ha pesantemente interferito sulla funzionalità e sulla capacità operativa delle strutture.
Mi domandava ieri un mio concittadino: cosa cambia per la provincia di Ascoli Piceno con il nuovo Piano sanitario, quali novità concrete saranno introdotte? Nulla, ho risposto. Come sempre sono vane promesse e stavolta è caduta anche la speranza di un cambiamento nei prossimi tre anni!
Non è stato affrontato in questo Piano neppure la riduzione della burocrazia amministrativa che oggi è in grado di paralizzare per un anno l’acquisto di un macchinario pur avendo a disposizione tutti i fondi necessari.
Vani sono stati gli accessi della Commissione sanità negli ospedali di San Benedetto ed Ascoli perché, nonostante lo stato di arretratezza delle strutture, dei macchinari e dei servizi, tutto è rimasto tale e quale, nessun particolare intervento o stanziamento è stato previsto. Tutto viene rinviato a futuri interventi e decisioni della Giunta. La Tac a San Benedetto del Tronto verrà acquistata grazie all’economia di spesa della zona territoriale ed in gran parte grazie alla donazione della Fondazione Carisap di Ascoli Piceno.
Per questo non dobbiamo certo ringraziare la Regione Marche che continua a stanziare sempre le solite somme per una zona territoriale che ha bisogno invece di massicci interventi per ripristinare in loco quel servizio sanitario minimo essenziale atto a garantire il principio di equità di trattamento per tutti i cittadini dell’intera regione.
Un Piano che non si impegna nella previsione di nuove Rsa per anziani nell’area vasta della provincia di Ascoli Piceno, né indica la collocazione. Non prevede strutture riabilitative per anziani e non autosufficienti, non prevede e non indica tempi, modi e numero di specializzazioni all’interno dell’area vasta da realizzare presso i presidi ospedalieri, specie in riferimento ai presidi interni del territorio. Non prevede i modi ed i tempi per la riconversione delle attività nei piccoli ospedali. Alimenta il sospetto di essere un documento più aleatorio che reale, più teorico che pratico, più inutile che realmente utilizzabile per migliorare la nostra sanità.
La demagogia è l’asse portante del Piano che da un lato dichiara di voler mantenere e potenziare la strategia regionale per la qualità e la sicurezza dei servizi già impostata con i Piano precedenti – come se realmente sia mai stata realizzata o individuata una tale strategia – e nel contempo mette in campo come strategia attuativa quella di definire successivamente gli obiettivi di qualità del sistema, evidentemente ancora oggi ignoti alla stessa Amministrazione regionale.
I sevizi diagnostici in area vasta come verranno organizzati e con quali fondi? La specializzazione di neurochirurgia necessita di autonomia ed organizzazione nell’area vasta ascolana in collegamento con l’ospedale di Torrette, ma se questo Piano non è neppure in grado di definire la natura giuridica dell’area vasta, cosa possiamo attenderci in futuro? Con quali fondi verranno rinnovati i macchinari e le attrezzature diagnostiche soprattutto nella radiologia delle strutture sanitarie?
Concludendo, al di là delle belle frasi e dei bei principi ispiratori, mi domando come possono i cittadini dare fiducia a questo Piano che è di apparente rinnovamento, e ad una Amministrazione costituente continuità politica delle precedenti, che negli ultimi quindici anni hanno portato alla disfatta del servizio sanitario nei territori esterni alla provincia di Ancona?
Mi auguro di sbagliarmi e di essere contraddetto nei fatti dalla futura operatività della Giunta per il bene dei cittadini e delle nostre realtà sofferenti, ma visto ciò che abbiamo sotto mano è più facile vincere al totocalcio che si avveri questa speranza.

Presidenza del Vicepresidente
Roberto Giannotti

PRESIDENTE Ha la parola il Consigliere Massi.

Francesco MASSI GENTILONI SILVERI. Mentre ascoltavo il relatore di maggioranza mi veniva in mente una frase che sia D’Ambrosio nello scorcio finale della legislatura sia Spacca durante la campagna elettorale e all’inizio legislatura hanno sempre pronunciato, hanno sempre vantato il fatto che la Bocconi avesse molto apprezzato il sistema gestionale, strategico e direzionale dell’Asur. Non so in quali termini perché, pur frequentando per diversi motivi anche io la Bocconi, non sono riuscito a capire chi si interessasse dell’Asur Marche. Si diceva che l’Asur era stata molto apprezzata come modello unico, non so se originale o se ci fosse qualcosa di inferiore, comunque il nostro modello era piaciuto molto. Io ho molta stima della Bocconi, ripeto, non conosco le valutazioni che ha dato, però mi ha molto incuriosito questo apprezzamento.
La domanda che faccio ora è questa: se portiamo le oltre 300 pagine alla Bocconi, Assessore, che cosa diranno di questo Piano? Io dico la mia, alla Bocconi sono fissati con un detto, con una procedura che è sempre quella: chi fa che cosa, dove, come, quando e con che.
Diciamo all’osservatore, addetto ai lavori o no, che ha curiosità di capire dove andiamo con il Piano, che non c’è la risposta immediata – mi sia passato il concetto –, come hanno detto tutti i colleghi.
Ripeto – è presente anche il dott. Ruta – che a mio avviso le 1.700 pagine costituivano un ottimo lavoro di monitoraggio, di studio, di comprensione, di determinazione anche delle dinamiche, di tutto quello che avviene nella sanità, per la sanità e con la sanità nella nostra regione, tanto è vero che c’era anche una nostra proposta di considerarlo allegato e premessa al Piano, poi se ci sono problemi tecnici per farlo ci adegueremo, come minoranza però avevamo questa intenzione. Quindi era stato fatto un ottimo lavoro.
Si è fatto poi un lavoro di sintesi che ci ha un po’ disorientato per i cambiamenti repentini avvenuti giorno per giorno, quindi adesso ci chiediamo dove si va, con quali strumenti, pur riconoscendo che c’è nelle scelte e negli obiettivi un indirizzo che condividiamo, ma che ci preoccupa quando non capiamo concretamente cosa avverrà sul territorio nei prossimi anni.
Il contesto è di quelli difficili, perché nonostante la comprensione per l’omologo colore tra centro-sinistra marchigiana e centro-sinistra nazionale, nonostante questa vicinanza mi pare che di risorse non ne avremo moltissime nei prossimi anni.
Quindi la difficile situazione economico-finanziaria è naturalmente un contesto di preoccupazione.
In questi giorni sono intervenuto anche sulla presunta chiusura dell’esercizio 2006, lo sbilancio che ci sarà mi pare debba essere attribuito al fatto che nelle previsioni sono stati sopravalutati i ricavi, Assessore. Capisco che non ne dobbiamo parlare oggi e se la mia previsione, che è abbastanza funesta, verrà smentita sarò il primo a riconoscerlo, perché questo non fa piacere. Ho l’impressione, però, che la previsione dei ricavi sia assolutamente sballata, per cui se la chiusura è su quella cifra che ho detto si apre un contesto, uno scenario estremamente preoccupante.
Nelle vicende del Piano, prima ancora di parlare di reparto, servizio, offerta, qualità, professionalità, ecc., è chiaro che tutti quanti siamo un po’ attratti dalla discussione sul meccanismo, sul sistema strategico, direzionale, programmatorio, gestionale, di monitoraggio, di controllo di gestione, di controllo degli obiettivi, dei risultati, ecc., cioè Asur-area vasta.
Tutti i colleghi ne hanno parlato, non voglio tornarci sopra, ma permettetemi di dire questo. Il Consigliere Cesare Procaccini e anche gli amici e compagni della sinistra antagonista, hanno sottolineato che un’organizzazione su base provinciale sarebbe stata preferibile. La sinistra antagonista ha detto di condividere l’organizzazione su base provinciale. Mi permettete una battuta? Non fate le Asl provinciali perché l’abbiamo proposto noi! Capisco che in politica si fa anche questo. Assessore, la campagna elettorale del 2000 di D’Ambrosio era basata su questo. E’ andato Melappioni a fare l’Assessore alla sanità per un anno e avete detto questo, poi all’improvviso è arrivata l’Asur e noi abbiamo chiesto le Asl provinciali, voi, oggi, sareste anche tutti d’accordo per le Asl provinciali, ma non lo fate per una questione di principio. Non mi scandalizzo per questo, sto in politica da tanti anni quindi so che c’è anche un gioco a rimpiattino.
Sono partito da questo per dire agli amici e ai compagni della maggioranza che ci dovete far capire nelle prossime ore su cosa sarete in grado di fare un’apertura, anche sul meccanismo gestionale, fare un ordine del giorno che preveda una programmazione, anche normativa, sull’area vasta nei prossimi mesi con un tempo che ci possiamo dare sull’organizzazione della stessa – parliamo di area, tanto di Asl provinciali non ne volete sentir parlare! – con cui arrivare ad una definizione più precisa, tecnica, giuridica, programmatoria, di operatività sul territorio di area vasta e dei suoi modi di controllo attraverso la Conferenza dei Sindaci. Quindi questi meccanismi. La fate questa apertura? Siete in grado di farla oppure no? E’ una domanda per ora retorica, non voglio la risposta adesso, ma pensateci, dormiteci sopra, perché tutto potete dire in questa fase meno che la minoranza non sia stata costruttiva. Vi chiederei di non dire in nessun momento che qui c’è stata una volontà dilatoria, ostruzionistica e non costruttiva.
Avete degli emendamenti presentati dalla minoranza di estrema qualità che, certo, hanno anche la tendenza di cercare di ancorare la programmazione, anche quella dei principi, che quasi tutta si può condividere, ma che occorre calarla nel territorio e dare risposte ai nostri cittadini su quello che saranno i reparti, i servizi, la qualità o no, le eccellenze sul territorio.
I nostri emendamenti sono rivolti a chiarire il più possibile su cosa vogliamo sul territorio e soprattutto su cosa volete.
All’amico Luchetti, che viene dall’esperienza del sindacato, voglio sottolineare una frase angosciosa riportata nelle audizioni delle quali avete detto tutti di essere estremamente soddisfatti, anche l’Assessore – lo capisco, per carità – che ne ha dato un giudizio trionfale. Ricordo che Cgil, Cisl e Uil, che sono i sindacati in maggioranza vicini a tutti noi, e anche gli altri che non cito, hanno parlato di: liste di attesa, non autosufficienza, rapporto pubblico-privato, integrazione socio-sanitaria, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, rete informatica, per tutto questo dove sono le scelte, gli obiettivi, i vincoli e le risorse? Questo ve lo hanno chiesto nelle audizioni e non credo che oggi riusciremo a dare con precisione queste risposte.
Vado rapidamente su alcune questioni che riguardano il territorio.
Da questo Piano, se la Regione ha quell’autorevolezza, che a tutti interessa, come soggetto di legislazione e programmazione, deve partire anche un messaggio – caro Presidente Luchetti e caro Assessore – con il quale non si cerchi di dividere per bande e su pregiudiziali geografiche la nostra cittadinanza, gli utenti, gli operatori, la sanità, i primari, i tecnici, i sindacati.
Quando si parla di oncologia a Macerata e arrivano lettere dagli oncologi dell’altra regione che considerano un’usurpazione l’aver sottolineato l’eccellenza di questa oncologia, diamo il via, per le non risposte, ad una lotta pregiudiziale di campanile – oggi questo lo dovremo dire anche per aree geografiche provinciali nord e sud –, e se diamo il via a questa lotta l’autorevolezza di questa Assemblea fa un passo indietro. Mi rendo conto della impopolarità di certe decisioni, ma se ci fossero decisioni e chiarezza sul territorio sappiamo pure che l’impopolarità o i meriti verrebbero insieme condivisi, maggioranza e minoranza, solo però se vengono fatte le scelte.
Entroterra. Quali sono le scelte per i cittadini dell’entroterra? Chi chiude, chi apre, chi si ridimensiona, chi cresce, chi cala? Qui non lo diciamo! Un episodio come quello che si è verificato il 1° luglio dell’anno scorso – il dott. Ruta non c’era – quando con una circolare del direttore di Zona si sono chiusi i reparti di pediatria, ostetricia e ginecologia a Recanati, dicendo che dovevano chiudere d’estate altrimenti i servizi sulla costa non sarebbero stati assicurati, è una cosa che se programmata io l’accetto. E’ chiaro che nel nostro entroterra collinare in estate c’è lo spopolamento a favore della costa, ma vogliamo scrivere qui un principio che dice questo? Altrimenti andremo a una procedura tipo quella quando il direttore di Zona, probabilmente in buona fede, ha fatto sapere al Sindaco dal giornale che sarebbero stati chiusi quei reparti dalla mezzanotte del giorno stesso! Quindi dovremo scrivere che questi ospedali che sono a ridosso della costa che però sono zona collinare, la cui popolazione si spopola d’estate, dovrebbero in qualche modo garantire i servizi per quella popolazione costiera che d’estate triplica. Possiamo scriverlo, possiamo preparare il nostro territorio, i nostri servizi, i nostri utenti anche a questo? Basta scriverlo, non mi pare che sia difficile.
Di cosa non ci fidiamo? E’ stato detto qui – e per qualcuno è sembrato polemica, ma non è, vogliamo criteri precisi con cui un direttore di Zona – guidato o no politicamente non mi interessa – non può fare da solo, ma deve seguire principi e criteri precisi, sui tempi, sui modi, sulle risorse, ecc..
Questo non mi pare che sia difficile scriverlo, poi è chiaro che se scendo nel mio territorio maceratese e sento dire che altre zone vanno sviluppate e quella dell’area vasta 3 va invece normalizzata, mi si deve spiegare che cosa significa la normalizzazione integrata, ecc..
E’ vero, dott. Ruta, quello che hanno detto osservatori attenti di questo Piano e noi che siamo in minoranza abbiamo avuto la sensibilità di ascoltare anche con una certa preoccupazione. E’ chiaro che questo Piano, come è stato costruito, fa un’analisi impietosa di quello che c’è stato fino adesso, Presidente Luchetti, e soprattutto su quello che riguarda le mobilità passive dei territori al confine nord e sud. L’analisi è impietosa, l’analisi è completa, ma io non ne capisco le motivazioni, cioè perché da Pesaro vanno a Rimini e perché da Ascoli vanno a Teramo o a Chieti, posso solo intuirlo.
L’analisi obiettiva possiamo non scriverla? Rimane un documento riservato? Era l’obiettivo degli ultimi sette-otto anni che sono stati obiettivi falliti?
Dovreste capire che per dare un giudizio completo occorre capire anche questa fenomenologia, certamente non basta il registrare che ci sono primari non nominati, guardie notturne che non sono coperte, guardie chirurgiche e guardie mediche non coperte, è chiaro che la gente emigra. Credo, quindi, che occorre un’analisi più precisa e più profonda.
Due ultimi concetti prima di concludere. La risorsa umana. Condivido quello che, in maniera come al solito sanguigna, ha detto il Consigliere Giannotti, io lo dico in forma più moderata, ma lo dico con altrettanta fermezza. In altri momenti e con altri slogan e con altri metodi avremmo dovuto dire “giù le mani dalla sanità”. Questa è una predica che faccio a me stesso e che faccio a tutti. Giù le mani dalla sanità significa fuggire da qualunque tentazione di manipolare nomine per colore o simpatia di partito o di coalizione o personale. Nella sanità non si può scherzare, perché se alla guardia medica notturna alla fine ci va quello che è stato raccomandato, ma che non distingue un dolore al gomito da un reumatismo a un infarto, abbiamo fallito tutti quanti! E purtroppo questo è avvenuto, sapete quante tragedie sono avvenute, non so quantificarle, ma anche se fossero solo dieci è comunque una cosa inaccettabile!
Allora “giù le mani dalla sanità” significa darsi meccanismi di selezione delle professionalità, dei meriti, delle capacità scientifiche, delle esperienze personali, del bagground di coloro che mettiamo a guidare i nostri reparti, significa farlo con obiettività e affidandoci alle persone che scientificamente, obiettivamente, equilibratamente, serenamente possono fare la migliore selezione.
Noi abbiamo bisogno di questa qualità. Voglio aggiungere una cosa, quando li mettiamo dentro in giovani nella nostra sanità? Dottor Ruta, non so se su questo ci sia una statistica, ma credo che abbiamo del personale nella sanità, anche se con grande merito, che si sta un po’ invecchiando. Ci sono giovani medici, quelli che secondo le capacità possiamo metter dentro, che potrebbero essere presi, per affiancare i primari, dalle università subito dopo la laurea – come è stato per ogni carriera brillante -; non vedo, invece, che per questo c’è un grande rinnovamento, non vedo facce giovani in giro per la nostra sanità.
Quindi pongo il problema della formazione e dell’alta istruzione per immettere forze fresche nella sanità regionale.
L’ultima cosa riguarda il rapporto con i privati, qui lo dico affettuosamente all’amico compagno Cesare Procaccini che dipinge una sanità pubblica assediata dal capitalismo.

