Resoconto seduta n. 170 del 05/02/2004
La seduta inizia alle 10,35


Le prospettive dell’economia marchigiana

PRESIDENTE. Il viceministro Baldassarri ci ha fatto sapere che arriverà in ritardo perché l'aeroporto di Pratica di Mare era inagibile, quindi il suo intervento slitterà al momento della sua presenza.
Sollecito i consiglieri regionali ad iscriversi e a prendere la parola per poter programmare gli interventi che, secondo gli orientamenti pressi nella Conferenza dei presidenti di gruppo dovrebbero concludersi in mattinata, se la programmazione ce lo permetterà. Invito pertanto i gruppi consiliari ad autolimitare gli interventi e a non superare il tempo prefissato per gli interventi, che dovrebbe aggirarsi tra gli 8 e i 10 minuti.
Due giornate di lavoro per fare il punto sullo stato di salute delle Marche hanno permesso di farne la diagnosi: cambiamento e non declino. Il declino è una categoria interpretativa né utile, né realistica. La fiducia è una risorsa da non sprecare, un bene pubblico da tutelare, assolutamente indispensabile per crescere.
Cambiamento dunque non per sentirci rassicurati. Cambiamento è il "tempo del combattimento", non è certo il tempo della rassicurazione. Lo stesso declino può essere ritenuto più rasserenante poiché ineluttabile. Declino può significare rassegnazione. Il tempo del cambiamento è invece il tempo del combattimento per adattare le nostre conoscenze, poiché invecchiano rapidamente. Le conoscenze di chi studia, le conoscenze pratiche che derivano dalla esperienza quotidiana. Il tempo del cambiamento è per questo anche il tempo del disorientamento. Per dirla "alla pesarese" il tempo del cambiamento è il "limbra e lambra", il passaggio dal giorno alla notte, il tempo in cui tutti si sentono più insicuri. E allora, abbiamo la necessità di mettere lo scandaglio dentro la nostra società locale, di confrontarla con le altre società simili e con le dinamiche della globalizzazione, per conoscerla meglio. La prima alleanza che dobbiamo costruire è “per” il sapere, “con” il sapere. Penso che ogni anno il Consiglio Regionale ed il sistema della rappresentanza debbano stabilire un tema sul quale mobilitare in primo luogo la conoscenza scientifica per confrontarla con quella che deriva dall’esperienza concreta di chi combatte tutti i giorni sul campo. E ‘ utile farlo per rischiarare la via del nostro cammino.
Nel tempo del cambiamento è necessario adattare le nostre politiche. Anche esse potrebbero essere invecchiate. Definire nuove modalità di intervento del pubblico nell’economia, un nuovo rapporto pubblico-privato, un nuovo modo di organizzarsi del pubblico significa lavorare per migliorare il nostro modello.
In chi fa impresa in questo momento, c'è un doppio sentimento: quello di chi sa e apprezza che alla base del nostro sviluppo, c’è stata l'alleanza tra le istituzioni, l'associazionismo, il mondo imprenditoriale, del lavoro, del sapere, del credito. Questa alleanza ha svolto un ruolo importante nel nostro sviluppo. C'è anche chi pensa che le istituzioni rappresentano una sorta di intralcio alla loro azione. Chi ha fatto il sindaco sa che molto spesso questo non significa desiderio di non avere lacci e lacciuoli; certo, in alcune frange esiste anche questo. In realtà per la pubblica amministrazione e per il mondo del lavoro, il tempo non ha lo stesso valore, gli orologi non hanno lo stesso ritmo. Ci viene lanciata la sfida dell'adeguamento della pubblica amministrazione e delle istituzioni alla velocità del nuovo mondo. La stabilità delle istituzioni ormai acquisita, permetterà agli amministratori di cambiare la scala del loro ragionamento. Di pensare al medio periodo, piuttosto che al quotidiano.
C’è un altro tema da affrontare. La più grande molteplicità di soggetti presenti, ha cambiato anche la questione del governo e del potere. Il governo non ha più solo la dimensione istituzionale della politica, è anche governance. Non c'è più un solo luogo legittimo, esclusivo del potere. Però non possiamo neanche disperdere questo potere in mille rivoli che renderebbero assolutamente inconcludente, dispersivo anche il lavoro delle istituzioni e difficile la decisione. Non possiamo produrre ulteriore frammentazione dunque. Trovare l’equilibrio tra i poteri per decidere meglio è la sfida che ci lancia il cambiamento. Per questo ritengo utile l’idea di lavorare insieme al sistema della rappresentanza territoriale, economica e sociale, ad un nuovo appuntamento dal titolo, "Le Marche. Le vie del cambiamento: le istituzioni per lo sviluppo".
E’ una necessità che nasce dalla consapevolezza che il Consiglio si appresta a prevedere nello Statuto della Regione le forme del nuovo rapporto con le autonomie locali e con l’associazionismo economico e sociale.
Ha la parola l’assessore Agostini, che svolgerà la relazione introduttiva ai lavori odierni.