PRESIDENTE. Ha ultimato il suo tempo Consigliere Massi.

Francesco MASSI GENTILONI SILVERI. Concludo. L’assedio del capitalismo non lo vedo, ma parliamoci chiaro, vedo l’assedio della politica che non è produttivo. Nei rapporti con i privati, con le strutture e i laboratori privati, con le cliniche private, ed io, come cittadino, chiedo una cosa, Assessore – e se il Consigliere Procaccini voleva dire questo sono d’accordo –, come regoliamo questo rapporto? Trasparenza, luce del sole, regole sulla qualità e sull’eccellenza. Io sono per la sussidiarietà, dove la struttura pubblica non arriva il privato lo vado a cercare. Se per il cittadino il privato riesce a dare un servizio migliore io non ho nessuna pregiudiziale. Occorrono regole certe, controllo del pubblico sulla qualità, sull’attrezzature medico, diagnostiche, scientifiche e tecniche, sulle professionalità del privato con il quale vado a convenzionarmi, sulle tariffe che possiamo concordare. Questa apertura alla sussidiarietà ci vuole. Quindi io chiedo non pregiudiziale nei confronti del privato laddove integra e dà sicurezza e qualità agli – parlo per un sistema sanitario regionale –. Perché se questo non è si apre un altro scenario, che è quello della trattativa nascosta, alcuni sì e alcuni no, quelli sono amici più vicini e quindi li convenziono, quegli altri no, pubblicamente non ci sono le regole condivise e valide per tutti. E’ questo che mi preoccupa ed è questo il tipo di rapporto con il privato che mi allarma, come dice Procaccini.
Quindi se possiamo chiarire anche questo aspetto è importante. Perché per me la qualità è pubblica o privata; il cittadino comunque dobbiamo garantirlo e se il convenzionamento con il privato serve a ridurre le liste di attesa e se fatto con la qualità e con regole certe mi va bene.
Quindi in questo Piano, secondo me, ci sono delle carenze che riguardano questo aspetto.
Mi auguro che in queste ore sia possibile, al di là della votazione favorevole, contraria, o astenuta, poco interesserà al cittadino questo, se non capire cosa diamo ai nostri territori e cosa abbiamo programmato e capire la volontà della maggioranza di confrontarsi per dare un segnale di disponibilità, di equilibrio e di serenità nella gestione di questo sistema.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere D’Anna.

Giancarlo D’ANNA. Di cose ne sono state già dette tantissime, sicuramente emerge ancora una volta una completa divisione tra le scelte della maggioranza e le proposte dell’opposizione.
Mi viene in mente un episodio che è successo di recente ad un cittadino, che mi ha informato, che vive sulla sua pelle un problema serio, la sclerosi amiotrofica laterale – ho presentato anche una mozione in tal senso –. E mi chiedo se in tutto questo malloppo si sa che un cittadino può trovarsi anche in una situazione nella quale si deve, per ottenere dei medicinali, rivolgere ad un avvocato, questo va poi in tribunale che decide di condannare lo Stato o la Regione, e solo alla fine questa persona riesce ad avere i medicinali. Questa è una cosa che ci chiarisce con molta crudezza quello che può succedere nel settore sanitario. Grazie a Dio non sono tutte cose di questo genere, ma è evidente che c’è uno scollamento tra chi scrive e chi vive sulla propria pelle i problemi della sanità tutti i giorni.
Non a caso quando ci si incontra per strada e ci si chiede come va, rispondiamo “basta che c’è la salute”, il che indica che c’è molta attenzione a quello che succede sul territorio per quanto riguarda il discorso della sanità. Ma qui le risposte non sono arrivate.
Ho partecipato, come altri colleghi, a diversi incontri che si sono tenuti nella mia provincia e ci siamo sentiti dire che verrà valorizzato tutto l’esistente, ma non riesco a capire come si fa all’improvviso a valorizzare tutto quello che nel corso degli anni in alcuni casi scientificamente è stato distrutto o comunque messo in condizione di non crescere più, nonostante gli interventi successivi.
Mi domando come verranno riprese le problematiche di alcune strutture sanitarie dell’entroterra che sono state svilite nel corso degli anni, mi domando come si andrà ad incidere sulle realtà della costa – mi riferisco campanilisticamente alla mia provincia – dove, come ha anticipato il Consigliere Giannotti, sia nella realtà di Fano che in quella di Pesaro, ma questo vale anche per l’entroterra, nel corso degli anni i primari non sono stati mai sostituiti. La mancata sostituzione di primari con primari di altrettanto valore, o anche superiori, ha fatto sì che quel 17% di mobilità verso altre regioni crescesse e si moltiplicasse. Questo perché quando un primario si sposta da una realtà all’altra, i pazienti lo seguono dove viene destinato anche fino in Puglia o in Sardegna e se va in pensione preferiscono affidarsi a qualcun altro. Questo significa che sono stati fatti degli errori madornali, che non c’è stata una scuola, che non è stata creata una continuità tra chi ha lasciato per motivi anagrafici o chi è stato trasferito da qualche altra parte.
Le strutture sono state abbandonate a se stesse. Faccio l’esempio, per l’ennesima volta, dell’ospedale di Fano, per il quale sono stati investiti miliardi per un nuovo padiglione dove ci sono delle pareti in cartongesso, sulle quali vengono addirittura appoggiati i lavandini, che puntualmente cedono. Ci sono capitato per motivi familiari un anno e mezzo fa e all’interno di questo ospedale c’erano più manutentori che infermieri. Questo vuol dire che i lavori sono stati fatti male – vorrei ricordare che quei lavori erano stati fatti perché c’erano degli ascensori nei quali non potevano passare le portantine –, non c’è stato nessuno che si è preso la briga di verificare chi ha sbagliato e soprattutto chi deve pagare per quello che è accaduto.
Se abbiamo sei camere operatorie che da diversi anni sono chiuse, cosa vuol dire? Che non ci sono i soldi o non c’è la volontà? Andiamo a integrare i due ospedali, benissimo, ma non si possono svilire quelle due realtà e insieme a quelle anche tutte quelle dell’entroterra per poi dire “adesso facciamo l’ospedale unico”. L’ospedale unico cosa vuol dire, che facciamo un nuovo ospedale anche dal punto di vista strutturale? I soldi dove sono? Magari smobilitiamo gli ospedali di Fano, di Pesaro e il centro della città, e si va con la speculazione edilizia. Chiedo l’attenzione degli amici comunisti, perché quando si parla di ospedale unico, anche nella mia provincia, molto spesso vuol dire che qualcuno ha messo gli occhi non tanto ai problemi della sanità, ma ad alcune localizzazioni importanti nei centri della città dove la speculazione edilizia va ad incidere, con la scusa di un nuovo ospedale e di una nuova struttura, come è già successo da altre parti. Su queste cose bisogna essere seri!
Poi se vogliamo parlare di integrazione funzionale, bene, sono anni che lo dite, fatelo! Nel Piano c’è di tutto e di più!
Il Piano, caro Assessore, è una sfera magica all’interno della quale c’è tutto, all’interno della quale voi vedete tutto, all’interno della quale voi risolvete i problemi che il Piano precedente ha creato! Ha ragione chi dice che questo Piano è la certificazione del fallimento di quello precedente. Dentro questa sfera di cristallo vorrei capire chi farà il mago Otelma, se l’Assessore o il dott. Ruta, che dovrà convincere la gente che dentro questa sfera magica del Piano c’è tutto.
Ma dove è la soluzione dei problemi del disagio mentale all’interno di questo Piano?
Le lettere di protesta da parte di numerose associazioni che avete ricevuto come Consiglieri regionali sono la certificazione che anche quello che voi chiamate un Piano condiviso e discusso, fa morire dal ridere! Anche io sono stato alle audizioni – le ho criticate prima e a maggior ragione le critico oggi –, quelle audizioni sono state una farsa perché il livello di attenzione su quello che diceva la gente in una parte di questa Aula, era pari a quello che c’è a volte in quest’Aula quando parla qualche consigliere dopo gli interventi di coloro che hanno esposto il Piano.
E’ stato detto che al centro del Piano c’è il cittadino, sicuramente c’è il cittadino al centro di una grossa confusione, lo stesso cittadino che poi si trova ad avere delle liste di attesa molto lunghe. Anche sulla veridicità di queste liste di attesa bisognerebbe qualche volta fare un po’ di chiarezza. Mi domando quale tipo di controllo viene fatto nelle liste di attesa per verificare se tutti quelli che sono in queste liste sono persone che hanno fatto richiesta. Mi sembra impossibile che da decenni non si riesca a smaltire questa lunga attesa, nonostante l’impegno che, avete detto, portate avanti in continuazione. Poi, guarda caso, privatamente la visita si ottiene in pochi minuti.
Si parla di area vasta, anche qui torniamo un po’ al passato, cambia il nome però la “ciccia” è sempre quella.
Sicuramente di vasto c’è il deficit che c’era prima e che nessuno nel dettaglio ci specifica come verrà coperto. Non ci viene specificato, soprattutto, quali saranno le conseguenze di questo nuovo Piano, dove è stata data “carta bianca”, cioè che non va a specificare le problematiche che si vogliono risolvere.
Ci sono anche altre serissime problematiche che sono di una gravità inaudita. Penso al fenomeno della tossicodipendenza, non vedo delle grosse soluzioni a questo che è un problema che scandalosamente viene sottaciuto, le nostre città stanno diventando dei covi di banditi che vengono dall’Italia e dall’estero e che stanno minando la nostra gioventù. Sia dal punto di vista sanitario che dal punto di vista del controllo c’è una situazione dove corriamo il rischio, se già non l’abbiamo superato, di diventare ospiti a casa nostra. La malavita che è dietro lo spaccio di droga sta crescendo e ci sono fenomeni molto preoccupanti nelle nostre città. Non sottovalutiamolo questo, invito il Presidente Spacca, che ora non è presente, ad attivare in un modo diverso l’Osservatorio sulla sicurezza, altrimenti si correrà veramente il rischio di trovarci in situazioni non più gestibili.
Torno al discorso della sanità. Dal territorio sono emersi dei segnali preoccupanti su questo Piano sanitario. Molte associazioni lo hanno già certificato, altri, compresi alcuni medici, se ne stanno zitti. Questo francamente mi colpisce un pochettino, forse qualcuno aspira a diventare primario, quindi è meglio che se ne stia zitto! Qualche volta dà anche fastidio sentire il medico in privata sede che dice una cosa poi alle riunioni dà la paccatina sulle spalle all’Assessore o al Presidente della Commissione, salvo rifarsi magari quando il collega viene promosso al suo posto!
Comunque dei segnali di disagio forte ci sono. Nella mia città per il rilancio dell’ospedale in poche settimane si sono raccolte 5.000 firme e altrettante sono state raccolte a Pergola e sono sicuro che se ne raccoglierebbero altrettante a Fossombrone, a Urbino o in qualsiasi realtà, perché la gente sente questo problema.
Se questa Aula non è capace di dare delle risposte concrete alle esigenze che vengono dal territorio non ci si può aspettare che poi la gente rimanga, perché una volta la gente firma, la seconda protesta, alla fine potrebbe protestare anche in modo eclatante. Sicuramente io sono dalla parte di chi protesta.
Quando si dice che verranno valorizzate tutte le strutture esistenti, Presidente, Assessore e dott. Ruta, diteci quali, diteci come! Se questo verrà fatto è chiaro che si potranno aprire anche discorsi e percorsi con la collaborazione del territorio, non basta dire a coloro che vivono nell’entroterra che ci sarà un secondo elicottero, perché così si risolvono solo parzialmente le cose. Diteci cosa accadrà per i presidi sul territorio che dite di voler garantire e dove dite di voler valorizzare le storture esistenti. Voi, invece, dite che prima bisogna approvare il Piano e che poi direte che cosa accadrà. Questo discorso a scatola chiusa a me non piace!
Anche per questo motivo, a parte gli emendamenti che ho presentato insieme ai colleghi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia, presenterò un ordine del giorno per avere delle delucidazioni e per spingere l’Amministrazione regionale a venire allo scoperto sulle problematiche specifiche del territorio nel quale vivo e che mi sento qui di rappresentare con forza. Perché se l’Amministrazione ha la reale intenzione di valorizzare le strutture esistenti, nessuna esclusa, e vuole dare la possibilità, come più volte viene enunciato, di garantire a tutti la certezza di essere assistiti nei tempi e nei modi dovuti, è un conto, altrimenti le 5.000 firme, più le altre 5.000, più tutto il resto del disagio che è emerso in queste ultime settimane, si trasferirà qua. Non si trasferirà qua solo con la presenza fisica del sottoscritto, ma anche con la presenza fisica di un territorio che nel Piano sanitario dovrebbe essere tutelato in tutte le sue forme attuali. Se questo non avverrà sicuramente sarò non solo portavoce, ma anche promotore di una manifestazione che si terrà ad Ancona, nella sede del Consiglio regionale, che vorrà capire se il cittadino è al centro dell’attenzione della Regione o se, invece, questa attenzione non c’è. E’ per questo che l’attenzione dei cittadini si rivolgerà al centro decisionale di questa Regione, così vedremo se la forza dei cittadini è più forte di quella delle lobby, degli interessi e delle facili promesse.

Presidenza del Presidente
Raffaele Bucciarelli

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Lippi.

Leonardo LIPPI. Questo momento vede l’espressione massima della politica sul nostro territorio. Con l’approvazione di questo atto amministrativo si evidenza in modo palese che in Italia l’attuale sistema politico è fallito, quindi c’è bisogno di una revisione generale. Si sta facendo molto, per rinnovarsi c’è una attività frenetica politica, ma questo lo dobbiamo fare velocemente perché la sfiducia che gli italiani hanno su questo sistema si ripercuote sull’intera classe dirigente e si evidenzia con palesi e continui attacchi nei confronti dei costi della politica, ricordati poc’anzi. Quindi la classe dirigente diventa poi un problema e non una risorsa per risolvere ciò che quotidianamente i cittadini ci sottopongono come temi di risoluzione.
Voglio precisare questa affermazione perché quando la politica è debole, e quindi il sistema politico, chi programma non riesce a controllare addirittura neanche quello che programma. Questo è quello che avviene in questo contesto.
Allora voglio chiedere con forza la riappropriazione di questo atto fondamentale di controllo sui sistemi di gestione di uno degli elementi che è l’84-85% della risorsa che questo Consiglio eroga nei budget annuali della somma complessiva di tutte le risorse disponibili per i marchigiani. Quindi l’effettiva salvaguardia e la tutela dei diritti dei cittadini che ci hanno eletto a rappresentarli in quest’Aula, che si reputano come i maggiori azionisti di questo sistema produttivo, in una materia dove la produttività diventa difficile da salvaguardare e da valutare.
Voglio chiedere con forza a chi programma e poi a chi dovrà attuare questo programma – perché la parte più difficile viene dopo, quella di tradurre in termini concreti tutte le iniziative di principio che sono scritte in queste 305 pagine, frutto di uno studio di 12.000 pagine di analisi fatte dal servizio sanitario – che venga garantita ad ogni cittadino l’erogazione dei servizi alla salute, indifferentemente dal luogo di residenza, con un’attenzione particolare a quei cittadini che presidiano aree disagiate ad economia depressa, onde evitare di impoverire ulteriormente queste popolazioni costrette ad investire risorse aggiuntive, rispetto agli altri cittadini della nostra regione, per la mobilità privata per recarsi ai servizi forniti nei centri maggiori.
Chiedo che vengano resi palesi i criteri oggettivi di valutazione dei processi di formazione della spesa, che sono fondamentali per chi programma, ma soprattutto diventano indispensabili per esaminare i risultati ottenuti, per conoscere in questo modo i livelli di produttività di una categoria che fa riferimento ad un giuramento fondamentale, come quello di Ippocrate. Questa categoria ce l’ha nel proprio bagaglio culturale, ma fa riferimento a dei modelli. Noi abbiamo dei pazienti che sono stati coccolati e curati secondo un modello paternalistico, oggi si vedono, invece, confrontati con un modello di rapporto contrattualistico, quindi cambia totalmente l’inversione e l’utilizzo delle risorse, umane prima ed economiche dopo, per la garanzia della salute.
Garantire i servizi in queste aree non produce solo costi, che sono facilmente quantificabili, ma si costruisce un sistema di prevenzione fondamentale prima di tutto per la salute, ma successivamente anche per il territorio e l’ambiente. Questo ha un valore immenso che non è quantificabile, oggi non è verificabile in termini economici. Questa produzione di risorse economiche va poi a beneficio anche delle aree più congestionate, quindi dove c’è la concentrazione massima di popolazione.
Garantire salute in queste aree, diventa un aspetto ancora più importante per una economia che sta cambiando nel nostro territorio, nella nostra regione e in quelle aree che assumono un’importanza fondamentale per un settore produttivo in via di espansione, cioè quello turistico – non vedo ora il Vicepresidente presente –. Perché un marketing territoriale che si basa anche sulla garanzia della salute in queste aree facilita l’incoming. Praticamente utenti molto attenti che vengono dalle nazioni più evolute che sono le più ricche, cercano tra gli obiettivi delle loro visite anche quelli di garanzia alla salute.
Quindi non possiamo permetterci di sguarnire di questi servizi aree importantissime a livello turistico-ambientale. Ecco la forte richiesta in questo settore.
Ho curato particolarmente questo aspetto perché ho voluto fare riferimento al mandato che mi hanno conseguito i Sindaci delle aree più disagiate e depresse, le aree montane. Porto questa contributo di richiesta a quest’Aula attenta, che sicuramente saprà cogliere quanto ho detto e tradurlo in atti concreti, nel proseguo della definizione dell’atto di programmazione, di investimento delle risorse su questo territorio.
Mi riservo, come ha fatto il mio capogruppo, di dare un giudizio complessivo sull’atto. Successivamente, dopo l’esame degli emendamenti – non ne abbiamo fatti molti, ma alcuni sono fondamentali – esprimerò il mio voto a questo atto complessivo.