LUCIANO AGOSTINI. Signor Presidente, signori consiglieri, gentili ospiti, il mio compito dopo l'ampio ed approfondito dibattito di ieri, che ha visto autorevoli esponenti del mondo dell'impresa, delle istituzioni, del mondo accademico e scientifico confrontarsi sulle prospettive future delle Marche, sarà quello di tracciare una sintesi delle preoccupazioni e delle soluzioni emerse rispetto ai principali problemi affrontati, su cui avviare il dibattito con i rappresentanti politici regionali e nazionali questa mattina.
Nonostante anche nelle Marche riecheggino, in qualche caso accentuati, i motivi del ristagno nazionale, sintetizzati nella pregevole relazione di Pierluigi Ciocca lo scorso ottobre alla società italiana degli economisti in cui si diceva: più pesante e più avvertita l'arretratezza delle infrastrutture; un sistema delle imprese frammentato, insieme all'incapacità della piccola impresa di accrescere rapidamente la propria dimensione e innovare la propria organizzazione confrontandosi sulla più esigente arena internazionale; la diminuzione della concorrenza nei mercati dei prodotti, nei mercati della proprietà e nel controllo delle imprese e complessivamente del sistema economico nazionale, insieme al pesantissimo lascito di una finanza pubblica dominata dal debito, l'economia della società marchigiana presenta tuttora una buona tenuta media sia in termini di coesione sociale che di comportamenti economici. Infatti, i dati dell'occupazione, quelli della disoccupazione, quelli dell'integrazione dei lavoratori immigrati (i censiti ufficialmente sono più di 63.000) segnalano ancora dei risultati comparativamente migliori di quelli nazionali e di quelli europei.
Con una situazione economica, come si dice nel rapporto di LaPolis consegnato ieri, in cui è possibile parlare di una fase riflessiva in alcuni comparti economici e di moderata espansione nei settori come la meccanica, la plastica e l'edilizia, o particolarmente critica come nei settori della calzatura, del legno e della confezione. Produzioni comunque, in settori complessivamente riorientabili positivamente in uno scenario economico di lenta crescita.
La situazione delineata mette in mostra una notevole e marcata sensibilità del dato marchigiano al quadro internazionale e ci obbliga a riflettere su una varietà di situazioni esistenti nella regione, sia dal punto di vista territoriale che settoriale che il dato medio rischia di offuscare (la cosiddetta pluralità delle Marche). Allora bisogna riflettere non soltanto su una colorazione politico-culturale bianco-rossa della regione ma sulle cospicue differenze esistenti tra provincia e provincia e tra distretto e distretto obbligando non solo gli economisti ed i sociologi ma anche i responsabili della politica ad una maggiore e rigorosa specificazione degli interventi pubblici da mettere in campo. Un conto è affrontare gli interventi, la formazione e l'innovazione nel distretto della meccanica della provincia di Ancona, altro conto è sostenere la ristrutturazione in corso nel distretto calzaturiero fermano-maceratese o in quello del legno di Pesaro, altro infine affrontare i veri e propri processi di de-industrializzazione nella parte meridionale della provincia di Ascoli Piceno.
Quindi le ricette richiamate negli interventi di ieri — formazione, ricerca, innovazione, potenziamento dell'armatura infrastrutturale materiale ed immateriale — debbono poter essere declinate in contesti anche molto diversi tra di loro. Abbiamo potuto sentire ieri affrontare con maggiore decisione che negli ultimi anni, il delicato tema del necessario miglioramento organizzativo e dimensionale delle piccole imprese, nonché quello dei limiti nella specializzazione produttiva in quei settori ad alta intensità di lavoro in cui è maggiore la concorrenza industriale dei paesi in via di sviluppo e dei nuovi Paesi entrati nell'Unione Economica Europea. In questo quadro si inserisce l'azione pubblica locale avuto riguardo al fatto che il governo nazionale ha di fatto azzerato la politica industriale e ridotto al lumicino la politica a sostegno della innovazione tecnologica e della ricerca scientifica, impoverendo ulteriormente il sistema di istruzione pubblica già storicamente sfiancato.
Per brevità di tempo non riprendo tutte le proposte d'intervento regionale presentate dal Presidente della Giunta, del Consiglio e da altri miei colleghi sulle maggiori questioni di politica economica regionale. Mi sia consentito però, approfittando della presenza di autorevoli esponenti del mondo economico, politico ed istituzionale locale e nazionale di affermare la necessità di una pre-condizione strategica per lo sviluppo della nostra regione nonché per affrontare alcuni temi che mi sembrano fondamentali per determinarne le più promettenti direttrici di sviluppo.
Quella che ho chiamato pre-condizione si riferisce alla valorizzazione della coesione sociale delle Marche, concetto che ieri è stato maltrattato e poi più correttamente rivalutato: per questo bisogna lavorare tutti insieme per un nuovo Patto per lo sviluppo regionale o, se volete, un nuovo contratto sociale per la comunità dei marchigiani che concordi, indirizzi e presidi le scelte pubbliche fondamentali.
L'ultimo esempio proficuo in tal senso è stato rappresentato nelle Marche, all'inizio di questa legislatura, dalla scelta che abbiamo effettuato di non indebolire la qualità e la diffusione dei servizi sociali e sanitari, che è uno dei segreti della straordinarie performance del cosiddetto "modello marchigiano", chiedendo ai marchigiani di contribuire fiscalmente in maniera aggiuntiva, secondo modalità rigorosamente progressive, allo sforzo collettivo. L'operazione definita da taluni tanto impopolare da apparire temeraria, sta riuscendo a dare i risultati desiderati e programmati, prova ne è la riconduzione sotto il pieno controllo programmatico della spesa sanitaria, nonché l'iniziale abbassamento della pressione fiscale, che siamo intenzionati ad approfondire nei prossimi anni.
E' molto difficile chiamare a raccolta gli attori economici e sociali per la distribuzione di sacrifici immediati nell'attesa di più cospicui benefici differiti nel tempo, ma io penso che il metodo della concertazione paziente e trasparente sia uno strumento ed un obiettivo della nostra azione politica da perseguire con coerente determinazione. Questa è la strada politica e metodologica che noi indichiamo: diciamoci se tutti siamo pronti a fare la nostra parte in questa direzione.
Voglio concludere con l'affrontare quattro questioni che ci occupano e ci impegneranno nei prossimi mesi:
1. Stiamo avviando la sperimentazione delle Agende regionali strategiche di sviluppo territoriale locale (ARSTEL). La Giunta regionale intende contribuire ad innovare e rilanciare lo sviluppo locale in una delicata fase di passaggio da una congiuntura economica sfavorevole ad una caratterizzata da timidi segnali di ripresa. Proponendosi l'integrazione degli interventi programmati in un determinato contesto territoriale, il nuovo strumento operativo può consentire, in tempi di risorse scarse, sia una migliore allocazione degli investimenti pubblici sia una loro migliore resa. Le Agende regionali strategiche per lo sviluppo territoriale locale possono consentire, in particolare, un'integrazione delle politiche locali con quelle previste nel Docup obiettivo 2 2000-2006, in specie nei casi in cui la progettualità locale si associa più strettamente al concetto di sviluppo sostenibile, alla valorizzazione dei fattori di contesto, tra i quali quelli legati al capitale sociale e all'ambiente.
2. Sul versante della ricerca, dell'innovazione e della formazione, l'impegno della Regione non è occasionale. Il Piano del lavoro regionale, nonché il Piano per le attività produttive ne scandiscono gli impegni di medio periodo. In particolare voglio porre l'accento sull'intenzione della Regione di confermare e ampliare l'impegno e il coinvolgimento delle Università marchigiane nella ricerca scientifica e nell'innovazione tecnologica legate alle esigenze del mondo produttivo marchigiano. Anche questo anno le risorse destinate dalla Regione alle Università marchigiane superano quelle allo scopo previste dal MURST. Nel sostegno di queste politiche è sempre più importante utilizzare integralmente le risorse provenienti dall'Unione Europea in un'azione programmata e sempre più integrata tra i vari settori d'intervento, dal cui corretto e puntuale impiego potrà derivare l'aggiunta di risorse premiali particolarmente consistenti.
3. In tutte le ricerche e gli studi comparati d'economia regionale, un punto d'assoluta debolezza della nostra regione è la storica carenza di infrastrutture viarie strategiche. Sul punto, l'irresolutezza del Governo nell'affrontare questioni storiche come la terza corsia dell'A14, gli attraversamenti intervallivi, il nodo del porto di Ancona, la rete ferroviaria risalente sostanzialmente al secolo scorso, confermano un quadro di persistenti e gravi difficoltà. A fronte di questo noi ci misuriamo tutti i giorni con annunci governativi imminenti e risolutivi che non hanno nessun riscontro in termini di effettivi progetti e congrui stanziamenti di risorse. In particolare l'attenzione si è concentrato in questi mesi sul progetto cosiddetto "Quadrilatero Marche e Umbria", un'opera che riteniamo fondamentale non soltanto per lo sviluppo delle due regioni ma, opportunamente collegata al sistema viabilistico longitudinale (il cosiddetto Corridoio Adriatico), di sicura valenza nazionale e internazionale. Su questo progetto, nonostante le tante assicurazioni non abbiamo ancora un quadro complessivo ed affidabile né del piano economico-finanziario, né delle risorse necessarie alla sua realizzazione ed alla ripartizione degli oneri tra i vari soggetti pubblici coinvolti. Sulla questione, pur volendo credere a tutte le previsioni finanziarie e progettuali annunciate solennemente e ripetutamente dal Governo, verrebbe da chiedersi insieme al Comitato Tecnico scientifico della programmazione regionale ed al prof. Niccoli, perché mettere in piedi un marchingegno così complicato e impressionante dal punto di vista dell'impatto ambientale (oltre 21 milioni di mc. di costruzioni) nel quale alla fine lo Stato tira immediatamente fuori l’80%-85% delle somme necessarie e in caso di problemi deve tirare fuori anche il 15 - 20 % residuo? La prudenza e l'attenzione con cui il governo regionale sta valutando il PAV (Piano di Area Vasta) segnalano da un lato l'interesse strategico per la realizzazione di queste opere e dall'altro la nostra preoccupazione che il mantenimento dell'attuale impianto progettuale serva soprattutto a neutralizzare il potere pianificatorio e urbanistico della Regione, delle Province e dei Comuni a favore di un soggetto privato destinato ad assumerne le veci.
4. Infine, ma non ultima, la questione del federalismo fiscale per definire autonome politiche a sostegno dello sviluppo regionale. Da alcuni anni il problema dell'equilibrio finanziario del proprio bilancio costituisce per le Regioni, tutte indistintamente, la vera e propria emergenza, che impronta l'intera loro attività politico-amministrativa, condizionandone pesantemente le scelte. In presenza di minori disponibilità di risorse, degli stringenti vincoli dal "Patto di stabilità” e dell'onere del totale ripiano dei disavanzi della spesa sanitaria, le Regioni stanno cercando a fatica di coniugare il rispetto dei parametri finanziari con la necessità di sostenere adeguatamente gli interventi finalizzati allo sviluppo economico e sociale dei propri territori. E' ormai evidente che il processo di riorganizzazione dei rapporti finanziari tra amministrazione centrale e periferica, avviato con le “Leggi Bassanini” a fine anni '90 ha registrato una vera e propria involuzione negli ultimi anni e, oltre che tradursi in una riduzione di risorse disponibili, ha dato luogo a slittamenti temporali nell'assegnazione dei fondi spettanti e a continue incertezze nella stessa determinazione revisionale delle risorse. In buona sostanza, al di là dai proclamati benefici connessi al cosiddetto federalismo fiscale, la principale innovazione legislativa che ha accompagnato l'attribuzione formale di un maggiore ruolo delle Regioni, è consistita in questi anni nella loro totale responsabilizzazione sul versante della spesa sanitaria, lasciando irrisolto il problema di un'eccessiva concentrazione delle fonti di prelievo obbligatorio in capo al Governo centrale, in particolare di quelle più elastiche, a fronte di processi di decentramento politico ed amministrativo che stanno comportando una rilevante crescita della spesa della amministrazioni regionali.
Il biennio 2002-2003, che avrebbe dovuto sperimentare il passaggio progressivo della logica dei trasferimenti storici a quella che si caratterizzasse per una forma di collegamento tra la ricchezza prodotta in ogni regione e le risorse messe a disposizione di ciascuna, in realtà non solo non ha portato all'introduzione di un nuovo meccanismo di determinazione delle entrate regionali ma ha prodotto lo smantellamento degli spazi di autonomia dal lato delle entrate conquistati dalle Regioni negli anni precedenti. Infatti, la Legge Finanziaria 2003 ha sospeso le possibilità di aumento della addizionale Irpef e delle aliquote Irap, mentre la “riforma fiscale Tremonti” prevede addirittura l'abolizione della stessa Irap. Per queste motivazioni le Regioni accusano ormai esplicitamente il D. Lgs. n. 56/2000 che, nel tentativo di rendere più trasparenti i processi di distribuzione delle risorse, ha cercato di compensare la soppressione dei trasferimenti statali con la partecipazione regionale ai tributi erariali ma, come ha osservato la stessa Corte dei Conti, non ha sostanzialmente risolto le maggiori criticità già presenti nel nostro sistema tributario.
Le Regioni ritengono che soltanto la definizione di un nuovo impianto di federalismo fiscale e di nuovo sistema di trasferimenti per il finanziamento delle funzioni loro trasferite possa garantire la coerente applicazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione e restituire loro lo strumento più rilevante di autonomia finanziaria. Ciò è tanto più urgente considerando che la riforma fiscale degli anni scorsi, pur interessando i tributi regionali, non ha aumentato la quota di risorse regionali effettivamente autonoma; se prendiamo ad esempio il bilancio di previsione 2003 della Regione Marche non possiamo non constatare che le entrate di cui la stessa può liberamente disporre ammontano soltanto a 466 milioni di euro; dal totale di 2.361 milioni di euro iscritti in bilancio occorre infatti togliere 1.895 milioni di euro che, pur essendo ritenuti in teoria liberamente destinabili, in realtà sono da considerare alla stessa stregua dei precedenti trasferimenti statali. Infatti, essi, derivando dalla compartecipazione regionale ai gettiti Iva, Irap ed Irpef, nonché dalle risorse provenienti dal Fondo perequativo nazionale in base all'art. 8 del D. Lgs n. 56/2000, modificato dall'art. 83 della Legge Finanziaria 2001, sono obbligatoriamente destinati al finanziamento della spesa sanitaria. La Legge delega per la riforma fiscale prefigura in prospettiva addirittura una drastica riduzione degli spazi di autonomia fiscale delle Regioni, non solo perché prevede la progressiva scomparsa dell'lrap, ma anche perché contrae il gettito dell'addizionale regionale e comunale sull'lrpef con il passaggio da detrazione a deduzione.
Le Regioni hanno espresso collegialmente il loro disorientamento di fronte alla necessità di individuare una base imponibile alternativa all'lrap, sulla quale far gravare un tributo proprio che presenti le stesse caratteristiche di manovrabilità, stabilità e collegamento con la realtà economica territoriale. In caso contrario rimarrebbero loro, come leve di autonomia impositiva e sempre una volta tolto l'embargo, l’addizionale Irpef dello 0,55, la tassa automobilistica, l’addizionale sul gas metano, oltre alle nuove facoltà di stabilire e applicare tributi propri offerte dall'art. 119, ma con tutte le incertezze del caso.
Allo scopo di sbloccare tale situazione le Regioni avevano chiesto che il lavoro dell'Alta Commissione, istituita dalla Legge Finanziaria 2003 per elaborare, sulla base di un accordo Stato-Regioni ed enti locali, i principi generali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario in attuazione di quanto costituzionalmente previsto dal nuovo art. 119, mettesse la Conferenza Unificata in condizioni di definire i nuovi meccanismi strutturali del federalismo fiscale. Ma i ritardi registrati dai lavori dell'Alta Commissione hanno impedito l'entrata in vigore del federalismo fiscale a partire dal 1° gennaio 2004, che pertanto sarà un altro anno di transizione, per di più verso un nuovo modello di finanza pubblica ancora tutto da definire.
Ad aggravare fortemente questo quadro di grandi incertezze, inerenti la complessiva gestione del settore pubblico da parte del Governo centrale, contribuiscono sia il contenuto del Dpef nazionale 2004-2007, sia le scelte della finanziaria 2004 che non tiene conto del "memorandum" preventivo redatto dalle Regioni.
Il Dpef prospetta andamenti delle principali grandezze macroeconomiche che appaiono discutibili anche dopo la nota d'aggiornamento che ha riadeguato il quadro delle previsioni macroeconomiche: andamento del PIL per l'anno 2003 (+0,5%) e per l'anno 2004 (+1,9%); un livello di indebitamento sul Pil che, anche grazie alle manovre una-tantum, dovrebbe ridimensionarsi nel tempo fino al raggiungimento del pareggio nel 2007; un rapporto debito-Pil (pari al 105% nel 2004) che scenderà sotto il 100% entro il 2007; la prosecuzione dell'evoluzione positiva degli indicatori del mercato del lavoro; una leggera decrescita della pressione fiscale, che però rimarrà sempre superiore al 40%.
L'obiezione fondamentale sollevata dalle Regioni alle stime del Governo concerne il rapporto "tasso d'inflazione programmata-tasso di evoluzione della spesa regionale", con particolare riguardo a quella sanitaria. Giustamente si ritiene impensabile proporre altre misure di compressione delle risorse che riguardino le Regioni, già impegnate a contribuire al risanamento della finanza pubblica mediante il rispetto del Patto stabilità interno e dell'accordo dell'8 agosto".
Ancora più discutibili appaiono le scelte della Finanziaria 2004, che condizionano pesantemente il quadro regionale in quanto: introducono un meccanismo di compartecipazione finanziaria agli investimenti che vincolano in modo indiscriminato le politiche di investimento e indebitamento anziché farle scaturire solo da obblighi reciprocamente concertati; ostacolano la ricostruzione post-terremoto per ultimare la quale occorrono 1.752 milioni di Euro, di cui 695 nel 2004; la Finanziaria ne stanzia soltanto 54 mettendo a rischio i lavori già avviati che nei prossimi mesi si bloccherebbero; si aggiunga che non verrà rinnovato oltre il 31-12-2003 il beneficio concernente la possibilità di contenere al 10% I'lva applicata sui lavori di ricostruzione, con il rischio sempre più consistente di una riduzione dei lavori programmati per circa 100 milioni di Euro; non prevedono risorse per il Fondo Unico per le attività produttive che negli ultimi anni ha trasferito mediamente nella regione oltre 26 milioni di Euro (è evidente il grave danno che ne deriva alla competitività dei sistemi locali di piccole e medie imprese); riducono di quasi il 30% il Fondo delle Politiche sociali, con una diminuzione di risorse per la nostra Regione di circa 15 milioni di Euro; compromettono la continuità nel trasferimento di risorse per il decentramento amministrativo: a partire dal 1° gennaio 2004 tali risorse avrebbero dovuto confluire nel meccanismo previsto per il D. Lgs. n. 56/2000 a regime, di cui e mancata la definizione; non accolgono la richiesta delle Regioni di escludere dal Patto di stabilità interno gli oneri aggiuntivi derivanti dal contratto del personale regionale per il biennio 2002-2003; non tengono conto degli oneri assunti dalle Regioni a seguito della "Legge Bossi-Fini" sull'emersione e la regolarizzazione dell'immigrazione extra-comunitaria (per le Marche si tratta di un aggravio pari a circa 15 milioni di euro); sottostimano i costi per il rinnovo dei contratti in sanità e non prevedono risorse per il secondo biennio economico degli stessi; sottostimano il fabbisogno sanitario nazionale; il livello finanziario indicato nell'accordo dell'8 agosto 2001 non appare congruo rispetto ai "livelli di assistenza" effettivamente erogati (per il 2004 la sottostima riferita al nostro territorio è pari a circa 125 milioni di euro); non modificano le procedure e l'ammontare delle risorse di cassa trasferite per il fabbisogno sanitario, procrastinando la grave dilazione dei tempi di erogazione e la stima delle somme di volta in volta accreditate; lasciano irrisolte le partite finanziarie pregresse. Permane, ad esempio, il mancato riconoscimento, dopo l'anno 2000, della compensazione spettante alle Regioni per il minor gettito delle tasse automobilistiche rispetto all'entrata derivante dall'accisa sulla benzina; la perdita annua di gettito riconosciuta alle Marche è di circa 1,5 milioni di euro.
Per comprendere che la volontà del Governo neo-centralista non cambia, nella circostanza di fatto recente, basti richiamare il documento approvato dalla Conferenza dei Presidenti nella seduta dell'8 ottobre 2003. In tale documento le Regioni, tutte le Regioni, hanno giustamente rilevato che l'impostazione della manovra è caratterizzata da elementi di centralismo, non sblocca lo stallo del federalismo fiscale e introduce nuove criticità e incertezze nella finanza regionale. Rappresentative di questo indirizzo sono le numerose disposizioni che introducono modifiche normative, organizzative e finanziarie in settori anche di competenza regionale, quali ad esempio l'agricoltura, I'edilizia residenziale, le politiche sociali, l’incentivazione alle imprese, la sanità, il settore idrico, il diritto allo studio universitario.
Insomma, concludendo, questi sono alcuni punti di forte criticità finanziaria su cui mi sono particolarmente soffermato e di particolare rapporto con il Governo, che a me paiono assolutamente centrali nel momento in cui dobbiamo aprire una nuova fase dello sviluppo delle Marche, che evidentemente vale la pena di affrontare tutti insieme per guardare al futuro con speranza e prospettiva.