PRESIDENTE. Ha la parola la Consigliera Mollaroli.

Adriana MOLLAROLI. Voglio intervenire su questo atto riflettendo su tre questioni specifiche, ma prima di questo vorrei esprimere un sostanziale apprezzamento per il lavoro prodotto facendo alcune sottolineature. Quella della serietà del lavoro fatto in Commissione, condotto dignitosamente dal Presidente Luchetti, che ha avuto un supporto molto serio dei collaboratori e dei funzionari della segreteria che sono stati sottoposti ad un lavoro molto intenso, e che voglio ringraziare, e la metodologia innovativa che è stata introdotta dal dott. Ruta e anche la pacata gestione politica garantita dall’Assessore alla sanità.
Debbo dire con franchezza che se vogliamo comunque risultati in tempi brevi, dopo la pausa estiva, bisognerebbe assolutamente lavorare all’applicazione del Piano, garantendo concertazione, tempi certi di realizzazione ed azioni precise.
Se con questo Piano vogliamo dare uno strumento fatto con le caratteristiche che ho appena descritte occorre però dare vita ad atti e azioni operative in tempi assolutamente brevi. Mi pare che, anche dopo la discussione che c’è stata questa mattina nella Conferenza dei Presidenti di Commissione e dei Capigruppo, si va verso questo orientamento.
Voglio riflettere su tre questioni che non sono di natura specifica, ma che richiamano grandi questioni generali: la mobilità passiva, la medicina di genere e l’economia sanitaria.
Sappiamo che questo Piano ha sue caratteristiche, seppure il testo che arriva dalla Commissione è unificato e fortemente sintetico, ma con i materiali sui quali la Commissione ha lavorato, quelli prodotti in una delle due versioni elaborate dalla Giunta, sono state consegnate ricchissime documentazioni.
Quindi noi abbiamo una fotografia dell’esistente, quali sono i servizi nella nostra regione, quali sono i punti di forza e di debolezza, quali sono i comportamenti dei cittadini marchigiani, che ci consentono veramente di avere strumenti di conoscenza come mai abbiamo avuto fino ad ora.
C’è un dato sul quale però voglio riflettere non tanto per i suoi aspetti economici, quanto per i suoi aspetti sociali.
Parliamo di mobilità passiva avendone quantificato i costi, che cosa significa per la nostra regione e quali comportamenti rileva. I dati quindi ci dicono chi utilizza il ricorso verso altre regioni.
Mi vorrei soffermare un attimo su questo. La fotografia dell’esistente della nostra sanità marchigiana ci dice che fuori regione, prevalentemente verso l’Emilia Romagna per quanto riguarda il nord delle Marche, e verso l’Abruzzo o altre regioni ritenute da un punto di visita sanitario più avanzate delle nostre, si rivolge un certo tipo di popolazione che è prevalentemente giovane ed istruita, mentre i nostri servizi territoriali sanitari di qualsiasi natura (chirurgica e specialistica) vengono utilizzati, pressoché in toto, dalla popolazione oltre i sessantacinque anni.
Rischiamo di avere nella nostra regione – questa è la preoccupatone che voglio esplicitare oggi – un rischio di incremento di forte disuguaglianze.
Sappiamo benissimo, perché ce l’hanno insegnato i maestri della storia sociale della medicina – mi riferisco a Maccacaro, una figura che ha scritto e operato nel nostro Paese negli anni sessanta e, oggi, al premio nobel per l’economia come Amartya Sen – che la malattia non è un problema individuale, ma è un problema sociale. Rischiamo oggi di avere nella nostra regione trattamenti diseguali e persone socialmente più attrezzate e più istruite che utilizzano servizi fuori regione. Resta e utilizza le nostre strutture una popolazione anziana, una popolazione che non ha altre opportunità culturali e sociali.
Credo che questa sia una lettura che dobbiamo aggiungere alla mobilità passiva che abbiamo fatto che è di natura prevalentemente economica o di insoddisfazione nei confronti dei nostri servizi sanitari.
Introduco questo elemento perché, credo, che il servizio sanitario debba avere un carattere universalistico, ma sappiamo anche che le differenze contano e alle differenze formali bisogna aggiungere quelle sostanziali, quindi vedo un forte pericolo nella nostra sanità marchigiana, vedo trattamenti di serie A e di serie B.
E’ una questione di una lettura che consegno alla discussione del nostro Piano sanitario perché per il centro-sinistra di questa Regione è una preoccupazione fortissima quella di non garantire qualità e pari opportunità nel nostro sistema sanitario.
Un’altra questione sulla quale riflettere e che è stata discussa in Commissione – ringrazio anche il Presidente relatore di maggioranza Marco Luchetti di averla menzionata nella sua introduzione di questa mattina – è quella sulla medicina di genere, una questione sulla quale abbiamo lavorato, alla quale ho lavorato anche personalmente sperando di rappresentare il punto di vista anche di altri Consiglieri regionali.
Anche qui l’interrogativo è questo. Uomini e donne sono uguali di fronte alla malattia? Uomini e donne sono uguali di fronte alle risposte di salute? Sappiamo che esistono diversità biologiche legate al sesso e diversità sociali legate al genere che ci fanno dire che così non è. Ci sono ormai studi abbastanza affermati da questo punto di vista, gli Stati Uniti è stato il primo paese che si è occupato di queste cose, oggi anche l’Organizzazione mondiale della sanità si è attrezzata con un apposito dipartimento che tratta la questione.
Sappiamo che le donne sono state trattate prevalentemente, anche nei servizi sanitari, considerando la loro dimensione riproduttiva e il funzionamento dei servizi legati alla maternità, legati alle patologie e legati a questo tipo di particolarità femminile, che ovviamente nessuno supererà mai. Oggi, però, essendo cambiata la dimensione della donna nella società, le donne non sono soltanto soggetto riproduttivo, ma sono anche soggetto produttivo e come tale vanno ampiamente trattate.
Mi riferisco in particolare a due questioni. La causa di morte principale della popolazione femminile sono le cardiopatie, così come sono fortemente in aumento le malattie legate allo stress e alla depressione. Queste patologie vengono oggi curate con farmaci e con terapie che sono testate esclusivamente su uomini. Occorre che la ricerca e anche le risposte alla salute si facciano carico di questo.
Sappiamo che il Piano cerca di far suo questo punto di vista e cerca di attrezzarsi per dare risposte più complessive.
Quindi ritengo che ci sono delle opportunità perché con il nostro Piano apriamo una strada che riconosce questa evidenza tecnico-scientifica e cerca di farla propria.
D’ora in avanti nella nostra Regione, lo abbiamo indicato nel Piano, dovranno essere raccolti tutti i dati riferiti alle patologie distinte per uomini e donne, abbiamo rafforzato i servizi alla maternità, che resta una grande questione insuperabile e ovviamente tipica del corpo femminile, ma abbiamo anche previsto servizi e strategie per altri momenti della vita e anche per venire incontro a queste patologie legate alla mutata condizione delle donne nella società di oggi.
Un’ultima breve considerazione sull’economia sanitaria, poi una battuta sulle questioni territoriali.
Molto spesso affermiamo che la spesa destinata alla sanità copre e muove una economia che se volessimo tradurre in cifre tratta oltre 2 milioni e 500 miliardi di euro, e credo che questo mio riferimento sia abbastanza in difetto.
Visto che spesso ci vantiamo di voler essere una Regione che fa propria l’eco-sostenibilità, vogliamo introdurre le questioni di uno sviluppo eco-compatibile, la tutela delle questioni ambientali. Abbiamo prodotto in questi anni programmi e progetti significativi, come è possibile, quindi, come non possiamo intorno alla sanità, rispetto anche alla masse di risorse che muove, non porci questi interrogativi: la sanità marchigiana muove un’economia che ha a che fare con la produzione agricola, con i prodotti alimentari? Potremmo indicare con forza che nelle nostre strutture, nei nostri servizi, si sostengono prodotti biologici? Si sostiene il commercio equo-solidale? Si sostiene la bioarchitettura nelle produzioni?. Si sostiene la riduzione energetica? Io credo che non possiamo non porci questi interrogativi e, a partire da un servizio che è gestito pressoché dalla nostra Regione, non interrogarci se le azioni che lì intraprendiamo e le economie che lì sosteniamo hanno queste caratteristiche.
E’ una questione che nel Piano abbiamo appena sfiorato, ci sono altre proposte di legge significative in questo senso, ma che voglio porre all’attenzione di questa nostra discussione, perché a me pare che se davvero affrontassimo con serietà, a partire dall’economia reale che muove il mondo della sanità, davvero potremmo dirci con più forza una Regione che fa proprie le questioni di uno sviluppo eco-sostenibile.
Alcune questioni che riguardano il territorio. Credo che questo Piano affronti, nelle azioni conseguenti che la Giunta dovrà fare con il concorso della concertazione del Consiglio e dei soggetti istituzionali, e preveda una risposta anche alla mobilità passiva, ma non solo per quello, prevede che vengano potenziate le aree di confine, quindi il nord e il sud delle Marche. Vedo profonde possibilità affinché nel territorio da cui provengo, la provincia di Pesaro Urbino, si proceda con convinzione verso un’integrazione funzionale delle principali strutture ospedaliere per fare in modo che ci siano per quel territorio e per l’insieme dei cittadini marchigiani risposte più adeguate rispetto a ciò che oggi intendiamo per ospedali per acuti; si ricollochino e si ridia la giusta funzione anche agli ospedali di polo che dovranno ovviamente procedere a delle differenziazioni, che sarà assolutamente inevitabile; si diano risposte a quelle grandi emergenze come la medicina riabilitativa e la non autosufficienza dove, è stato richiamato molte volte anche questa mattina, restano alcuni nodi irrisolti.
Quindi mi sembrano un po’ pretestuose le considerazioni che faceva il Consigliere Giannotti che ha cercato di responsabilizzare e criticare fortemente il Piano perché sostiene che non prevede risposte per il territorio della provincia di Pesaro. Quella che è stata offerta dal Consigliere Giannotti è una lettura sbagliata, superficiale, strumentale, perché, invece, il Piano prevede tutte le possibilità e il contesto giusto per affermare in quel territorio progetti di qualità che possano soddisfare le esigenze di una delle popolazione più significative dell’intera regione Marche.

PRESIDENTE. Ha la parola la Consigliera Romagnoli.

Franca ROMAGNOLI. Evito di ripetere le considerazioni soprattutto quelle tecniche. Le considerazioni politiche già svolte dai miei colleghi, in particolare dal gruppo di Alleanza Nazionale, hanno confermato la nostra avversità a questo Piano. Spostare esclusivamente il discorso sul tecnicismo di questo Piano è forse l’intenzione, lo stratagemma, la strategia di questa maggioranza, ma è un tranello nel quale non vogliamo cadere.
Tecnicamente è sicuramente un bel libro dei sogni, potremmo anche condividerlo, mi sembra peraltro molto simile a piani di produttività – ne parlava anche il Consigliere Brandoni – come quello della Lombardia, quindi di regioni più vicine a noi che alla vostra maggioranza, per cui di questo Piano possiamo anche condividerne le impostazioni.
Il problema è un altro, è politico, è della profonda condanna e della profonda critica che questo Piano, attraverso le parole di Ruta in particolare, contiene in tema di politica sanitaria, un operato di questi ultimi anni a totale, se non esclusivamente, gestione diessina.
Il problema è politico sull’applicabilità e sulle possibilità di attuazione che ha questo Piano.
Vorrei fare alcune brevi considerazioni politiche. Questo è un Piano che si pone in totale discontinuità con la politica sanitaria precedente, con gli Assessori tutti diessini che hanno incarnato e realizzato questa politica. E’ una sorta di controriforma che avrebbe potuto proporre il centro-destra, la minoranza. Non riusciamo a capire con quale marchingegno politico possiate far passare questo Piano in maniera indenne e indolore, o meglio, irresponsabile. Perché se tutto quello che avete detto sul Piano è vero, esiste anche un principio di responsabilità politica. Avete detto che è un Piano che parla di forti criticità, ne parla in ogni pagina, che parla di frammentazione e di inadeguatezza del sistema, che parla di fuga extra ed intra regionale, di mobilità alle stelle. Avete detto che è un Piano che individua zone come la mia, il fermano, addirittura con una delineazione pesantissima delle carenze ed analisi totale di inadeguatezza ai limiti del garantire i livelli minimi essenziali di assistenza. L’introduzione di aree vaste altro non è che la tacita e implicita affermazione dell’Asur, la sostituzione di tutti i direttori di zona fatta pochi mesi fa non è che la censura, la bocciatura di costoro, quindi della vostra politica regionale.
Se tutto questo è vero, così come il dott. Ruta, l’Assessore e gli estensori del Piano disegnano, se esiste un minimo di responsabilità politica e se l’irresponsabilità, che probabilmente allontana i cittadini da questa casta – in questo caso è veramente una casta –, se così fosse e se qualcosa esiste, dovreste essere in pochi a poter parlare in quest’Aula da questo momento in poi, perché io vedo le stesse facce, la stessa continuità. A fronte di una totale discontinuità del Piano vedo la continuità dei personaggi politici, vedo i Ds che hanno avallato per anni questa strategia localmente e a livello regionale, che impunemente e tranquillamente difendono ora il contrario di prima. Mi viene da dire che forse tra gli Assessori uscenti ha pagato solo Melappioni – e non lo dico, però così pare – perché è uno degli artefici che si sono susseguiti in queste stesure e che oggi voi, per vostra voce, per vostre parole, bocciate.
Potrei dire “contrordine compagni”, però vi va bene così, cercate di far finta che si vada avanti e che questo fallimento non appaia o sia mascherato da quella tecnocrazia – e qui veniamo al dunque – con la quale siete riusciti a fare un’ottima operazione di distrazione dai temi politici proprio in favore dei temi tecnici.
Avete usato, infatti, lo dico con tutto il rispetto, un eccellente tecnocrate come il dott. Ruta – che ora non vedo – che ha usato un altrettanto eccellente e sapiente linguaggio misto tra il dire e il non dire di questo Piano, che a tratti è un capolavoro di enunciazioni, ma che nello stesso tempo è una mancanza quasi assoluta di impegni precisi. Come diceva giustamente il Consigliere Massi, tutto quello con cui budgettiamo l’attività manageriale moderna, le famose risposte di dove, come e quando, qui nulla vede risposta.
E’ una sapiente elaborazione che ha seguito tutta una metodologia particolare, sicuramente strategica, sicuramente affabulante, si è partiti un po’ come le stesure de “I promessi sposi”, abbiamo avuto il “Fermo e Lucia”, il “Renzo e Lucia”, “Gli sposi promessi” e “I promessi sposi”, abbiamo avuto le 1.700 pagine, così a scendere, fino ad arrivare alle 300 pagine quasi con una sorta di liberazione.
E’ un Piano che alla fine ci va bene perché dal quello roboante a cui siamo stati abituati in questi ultimissimi giorni e mesi, perché è vero che è mancata la metodologia e la partecipazione vera, siamo passati ad un dimagrimento.
C’è stata sul territorio una strategia precisa, una serie di incontri dove – l’ho vissuto nel mio territorio, ma credo che sia avvenuto dappertutto – il dott. Ruta con fare affabulatore, quasi sempre seguito dall’Assessore, promettevano di tutto e di più. Si è raggiunta spesso una pace sociale e politica quasi soporifera. Dietro le richieste del territorio veniva risposto che tutto sarebbe avvenuto, in senso buono con una sorta di mercanteggiamento. Dove veniva chiesto: serve l’emodinamica? Serve l’autonomia? E veniva risposto: va bene o qui ci sarà questo concorso, ecc.
Queste sono state per buona parte le Conferenze dei Sindaci dove la politica mandava avanti soprattutto il tecnocrate, il dott, Ruta, – un po’ come Padoa Schioppa al Senato quando doveva parlare di Speciale – quasi a dire “queste cose dille tu poi sarà la politica a decidere in seguito, quando dovrà applicare questo Piano, a dire i “no” o a mettere i paletti”.
Un Piano che effettivamente consente a tutti di sognare e dove tutti ci possono proiettare quello che vogliono per essere felici, in qualche zona di più, in qualche zona di meno. Lo vedo anche dai tenori dei pochi interventi dei Consiglieri di maggioranza, ognuno sembra che abbia disegnato il suo piano. Se confrontiamo i resoconti di questa mattina non abbiamo l’impressione che si parli dello stesso piano perché ognuno ci vede quello che vuole, sembra che questo Piano strategico sia più di uno.
Questa cosa è voluta, è un modo per poter consentire, nella calura agostana, che tutti più o meno siano contenti e che ci sia la possibilità per ognuno di proiettare le proprie cose, senza garanzie, senza la possibilità molto spesso di poterle realizzare. In alcuni casi addirittura quello che è stato detto non viene in questa stesura minimamente riportato. Ci auguriamo che questo sia frutto di svista e che magari potremo ovviare con gli emendamenti.
Una preoccupazione riguardo a questa generalità ed evanescenza del Piano è quella che si presti, così come ognuno ci proietta quello che vuole, a delle sorte di trattative, non dico private, ma magari di corporazioni, perché effettivamente – bisogna dirlo, ho assistito a tutte le audizioni – c’è stata una condivisione di massima, da parte delle categorie e da parte degli ordini, che però prelude, a mio avviso, alla aspirazione di ognuno di poter poi trattare, fare e implementare come vuole. Ecco, allora a Macerata si pensa che possa venire qualcosa, Fermo pensa che nella trattativa il medico ics – perché anche questo sarà possibile – o l’ordine ipsilon potranno avere la loro soddisfazione. E se così sarà, sarà una gestione pericolosa, frammentaria, che di sicuro non va a dirimere quella frammentazione, quella polverizzazione, quelle duplicazioni di cui il Piano parla. Sarà forse una gestione clientelare? Mi auguro di no! E se così non è crediamo che il Piano rimanga un libro dei sogni e che rimanga probabilmente un Piano vuoto.
Ecco il dato politico. Perché dovremo dare, come centro-destra, come Alleanza Nazionale, fiducia, quindi una delega in bianco così come il Piano rappresenta, ad una classe politica dirigente che, con tutto il rispetto e per vostra stessa ammissione, ha fallito la politica sanitaria di questi ultimi anni e ha prodotto tutte quelle inadeguatezze e quelle criticità che il dott. Ruta con grande onestà e correttezza ha riportato nel Piano?
E’ sicuramente una cambiale in bianco, non meritate la fiducia per poter implementare questo Piano che diventa, se ci pensate, come un piano regolatore – facendo una comparazione con l’urbanistica – che però non ci dice in quali aree costruire, quali sono le aree progetto, quali quelle edificabili o quelle verdi. Tutto può essere tutto, poi si dà carta bianca al Sindaco per poter decidere se fare uno-due-dieci piani, la zona di completamento e le lottizzazioni, nessun sindaco meriterebbe tanta fiducia. E di sicuro non merita fiducia una classe dirigente che è recidiva da lungo corso e che ha dimostrato finora di aver fallito tutti gli obiettivi e i budget regionali in tema di sanità, sia questi indicati nel Piano sia quelli finanziari che non sto qui a ripetere.
Ecco perché, indipendentemente dalla possibilità che alcune questioni politiche del Piano vengano non emendate, ma chiarite, e mi auguro che in un colloquio tra maggioranza e minoranza possa questo avvenire, in particolare la funzione, lo sviluppo e l’evoluzione dell’area vasta, in particolare l’implementazione e la definizione delle cabine di regia e della Commissione consiliare, che credo debbano riappropriarsi, insieme al Consiglio, di un ruolo ben preciso nella gestione di questo Piano, il nostro giudizio sull’atto resta sicuramente negativo e non siamo, a differenza di altri colleghi e alleati, neanche in condizione di poterlo valutare.
Quindi il nostro giudizio è quello espresso dal capogruppo e quello confermato da me.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Favia.