PRESIDENTE. Ha la parola Valentino Mandolini, in rappresentanza della Confcooperative.

VALENTINO MANDOLINI, Confcooperative. Le Marche sono fondamentalmente un tessuto di piccole e medie imprese, anche se vi operano alcune significative industrie medio-grandi.
Non è sicuro che questo sia un modello vincente anche per il futuro, ma una cosa è certa: che qualora questa peculiarità non costituisca più una risorsa per la nostra regione, non potrà essere cambiata in poco tempo.
Se la competizione nei mercati globali comporta delocalizzazione, insicurezza sociale, ma soprattutto maggiori necessità di investimenti in ricerca ed in formazione del capitale umano, una delle possibili soluzioni che noi possiamo proporre per mantenere competitivo questo tessuto, è ovviamente l'associazionismo tra le imprese: creare cooperative e consorzi.
D'altra parte in tanti settori, quello artigiano dei trasporti ad esempio, le cooperative di servizi sono stati utili per creare le dimensioni necessarie ad affrontare certe problematiche, per realizzare importanti sinergie e rendere più competitivo un comparto anche rilevante.
Non sembri passato di moda parlare di cooperazione che invece, a nostro avviso, rimane ancora una delle poche formule per connettere in rete un tessuto di piccole e piccolissime imprese come quello che c'è oggi nel territorio marchigiano, ma che può essere utile, perché no, anche alle grandi aziende.
L'alta propensione al lavoro autonomo, che emergeva ieri nella ricerca presentata dall'lstituto LaPolis, ci piace pensare, che sia anche il frutto del nostro lavoro e della nostra presenza nella società marchigiana, con una particolare attenzione ai giovani.
Ma parlare di "prospettive dell'economia marchigiana" non vuol dire parlare solo dei classici comparti produttivi. Anche se ieri si è parlato di distretti, di sistemi produttivi con una particolare attenzione al manifatturiero (vedi il confronto con il nord-est, e vedi gli autorevoli esponenti rappresentanti di certe categorie economiche che sono intervenuti ieri). A noi preme parlare anche di agricoltura, di pesca, di turismo, di commercio, di beni culturali, di manutenzione del territorio, di servizi alla persona, di abitazioni e quindi del più complessivo sistema economico e sociale delle Marche.
In questi settori già oggi la cooperazione fa la sua parte, ma si potrebbe sicuramente fare di più. Sul turismo, ad esempio, seguendo quanto diceva ieri la sig.ra Sodano del TG3 Marche che "siamo una regione così bella e così vivibile che però non si sa vendere" a proposito della diminuzione degli arrivi di turisti nel 2003, la cooperazione tra imprenditori turistici può rappresentare una importante soluzione alla eccessiva frammentazione dell'offerta ed all'incapacità di fare sistema dei nostri servizi turistici.
Ma per procedere in questa direzione occorre un segnale ed un sostegno più deciso anche da parte delle istituzioni. E' vero, noi crediamo fortemente nelle Istituzioni - cito sempre la ricerca LaPolis - e proprio per questo siamo più esigenti.
Ci sono per la verità già alcune leggi che ci aiutano a promuovere nuove imprese cooperative, ma le risorse ad esse dedicate non ci consentono di soddisfare tutte le aspettative; un solo esempio: sul bando della nuova Legge Regionale 5 del 2003 sono arrivate 63 domande di nuove imprese cooperative, ma con le risorse stanziate si potranno soddisfare solo le prime 9 imprese (per le altre 54 cosa facciamo?).
L'economia marchigiana teme il cambiamento, teme di perdere la spinta propulsiva degli anni passati, teme di perdere il controllo dei sistemi di supporto allo sviluppo delle imprese (vedi gli Istituti di Credito, dove solo Banca Marche, si ricordava ieri, ha la testa pensante nella nostra regione; ma non si valorizza adeguatamente quello che c'è: Le Banche di Credito Cooperativo, associate a Confcooperative, che, sempre ieri, venivano liquidate con due parole perché troppo piccole, con i loro 135 sportelli ed una percentuale di raccolta vicina al 15% sono una risorsa fondamentale: rappresentano infatti circa il 18% dei prestiti erogati a favore delle imprese o società artigiane con meno di 20 dipendenti, e il 13% dei prestiti erogati alle famiglie consumatrici. Inoltre associano 26.500 persone dando un contributo decisivo alla trasparenza, alla partecipazione, al coinvolgimento del territorio nelle loro strategie di sviluppo). Le banche di credito cooperativo fanno raccolta nelle Marche e reimpiegano nelle Marche, non portano via risorse finanziarie al sistema economico regionale.
Per contribuire a risolvere i problemi dell'economia marchigiana, enunciati in questi due giorni, la cooperazione dà il suo apporto economico (con la creazione di ricchezza delle sue imprese), dà il suo apporto per il mantenimento dell'occupazione (con la creazione costante di nuovi posti di lavoro nei servizi alla persona, e avendo una minore problematicità sul tema del ricambio generazionale sulle cooperative di produzione di beni e servizi).
La cooperazione dà il suo contributo anche sul tema dell'integrazione con altri cittadini di provenienza extra-comunitaria, che pure sarà una componente importante nei prossimi anni per lo sviluppo economico della nostra regione. Ma dà soprattutto un apporto culturale, un contributo alla coesione sociale, alla diffusività della partecipazione democratica alla gestione dei fatti economici, e perché no anche della politica.
Per questo chiediamo di essere maggiormente considerati come un "attore economico" alla pari di altri, ma anche più di altri e non tanto per i numeri che rappresentiamo e che significhiamo, ma anche per la portata sociale della nostra presenza, di essere più coinvolti nella programmazione e nel dibattito sulle prospettive dell’economia marchigiana, perché siamo convinti di poter dare il nostro originale contributo.
Con questo senso parteciperemo con soddisfazione anche al lavoro che ieri il Presidente Minardi proponeva di sviluppare attraverso il “patto per lo sviluppo”, al quale tutti potremo partecipare per definirne i contorni e le prospettive.

PRESIDENTE. Ha la parola Bruno Bedetti, per la Confcommercio.

BRUNO BEDETTI, Confcommercio. Il nocciolo della questione, non sta nell'ormai incontrovertibile maggior peso che il terziario assume in termini di occupazione e PIL nelle economie più avanzate. La riflessione economica e la politica economica sono purtroppo in ritardo nel riIevare questi cambiamenti. Ma il loro effetto è sotto gli occhi di tutti e impone un nuovo modo di guardare alle problematiche dello sviluppo.
Alle spalle abbiamo modelli di sviluppo che non bastano più. Da una parte, come abbiamo visto negli ultimi anni, la produzione di massa e le grandi imprese, anche se diventate post-fordiste nella strategia e nell'organizzazione, non sono più il cuore della crescita economica e occupazionale. Dall'altra, l'economia italiana ha esaurito le risorse su cui si reggeva la crescita quantitativa, fatta aumentando i volumi a scapito della loro differenziazione e qualità.
Se c'è un sentiero di sviluppo ancora aperto per il nostro paese, questo è solo quello della crescita qualitativa, che non avviene aumentando il numero degli addetti, ma il valore prodotto da ciascun addetto. Una parte di questa crescita di produttività può essere ottenuta migliorando l'efficienza della manifattura con nuove tecnologie o nuove macchine.
Ma si tratta di una strada difficile: le nuove tecnologie e le nuove macchine vanno anche ai nostri concorrenti e, se hanno costi del lavoro inferiori, non bastano per creare un vantaggio competitivo sostenibile. Il sentiero dello sviluppo passa, in questo senso, per un rafforzamento dell'intelligenza terziaria sia con maggiori contenuti e professionalità di tipo terziario all'interno delle imprese (anche delle imprese industriali), sia con un'ulteriore crescita del settore dei servizi, in tutti i casi in cui la qualità e l'innovazione nascono da iniziative e competenze di produttori terziari specializzati.
Questa trasformazione si lega ad un cambiamento fondamentale che sta emergendo un po' in tutti i paesi sviluppati: l'uso intensivo della conoscenza nella produzione di valore. Ma attenzione, non si tratta di conoscenza hard come quella codificata nella scienza o nell'high-tech, ma di forme soft che sono diffuse in tutte le attività e che si legano alle capacità e all'intelligenza degli uomini. Oggi, per creare valore non basta inventare o produrre una macchina: bisogna fare molto di più e di diverso, interagendo efficacemente con i clienti, con i consumatori finali, con i centri di assistenza e di manutenzione, con le catene logistiche (la più grande piattaforma di freschi in costruzione ad Ancona Sud è commerciale), con la distribuzione, con le banche, con i fornitori con i centri di ricerca. La nuova intelligenza terziaria è al servizio di tutta l'economia: l'evoluzione della manifattura ne ha bisogno come non mai. E' interna ed esterna alle imprese e oggi diventa fonte di innovazione e mezzo per la creazione di valore. La conseguenza è che cambiano i modelli di business delle aziende e cambiano gli equilibri nella catena del valore. In molti settori del made in Italy, ormai, il valore si concentra nelle fasi a valle della catena del valore, quelle che hanno rapporto col cliente finale o con la catena distributiva. Cambia e di molto lo scenario delle professionalità. L'intelligenza innovativa non è più concentrata all'interno di poche grandi organizzazioni e focalizzata sulle competenze tecnico-produttive. Tutte le unità, anche di piccola dimensione, hanno bisogno di competenze professionali di tipo relazionale. C'è dunque una domanda latente di nuova professionalità diffusa, che ha bisogno, per emergere, che i processi di innovazione sopra richiamati vadano avanti.
L'identità del terziario che andiamo cercando non può essere definita a tavolino. Certo può trovare qualche riferimento importante nelle ricerche e nelle riflessioni ché sono già state fatte, ma va ricercata in una realtà differenziata e in forte evoluzione. Il settore del commercio, turismo e dei servizi è parte principale di un sistema economico che si basa sullo sviluppo della piccola e media impresa. Per questo riveste un'importanza strategica tale da essere considerato uno dei settori trainanti dell'economia che può contribuire anche a migliorare e sviluppare lo stato occupazionale regionale.
Le scadenze e i grandi snodi in calendario per i prossimi mesi ed anni (elezioni a getto continuo, riforme istituzionali, federalismo, Europa, riassetto organizzativo del nostro sistema ed altro ancora), ma anche l’aggravarsi, in parallelo, di una crisi di una parte dell’impianto economico e finanziario del paese che rischia ormai di diventare sistematica, impongono l’avvio di una profonda e quindi non solo formale discussione che serva a definire compiti, obiettivi e strategie.
In questo e altro non abbiamo raccolto le provocazioni che, soprattutto sul team “europrezzi”, sono venute con l’avvio della campagna elettorale, da ogni versante. Ciò per non prestare il fianco a strumentalizzazioni di tipo politico che nell’attuale contesto, non abbiamo alcun interesse ad avvalorare.
Non voglio affatto dire che rimarremo in silenzio, ma è ormai indispensabile, proprio perché il paese si trova oggi di fronte al suo forse più difficile crocevia degli ultimi vent’anni — inesorabile declino e avvio di un nuovo e diverso modello di sviluppo — che si provveda, con urgenza, alla definizione di una linea programmatica di largo respiro che, anche sotto il profilo positivo, sia di alto spessore e qualità.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Viventi.