David FAVIA. Il gruppo dei Popolari Udeur da me rappresentato voterà a favore di questo Piano perché, contrariamente alle lamentazioni dell’opposizione che ho sentito in quest’Aula, riteniamo che sia, se pur asciugato rispetto alla presentazione iniziale, assolutamente da approvare.
E’ un Piano che si ripropone un innalzamento della qualità delle prestazioni e un suo aggiustamento che non credo possa essere ritenuto un fallimento nell’ambito della sanità.
Come tutti sappiamo, la sanità delle Marche è la quinta d’Italia che poi è la seconda sanità pubblica al mondo. Quindi credo che, ringraziando tutti gli operatori della sanità che tra mille difficoltà quotidiane vi operano, nelle Marche abbiamo una sanità di buon livello.
Questo è un Piano che guarda alla mutazione della nostra società, siamo una delle comunità in cui si vive di più nel mondo, come dalle statistiche ultimamente pubblicate, quindi è un Piano che necessariamente si rivolge molto verso l’anziano.
E’ un Piano che si ripropone di risparmiare attraverso una rete di ospedali di rete, puntando sull’area vasta che, come abbiamo sentito, non vuole essere una nuova organizzazione strutturale, ma solo una nuova organizzazione funzionale, puntando su un’adeguata qualificazione degli ospedali di polo che devono essere molto vicini alle esigenze della popolazione, soprattutto per quanto riguarda le prestazioni più vicine alla gente, come la riabilitazione e l’integrazione socio-sanitaria.
Questo Piano guarda molto a questa integrazione che forse da tempo andava fatta, anche se forse 24 distretti sociali sono troppi. Credo che il primo passo che andrebbe fatto dovrebbe essere quello di farli coincidere con i distretti sociali e far coincidere anche gli operatori magari anche attraverso un’adeguata formazione.
Questo Piano punta poi a migliorare le prestazioni di secondo livello, soprattutto nelle zone più critiche, come più volte abbiamo avuto modo di vedere attraverso le illustrazioni del dott. Ruta, dell’Assessore, del Presidente della V Commissione Luchetti e di tutti i dirigenti – che colgo l’occasione per ringraziare, assieme alla Commissione che ha svolto un buon lavoro –, ci sono state, quindi, illustrate alcune criticità che questo Piano si ripropone di risolvere soprattutto nel secondo livello.
Questo dovrebbe anche consentire al terzo livello, rappresentato dall’Ospedale universitario regionale di Torrette, di sgravarsi di alcune prestazioni improprie che andrebbero fatte e implementate da un secondo livello. Quindi concentrarsi sulle prestazioni di terzo livello attraverso – come qualcuno oggi ha detto in Aula – con un maggiore investimento sia sulle strutture che sul personale.
Abbiamo, inutile nascondercelo, una situazione in Ancona che va registrata, ma credo che le strutture competenti, con l’Assessore in testa, abbiano già avviato una risoluzione.
La città di Ancona, attraverso il Sindaco, lo rivendica, ma non per Ancona città, ma come luogo di residenza delle prestazioni soprattutto di terzo livello. A favore cioè di tutta la comunità regionale, quindi l’ospedale con l’ex Lancisi, con l’ex Salesi, che rivendica tutta una serie di interventi che fortunatamente da parte dell’Assessorato sono stati promessi in sede attuativa, ma che fanno già parte di protocolli intercorsi con il Comune di Ancona e che, non ho dubbi, verranno nel più breve tempo onorati, come il primo punto di pronto intervento dell’Inrca, il rafforzamento della Potes, il punto di soccorso immediato presso l’Umberto I e i lavori per la messa a norma di Torrette.
Debbo dimostrare anche soddisfazione per il fatto che la polemica sul discorso Inrca e ospedale di rete di Ancona sud sia stata messa nei suoi giusti binari, attraverso la costituzione di due gruppi di lavoro che dovranno studiare come risolvere queste due problematiche. La prima è l’eventuale ricollocazione dell’Inrca che dovrà ospitare il polo della terza età, credo che noi tutti dovremmo essere lieti che il Ministero alla fine abbia deciso di assegnarlo alle Marche.
Sicuramente il polo di rete di Ancona sud va realizzato nella zona metropolitana a sud di Ancona, al limite, anche fuori del comune di Ancona, anche nella zona di Osimo o in quella di Castelfidardo. Credo che bene faccia il Sindaco di Ancona a rivendicare per la città di Ancona questa localizzazione, ma all’esito di una istruttoria e soprattutto di un franco, leale, costruttivo e regolare confronto con gli enti locali, questo è l’altro aspetto, credo ci possano essere le possibilità perché questi due studi vadano poi ad integrarsi.
Come ho avuto già modo di dire in altre sedi, penso che sarebbe un errore gravissimo, sia dal punto di vista dell’offerta quali-quantitativa per le Marche e per la zona a sud di Ancona, sia dal punto di vista delle sinergie economiche, non realizzare un’unica struttura che possa interagire tra l’Inrca e l’ospedale di rete di Ancona sud.
Tuttavia, come ha avuto modo di dire l’Assessore, il Presidente e tutti gli operatori, deve esserci una forte e convinta concertazione che sicuramente ci sarà con gli enti locali, e se alla fine non si troverà un accordo penso sia giusto rispettare la volontà delle comunità locali, ma deve sapersi che si sarà persa una grossa importante occasione.
I colleghi dell’opposizione, da ultimo la collega Romagnoli, parlavano che c’è in questo Piano una sorta di delega in bianco. Non credo che questo ci sia, purtuttavia, come tutti gli atti di programmazione, il Consiglio regionale deve dare gli indirizzi generali e poi sarà l’Esecutivo che dovrà attuarli. Così credo che avvenga attraverso questo Piano il quale prevede, se non vado errato, un controllo da parte dell’organismo delegato dal Consiglio regionale, se così posso dire, cioè la Commissione, che è un controllo annuale dello stato di attuazione del Piano sanitario.
Potendo qualunque Consigliere intervenire alle sedute della Commissione penso che sia un controllo più che sufficiente e un controllo che potrà essere assolutamente implementato con gli strumenti d’Aula, come le interrogazioni, le interpellanze e le mozioni, cioè gli strumenti ispettivi.
Riconfermo, quindi, verso questo Piano sanitario il voto a favore del gruppo che rappresento. Mi permetto comunque, come ho avuto modo di fare in tante occasioni, di dire anche in quest’Aula, che occorrono, pur considerando buono questo Piano, due segnali importanti.
Uno agli enti locali attraverso un avvio pesante della concertazione, in particolare al Comune di Ancona attraverso l’inizio immediato della realizzazione dei protocolli di intesa come più volte richiesto dal Sindaco, ripeto, nell’interesse generale della regione; tra le attuazioni da fare ricordo, non avendolo detto prima, anche l’avvio degli studi per la dislocazione a Torrette del Salesi che credo vada assolutamente rilanciato.
Il secondo segnale pesante, forte, che dobbiamo dare alla comunità marchigiana e che i cittadini si aspettano, perché credo siano abbastanza lontani dal dibattito di dove e come facciamo gli ospedali e di dove e come risparmiamo qualche milione di euro, sia quello di un accorciamento pesante e definitivo delle liste di attesa. E questo sono convinto, per averne parlato con l’Assessore e il dott. Ruta, che lo faremo rapidamente.
Sono certo, quindi, che sia un buon Piano, l’importante è che venga attuato rapidamente, con i punti che ho citato, assolutamente entro l’anno.

PRESIDENTE. Considerato che i prossimi due Consiglieri di maggioranza iscritti sono in questo momento assenti, do la parola alla Consigliera Ciriaci. Abbiamo almeno la compiacenza di ascoltarla, quindi chiedo un po’ più di attenzione all’Aula.

Graziella CIRIACI. Voglio fare un piccolo intervento per quanto riguarda questo Piano sanitario che oggi siamo chiamati ad osservare più che a valutare.
Per quelle che sono le mie competenze e le mie attenzioni di ascolto, il primo intervento che ho apprezzato e che mi ha permesso in modo particolareggiato di capire l’entusiasmo che c’è dietro questo Piano sanitario è stato quello del Consigliere Luchetti che ovviamente, come Presidente della V Commissione, lo conosce particolarmente.
La cosa che vorrei sottolineare in questo momento è il fatto che questo Piano sanitario dal punto di vista sociale e di sostegno forse è un piano che dice “vogliamoci bene”, dove si parla del cittadino che si vuole mettere al centro dell’attenzione, dove si vogliono cogliere tutte le non attenzioni fino ad oggi subìte dallo stesso.
E’ un Piano, però, che nel particolare non ci dà nessuna garanzia, non parla di una copertura economica, non parla di un progetto a tempo.
In questo mio mini intervento vorrei chiedere proprio questo, cioè se è possibile inserire all’interno del Piano una data di scadenza, una data di esecuzione, una data di attenzione, un numero di posti letto per il nostro territorio, quindi anche per Fermo una specifica per le attività che verranno svolte all’interno di questa nostra zona e come verrà definita.
Questo Piano, quindi, è apprezzabile dal punto di vista sociologico, di immagine e di valorizzazione del cittadino, ma non lo è dal punto di vista dell’esecutività, nel dare le risposte alle esigenze del cittadino che comunque le vuole concrete, non vuole sentirsi dire che siamo bravi, non vuole sentire che ha delle esigenze che poi non hanno risposta.
Tra l’altro su Fermo e sulla zona della vallata dell’Aso avevamo avuto delle promesse anche con il Piano sanitario precedente, non sono state aperte le Potes, non sono stati aperti i punti di pronto soccorso, per quattro anni non abbiamo avuto dei primari e altro.
Ringrazio per aver avuto la possibilità di esprimere il mio parere in merito a questo Piano sanitario, rinnovo e sollecito la Giunta e l’Assessore in particolare a dare delle date ben precise e dei numeri per fare in modo che possa essere attendibile.

PRESIDENTE Ha la parola il Consigliere Solazzi.

Vittoriano SOLAZZI. Non essendoci l’Assessore e la Giunta rinuncio al mio intervento, in quanto, nel riferirsi al Piano, voleva dare indicazioni soprattutto all’Assessore. Quindi in questo momento mi vedo costretto a rinunciare.

PRESIDENTE. Così come concordato questa mattina in sede di Conferenza dei Presidenti dei gruppi consiliari sospendo la seduta per convocare la Conferenza stessa.

La seduta è sospesa alle ore 16,00

La seduta riprende alle ore 16,30

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Binci.

Massimo BINCI. Eravamo abituati a proposte di Piano sanitario che entravano nel dettaglio e lavoravano sull’organizzazione per singoli ospedali, che entravano nel dettaglio dei posti letto e nella specificità degli interventi.
Qui, come è stato già detto, si va ad un Piano sanitario che è un atto di programmazione e che fa la fotografia dello stato della sanità nelle Marche, con le sue luci e le sue ombre, e punta ad una razionalizzazione e ad una valorizzazione di quello che c’è. Una valorizzazione, appunto, perché finora per l’infrastrutturazione – come è stato detto già da altri – ci si interessava ai posti letto, agli ospedali o ai macchinari per le Tac.
Qui si riparte dai livelli di prestazione per i cittadini. All’interno di questo la riflessione non può più essere quella localistica, negli anni passati ci dovevano essere tutti i servizi nell’ospedale più vicino anche se in maniera non specialistica, qui si va, invece, in una logica di area vasta con integrazione di funzioni e l’organizzazione a rete.
La necessità di questo Piano strategico impostato ad area vasta è quella di un piano strategico in progress, perché non avendo definito nel dettaglio lo sviluppo futuro, se non nelle linee di indirizzo, questo percorso strategico necessita di un continuo processo di partecipazione sia dei territori che dei cittadini e delle forze politiche.
Quindi è importante, come è emerso sia nella discussione di oggi che in Commissione, la partecipazione dei territori, tramite la Conferenza dei sindaci, delle istituzioni, e in particolare, delle Commissioni e del Consiglio, nella definizione del futuro Piano sanitario. Questo è importante perché è un impegno alla trasparenza e alla partecipazione.
Importante è rilevare le criticità e dare risposta in maniera forte ad esse. Una delle criticità attualmente sono le liste di attesa a cui si può dare risposta con interventi sull’aumento o incremento dell’orario di utilizzo, per esempio, dei macchinari, con interventi sia sulla formazione del personale che sulla stabilizzazione.
Altra questione importante è quella dell’integrazione socio-sanitaria. Finora i piani sanitari hanno sviluppato soprattutto la rete sanitaria, mentre la parte socio-sanitaria è rimasta un po’ la Cenerentola della sanità marchigiana come le prestazioni, per esempio, per la non autosufficienza che è rimasto l’ultimo dei settori.
La struttura di questo Piano sanitario permetterà un percorso di diversa organizzazione dove verranno aumentati i servizi ai cittadini, allo stesso tempo questo percorso virtuoso dovrebbe aumentare le risorse per l’integrazione socio-sanitaria.
Altra questione è quella della specializzazione. L’organizzazione ad area vasta dovrebbe aumentare la specializzazione delle reti cliniche attualmente esistenti perché, come è stato più volte evidenziato nella discussione, ci sono tredici ortopedie. Di fatto però l’ortopedia è il settore, insieme alla cardiologia, dove c’è maggiore mobilità passiva, quindi i cittadini sono costretti ad andare nelle regioni limitrofe perché, anche se è un settore ben fornito come livelli di assistenza, manca la qualificazione specialistica.
L’altra questione è quella dei livelli minimi di assistenza, i cosiddetti Lea, che devono essere garantiti per tutti i cittadini. Non è possibile che il cittadino più informato, che sa usare internet, che va in visita privata, riesca poi ad avere un livello assistenziale più elevato, mentre il cittadino che non ha riferimenti tecnici va alla cieca. Quindi bisogna arrivare a garantire dei servizi di qualità a chiunque richieda un intervento, e deve essere tutta la struttura disegnata da questo Piano sanitario che indirizza il cittadino verso i punti di assistenza specialistici necessari per il tipo di richiesta che viene fatta.
Quindi deve essere un Piano sanitario che aiuta tutti i cittadini allo stesso modo, che indirizza tutti i cittadini verso la migliore soluzione ai loro problemi sanitari. Deve essere un Piano che più che distribuire le risorse non in maniera omogenea, come si tentava di dire fino a pochi mesi fa, deve garantire livelli di prestazioni assistenziali della stessa qualità in qualsiasi parte del nostro territorio.
Come ho già detto, gli atti conseguenti a questi indirizzi dovranno avere un percorso partecipativo e conoscitivo ampio, perché in questa direzione sono venute le richieste oltre che delle forze politiche anche degli enti locali, delle associazioni, degli utenti ecc.. Quindi è importante che il processo di sviluppo in progress di questo Piano sanitario segua un percorso di trasparenza e di partecipazione.

PRESIDENTE Ha la parola il Consigliere Capponi.

Franco CAPPONI. Come Casa delle Libertà e come affermazione, questa mattina hanno presentato la nostra valutazione sul Piano anche altre forze che la compongono, c’è la richiesta forte del rinvio di questo atto, perché non è un vero e proprio Piano sanitario 2007/2009, ma più che altro sono delle linee di indirizzo su cui dovranno muoversi tutte le programmazioni e le pianificazioni di riorganizzazione del sistema.
Quindi riteniamo illogico il fatto di delegare a delle linee di indirizzo tutta la valutazione sull’operatività, sulla programmazione e sulla riorganizzazione, tra l’altro non è espropriabile – ha ragione il Consigliere Binci – al Consiglio la funzione di programmazione, la funzione di indirizzo e neanche quella di controllo.
Vista l’esperienza del Piano precedente queste nostre preoccupazioni sono più che ben riposte. Addirittura l’unico report che doveva essere presentato era una relazione annuale sullo stato di attuazione del Piano, la Giunta non è riuscita a fornire al Consiglio regionale neanche questa.
Quindi capite che una delega ulteriore in bianco su tutta la fase di programmazione, di riorganizzazione delle reti cliniche, di riorganizzazioni delle reti che hanno tra l’altro manifestato delle criticità, come il piano per i non autosufficienti, la riabilitazione, l’integrazione socio-sanitaria, sono tutte cose che ci destano enormi preoccupazioni.
Questo è un Piano che ha solo delle linee di indirizzo, è un Piano che non decide e che non sceglie.
Una serie di emendamenti che abbiamo fatto e che abbiamo presentato vanno nella direzione – su questo speriamo che la maggioranza aderisca – della semplificazione, della trasparenza che chiede l’opposizione, penso che anche molti vostri elettori e molti operatori del servizio sanitario vogliono conoscere con trasparenza gli sviluppi della pianificazione.
La Giunta ha mostrato con questo Piano di volere le mani libere. Noi siamo d’accordo, ad esempio, che debba essere messo in atto un network territoriale regionale che monitorizzi e interagisca con il sistema delle prenotazioni della filiera socio-sanitaria, altrimenti non saremmo più in grado di determinare se questa è una sanità per tutti, se l’accesso è garantito a tutti, se i tempi di accesso sono uguali per tutti, perché la differenza di attuazione dei protocolli e di gestione delle varie situazioni sono differenti tra le varie zone territoriali.
Non voglio fare nessuna accusa specifica, ma ritengo che per esperienza diretta e di tanti miei amici questa è diventata una sanità per raccomandati. In questa regione per entrare all’interno del servizio per risolvere i propri problemi di salute non esistono percorsi uguali per tutti, c’è chi arriva prima perché trova le scorciatoie.
Quindi il network di tutte le prese in carico delle varie patologie e delle varie situazioni di criticità della salute dei marchigiani deve essere tracciabile. Lo chiediamo per una logica di democrazia, di uguaglianza, ma anche di rispetto per la nostra popolazione. Anche perché un modello di questo tipo, Consigliere Procaccini, non mi sembra che risponda alle vostre logiche delle quali, ascoltando anche le sue critiche di questa mattina, non ne ho capito poi le conclusioni. Tutti facciamo delle critiche, ma arriviamo a conclusioni diverse.
Noi non siamo soddisfatti di questa proposta.
Le valutazioni che diamo – le hanno dette tutti quindi non lo ripeto – del periodo di attuazione precedente del Piano sanitario sono estremamente negative, ma questa non è una novità perché lo fate anche voi, diciamo che su questo concordiamo. Se leggiamo le pagine 8, 9 e 10 della prima versione addirittura sono dissacranti di quello che è stato fatto negli ultimi tre anni della sanità delle Marche.
La cosa che non capiamo – per questo ci rivolgiamo al Presidente Spacca – è che se tutto è fallito e non è andato per il verso giusto, come la polverizzazione, l’Asur che ha ritardato, non c’è stato il coordinamento, ecc., poi però ci siamo trovati le deliberazioni di valutazione dei dirigenti della Regione Marche che sono stati valutati 100, cioè sono tutti degli ottimi manager, sono manager eccezionali, ma che non hanno raggiunto gli obiettivi che avete dato, quindi non potevate dare 100! Dovevate dare, 60, 40, 30, 10, addirittura dovevate dare zero, perché per le pagine 8, 9 e 10 la valutazione è zero! Questo ci dà un po’ fastidio e ci fa pensare che volete mani libere per poter continuare a gestire in questo modo la sanità.
Ecco perché noi lo abbiamo preso sul serio, abbiamo chiesto il rinvio di questo Piano perché volevamo ulteriormente entrare dentro i suoi meccanismi, darvi, se possibile, anche dei contributi che sono fatti certamente non per interesse, sono contributi del tutto gratuiti e volontari per cercare di dare una mano a un settore che ci interessa anche se non lo gestiamo noi, perché ci interessa che funzioni, che sia di qualità, che sia uguale su tutto il territorio della Regione, che abbia le alte specialità e non ci sia mobilità passiva, ci interessa che il cittadino trovi i servizi appropriati sul territorio e non debba vagare per tutto il mondo per trovare un servizio addirittura di livello non specialistico.
Questo era l’approccio che avevamo e la nostra richiesta di rinvio non era una paura di discutere il Piano, anche se l’abbiamo dovuto fare con una grande approssimazione, con una scarsa disponibilità di tempo e con scarse valutazioni del territorio. Per deliberare il Piano in Commissione voi non avete atteso neanche i pareri delle zone territoriali. I Sindaci non avevano ancora convocato le Conferenze obbligatorie che il Piano prevede, che la nostra legge di programmazione prevede, affinché il territorio potesse dare un minimo di valutazione.
E questo è un altro aspetto negativo e ci fa sospettare che in questa Regione non conti più nulla, se non la gestione del potere delle piccole cose. Poi se protesta il territorio o se l’utente non è trattato allo stesso modo e altro non ce ne importa nulla!
Le affermazioni di principio di questo Piano a noi non dispiacciono dal punto di vista morale e istituzionale, nel senso che sono logiche affermazioni che non potevano essere diverse, se fatte da noi o da voi non sarebbe cambiato nulla.
Queste affermazioni le troviamo su tanti altri Piani sanitari regionali, mi sono divertito un po’ a guardare le altre pianificazioni e devo dire che abbiamo diverse interpretazioni. Chi ha avuto coraggio non la chiama più pianificazione, fa delle linee di indirizzo per lo sviluppo dei sistemi socio-sanitari, quindi non si vincola ad uno strumento rigido come il Piano. Tra l’altro questo Piano non ha i crismi di un piano, perché le cose che mancano sono le tempistiche, sono le risorse a disposizione per attuare quello che si dice, i livelli di controllo, i report, le riorganizzazioni, il quando come e perché. Il decreto legislativo n. 502 consentiva anche di fare questo, certamente però tutto quello che diventa piano di attuazione deve ritornare in Consiglio, deve ritornare alla valutazione politica delle forze regionali. Questo è quello che chiediamo, non un imbroglio, ma una cosa trasparente, cioè di cosa, chi fa, cosa, quando e come, queste sono le domande che ci poniamo e questo sostanzialmente sarebbe il nostro modo di operare.
Anche io ho fatto lo screening delle parole usate maggiormente all’interno di questo che chiamiamo Piano, ma che è invece un atto di programmazione di linee di indirizzo, l’area vasta viene ripetuta 422 volte, sono ripetute più di 200 volte le cabine di regia, mentre il riferimento all’Asur è molto limitato, sembra quasi un refuso del vecchio Piano perché non se ne parla più, non si elogia più questo strumento, e questo ci dice che l’Asur non è più al top dei vostri pensieri.
Il sistema di riorganizzazione proposto non ci trova sostanzialmente distanti, siamo distanti solo perché sappiamo che non avete gli strumenti per farlo, quindi era più logico individuare prima gli strumenti che avevamo a disposizione e poi parlare di una pianificazione, in questo caso, invece, è un libro dei sogni.
Per noi il concetto di area vasta è addirittura riduttivo. Riteniamo che oggi la legge n. 13 vada modificata perché il concetto di area vasta deve essere pregnante, se poi voi lo volete fare in un regime di temporaneità può anche essere che per arrivare a un area vasta aziendalizzata ci possano volere dei tempi e dei percorsi di smussamento, di integrazione, ecc.. Ma secondo me questo Piano una cosa che poteva dire giustamente era questa: tendiamo ad aziendalizzare l’area vasta e quindi tutti i processi che stiamo mettendo in atto devono portare in quella direzione.
Questo sarebbe stato un percorso logico e trasparente, non poteva essere che ognuno mal capiva, perché qualcuno capirà che l’area vasta arriverà ad essere azienda e qualcuno farà di tutto affinché non ci si arrivi. Questa è la diversità che si vuole ancora mantenere e la illogicità di trattamento nei confronti del territorio.
Non c’è stata una scelta netta soprattutto nel modificare questo totem che è diventato la legge n. 13 del 2003. In questo Stato tutto si tocca mentre in questa Regione non possiamo toccare la legge n. 13! Non sappiamo per quale motivo, ma riteniamo che sia del tutto superata, anche perché non ha consentito ai territori di esprimersi, le Conferenze dei sindaci non contano più nulla all’interno dei questa organizzazione. Debbo dire che in una situazione di riorganizzazione di area vasta, il territorio, in un momento di difficoltà e di carenza di risorse, potrebbe essere strategica affinché qualcosa si possa realizzare anche in sintonia e in collaborazione con gli enti locali, soprattutto per quella rete di integrazione socio-sanitaria che è così abnormemente distante dal raggiungimento degli obiettivi fissati dal Piano e dalla legislazione nazionale.
Noi abbiamo assunto questo atteggiamento responsabile e chiediamo all’Assessore Mezzolani, al Direttore Ruta e al Presidente Spacca, che ci sia un eguale comportamento di correttezza e di rispetto nei nostri confronti, perché in pratica abbiamo messo in atto un’azione di sostegno a un progetto che non è per qualche partito del centro-sinistra, ma è per i marchigiani. Interveniamo su questo con gli emendamenti, e se li vedrete, ad eccezione di cose che servivano probabilmente per il numero, dove si cambiava l’indirizzo, la destinazione o l’aggettivo, ci sono 100 emendamenti che portano il segno di una volontà di cambiamento e di responsabilità anche delle forze dell’opposizione verso questa situazione.
Le cabine di regia, come dicevo, sono le altre parole magiche di questo Piano, pensiamo che possano svolgere un ruolo di conoscenza, organizzazione, studio e approfondimento, ma le loro deliberazioni, i loro prodotti, non possono essere dei prodotti messi sul mercato immediatamente mangiabili, hanno bisogno, anche in base allo Statuto di questa Regione, di essere valutati dagli organi preposti, che sono le Commissioni, qualora siano atti gestionali, oppure il Consiglio, qualora siano atti di programmazione o di pianificazione.
Questa era l’occasione per liberare la sanità delle Marche da questa logica di gestione strettamente politica.
Il discorso delle mani libere ci preoccupa ancora di più, perché le mani libere nella sanità delle Marche il centro-sinistra ce le ha da tempo, quindi pensavamo che non fosse più il momento di chiedere ulteriori liberalizzazioni nei modi di interpretare e di gestire la sanità delle Marche. Se non ci sono altre logiche di lotta interna al centro-sinistra ritengo che questo delle mani libere sia un’ottica sbagliata per affrontare la soluzione del problema sanitario.
Ci dovevamo occupare di altre cose, per esempio di una ridefinizione dei budget territoriali, perché per la situazione di carestia che ha attraversato la sanità delle Marche non è colpa del centro-destra in quanto durante il Governo Berlusconi i trasferimenti per la sanità sono aumentati del 56-57% e non abbiamo approfittato del periodo delle vacche grasse per rimettere a posto i conti della sanità delle Marche.
Io mi preoccupo molto, Assessore, perché ieri Padoa Schioppa ha detto esplicitamente che la sanità non costerà nel Dpf di più dell’anno precedente. Questo mi preoccupa moltissimo perché il trend di questa Regione non si ferma, si sta fermando soltanto perché la sanità delle Marche sta creando dei disservizi. Se penso al mio territorio, il mio direttore di zona ha pareggiato i conti tagliando i servizi di prevenzione, tagliando i servizi di base! L’Adi non la facciamo più perché non c’è più il personale! In estate chiudiamo i reparti perché non c’è la sostituzione del personale! Non pensate che sia questa la strada per ridurre i costi della sanità, perché questi sono disservizi non sono tagli o riorganizzazione della sanità.
Queste sono delle nostre considerazioni e se ci dite che non sono vere vi sfido a dimostrarlo, vi porto dati, momenti e situazioni che invece confermano questo.
In questa Regione tutti dicono che nel nostro modello la prevenzione è la spesa di investimento maggiore, quando invece in questa Regione stiamo tagliando la prevenzione, quindi mi immagino che in futuro il sistema sarà ancora peggiore di quello che è oggi.
Ridefinizione dei budget? Secondo me andava detto che la facciamo per aree vaste, perché può essere difficile riandare in una zona territoriale a dire “tu tagli, ti ridò il 2-3%, rifacciamo i conti”. No, rifacciamo i conti per trattare i cittadini tutti allo stesso modo, questo discorso del budget gestiamolo per area vasta, tutti uguali, ripartiamo da zero, vediamo dove andiamo.
Come si parla di federalismo si parla anche di assestamento, di contribuzione, di sostegno reciproco tra le aree, ma l’obiettivo è quello di avere le stesse risorse su ogni area vasta territoriale.
Con questo Piano non abbiamo affrontato il discorso delle liste di attesa, è una cosa che viene detta, ma non c’è una strategia. Le liste di attesa tendono ad aumentare, tende ad aumentare il ricorso a prestazioni a pagamento da parte dei cittadini, perché le liste di attesa sono talmente lunghe che sono quasi strumentali al fatto che uno poi debba pagare i servizi. Questo è un altro grave problema, Procaccini, guardo te perché reputo che sei uno che parla sempre di equità, di giustizia, di trattamento dei cittadini. In questa regione nella sanità non siamo in giustizia, non ci stiamo per niente!
Siamo carenti sull’integrazione socio-sanitaria, ma questo che cosa ha portato? Ha portato che gli enti locali si stanno indebitando e stanno facendo saltare i loro bilanci perché l’integrazione sanitaria non funziona e siccome i Sindaci sono responsabili dei loro cittadini, hanno tirato fuori i soldi di tasca propria per garantire questi servizi. Le case di riposo sono piene di anziani non autosufficienti, le case protette vengono sostenute solamente con 30-40 minuti di assistenza infermieristica, quando la legge ci dice, invece, che deve essere da 100 a 120, quindi non diamo neanche la metà. L’aspetto dell’integrazione socio-sanitaria nelle Marche l’abbiamo fatto talmente parzialmente che non so neanche se arriviamo al 20% dei ricoverati in queste strutture che hanno il trattamento a 100 minuti. Inoltre questo è differente tra area e area sul territorio, in base alla sensibilità dei direttori delle zone territoriali. Chi spendeva di più è stato premiato perché continua a spendere di più e magari ha mantenuto i contratti di integrazione socio-sanitaria a 100 minuti, mentre gli altri l’hanno gradatamente ridotta a 50, poi a 30 e a 20 perché non hanno i fondi per fare le convenzioni con i Comuni.
La riqualificazione del capitale umano è carente, l’organizzazione che abbiamo fatto delle lauree in infermieristica, dopo lunghe battaglie condotte da noi, cioè nel senso di dire che le scuole di infermieri dovevano tornare sul territorio, perché c’era un altro squilibrio che derivava da questo accentramento Ancona-centrico, come è sempre avvenuto. Però oggi bisogna farle funzionare, Macerata ha una scuola di formazione molto frequentata, ma ha delle strutture insoddisfacenti, non abbiamo firmato la convenzione per i tutor, non abbiamo i soldi per pagare la nostra parte di convenzione.
Non possiamo andar avanti così, le disfunzioni sono talmente tante che bisognerebbe preoccuparsi soprattutto di questo.
Il sistema di informatizzazione che ci è stato proposto è negli auspici ed è anche in quello nostro, come nel nostro auspicio c’è quello di una rivisitazione di tutta la rete tecnologica dei nostri ospedali, cioè la tac, la risonanza magnetica, l’angiografia, la radiologia, l’emodinamica. In pratica ognuno qui è andato per la sua strada, oggi penso sia difficile mettere in rete delle macchine che hanno un cervello diverso e farle dialogare, far viaggiare le informazioni a livello regionale. Quindi anche qui grandi investimenti per realizzare questo che ci poniamo come obiettivo.
Ma dove sono questi investimenti? Siccome, Presidente Spacca, lei a settembre penso che presenterà anche il Dpf, spero che dentro quel documento ci saranno 100 milioni di euro per la sanità delle Marche. Questo è uno sforzo che dobbiamo fare tutti insieme, lì saremo d’accordo a fare qualcosa che vada in una logica di riorganizzazione e di potenziamento del sistema.
Questo è tutto il nostro motivo del rinvio che non è una motivazione politica o una motivazioni da sfaticati che non avevano voglia di leggere, né una motivazione di qualsiasi altra natura, la nostra motivazione è quella di raccogliere più informazioni possibili. Abbiamo fatto anche noi incontri con i Sindaci, con il territorio, quindi pensavamo che non eravamo pronti a fare neanche una proposta di sostegno a quello che voi proponevate.
Ora vi chiediamo di valutare con molta attenzione quello che abbiamo proposto, lo abbiamo fatto anche con gli emendamenti che non stravolgono la filosofia generale del Piano, ma vogliono rendere più operativa e più marcatamente democratica l’azione che volete portare avanti. Vi chiediamo, quindi, di valutarlo con molta attenzione perché questo rappresenta il nostro contributo alla Regione Marche e ai marchigiani per riorganizzare il sistema sanitario.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Solazzi.