LUIGI VIVENTI. Nel mio intervento, come mia consuetudine, sarò breve e cercherò di essere non accademico ma concreto.
Esprimo una grande preoccupazione sullo stato dell'economia, non perché sia falsata da una vicenda che sto gestendo, ma è il quadro generale che mi preoccupa fortemente, di fronte al processo di globalizzazione, inserito in un contesto di crisi economiche internazionali e soprattutto di fronte non al problema dell'euro ma della svalutazione del dollaro e della eccessiva valutazione dell'euro rispetto all'euro stesso. Ciò crea problemi enormi a tutte le aziende italiane, ma direi dell'Europa occidentale, quindi le aziende marchigiane che devono esportare e siccome il reddito, fondamentalmente, in un paese lo creano anzitutto le aziende, è evidente che questa situazione non poteva non creare enormi difficoltà a tutti. La regione marche si sta difendendo abbastanza bene, ma voi sapete che ci sono preoccupazioni nel settore del tessile, dell'abbigliamento, della meccanica, in tutti i settori, perché il processo di delocalizzazione produttiva nell'est Europa in questi settori come negli altri è ormai un processo acquisito e questo significa che ci sono meno investimenti che si realizzano in Italia, meno investimenti che si realizzano nelle Marche, meno posti di lavoro che si creano qui, ma posti di lavoro e investimenti che si creano all'estero. Questo è un dato di fatto dal quale non possiamo prescindere. Non è che un'amministrazione regionale, di centro-sinistra o di centro-destra possa fare qualche cosa in questa direzione. Ci sono delle politiche, delle misure che possono essere prese per accompagnare un processo ma non possono determinare e fare la differenza: sicuramente il Governo centrale deve essere attento nella sua politica dei redditi, nella sua politica fiscale, negli incentivi agli investimenti ecc. ma questo deve farlo anche il governo regionale. Quando criticai la manovra che la Giunta regionale ha posto in essere con l'aumento dell'Irap e dell'Irpef nel 2002, dicevo "se c'è una cosa dal punto di vista macroeconomico, se c'è un provvedimento che non dovrebbe essere assunto in questi periodi è l'inasprimento fiscale", anche se mi rendo conto di quelle che erano e sono le situazioni delle casse regionali, di quelli che sono i provvedimenti dei Governi centrali, a partire dal Governo Amato, i quali dicevano "le Regioni devono provvedere a se stesse per la sanità", quindi quando devi far quadrare i conti tanti spazi di manovra non ci sono.
Quello che noi dobbiamo fare è un ridimensionamento della spesa pubblica, per certi versi improduttiva, quella che non crea reddito, lasciare le poche risorse disponibili per incentivare gli investimenti e per ridurre la pressione fiscale sulle imprese artigiane, industriali, di ogni tipo, che devono sostenere una battaglia quasi improba sui mercati esteri, quelle che sono rimaste a produrre, a lavorare in Italia, nelle Marche, per vincere la concorrenza di chi ha già delocalizzato all'estero la produzione o dei paesi emergenti come Turchia, Corea, Cina, India. C'è una situazione in rapidissima evoluzione. Non parlo qui come responsabile dell'Udc o della Casa delle libertà, parlo come persona, come cittadino marchigiano che conosce, per il mestiere che fa, alcune situazioni. La preoccupazione per il futuro è grande, non ce lo possiamo nascondere e sappiamo anche che non abbiamo forza e strumenti tali per poter creare, in un modo o nell'altro, un'inversione di tendenza, perché sarei bugiardo se dicesse "se governasse il centro-destra sarebbe tutto diverso". Questo non si può dire, perché i processi sono talmente più grandi di noi che non potremmo fare molto. Però le piccole cose che dicevo prima le possiamo fare e come Regione dobbiamo essere attenti a questo. Solo in questo modo possiamo aiutare le nostre imprese ed i nostri operatori economici.
Il dollaro viene da un'economia che è il doppio più forte di quella europea e oggi vale il 40% in meno a quello che valeva rispetto all'euro due anni fa, una cosa enorme. Ciononostante la Banca centrale europea continua a mantenere i tassi al 2,5% e negli Stati Uniti sono all'1%. Se non ci sono provvedimenti di questo rilievo possiamo fare ben poco. C'è bisogno di una visione strategica a livello europeo e nazionale di tipo diverso, altrimenti questo paese, questa regione, questo continente andranno incontro a problemi molto più grandi.

PRESIDENTE. Ha la parola Giovanni Serpilli, segretario regionale della Cisl.

GIOVANNI SERPILLI, Segretario regionale Cisl. Innanzitutto un apprezzamento al Consiglio regionale e alla Giunta per l'encomiabile iniziativa di ieri, che oggi ci consente di ragionare sui temi del nostro futuro con maggiore consapevolezza, non voglio dire con maggiore tranquillità. Un apprezzamento che va in particolare al lavoro del prof. Diamanti, della sua équipe ma anche a tutti gli altri interlocutori che hanno sviluppato sicuramente un'occasione preziosa su cui ognuno di noi — non basterà questa riunione del Consiglio aperta a questa partecipazione — farà le sue riflessioni.
Per quanto mi riguarda voglio sottrarmi alla querelle che ha portato molto a disquisire, ieri, sulla fase che la nostra regione, ma non solo, sta attraversando. Il Presidente Minardi si chiedeva: declino o perdita di slancio, di centralità? Non considero questo il punto centrale. Non è una disquisizione accademica su cui ognuno si possa esercitare.
Credo invece che ci sia in noi la consapevolezza che si sta scivolando su un piano inclinato ed a me sembra che manchi, non voglio dire la consapevolezza ma forse la disponibilità o le condizioni di appigli a cui aggrapparsi. Altrettanto a me sembra che l'esigenza di apparire o di far apparire o di far sembrare rischino di far perdere la coscienza o la consapevolezza dello scivolare.
Detto questo, dico qual è la mia percezione, la percezione di chi rappresenta il mondo del lavoro, in particolare il lavoro dipendente. Abbiamo la percezione di crisi territoriali e di settore; abbiamo la percezione di perdita di produzioni e di perdita di posti di lavoro. Siamo all'interno di una "mobilitazione" — questo è il nostro linguaggio — che si fa carico sul territorio di uno sciopero generale nella provincia di Ascoli Piceno, di una manifestazione regionale di valutazione complessiva che faremo il 28 febbraio. Quindi al di là delle declinazioni delle parole, percepiamo questa situazione di difficoltà e abbiamo anche la consapevolezza che questo momento di difficoltà si innesta in una condizione più di carattere generale, di debolezze strutturali che sono conosciute, che sono antiche ma anche di condizioni nuove come gli squilibri demografici che ci interrrogano e che ci impegnano. Sono seri i problemi che sono alla nostra attenzione e che ci impegnano sulle iniziative necessarie.
Siccome si è parlato di discontinuità, non volendo assecondare una linea di pensiero che si colloca sulla parola "declino", che induce a un evento ineludibile, progressivo e ineluttabile, occorre determinare una discontinuità tra un passato che non c'è più e un futuro da costruire, che però passa attraverso il presente, attraverso l'oggi. E' questo il compito che dovremmo cercare di capire e su cui dovremmo soffermarci.
Occorre innanzitutto considerare la società, in particolare dal punto di vista del potenziale che questa ha al proprio interno, quel potenziale di azioni e di relazioni che derivano dalle strutture che mettono in rapporto soggetti individuali e collettivi.
Attraverso queste relazioni, queste ricchezze che hanno rappresentato il nostro capitale sociale ma anche la nostra coesione — e anche qui non entro nelle polemiche — si rendono disponibili risorse cognitive, informazioni necessarie, ma anche quelle regole, quelle normative che supportano e danno fiducia, l'altro tema che volevo annunciare. Una fiducia da ricostruire, una fiducia da rafforzare. Forse più da ricostruire che da rafforzare.
Per fare questo riteniamo necessario ricostruire i luoghi e le modalità in cui questo abbia la possibilità di ricomporsi. Abbiamo un'occasione a portata di mano, l'occasione della definizione e approvazione dello Statuto. Approfitto allora ancora una volta per tentare di ricollocare il lavoro al centro dell'attenzione politica, il lavoro quale fattore di sviluppo e quale condizione di promozione, di coesione sociale. Non tanto l'impresa, il lavoro in una accezione molto più ampia.
Vorrei anche fare un paio di sottolineature, un richiamo all'eticità dell'azione politica, come sono etici i fondamenti dell'azione dell'impresa e dell'azione sindacale.
Questi elementi di eticità ritrovati, riscoperti, riposizionati, devono ritrovarsi nel binomio solidarietà e responsabilità.
Riteniamo che queste siano le condizioni da cui deve ripartire l'appello che ieri, a conclusione della mattinata, il Presidente ha lanciato, di un patto. L'esperienza recente ci indurrebbe ad avere qualche riserva sotto questo profilo.
Questo rappresenta un evento che si fonda su una fiducia ricostruita, su una eticità ritrovata, sulla solidarietà e sulla responsabilità e credo sia un percorso possibile. Su questo ci rendiamo disponibili, ognuno di noi evitando di sviluppare un'azione di prevaricazione o di imposizione del proprio pensiero.
Abbiamo rischiato? Gli eventi sembrano indicare che questa condizione si sia perduta e mi riallaccio all'apertura di ieri del Presidente della Giunta, ma anche alle riflessioni che il convegno di ieri ci ha messo a disposizione perché queste situazioni si ricostituiscano.
Su questo abbiamo del lavoro importante da fare, rispetto al quale è possibile immaginare una prospettiva di sviluppo della nostra regione, che sia la vera risposta alle disquisizioni su un declino possibile annunciato ma da tutti esorcizzato. Per fare questo occorre mettere seriamente "le mani nel piatto" e non perché ci troviamo in una situazione particolare in cui le ragioni della politica possono prevalere rispetto all'importanza e alla drammaticità delle situazioni reali che si stanno determinando.

PRESIDENTE. Ha la parola il sindaco di Ancona Fabio Sturani.

FABIO STURANI, Sindaco di Ancona — Presidente Anci Marche. Signore e Signori, è la seconda giornata che passiamo insieme, dopo la presentazione, ieri, del “Rapporto LaPolis”. Va il mio apprezzamento, sia come sindaco di Ancona che come presidente dell’Anci per questa opportunità questa di oggi di dialogare, confrontare le nostre idee e per definire una strategia comune per costruire il futuro delle Marche. Il nostro territorio, come il mondo, sta vivendo una fase di radicali cambiamenti e questo inizio di nuovo millennio ci impone sfide molto difficili. Il nostro richiamo è all'impegno civile, alla partecipazione e alla elaborazione comunitaria del progetto per il futuro, come condizione di uno sviluppo fondato sulla democrazia e sulla responsabilità, prima che altri ci impongano scelte e valori estranei al nostro comune sentire, propri di un mondo immaginario e virtuale, privo di anima. La crescita dei poteri locali e delle loro responsabilità sono decisivi per rafforzare questa strategia.
Debbo anche aggiungere, in maniera forse autocritica, che i tempi della politica non possono essere sfasati rispetto ai tempi dell’economia, della società e delle scelte che dobbiamo fare per il nostro territorio a favore delle categorie economiche e sociali, se vogliamo pensare al futuro.
Il localismo chiuso e sgangherato, incapace di raccordarsi in dimensioni più ampie, si vince costruendo una identità ed una coscienza regionale come forte coscienza d'insieme, da realizzare in modo rigoroso ed aperto con tutte le forze vive delle Marche. E tutto ciò vale tanto più a fronte dell'allargamento dell'Unione Europea che provoca lo spostamento del suo baricentro dal nord Europa più verso l'area adriatica e mediterranea.
Questa nuova geografia politica pone alle Marche una sfida storica che è quella del dialogo, della cooperazione economica, sociale e culturale con gli stati, con le città, con gli uomini e le donne delle nuove realtà sorte dal disfacimento della Federazione Jugoslava e dell’area balcanica.
Una sfida nella quale Ancona è in prima fila, con la creazione del Forum permanente delle città dell'Adriatico e dello Ionio, e attraverso il coerente impegno per l'ammodernamento del porto internazionale, dello scalo aeroportuale e delle infrastrutture viarie strategiche.
Anche nell'incontro di ieri, dove abbiamo riflettuto sui risultati dell'indagine elaborata da "LaPolis", abbiamo avuto la prova che il nostro modello è ancora vitale e con la forza dei suoi mille mondi di famiglie, di piccole e medie imprese, di Comuni, Università e di associazioni, del variegato mondo dell’associazionismo può essere anche per il domani la carta vincente rispetto ad altri modelli, forse più affascinanti e alla moda, ma più massificanti e privi di quell'anima che ci hanno fatto essere quelli che siamo.
Anche di fronte alla globalizzazione, e al decentramento produttivo, alla crescita della multietnicità, la nostra società reagisce bene anche se non mancano timori e preoccupazioni.
A fronte di questa situazione è necessario che anche sul piano istituzionale si diano segnali di forte coerenza ed Ancona su questo terreno vuole spendersi ed impegnarsi.
Gli obblighi ferrei dell'economia e del mercato globale richiedono il rafforzamento di tessuto comunitario, società civile ed istituzioni. Nelle nostre azioni di governo della città partiamo dalla convinzione che Ancona ha bisogno delle Marche e dei suoi mille mondi vitali, dei suoi 245 Municipi e degli altrettanti e più "campanili" che identificano la nostra regione.
La soluzione di nodi strategici come il collegamento fra lo scalo marittimo internazionale e la grande viabilità, lo sviluppo concreto del progetto europeo dell'"autostrada del mare", non sono problemi del sindaco di Ancona né delle sole Marche ma del paese in una dimensione europea. E' necessaria quindi una unità d'intenti fra tutte le istituzioni, compreso il Governo nazionale, che non può lavarsene le mani.
Sull’uscita dal poto, di cui si sta discutendo in questi giorni, credo che debba anche essere tenuta in debito conto la proposta avanzata dalle istituzioni locali, condivisa unitariamente, condivisa da tutte le categorie economiche del nostro territorio, della quale il Governo deve tenere conto e su cui dobbiamo dare una risposta tutti insieme.
Non è per caso che il nuovo Piano Regolatore del Porto di Ancona è il risultato della concertazione fra Comune ed Autorità Portuale. Anche quando ragioniamo di sanità abbiamo sempre presenti le Marche. Avere nel nostro territorio strutture efficienti e qualificate, centri d'eccellenza vuol dire garantire all'intera regione quei livelli che ci fanno avere il primato della terra dove i cittadini sono fra i più longevi d'Italia.
In questo settore così delicato vogliamo avere un rapporto paritario con l'Università e non è per caso che, proprio recentemente, il Comune di Ancona ha firmato un protocollo d'intesa con l'Università Politecnica delle Marche. Sempre in questa ottica regionale è necessario sviluppare rapporti e collaborazioni virtuose fra l'ISTAO, l'IRPEM e le altre sedi universitarie ed il sistema della Autonomie Locali.
Solo in questo modo possiamo garantire il buon governo e corrispondere a ciò che desiderano i nostri cittadini, rinsaldando in maniera forte il rapporto fra cittadini e istituzioni.
Positiva è la scelta fatta dall'ANCI e dalla Regione che prevede la messa a disposizione di fondi per l'Unione dei Comuni senza togliere loro identità, ma al fine di garantire migliori servizi.
Possiamo, inoltre, garantire servizi pubblici sempre più efficienti e di qualità così come stiamo cercando di fare lavorando insieme con gli altri comuni in quella che chiamiamo convenzionalmente l'area vasta attorno ad Ancona. E' chiaro quindi che Ancona ha bisogno delle Marche ma le Marche hanno bisogno di Ancona, il capoluogo che vuole essere al servizio dell'intera comunità regionale.
Come Sindaco di Ancona e come Presidente dell'ANCI Marche voglio dialogare, mi voglio sentire parte della stessa squadra e chiedo alla Regione un passo in questa direzione. Basta con la politica dei pareri, dobbiamo costruire insieme il futuro delle Marche vincenti, dobbiamo mettere insieme idee e risorse avendo obiettivi comuni ma anche ambiziosi.
Chiedo quindi un segnale forte in questa direzione affinché nel nuovo Statuto venga inserito il Consiglio regionale delle Autonomie, istituto il cui funzionamento deve essere garantito fin dalla costituzione del prossimo Consiglio regionale.
Il dialogo senza progetto è un incontro di potere; se diventa progetto diventa "politica" con recupero di valori e delle energie migliori per l’interesse di tutta la nostra comunità.

PRESIDENTE. Ha la parola il presidente della Provincia di Ascoli Piceno, Pietro Colonnella.