Vittoriano SOLAZZI. L’approvazione del Piano sanitario regionale è un atto di grande importanza. Credo che a nessun Consigliere sia consentito non prendere parte al dibattito su un tema così strategico e su un atto che sicuramente è il più importante di una legislatura, per la materia trattata e perché il comparto della sanità pesa sulla finanza della Regione per il 69%.
Da parte di tutti i Consiglieri, indipendentemente dal partito di appartenenza, dallo schieramento, dal ruolo, dalla minore o maggiore conoscenza di questo tema così complicato, difficile e complesso, indipendentemente dall’appartenenza alla Commissione specifica, credo che sia d’obbligo portare un contributo al dibattito, portare le proprie osservazioni e valutazioni. Ed è questo che, brevissimamente, mi permetto di fare.
Caro Assessore, debbo dire che ti iscriverei quasi d’ufficio alla lista dei coraggiosi per un verso, per l’altro ti iscriverei alla lista di coloro che hanno conseguito, su un tema così importante, su un atto così importante, un risultato che forse non è stato neanche mai conseguito prima. Lo dico con convinzione, senza ironia, ma lo dico anche con alcune perplessità che vogliono che vengano fugate da quello che sarà il tuo intervento e dalle decisioni che andremo ad assumere all’indomani dell’approvazione di questo importante atto.
Perché dico questo? Perché questo atto importante di programmazione, è stato ribadito molto spesso in quest’Aula, è un atto a maglie larghe. E’ un atto che delega alla gestione, in modo forte, in modo importante, in modo direi quasi assoluto, il compito di raggiungere gli obiettivi che comunque si dà.
Per un verso non posso che non condividere gli obiettivi e non perderò tempo nemmeno ad elencarli e sottolinearli, credo che tutti ci ritroviamo negli obiettivi strategici che indica questo Piano.
Per la fiducia che ho nella Giunta e nell’Assessore io non contesto la scelta di predisporre un Piano a maglie larghe e un Piano che delega alla Giunta, e ancor di più all’Assessorato e alla struttura, il raggiungimento degli obiettivi strategici che il Piano individua.
Detto questo, però, debbo anche sottolineare, perché non sarebbe costruttivo il mio intervenire e il mio riflettere, che questa scelta strategica, assolutamente rispettabile, ha al suo interno anche delle insidie. In un richiamo assolutamente propositivo chiedo di tenere presente queste insidie, di valutarle fin da oggi e di avere la consapevolezza che la struttura, l’Assessorato e l’Assessore, non raggiungono con la votazione di questo Piano un obiettivo, ma partono per il raggiungimento di quegli obiettivi condivisi che il Piano individua. E la gestione diventerà nei prossimi anni l’elemento fondamentale e il discrimine su cui valutare la scelta che è stata fatta attraverso un Piano che più che programmare individua gli obiettivi e affida alla gestione il raggiungimento degli stessi.
Quindi grande responsabilità e per questo iscrivevo d’ufficio al manifesto dei coraggiosi l’Assessore Mezzolani, perché ci vuole coraggio, perché il non raggiungimento degli obiettivi nei prossimi anni non potrà essere individuato come responsabilità del Piano, ma finirà per essere un’assunzione di responsabilità forte dell’Assessorato, dell’Assessore e della struttura.
Per questo credo che ci voglia coraggio e rispetto nei confronti di questa scelta, anche nella consapevolezza, però, che in una società caratterizzata da un grande dinamismo in tutti i settori, il vincolare a piani lunghe scelte qualche volta finisce per ingessare l’attività.
Credo che questa sia una scelta che, invece, va e fa del dinamismo un elemento portante. Per lo meno io la individuo così, pur nella consapevolezza che comunque insidie e rischi, in questa scelta, sono presenti.
I temi aperti ci sono, li sottolineo soltanto perché l’economia di questi lavori non ci dà la possibilità di sviluppare approfonditamente ognuno di questi temi.
Assessore, l’area vasta va definita in modo puntuale, da un punto di vista formale, giuridico e da un punto di vista dell’attività che dovrà svolgere.
Il problema della mobilità passiva e la valutazione di che tipo di mobilità passiva questa regione vive, una mobilità passiva che, peraltro, è uno dei temi su cui si incardina l’indebitamento nel settore. Questi sono dati che ci avete fornito voi. La cosa preoccupante su questo fronte è che la mobilità passiva si sviluppa non per patologie rilevanti, ma si sviluppa anche in relazione ad un’offerta che non è carente, in alcuni casi è esuberante ed è per patologie ordinarie.
Questa è una valutazione che dobbiamo fare ed è affidata anche alla gestione il capire perché ciò si verifica e quali sono i mezzi da mettere in campo. Atteso che in questo settore, Assessore, quello che fa la differenza sono le strutture e la loro ubicazione. Ma come sempre nella vita in tutti i settori, ma particolarmente nella sanità, sono le professionalità che fanno la differenza. Guardiamoci negli occhi, ognuno di noi per una cosa importante si sposterebbe in qualsiasi parte, non solo della Regione, ma d’Italia. Quindi è chiaro che dotandoci di strutture adeguate, ma soprattutto di professionalità all’altezza, potremo combattere un fenomeno che ci crea molti problemi dal punto di vista finanziario.
Così come intendo segnalare, perché la gestione non è il Piano che dovrà individuare quali dovranno essere le risposte, il problema delle liste di attesa e il problema della non autosufficienza.
Se mi consentite, anche perché tema di attualità, anche il rapporto fra sanità pubblica e privata, così come l’integrazione socio-sanitaria e la sicurezza sui luoghi di lavoro che è un tema forte, se ne è parlato, il Presidente lo ha evidenziato nella sua relazione qualche giorno fa quando è venuto il Presidente alla Camera dei Deputati, un tema importante, quindi anche sul tema della sicurezza del lavoro non possiamo far finta di nulla. Qui dobbiamo indicare scelte, obiettivi e anche le risorse.
Velocissimamente sui temi aperti. Area vasta? E’ stato detto Asur. Qualcuno ha detto che c’è stata un’abbondante dose di anestetico su quest’Asur. Io sono un convinto sostenitore che quella dell’Asur non fosse una scelta pellegrina, ne difendo ancora il ruolo pur nella consapevolezza che la centralizzazione, che ha alcuni obiettivi che può raggiungere, tra queste le economie di scala – ma ce li siamo detti altre volte – deve essere coniugata anche con i territori. Però, attenzione! E’ vero che è un piano a maglie larghe, ma è un Piano che non può essere non preciso sulle scelte che sono state fatte, che in modo esplicito non vengono ripudiate e sulle quali è bene fare chiarezza per non far cadere nessuno nell’equivoco. Perché in tutti i settori, in particolare nella sanità, gli equivoci minano il risultato e l’attività, e in un settore importante come questo non ce lo possiamo permettere.
Ribadisco il ruolo delle Conferenze dei Sindaci, Assessore, che non possiamo sottacerlo. Mi pare che nonostante le maglie larghe questo ruolo sia un po’ scomparso. Se hanno un senso le aree vaste come misura che in qualche modo non contraddice la scelta dell’Asur, ma la coniuga con l’espressione dei territori, a maggior ragione il collegamento con la scelta delle aree vaste non può prescindere dal ruolo delle amministrazioni, degli amministratori e quindi dal ruolo della Conferenza dei Sindaci, non lo può fare! Ne sono assolutamente convinto.
Sul governo clinico qualche precisazione in più potrebbe essere necessaria.
Così come sulle cabine di regia. Assessore, siamo nel momento in cui abbiamo enunciato gli obiettivi, abbiamo affidato alla Giunta, all’Assessorato e alla struttura una fiducia piena, che non era stata mai raggiunta in precedenza, ora vi spetta un grande lavoro.
La votazione di oggi non è una verifica sulla bontà della proposta, è la condivisione degli obiettivi che quella proposta contiene, è contemporaneamente un forte atto di fiducia nei confronti della Giunta e dell’Assessore. Però la verifica comincerà il giorno dopo, una verifica che sarà sul campo, così come la proposta ha voluto, garantendosi quella flessibilità che in questi tempi può essere anche funzionale al miglior raggiungimento degli obiettivi, ma che non può essere intesa come una cambiale firmata in bianco, perché gli obiettivi sono stati dati, vanno raggiunti, vanno assunte le responsabilità. Ognuno di noi, per il nostro ruolo, sarà assolutamente disponibile a dare ogni supporto e ogni apporto affinché gli obiettivi enunciati in questo Piano vengano realizzati. Nella consapevolezza, però, che la comunità marchigiana, poco attenta alle nostre discussioni, ai nostri cavilli e sottolineature, chiede riscontri concreti.
Siccome questo Piano dovrebbe fare della concretezza il suo punto di forza, ed è per questo che è stato impostato in questo modo, voglio credere a questo obiettivo. Auguri Assessore.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola per l’ultimo intervento, ricordo ai Consiglieri che dopo la replica dell’Assessore Mezzolani chiuderemo la seduta consiliare odierna e subito verrà convocata la V Commissione consiliare. Ha la parola il Consigliere Ricci.

Mirco RICCI. Su questo strumento che domani ci accingeremo a votare c’è stato un dibattito alla fine molto interessante.
La prima cosa che mi viene da dire è quella di associarmi con chi prima di me ha ringraziato in primo luogo il Governo di questa Regione, la Giunta, gli uffici, il direttore, tutti coloro che si sono impegnati in questi mesi nel portare avanti questo lavoro, e la V Commissione in modo particolare.
E’ stato fatto un ottimo lavoro attraverso un dovuto percorso di consultazione anche sul territorio della regione Marche. L’Assessore Mezzolani per primo, insieme al dott. Ruta, lo hanno girato in lungo e in largo, e non solo nelle Conferenze dei sindaci, perché quelli sono passaggi dovuti, ma in una fase di ascolto molto molto lunga. E debbo dire che alla fine attorno a questo strumento è stato prevalentemente raccolto un consenso. Quindi questo Piano, anche se ha tutti i suoi limiti essendo uno strumento strategico di programmazione, è stato condiviso. Dire il contrario credo sia una bugia.
E’ evidente che segna alcuni limiti, tant’è che l’augurio che faccio lo estendo più direttamente al Governo della Regione, quindi all’intera Giunta. Credo che la fase successiva dell’attuazione di queste linee guida sia quella più dura e più difficile, sulla quale credo che dovremo ritornare in Commissione e in Consiglio per confrontarci. Nel momento in cui dobbiamo dare le gambe a questo documento strategico è ovvio che dovremo tornare ad approfondire alcuni temi che non possono essere completati in questa fase di dibattito.
Abbiamo parlato, lo hanno detto più volte anche i colleghi dell’opposizione, di un punto che sembra essere al centro di questa nostra riflessione, che è l’area vasta. Credo che il punto di equilibrio finale ancora non l’abbiamo raggiunto. La sanità prima del Piano attuale non era certamente all’anno zero, anzi, mostrava anche tantissimi segni di eccellenza, e questo ulteriore passaggio ci dà l’opportunità di costruire una rete organizzativa più aderente alle necessità di salute di questa regione.
Questo deve essere detto e penso anche che il punto finale di equilibrio non si fermerà certo qui, dovremo capire come nell’arco di un tempo che prevederemo, potrà completarsi e mettersi in equilibrio il sistema della sanità marchigiana che, attraverso le strutture di cui si doterà, potrà quindi rispondere al meglio alle esigenze delle domande di salute di questo territorio.
Quindi la fase di attuazione è la fase vera sulla quale dobbiamo fare una scommessa, dove il Consiglio e la Commissione saranno chiamati direttamente in causa.
Capisco che ci sono delle difficoltà quando si ragiona attorno ad un problema come quello della sanità, perché è un problema complesso, enorme, di grande portata, riguarda uno degli elementi più vicini a noi, la salute. Mi sorprende che molto spesso, nonostante ognuno di noi non abdichi al ruolo di consigliere di un territorio, perda di vista lo scenario regionale. Questo mi dispiace molto perché si parla di sanità, poi il Consigliere Ricci e il Consigliere Giannotti – che ora non vedo – faranno pure una battaglia per portare a casa qualcosa nel loro collegio, ma è un errore utilizzarlo come un elemento di propaganda.
Deve interessare che il Piano sanitario risponda alle esigenze della sanità delle Marche dentro il quale dobbiamo trovare l’adeguato equilibrio.
Credo che sia stato fatto un lavoro complesso. Il lavoro istruttorio, le risultanza che oggi stanno dentro questo Piano sono il frutto di un monitoraggio molto puntiglioso, molto preciso, da dove sono emerse – ma in realtà le conoscevamo già – delle grandi criticità del sistema sanitario delle Marche. Io sono arrivato qua due anni e mezzo fa, come molti di noi, c’era la sensazione che la sanità strutturata attraverso l’Asur e le varie articolazioni non aveva prodotto e risolto alcuni nodi di fondo, in modo particolare quello della frammentazione del sistema sanitario delle Marche. Quindi era un nodo che c’era e che ancora c’è. Attraverso questo Piano, però, troviamo delle risposte, delle leve sulle quali possiamo agire.
Altra cosa è quella dell’offerta non uniforme delle prestazioni sanitarie ed è un altro elemento di criticità che abbiamo in qualche modo segnalato.
Poi c’è la mobilità passiva, che qui è stata ricordata, ci sono le liste di attesa, quindi altre grandi criticità sulle quali questo Piano cerca di dare risposte, anzi le indica in maniera netta.
E’ chiaro dunque che la fase di attuazione è quella che conta. Se dico che in questa Regione bisogna superare la frammentazione e lo scrivo in maniera chiara su quel documento, ovviamente significa che devo trovare le condizioni che nella realtà creano la mobilità passiva e poi costituire un equilibrio diverso.
Quando scriviamo che dobbiamo consolidare i poli nord e sud delle Marche diciamo semplicemente che dobbiamo mettere in equilibrio un sistema sanitario che vuole ridurre la mobilità passiva, diamo cioè delle indicazioni molto precise.
Sono questi o no i nodi della nostra proposta? Io credo di sì. Così vale per le liste di attesa e così è per l’offerta uniforme delle prestazioni sanitarie in questa regione.
Abbiamo detto, ma lo riconfermiamo, che non abbiamo voluto mettere in discussione la legge n. 13 e rimescolare le carte rispetto all’attuale struttura della sanità marchigiana. L’Asur sta dov’è e per l’area vasta è giusto, secondo me, ridefinire meglio nei suoi confini e nelle sue funzioni, e ciò non significa fare il passo più lungo della gamba, vedremo, se ne riparlerà. Attualmente si tratta semplicemente di capire le funzioni, i ruoli dei coordinatori di area vasta e tutto quello che significa costruire un’integrazione di rete all’interno dell’area stessa.
La stessa cosa riguarda gli ospedali di polo che stanno in questa logica. Anche questo è stato per molto tempo un’arma secondo la quale era facile fare battaglia politica. In questa proposta gli ospedali di polo non solo rimangono dove sono, ma intervengono dentro un quadro di razionalizzazione delle rete, attraverso cui questi ospedali divengono appropriati a rispondere alle esigenze reali della salute del territorio di questa regione.
Questo contiene il Piano, un piano che risolve criticità di fondo che finalmente troviamo definite in maniera chiara, che sono sorrette da dati. Molti hanno anche ironizzato in una prima fase sulla dimensione del Piano, sulle famose 1.700 pagine su cui la Commissione ha lavorato e che poi ha prosciugato un po’. Ma quelle 1.700 pagine, l’ho già detto in altre occasioni, sono la forza del Piano, sono la conoscenza profonda del sistema sanitario della regione Marche, cioè noi oggi sappiamo con precisione che cosa succede a Fermo, a Pesaro, a Fano, a Urbino. Possiamo rispondere con azioni mirate sistemando quelle criticità, superando quelle debolezze.
Il problema nord e sud delle Marche sono la zavorra di questa sanità, dobbiamo tagliarla, perché se non rompiamo il problema della mobilità passiva noi probabilmente – lo hanno detto anche altri colleghi – non risponderemo adeguatamente non solo ad una esigenza di domanda di prestazioni sanitarie più democratica, ma non daremo una risposta nemmeno in termini economico-finanziari, perché la mobilità passiva, come sapete, costa tanto.
Quindi sono queste le questioni di fondo sulle quali dobbiamo ragionare. Ho visto nel Piano presentato anche la pagina riferita al livello finanziario, credo che sia trasparente, che sia una proposta molto chiara di come si rientrerà per recuperare la parte pregressa.
Noi dobbiamo discutere – di questo sono molto consapevole e credo che bisogna andare in quella direzione – di questi problemi e affrontarli sempre con il massimo della partecipazione. Sarebbe assurdo se ci fosse una battaglia di schieramento politico fine a se stessa. Le posizioni in campo rimangono, purtuttavia dobbiamo aprire al massimo su questo quadro il punto della partecipazione.
Al punto che noi potremmo, ma non spetta a me, lo farà l’Assessore Mezzolani che fino adesso ha lavorato perfettamente in linea alle indicazioni della sua maggioranza e questo è un elemento di grande forza, già poter mettere in fila i quattro-cinque punti su cui da settembre dovremmo intervenire per sistemare e migliorare la sanità delle Marche.
Ecco perché abbiamo voluto accelerare, non per il fatto di poter vendere a metà legislatura un obiettivo, ma perché siamo consapevoli che essere pronti a settembre su quattro-cinque punti per partire con il lavoro è un elemento di risposta seria alle esigenze dei cittadini marchigiani in termini di sanità.
Partiamo con l’integrazione socio-sanitaria? Partiamo con una definizione migliore di area vasta? Insomma, dobbiamo partire con quattro-cinque progetti che torneranno in Commissione, li affronteremo in Consiglio, ma che saranno l’avvio di una seconda fase, che con il vecchio Piano sanitario era con la legge n. 13. Passeremo a questa nuova proposta che sarà quella che domani voteremo, poi progetto per progetto fino a definire e dare un nuovo equilibrio e una risposta diversa alla sanità delle Marche.
Credo che abbiamo fatto un buon lavoro, lo hanno fatto fino adesso la Commissione, la Giunta e tutti coloro che ci hanno lavorato.
Sarebbe davvero ingeneroso non riconoscere l’aspetto innovativo di questo Piano, cioè quell’aspetto che in qualche modo abbandona avverse categorie e vecchi parametri per calcolare il gradiente della sanità delle Marche e introdurne altri. Ho sentito in qualche intervento semplificare, ridurre questo lavoro a qualcosa di vuoto, che serve solo a mantenere le mani libere alla Giunta. Questo mi pare sia davvero non corretto.
Questo Piano risponde in forma innovativa e cerca le soluzioni appropriate su ogni singolo territorio di questa regione. Per questo credo che dobbiamo valorizzarlo al massimo, lo dico anche mantenendo un livello di fiducia molto alto, perché daremo alle Marche con questo Piano un ottimo strumento per poter migliorare la sanità nel suo complesso.

PRESIDENTE. Ha la parola l’Assessore Mezzolani per la replica.