PIETRO COLONNELLA, Presidente Provincia di Ascoli Piceno — Upi Marche. Ringrazio il Presidente, il Consiglio regionale. Le introduzioni del Presidente Minardi e dell'assessore Agostini hanno fornito spunti importanti perché le questioni dello sviluppo e del lavoro sono il fulcro della politica e delle istituzioni.
E' importante che un'istituzione come quella regionale affronti questa problematica sul futuro del lavoro, dello sviluppo, delle prospettive, del futuro della nostra comunità regionale e non c'è questione che sia più rilevante di questo. Anche nella politica e nelle istituzioni nazionali per anni si è parlato di articolo 18, di lodi di vario ordine e grado e invece penso che dobbiamo concentrare qui la nostra attenzione e l'attenzione delle istituzioni tutte attorno ai temi veri, ai grandi temi e ai grandi problemi e anche alle prospettive che abbiamo di fronte. Intervengo soprattutto come presidente della Provincia di Ascoli Piceno, ma c'è anche un impegno complessivo dell'Upi sui temi dello sviluppo e sulle prospettive di questa regione, ma la provincia di Ascoli Piceno più di ogni altra sta manifestando delle vere e proprie difficoltà. C'è una difficoltà nel sistema della moda, abbigliamento e calzature, una doppia difficoltà di questo sistema e una difficoltà in particolare di alcune fabbriche più grandi, più rilevanti, nate nella zona ex Casmez, cioè nel nucleo industriale di Ascoli Piceno. Quindi doppia difficoltà: sistema calzaturiero, fabbriche ex Casmez. Questa difficoltà ha portato, per esempio, volendo parlare di indicatori, ad una particolare contrazione delle esportazioni della nostra provincia nell'ultimo anno (-17%) a fronte di un relativo aumento delle esportazioni della provincia di Ancona e di un sia pure minore decremento sia della provincia di Macerata che Pesaro.
Penso che dobbiamo rilanciare la politica della concertazione, la politica dello sviluppo. Qui si è parlato di diversi strumenti della politica regionale anche a livello nazionale. Io penso che anzitutto sia importante ricreare fiducia con l'attenzione a questi temi e poi parlare di una serie di strumenti e lo strumento della concertazione, della condivisione di un progetto comune, condiviso di tutte le forze in una realtà come le Marche, che hanno una loro specificità, in cui c'è un'economia, un intreccio originale tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, dove ci sono fattori ancora di coesione sociale molto positivi e molto forti, penso sia un elemento importante. Non è un caso che nella stessa provincia di Ascoli, fino a due anni fa, fino a quando il Governo nazionale non ha manifestato una minore attenzione che spero recuperi nei prossimi mesi. Finché c'è stata attenzione alla concertazione, ad esempio, anche in provincia di Ascoli abbiamo realizzato due patti territoriali con 250 miliardi di investimenti, con 170 imprese che hanno fatto investimenti in 53 comuni su 73 della provincia di Ascoli, quindi un risultato sicuramente positivo.
La concertazione, quindi una cabina di regia per mettere insieme i diversi attori istituzionali che devono recuperare passione e attenzione su questo tema, un'attenzione al fattore tempo, un "tavolo dei tempi". Non è possibile che una strada di cui si parla da trent'anni, non solo dalle nostre istituzioni, ma anche da parte dell'Anas, della Società autostrade, quindi istituzioni di carattere tecnico, infrastrutturale, ancora non esista. Occorre costruire "tavoli dei tempi", non è possibile che ci siano delle "incompiute" di 20-30 anni, per le quali ci sono le risorse, ci sono i progetti ma non vengono realizzati. Quindi, oltre che un'attenzione alle migliaia di miliardi, a volte anche improbabili, del futuro, bisogna guardare anche alle risorse del presente, a come spendere nei tempi economicamente cogenti, le risorse del presente. La provincia di Ascoli Piceno è stata completamente esclusa da ogni legge obiettivo di ogni ordine e grado. L'unica provincia delle Marche fuori dalle leggi obiettivo è quella di Ascoli Piceno. Ho anche scritto una lettera al ministro Lunardi in questo senso, ho avuto un incontro al Ministero su questo tema, ma al di là di queste migliaia di miliardi delle eventuali leggi obiettivo occorre spendere almeno i 100 miliardi, per esempio, per la Salaria, i 22 milioni di euro per il casello di Porto Sant'Elpidio, cose di cui si parla da 20-30 anni e quindi il "tavolo dei tempi", un'accelerazione dei tempi, perché il tempo è una funzione decisiva nello sviluppo e nelle prospettive di questa regione.
Un altro grande tema è quello della formazione, dell'università. Voi sapete che c'è uno sforzo delle istituzioni del Piceno sui temi della formazione. Emblematicamente, anche insieme all'assessore Catalucci abbiamo lanciato una proposta di grande rilievo di mille diplomati e laureati nella provincia di Ascoli per l'innovazione, la ricerca, i contratti di ricerca e di lavoro per mille diplomati e laureati da realizzarsi nei prossimi mesi, nelle prossime settimane. Penso che l'azione e l'impegno anche dei diversi assessori regionali lasciano ben sperare su una prospettiva positiva, di impegno comune, affinché le difficoltà particolari che la nostra provincia esprime possano essere superate: lo sviluppo dell'università di Ascoli Piceno, la possibile attivazione dell'università di economia e commercio a San Benedetto, il rilancio deluso stesso Ente universitario del Fermano. Sono proposte concrete, perché il tema del futuro è il tema non della compressione del lavoro. Per un periodo si è pensato che il tema principale della politica fosse la compressione di un po' di salari, di un po' di diritti. Non è questo il tema, non è la compressione del lavoro. Il tema del futuro è la valorizzazione del lavoro in tutte le forme, a partire dalla qualità del lavoro e dell'innovazione. Per questo noi intendiamo lavorare.
Un altro tema è quello della concertazione, che si esprime anche attraverso una rivitalizzazione dei centri storici, delle piccole e medie imprese. I contratti d'area adesso sono passati anche alle Regioni, c'è un ruolo nuovo delle Regioni, quindi occorre un contratto di programma sul turismo: la provincia di Ascoli è la prima provincia turistica delle Marche, esprime il 34% di tutto il turismo regionale, delle presenze del turismo regionale. Occorre lavorare per un patto territoriale, un contratto di programma sul turismo che dia prospettive ai piccoli esercizi turistici, commerciali, alla rivitalizzazione dei centri storici nei quali la piccola bottega non rappresenta solo un servizio commerciale, non rappresenta solo un'attività economica ma anche un grande servizio sociale.
Voglio concludere dicendo che le difficoltà sono molte, ma se si recupera un metodo concertato e condiviso vedo delle prospettive di ripresa della nostra economia regionale e anche nella realtà dell'ascolano dove maggiori sono le difficoltà.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. In questi giorni stiamo assistendo, sia a livello locale, che provinciale, regionale e nazionale, ad un dibattito sì interessante ma preoccupante. Siamo un po' preoccupati, perché di fronte a continue dichiarazioni circa il sempre maggior numero di persone sotto la soglia di povertà, c'è sconcerto, disagio e soprattutto ciò mette la classe politica in discussione rispetto ai provvedimenti degli ultimi decenni.
Anche il Santo Padre, recentemente, ha richiamato le forze politiche ad impegnarsi più costantemente sulla famiglia, sulla casa, sul lavoro, sull'occupazione e prontamente tutte le forze politiche non hanno fatto altro che sfilare davanti alla televisione e scrivere sui giornali di avere condiviso l'appello del Santo Padre.
Non è la prima volta che assistiamo a queste immagini, però è la prima volta che il Santo Padre non parla solo di povertà nel mondo ma si preoccupa anche dei nostri problemi. Quindi non è un campanello d'allarme, sicuramente è un forte segnale che il Santo Padre ha voluto dare per riflettere attentamente, non fare i soliti tavoli, le solite discussioni, le solite demagogie, bisogna cominciare a fare degli atti concreti in modo che il potere d'acquisto aumenti, si cominci a far girare più denaro in modo che le famiglie stiano più tranquille e non si assista a madri quarantenni esasperate perché non hanno i soldi per andare avanti e che quindi devono inventarsi delle rapine in banca, come accaduto recentemente.
Quindi la riflessione va al di là della semplice analisi che ognuno di noi può fare e bisogna che cominciamo a guardarci dentro eliminando veramente gli sprechi, sia a livello comunale, che provinciale, che regionale, che nazionale, investendo veramente sulle famiglie, non con provvedimenti che portino consenso elettorale ma con provvedimenti che siano seri e che allevino veramente le famiglie.
Questo è un discorso che dobbiamo cominciare a fare tutti, anche se costa dei sacrifici e ognuno di noi deve fare la sua parte senza dire "rivolgetevi al governo Berlusconi" o "rivolgetevi al governo D'Ambrosio", perché ognuno ha le proprie colpe e deve assumersi le proprie responsabilità.
E' vero che quando si parla di questi problemi qualcuno cerca di fare demagogia per portare acqua al proprio mulino, ma quando vediamo che aumentano i barboni, le richieste per le case sono infinite, allora ci rendiamo conto di come stanno veramente le cose. Oggi molte famiglie cominciano a chiedere il sussidio ai Comuni e quando un popolo ha fame non si sa quale sarà lo sbocco. Quando invece gli si danno servizi, gli si dà anche la possibilità di vivere, sicuramente il popolo sta molto meglio.
Come gruppo di Forza Italia, più che dare un contributo a questo dibattito vogliamo invitare a una riflessione.
Tornando a noi, nelle Marche stiamo perdendo dei colpi a livello aziendale, molte imprese sono in difficoltà, c'è chi chiude, chi non ha più il posto di lavoro e molto spesso capita di sentire che non serve più la solidarietà che si ha nei confronti della gente che rimane disoccupata o che va in cassa integrazione, perché a fine mese, con la solidarietà non si mangia e non si vive. Bisogna che ci impegniamo più seriamente per la famiglia, per i giovani, per trovare occupazione e dare sicurezza, perché quando non c'è sicurezza anche a livello psicologico può darsi che l'individuo perda l'equilibrio della sua vita, quindi possiamo assistere anche a gesti inconsulti. Le riflessioni del Papa, le indicazioni del Papa devono servire da monito per tutti. Le Marche erano un modello, si diceva "modello marchigiano". Oggi cosa è rimasto di tutto questo? Non si può più vivere di rendita. Quindi quando si organizzano incontri con gruppi o gruppetti di amici e si va all'estero per fare nuovi insediamenti e non si crea occupazione in Italia, bisogna che riflettiamo. Da tre anni siamo qui e non ho mai sentito una relazione di una Commissione o di un gruppo andato all'estero, e invito l'assessore Spacca a smentirmi, se dico una cosa non esatta. Quando si va in Russia, in America Latina a dire quello che si va a fare, occorre discutere di queste problematiche anche in questo Consiglio, ma ciò non si è mai fatto. Penso che se ne parlerà nelle Commissioni ma non è sufficiente, perché bisogna allargare la fascia, dagli artigiani agli industriali e non siano solo i soliti industriali, perché la crisi riguarda tutto il complesso marchigiano e allora bisogna che la Regione Marche sia il volano di questa preoccupante situazione, non con provvedimenti-tampone ma con leggi strutturali, perché non è sufficiente dare un contributo o un finanziamento a un'azienda per andare avanti, bisogna fare delle leggi strutturali che servano a tutti, anche a chi lavora nello scantinato, perché anche quello ha diritto di vivere e magari, oggi, non ha la possibilità economica di poter andare dietro la tecnologia e le strutture.
Assessore non se la prenda, perché il mio intervento non era indirizzato a lei per qualche motivo particolare, rea un discorso in generale, perché in tre anni non sono mai riuscito a sapere chi è venuto all'estero con lei, né come consiglieri né come imprese. Una volta abbia almeno la compiacenza di relazionare in Consiglio regionale circa l'attività che fa per le imprese marchigiane. Possiamo aprire un dibattito, perché non si tratta tanto della gita che si organizza, ma bisogna cercare di capire queste risorse come vengono spese, poi sarà sempre lei a decidere, però dia a noi la possibilità di confrontarci.
Non mi dilungo su altre problematiche non attinenti al discorso di oggi — Scam e altre soluzioni che pure meritano un forte dibattito — e faccio un invito: non andate più a parlare con i calzaturieri, sono stanchi. I calzaturieri nelle nostre zone sono stanchi di parlare con i soliti politici che promettono e garantiscono parlando della Cina, del "made in Italy", dei dazi ma all'atto pratico non riescono a fare niente. Quindi faccio un appello: bisogna unire tutte le forze locali, provinciali, regionali e nazionali per trovare uno sbocco a questa difficile situazione marchigiana, perché oggi stiamo facendo delle analisi, poi dovremmo occuparci — mi rivolgo anche al compagno Procaccini, che è sempre molto attento — seriamente dell'occupazione, con dei provvedimenti che vadano al di là delle nostre possibilità e delle nostre capacità. Oggi c'è il Governo Berlusconi, domani ci potrà essere un altro Governo, quindi prepariamoci noi a dialogare con chiunque esso sia, non a preventivamente ostacolare perché oggi c'è un determinato tipo di Governo.
Condividiamo quindi l'appello del Papa e condividiamo, soprattutto, che in questo momento di riflessione si debba raggiungere l'equilibrio necessario affinché l'industria marchigiana riesca veramente a riprendersi e a decollare rispetto allo stato attuale.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Tontini.