Almerino MEZZOLANI. Cercherò di toccare un po’ tutti gli argomenti che sono stati qui sollevati, anche se non voglio portar via troppo tempo, siamo tutti un po’ stanchi.
Voglio intanto rivolgere a voi tutti un ringraziamento per il contributo che qui è stato fornito, di idee, di suggerimenti, che sicuramente saranno utili ad arricchire il lavoro che abbiamo fatto e che potranno tradursi, come qualcuno chiedeva, anche in atti che derivano dagli emendamenti che verranno proposti.
E’ stato un confronto serrato, come ce lo aspettavamo, non poteva essere altrimenti perché parliamo di ciò che riguarda più da vicino i nostri cittadini, la loro salute che è la certezza più grande a cui sono attaccati. Quindi è giusto che nel dibattito ci sia stato un confronto serrato, forte, ma c’è stato anche un confronto corretto, fortemente orientato dalle esigenze delle nostre comunità e non piegato, come troppo spesso avviene nei dibattiti di questi tempi, alle convenienze della politica. Si può dire che qui dentro abbiamo dato una bella prova di confronto, di correttezza, che rimette nei giusti binari il rapporto politico e istituzionale che deve esserci di fronte ad atti programmatori come questo.
E’ un passo piccolo, ma tuttavia importante per la strada di un necessario recupero di credibilità, di cui la politica in primo luogo, ma credo le istituzioni più in generale, hanno oggi bisogno.
Un ringraziamento particolare lo voglio rivolgere ai membri della V Commissione, al suo Presidente, per il lavoro intenso che hanno compiuto in queste settimane e soprattutto per il contributo di competenza che è stato fornito, in assenza del quale, temo, non avremmo raggiunto oggi lo scopo che ci eravamo prefissati.
Che sia questo anche una prova di compattezza per l’intera maggioranza, per il Governo regionale, che deriva non tanto e non solo dall’approvazione di un atto in quanto tale, certamente importante, ma non c’è solo questo, c’è di più. Credo che dietro l’approvazione di questo atto ci sia il rispetto dell’impegno che ci eravamo assunti di fronte ai nostri cittadini e che oggi possono percepire chiaramente di essere di fronte ad un Governo regionale, ma più complessivamente all’Istituzione che rispetta i patti che con loro sono stati stipulati e che nella sostanza concretizza ciò che aveva promesso. Anche questo credo sia un dato di credibilità importante.
Vengo ora agli argomenti che qui sono stati trattati.
Voglio partire dalla definizione che è stata data, per fare una chiarezza una volta per tutte, sapendo che il percorso è difficile, che è quell’affermazione che vede disastroso il quadro finanziario del sistema sanitario regionale. Rimettiamoci alle cose fatte.
Penso che ci sia stato nei confronti dei nostri cittadini un atto di estrema correttezza, quello che deve un Governo.
Nel 2001 avevamo qualcosa come 250 miliardi di debito, abbiamo chiesto sacrifici, abbiamo introdotto tassazioni, ci eravamo assunti l’impegno da lì al 2005, non solo di colmare quel gap finanziario, ma anche di restituire almeno parte della tassazione che avevamo introdotto. Così è stato fatto.
Allora qualcuno potrebbe dire perché alla data del 2006 ci ritroviamo con 96 milioni di debito. Semplice, le ragioni sono state ricordate anche negli interventi. E’ vero Consigliere Capponi, c’è stato un grande sforzo, anche del Governo del centro-destra, per finanziare la sanità in questi anni, così come l’ultimo Governo. Però dobbiamo prendere atto del fatto che quel finanziamento e quegli sforzi non hanno colmato la necessità del grande fabbisogno nazionale. Non solo. Per esempio, è stata compiuta nei confronti delle Marche anche un ingiustizia passata attraverso gli accordi che sono stati fatti al momento del riparto del fondo nazionale, perché se ricordate negli anni passati il peso per l’anzianità su quel riparto pesava per una quota del 44%, è stata ridotta al 22% e le Marche hanno sofferto di questo. Sono venuti meno circa 40 milioni e oggi sul nostro debito quello pesa. Aggiungo, inoltre, che nel corso dei quattro anni che sono trascorsi tra il 2001 e il 2005 sono stati giustamente sottoscritti ben due contratti di lavoro che hanno scaricato sulle Regioni il costo e il peso di questi contratti. Questo fa la differenza. Quindi, nonostante quell’impegno e quel percorso che è stato assunto, negli anni che passano dal 2001 al 2005, nell’anno 2006 ci ritroviamo 96 milioni per queste ragioni e non per altre.
Noi abbiamo indicato una strada, oggi abbiamo qualche certezza in più, abbiamo una finanziaria e un percorso triennale. Dentro questo percorso ci siamo assunti l’onere, senza caricare ulteriormente di tasse i nostri cittadini, di recuperare queste cifre. Sappiamo benissimo che non sarà cosa facile, tuttavia questo è l’impegno che ci siamo assunti.
E’ anche per questo che abbiamo chiesto urgentemente l’approvazione del Piano sanitario ed è del tutto evidente che se abbiamo avuto un limite in questi anni è stato il controllo di gestione del sistema. L’approvazione del Piano entro questo mese ci permetterà subito dopo le ferie di mettere attentamente la testa dentro le questioni gestionali e di poter completare quell’opera di efficientamento e di ottimizzazione delle risorse di cui abbiamo bisogno. Queste sono le ragioni e a queste vanno ricondotte le questioni finanziarie.
Alimentare allarmismi su questo significa solo agitare le comunità locali e gettarle nel disorientamento, cosa che non vogliamo, devono sapere esattamente come stanno le cose.
Il Piano sanitario è stato definito come l’atto che certifica il fallimento del passato, cioè come se fosse un atto di cesura con il passato. Non lo è. Credo che l’opera intelligente di un amministratore debba saper rileggere attentamente ciò che è avvenuto in passato, saper guardare attentamente cosa ci propone il futuro e adeguarsi strategicamente per affrontarlo.
Il passato come tutte le cose si porta dietro il buono, i limiti e le carenze. Noi dobbiamo far tesoro del buono e cercare di recuperare, oggi per il domani, quelli che sono stati i limiti e le carenze che ci portiamo dietro, se vogliamo migliorare e vogliamo essere in sintonia con le nostre comunità e soprattutto se vogliamo rendere loro un sistema più appropriato e più consono ai loro bisogni.
Il Piano sanitario è questo, non c’è nessuna smentita del passato, ma è il far tesoro di quello che il passato ci ha consegnato per poi proiettarlo nel futuro.
E’ un Piano volutamente strategico che si porta dietro, naturalmente, il dubbio comprensibile che può avere una minoranza di dire che essendo strategico consegniamo alla Giunta e a chi governa il potere poi di declinarlo.
Dall’altra parte però, se guardiamo attentamente, può essere l’esatto inverso, ed è ciò che è nelle nostre intenzioni.
Questo Piano strategico diventa quello spazio dentro il quale ci si può arricchire e si può approfondire il confronto che qui è stato avviato. Deve essere così.
Dobbiamo sapere che se vogliamo in qualche modo rimetterci in sintonia con la nostra gente e fornire atti di programmazione che riguardano la loro salute che siano plasmati sui loro bisogni, c’è da cambiare una cultura perché non passa per la testa a nessuno di noi che questo sia possibile farlo calando verticisticamente dall’alto le scelte.
Dentro il Piano sanitario ecco allora lo spazio per la partecipazione. Noi chiameremo i territori – lo abbiamo detto –, quando parliamo degli ospedali di polo e del ruolo che dobbiamo dare agli amministratori, abbiamo chiaro che è essenziale questo, non andremmo da nessuna parte se pensassimo anche per un solo istante di calare da qui le nostre decisioni, sperando magari che senza contrasto i nostri territori li possano accettare.
Quindi il cambio del sistema e la sua riqualificazione è un’azione che appartiene a tutti. Ecco perché dobbiamo dare più forza alle Conferenze dei sindaci, più forza ai territori. Questo diventa indispensabile perché non solo li chiamiamo alla codecisione, ma sollecitiamo in loro la responsabilità e la corresponsabilità delle azioni che facciamo.
Quei dati che il dott. Ruta ha proposto nelle 1.700 pagine che sembrano eccessivamente voluminose, in realtà sono i dati del bisogno che debbono orientare l’azione di chi amministra, ma che inchiodano gli amministratori dei territori a costruire lì, quindi sul territorio, abbiamo detto per area vasta, quel sistema dal quale naturalmente non potranno sottrarsi. Anche questo c’è dentro queste pagine.
D’altronde che cosa sta succedendo oggi? I Sindaci che hanno a che fare con la sanità, con gli ospedali, vedono nel nostro direttore di Zona il baluardo attorno al quale aggrapparsi per difendere gli interessi e per sollecitare i bisogni della loro comunità. Ma è così che deve essere? Io credo, invece, che i bisogni della comunità debbano essere sollecitati dalle amministrazioni e il nostro direttore deve essere colui che traduce l’indirizzo di governo che viene dato da noi su quella realtà. Dunque se è così significa che non ha funzionato, vuol dire che dobbiamo correggere, che dobbiamo restituire più forza alla politica e alle istituzioni e dobbiamo separarla dall’azione tecnica dei nostri dirigenti.
Il Piano offre questa possibilità, non è un punto di arrivo, ma è semplicemente un punto di partenza che ci consente domani di ritornare sui territori e insieme alle amministrazioni locali costruire quello che su quel territorio serve. Ma loro devono essere consapevoli che se questa è una partecipazione alle decisioni che si prendono, deve essere anche un carico di responsabilità che ci si porta dietro.
Credo che questa sfida, nelle consultazioni che abbiamo fatto, nel giro di ascolto nelle varie conferenze, sia un compito che gli amministratori sono in grado di assumere.
Diversamente non andremo lontano e l’esempio è proprio l’area vasta. A chi ci chiede perché non ragionare oggi anche sul cambiamento organizzativo del nostro sistema, voglio porre la questione in maniera molto semplice e risponderei così: perché guardandoci indietro facciamo tesoro delle esperienze che abbiamo passato e non vogliamo ripercorrere gli errori che abbiamo commesso.
Perché non è passata quella scelta che oggi tutti diciamo essere più tranquilla? Non sono convinto che se andassimo in questa direzione la scelta sarebbe tranquilla, perché quella scelta si è fermata nel confronto con i territori. Alla scelta delle quattro aziende provinciali si sono ribellati i territori, i Sindaci hanno posto contrasto a questo, ma la ragione non è perché si sono rifiutati di entrare nel merito dell’organizzazione, ma più semplicemente è perché hanno visto quella scelta come una scelta verticistica, calata dall’alto, hanno rifiutato il principio.
Oggi quelle condizioni, se apportassimo una modifica alla legge n. 13 e introducessimo l’area vasta come concetto delle cinque aziende territoriali, passerebbe o troverebbe le stesse condizioni? A seguito del passaggio che abbiamo fatto nelle Conferenze dei sindaci sono convinto che troveremmo le stesse condizioni e saremmo punto e a capo, perderemmo solo tempo.
Ciò non toglie, però, che non si possa rivedere, così come è stato chiesto dalla minoranza e rivendicato qui dentro, un approfondimento degli atti che oggi regolamentano il funzionamento dell’area vasta, delle Zone e dell’Asur.
Ci prenderemo lo spazio e il tempo per discutere e approfondire, dopodiché qui dentro sceglieremo come definire meglio il rapporto, cercando di dare anche più forza ai coordinatori, cercando di definire meglio il ruolo delle Conferenze dei sindaci e ad attrezzarci anche a quella che è tutta l’azione logistica che ne discende.
Questo lo faremo qui, credo che sia corretto, giusto, non c’è problema, però guai se noi oggi rimovessimo l’organizzazione che discende dalla legge n. 13 perché non ci sono le condizioni. Il futuro, viceversa, ci dirà probabilmente che quelle condizioni possono essere ricreate, perché il confronto e un maggior ruolo alle amministrazioni locali potrà tranquillizzare il territorio. Allora sì, forse, potremmo ritornare a parlare anche della nostra organizzazione, ma serve questo passaggio, è un dovere, appunto, che dobbiamo anche ai nostri amministratori territoriali.
Credo che questa sia la strada da percorrere.
Lo stesso vale per la cabina di regia. C’è un diritto che si dimentica, non vogliamo minimamente che lo spazio che ci lascia un Piano strategico non sia la furbizia per appropriarci poi delle decisioni rigide e verticistiche, è tutt’altro.
Proprio per questo le cabine di regia, così come sono state esplicitate nel Piano, devono costruire atti di carattere istruttorio, sapendo poi che gli atti programmatori dovranno venire qui dentro. Non è un diritto che appartiene alla minoranza, ma è un diritto che appartiene a tutti i Consiglieri. Non è un caso che si sono levate più voci, lo diceva anche il Consigliere Solazzi. Quindi è un diritto che dobbiamo consegnare a questo Consiglio, così come pure gli atti gestionali, che saranno definiti a discesa da quella cabina di regia, dovranno poi passare attraverso il parere della Commissione.
Non c’è nessun problema in tutto questo perché ci è chiaro che cambiare il sistema, rimodellarlo, riqualificarlo, deve passare attraverso una grande operazione democratica. Se uno dei grandi limiti che il nostro sistema ha avuto, e che il nostro sistema nazionale ha, è quello della separatezza, è quello della sua frammentazione e dell’autoreferenzialità, questo lo si potrà vincere solo con la trasparenza e per essere trasparenti occorre che tutti conosciamo le stesse cose e che partecipiamo agli stessi percorsi. Ecco perché sono convinto che questo sia un passaggio obbligato.
Ecco perché quelle 1.700 pagine e quelle tante informazioni che ne discernono sono prima di tutto un atto di equità. Molti di voi hanno qui sollevato il problema degli squilibri che oggi ci sono sui nostri territori. Sono dovuti alla puntiformità della nostra organizzazione? Sono dovuti alla frammentazione? Sono dovuti all’eccessiva rigidità dell’organizzazione sparsa sul territorio? Probabilmente sì, ma credo che quegli squilibri derivino anche dal fatto che non a tutti era dato conoscere e avere tutte le informazioni che servivano.
Oggi noi mettiamo questo sistema davanti ad un dato preciso. L’opera di confronto che abbiamo fatto voleva innanzitutto raggiungere questo obiettivo. Oggi sappiamo quello che siamo, quello che abbiamo passato, abbiamo chiare quali sono le linee del bisogno che servono, quindi dove ci porta il futuro, e abbiamo indicato una strategia. Questo lo sanno tutti.
Quindi quei dati sono di conoscenza, di equità, soprattutto sono dati che orientano e orienteranno nel futuro la nostra azione amministrativa.
Credo che queste siano le cose che andavano fatte, pertanto il Piano prima di tutto è questo. Da qui la necessità di definirlo strategico e poi di riempirlo di contenuti.
C’è di più. Io non sono tra quelli che pensano che ce la possiamo cavare e possiamo riuscire a migliorare il nostro sistema se rimaniamo ancorati alle nostre logiche campanilistiche, bisogna uscire da questo.
Questo Piano crea le condizioni per portare un progetto di sanità per le Marche. Faccio un esempio, ieri per il nord o per il sud si rivendicava il rafforzamento dei poli – penso per Pesaro quando si diceva “ah! Ma la sanità al nord ha bisogno di avere di più” –, apparivano poi degli atteggiamenti di tipo campanilistico contro l’Ancona-centricità. Perché avveniva questo? Perché quelle rivendicazioni non erano supportate da dati di conoscenza.
Oggi, invece, alla luce di quei dati e di quelle cifre diventano necessità quelle che apparivano come rivendicazioni campanilistiche.
Questo dice il Piano, non è vero che non dice nulla, dice molto. Sull’integrazione Pesaro-Fano si dice che prima di parlare del contenitore occorre sapere le cose che servono. Io non ho mai parlato del contenitore – lo dico al Consigliere Giannotti – a me non interessa, noi dovremmo fare uno studio di fattibilità per vedere, semmai, dove collocare quel contenitore e se quel contenitore serve.
La cosa che dobbiamo fare adesso è integrare ciò che c’è. Per la prima volta è in un Piano e per la prima volta quell’integrazione è supportata da una necessità, e quella necessità è scritta nei dati che ci sono. Prima non era così! Oggi quell’esigenza è più forte e diventa indispensabile.
E’ chiaro che poi dobbiamo far discendere atti deliberativi consequenziali a ciò che diciamo, ma adesso possiamo farlo alla luce di quei dati. Lo scompenso che c’era al nord come al sud ieri appariva come un problema di tipo campanilistico, oggi , invece, appare a tutti noi come un elemento che rende inefficiente non la sanità del nord o del sud, ma tutta la sanità marchigiana. Dobbiamo viverla così, basta con le logiche Pesaro o il sud contro Ancona, non deve essere più così.
Quei dati ci dimostrano che quelli che dovevano essere ospedali di rete stanno scivolando verso gli ospedali di polo, di lungodegenza, di quelli che immaginavamo come ospedali di lungodegenza.
Ma si dice di più. Che il grande ospedale che dovrebbe essere per i nostri cittadini punto di riferimento e di certezza per le sue eccellenze, rischia di diventare, se non correggiamo in fretta l’orientamento, un grande ospedale di rete.
Allora qui non c’è un problema di quanto vale Ancona, di quanto vale Pesaro o di quanto vale il sud, qui c’è il problema di mettere in piedi un progetto per le Marche che stia in rete e che qualifichi tutto il sistema, dentro il quale sarà essenziale il polo del nord, il polo del sud, ma sarà essenziale anche potenziare quelle che sono le eccellenze anconetane. Se continuiamo a ragionare separatamente come abbiamo ragionato fino ad ora non andiamo da nessuna parte.
E’ del tutto evidente che cosa ci dicono quei dati, che cosa è successo. Non è una chiusura col passato, quell’andazzo è andato bene, ma oggi dobbiamo correggerlo. Abbiamo l’obbligo di correggerlo perché il cambiamento ci porterà da un’altra parte. Non dobbiamo negare ciò che abbiamo fatto, ma interrogarci su ciò che faremo domani. E questo ce lo permette perché c’è un’analisi approfondita.
E’ chiaro che cosa è avvenuto? Il nostro è un sistema che si è fatto concorrenza dall’interno. Quella concorrenza fino a ieri andava bene perché arrivavano risorse quasi infinite, allora si voleva il tutto dappertutto, ma questo è andato bene fin quando le risorse erano infinite. Quindi quando è venuta meno quel tipo di concorrenzialità si è provocato squilibrio, perché è chiaro che ciascuno ha pensato, nella frammentazione che c’era, a se stesso. E il pensare a se stesso ha portato a tirare la coperta dalla propria parte infischiandosene di ciò che facevano gli altri, di ciò che arrivava agli altri. Oggi abbiamo scoperto che la coperta molto spesso finisce dove i muscoli sono più robusti.
Ecco allora che siamo chiamati a ripensare ad un sistema che esca da questa logica e per fare questo ha bisogno di ragionare complessivamente e non più in maniera separata. Credo che questo sia il grande sforzo che dobbiamo fare e questo Piano ci consente di farlo.
Solo così possiamo recuperare anche il grande problema della mobilità esterna che è data da più fattori. Per la mobilità a Pesaro, quindi al nord, non dimentichiamoci che lì gravita un’intera vallata, dove c’è certamente un problema di professionalità, ma credo che il grande problema sia soprattutto quello di riqualificare e di diversificare. Da qui la necessità dell’integrazione nord-sud. Perché è chiaro che se lì tutti fanno le stesse cose alla fine si cala verso il basso quando si calano le risorse. Quindi non avremo speranza se non si diversifica, se non si riqualifica, se non si integra.
Il dato più eclatante è quello che avviene tra Ascoli e San Benedetto, due ospedali che si scambiano mobilità, peraltro incomprensibilmente perché vanno a fare alla fine le stesse cose, dopodiché quando qualcuno ha bisogno di qualcosa di più va fuori. Allora è chiaro che lì l’unica risposta deve essere quella di confrontarsi e dire “Signori, cerchiamo di diversificare la nostra azione, qualificandola verso l’alto, non fare tutti le stesse cose, farne di meno, ma farle meglio”.
Questo è il concetto di integrazione, poi dovremo lavorarci, dovremo starci dentro. E’ giusto che quella integrazione deve essere alla pari, come si dice e come si rivendica giustamente, e non può esserci chi la fa fagocita, ma questa diventa indispensabile se vogliamo porre una barriera alla mobilità che esce all’esterno.
Per il problema di Ancona, ho già detto, credo che dovremo cercare di rafforzare le tante e buone eccellenze che ci sono. Penso ad esempio al centro trapianti, lì dovremo lavorare per portare e per controllare, ci sono finanziamenti ad hoc di quello che abbiamo già chiesto al Ministero, l’unità spinale, ad esempio, ragionare sulla cardiochirurgia pediatrica, quindi le eccellenze che possono qualificare verso l’alto quell’ospedale. Questo è indispensabile perché quell’ospedale serve così, magari anche sgolfarlo di tutte quelle patologie che invece la rete sul territorio potrebbe assorbire.
In questo caso sta l’ospedale di rete di Osimo. Anche qui ci si più accusare del fatto che la precipitazione degli eventi e delle opportunità che ci sono state fornite abbiano indotto ad una discussione magari anche impropria, ma abbiamo posto un problema corretto. Quando abbiamo introdotto la discussione sull’Inrca, credo sia stato un dovere. In questa legislatura, ci siamo sentiti dire che l’Inrca era dequalificato, che bisognava rilanciarlo alla sua vocazione, che bisognava sottrarlo al troppo lungo tempo di commissariamento che aveva passato e che bisognava dotarlo di una legge. L’abbiamo dotato di una legge, l’abbiamo sottratto al commissariamento, siamo andati al Ministero a lanciare un’idea, che sembrava anche garibaldina e, grazie anche al lavoro che il Presidente Spacca ha fatto, questo può essere concretizzato, è un’opportunità che ci viene offerta. Ma di fronte all’opportunità di portare qui l’Agenzia dell’anziano, in virtù del fatto che siamo la regione dove si vive più a lungo e questo è stato l’elemento che ci ha permesso di intavolare quella discussione con il Ministero e quella trattativa, noi abbiamo l’obbligo di discutere la ricollocazione dell’Inrca perché è chiaro che se otteniamo questo, lì dove è collocata, è più difficile ottenerla, anzi, è quasi impossibile.
Questo è un dramma? Non credo. Possiamo dire che la discussione era partita male, noi l’abbiamo ricondotta nel suo alveo naturale, vi abbiamo aperto un tavolo. C’è la disponibilità del Comune di Ancona a discutere su questo.
Per l’abbinamento che abbiamo fatto con l’ospedale di Osimo capisco anche le perplessità degli osimani che ne discutono da trent’anni e che dicono che adesso abbiamo trovato lo stratagemma per non far niente un’altra volta, ma non è esattamente così. Abbiamo spiegato agli osimani che quell’ospedale di rete, lì dove è stato pensato e lì dove è stato progettato, non è in discussione. Abbiamo, però, chiesto loro di aprire un tavolo per dire che fermo restando questo punto di certezza, nel momento in cui sappiamo che non sono finanziabili ospedali sotto i 250 posti letto, e la Corte Costituzionale dice che quei vincoli sono anticostituzionali, quindi se io vado al Ministero e non rispetto quei vincoli non vengo finanziato, possibile che non possiamo discutere per rafforzare quella scelta ed eventualmente spostarci su un altro terreno. Fermo restando che quello è l’appalto che è stato fatto, che quella è la ditta che deve costruirlo e che i tempi devono essere gli stessi, possibile che su un altro terreno ad Osimo non sia possibile abbinare le due cose, fermo restando, appunto, che per l’ospedale di rete si parte subito e l’Inrca arriverà quando arriverà,
Oggi siamo in condizioni di aprire un tavolo. Perché? Perché questo è e non c’è nessuna volontà di “fregare” qualcuno, ma è semplicemente una scelta razionale rispetto alla nostra programmazione strutturale sanitaria del futuro. Queste sono le ragioni che sono prevalse, certo bisognerà correre, ma questa è l’indicazione.
Altro oggetto di questa discussione è il rapporto pubblico-privato che è ovviamente un tema delicato. Penso che ci sia un problema di fondo che quello del ruolo che intende svolgere la politica, perché se la politica è forte e le amministrazioni hanno chiaro qual è l’orizzonte dentro il quale si muovono, non c’è problema. E’ chiaro che se abdichiamo al nostro ruolo qualche problema si pone.
Noi abbiamo un orientamento netto, lo abbiamo sempre detto. Non abbiamo nessuna intenzione di smantellare quello che è il tratto universalistico e solidale del nostro sistema sanitario, i rischi li abbiamo già corsi in questo quinquennio, non a livello marchigiano, ma a livello più nazionale, che naturalmente si sarebbero ripercorsi anche qui da noi.
Adesso credo che l’orizzonte sia un po’ più chiaro. Quindi, fermo restando questi punti di certezza, noi abbiamo chiaro che dobbiamo strutturarci per noi, per rispondere a quelli che sono i bisogni dei cittadini e in un’azione – come qui veniva rivendicata dal Consigliere Massi – sussidiaria, laddove non arriviamo, dobbiamo chiedere una mano anche al privato, sapendo che il privato deve fare ciò che noi programmiamo e non ciò che vuole. Questo deve essere un elemento di chiarezza. Ma questo non è un problema, nel senso che la gran parte di questo privato che si è misurato con noi in questi anni ha già seguito questa logica, quindi non credo sia un problema per noi richiarmalo ancora una volta con più fermezza a questa situazione.
Credo di aver toccato un po’ tutti i punti che qui sono stati sollevati.
Capisco che si sarebbe preferito un Piano di dettaglio che dicesse chiudiamo qua, chiudiamo là, questo avrebbe fatto ovviamente la felicità dei comitati e magari anche della minoranza – nella visione del Consigliere Giannotti credo di sì –.
Ma rileggiamo ciò che è avvenuto in passato. Ad ogni piano che veniva introdotto i territori incominciavano a fare una specie di azione di resistenza preventiva, dettata ovviamente dal timore di perdere qualcosa, e questo naturalmente era comprensibile. Oggi proponiamo, invece, un’azione diversa, li sollecitiamo a discutere con noi qual è l’organizzazione su quel territorio, in maniera tale che anziché fare cinque cose, alla luce di quei bisogni se ne fanno magari quattro, ma si devono fare in modo qualificato. Questo permetterà di raggiungere l’indispensabilità di quel polo che al prossimo passaggio non avrà più bisogno di interrogarsi su ciò che perde, ma magari si interrogherà su ciò che ha.
Questo è il lavoro che dobbiamo fare sul territorio, con il coinvolgimento anche delle amministrazioni e degli operatori e con le associazioni che stanno su quel territorio.
La volontà del Piano è, quindi, quella di andare lì e costruire insieme ciò che serve, in maniera tale che quella indispensabilità diventi garanzia per sempre senza bisogno di rivendicare ad ogni passaggio quello che si ha il timore di smarrire.
Sulle questioni relative del territorio ho detto che non dobbiamo più guardare ad una visione campanislitica, oggi abbiamo la possibilità di farlo avendo una conoscenza più grande di quelle che sono le esigenze. Non voglio scendere in questi dettagli, dico solo che non è guardando al passato o facendo paragoni con il passato che risolviamo il problema, so quante promesse sono state fatte e so che quelle promesse me le ritrovo a dover gestire e che naturalmente, anche per recuperare la credibilità, abbiamo fatto un’azione molto pragmatica. Abbiamo detto che per ricucire anche l’illusione che è passata su quel territorio dobbiamo cominciare a chiudere tutto ciò che avevamo stabilito prima, come i cantieri aperti, la neurochirurgia, ecc.. Queste sono cose che faremo, certo, lo faremo con la compatibilità delle risorse e con il tempo che serve, ma siamo su quella strada. Credo che il clima sul territorio sia cambiato anche per questa direzione, al di là di come la descriviamo.
Queste sono le questioni, credo di aver toccato quasi tutti i temi, mi fermo qui, naturalmente auspicando, così come è stato il clima di questa giornata e di questo confronto, che si possa proseguire e si possa poi tradurre negli atti che produrremo.

PRESIDENTE. Ricordo ai Consiglieri che domani mattina alle ore 9,00 ci sarà la Conferenza dei Presidenti dei gruppi e adesso, come ho già detto, si riunirà V Commissione sanità.
La seduta è tolta.

La seduta termina alle ore 18,15