ROBERTO TONTINI. Credo che questo appuntamento sia una data importante. D'altronde il gruppo Ds già da tempo aveva fatto richiesta di un Consiglio regionale aperto per discutere sui temi dello sviluppo della nostra regione, l'avevamo richiesto con particolare riferimento alla crisi della calzatura. Quello a cui abbiamo partecipato in questi due ultimi giorni è qualche cosa di più, di più grande e di migliore, che ci permette di ragionare a 360 gradi sulle condizioni della nostra regione, sullo stato di fatto sulle possibilità di crescita e di sviluppo.
Quello che è emerso con chiarezza rispetto alla domanda posta nella giornata di lavoro di ieri — cioè se siamo in presenza, nella nostra regione, di un declino o di un cambiamento — ci ha già dato risposte certe ed importanti. Non siamo in presenza di un declino regionale, al contrario siamo in presenza di un profondo mutamento che non riguarda la regione Marche in quanto tale ma riguarda una trasformazione più complessiva, che segue la globalizzazione, che segue il riposizionamento a livello di economia mondiale, le varie posizioni che storicamente si erano determinate tra blocco occidentale, complessivamente inteso, Europa unita, ma in presenza di una dinamicità nuova e per certi versi inedita, rappresentata dall'est e del sud-est asiatico che sono oggi, di fronte a momenti di difficoltà grandi che sta attraversando tutto il mondo occidentale, elementi di grande forza, dinamicità e crescita. Quindi non siamo in presenza di una crisi mondiale di sviluppo ma siamo in presenza di una difficoltà che il mondo occidentale attraversa nell'ambito del riposizionamento economico dovuto alla globalizzazione.
Il ragionamento che noi facciamo non può prescindere dall'inquadramento di un contesto economico internazionale e, ancora di più, non può prescindere da un contesto economico nazionale che ci riguarda direttamente e che purtroppo ci fa dire che le cose nel nostro paese ormai da qualche anno non stanno andando bene. Siamo in presenza di dati economici che ci fanno parlare di stagnazione ormai da troppo tempo, se non addirittura, in alcuni casi, in presenza di recessione.
Nella relazione di questa mattina l'assessore ha dato ampiamente conto di come questa situazione economica nazionale, per certi versi sia sottovalutata, anche nella definizione dell'ultima finanziaria, quando si prospettano scenari economici che non sono quelli reali e che quindi, come tali, ci fanno probabilmente continuare in una posizione che ci porta lontano da quella che può essere la soluzione dei problemi del nostro paese, all'interno dei quali risolvere anche quelli della nostra regione.
Insieme a questo dobbiamo registrare — perché va inquadrato in un contesto nazionale — le ulteriori contraddizioni alle quali assistiamo: il processo di federalismo che si è bloccato, molto spesso sbandierato, ma rispetto al quale assistiamo invece a scelte di politica nazionale che vanno nella direzione di un accentramento che contraddice profondamente le affermazioni verbali; un federalismo che viene gridato e annunciato ma senza risorse e un federalismo senza risorse non può essere serio.
Diceva ieri l'assessore Spacca in una intervista "nel campo economico sono state ormai decentrate il 75% di competenze delle Regioni e a fronte di questo 75% di competenze neanche il 25% di finanziamenti è stato decentrato".
Rispetto a questo dato troviamo ancora contraddizioni nell'ultima finanziaria, non soltanto nella sottovalutazione dei bisogni che complessivamente il sistema delle autonomie locali ha, in particolare le Regioni ma non solo, anche i Comuni e, ancora di più, una sottovalutazione rispetto al fatto che del fondo unico non si fa cenno in quest'ultima finanziaria.
E' quindi chiaro che gli sforzi che noi facciamo, che sono importanti e fondamentali, rispetto ai quali dobbiamo assumerci tutte le nostre responsabilità, poi scontano veramente difficoltà che vanno al di là delle nostre intenzioni e delle nostre possibilità.
Credo che rispetto a questi temi serva un'inversione totale di tendenza a livello nazionale, la capacità di confrontarsi con i temi della competitività internazionale, di saper rispondere all'attacco e alle difficoltà che il nostro "made in Italy" sta subendo con diminuzione di capacità di esportazione, in alcuni casi dovuta a difficoltà competitive nostre, in altri casi dovuta a una scorretta competizione con altri paesi, a cui va risposto non con difese doganali, ma con la capacità di rispondere intelligentemente alla promozione e alla salvaguardia dei marchi e delle produzioni nazionali, come il "made in Italy" ecc., nel contesto di un ragionamento che va affrontato in Italia ma ancora di più in Europa.
In questo contesto credo che la Regione Marche non inizia oggi a muoversi. Già da qualche anno aveva dato una risposta al tema che si è posto ieri nella giornata di lavoro, ove la lettura fornita dalla LaPolis e il successivo confronto hanno dato un bagaglio di ulteriore approfondimento. Ebbene, rispetto a quello la nostra regione aveva già imboccato la strada di una economia che stava cambiando, rispetto alla quale anche la nostra regione, anche la nostra politica economica doveva aggiornarsi. L'abbiamo fatto assumendoci tutte le nostre responsabilità, a partire da quando, a inizio legislatura, abbiamo affrontato il tema della sanità in una logica di salvaguardia dei servizi e della qualità dei servizi da offrire ai cittadini della nostra regione, ma consapevoli di dover affrontare anche il tema del risanamento della sanità, perché questo ci doveva permettere di riequilibrare il percorso di risorse e l'abbiamo fatto a tal punto che ci siamo assunti la responsabilità di chiedere ai cittadini marchigiani un sacrificio, a fronte di un impegno che ci siamo presi nei confronti dei cittadini marchigiani.
In quei giorni, di fronte alla responsabilità che ci siamo assunti, abbiamo assistito ad una campagna feroce, durissima da parte dell'opposizione, e molto spessa non vera, perché si diceva che avevamo applicato tasse più alte in tutto il contesto nazionale, cosa non vera. Ho sotto gli occhi una tabella frutto di un'indagine nazionale sull'Irpef, che paragona le diverse regioni italiane — la fonte è il centro di ricerche della Confartigianato — che posiziona la nostra regione a metà classifica. Prima di noi vengono la Toscana e la Liguria, ma ai primi due posti, in termini di addizionale Irpef, ci sono Lombardia e Lazio, poi seguono Emilia Romagna ed altre. La Regione Marche è posizionata a metà classifica.
Se è vero che ognuno si deve assumere le sue responsabilità come diceva il collega Brini, noi l'abbiamo fatto e abbiamo avuto lo stesso senso di responsabilità di fronte ad una scelta difficile presa dalle minoranze. Avevamo anche chiesto un impegno ai cittadini marchigiani. Avevamo detto che ci saremmo impegnati a potenziare e salvaguardare la qualità della sanità e a fronte di questo percorso avremmo iniziato anche un percorso di riduzione delle tasse. Nessuno ci credeva e gli atti che abbiamo compiuto a fine anno 2003 portano, anche se pur con difficoltà, a rispettare, ancora in maniera non sufficiente, quell'impegno che abbiamo preso con i cittadini marchigiani.
Quindi assunzione piena di responsabilità, ma anche un approccio rispetto anche alle politiche economiche, in una visione che sempre più deve essere di ordine sistemico. Rispetto alle caratteristiche dell'economia della nostra regione abbiamo compiuto nell'ultimo anno, nel 2003 un passaggio importante: il nuovo pano triennale per le attività produttive e il testo unico dell'artigianato e industria, che è il primo testo unico che facciamo nella nostra regione, con un approccio sistemico, che cerca di leggere l'economia marchigiana per quella che è, uscendo da un dibattito sbagliato, superato, quello della diatriba tra piccolo e grande, sapendo che non è questo il tema dell'analisi che dobbiamo fare. Il futuro della nostra regione non dipende da questo. La nostra regione è fatta di piccola e media industria, con poca grande industria, quindi deve essere una regione capace di fare politiche per tutto il sistema, dove non c'è una parte che da questo punto di vista ha una predominanza sull'altra, bisogna fare politiche economiche differenti, capaci di cogliere le esigenze della piccola impresa e politiche che sappiano rispondere alla grande.
D'altra parte la nostra regione ha tenuto rispetto alla crisi nazionale, siamo sopra la media, quindi il rallentamento che anche noi registriamo — va registrato, perché sarebbe sciocco non evidenziarlo — se lo andiamo a leggere, per superare la diatriba fra piccolo e grande che riecheggia ogni tanto, vediamo che anche in questi ultimi periodi la piccola impresa della nostra regione ha risposto positivamente in termini occupazionali, mentre abbiamo invece assistito nella grande impresa a ridimensionamenti e difficoltà. Ricordava ad esempio il presidente della Provincia di Ascoli Piceno a nome dell'Upi, che assistiamo a difficoltà grandi in quella provincia, che derivano proprio da un ridimensionamento di forza-lavoro, quindi di forza occupata, derivante da grandi imprese che si sono insediate in quel territorio, gran parte delle quali multinazionali che oggi, con grande facilità e qualche volta anche con superficialità, tendono a rispondere alle difficoltà economiche che stanno attraversando, con i licenziamenti.
Ma c'è un altro grido di allarme proprio di questi giorni, in un settore importante quello della meccanica, che credo ci debba far riflettere. Abbiamo segnali di difficoltà del settore della meccanica e non vorremmo che, in un modo troppo facile, anche questi venissero risolti con facili licenziamenti. Al contrario, con il piano delle attività produttive — testo unico — abbiamo voluto un approccio sistemico, puntando sui fattori che oggi servono a coronamento di una politica industriale efficace, che sono l'innovazione, la ricerca, l'internazionalizzazione, gli investimenti nel capitale umano. Questo riposiziona il ragionamento nei confronti dei nostri interlocutori, degli attori sociali ed istituzionali della nostra regione, il rapporto con l'università ed un importante atto compiuto in termini di utilizzazione dei fondi Cipe sulla ricerca: abbiamo chiesto all'università di destinare i fondi Cipe della ricerca alla ricerca applicata sull'impresa e i progetti che sono stati approvati nelle due ultime tornate di questi ultimi mesi sono stati calibrati sulla ricerca applicata affinché avesse una ricaduta diretta nel sistema delle imprese.
Ma innovazione tecnologica, ricerca, diffusione dei risultati della ricerca applicata non ci possono far eludere un tema: la rivisitazione del sistema delle partecipazione e dei centri delle politiche attive, economiche, della nostra regione. Vanno riorganizzati tutti, come sistema delle partecipazioni, dal sistema della manifattura, quindi imprese di produzione, al turismo, all'agricoltura, in una logica che richieda un più stretto legame sul lavoro, che riguardi il tema dell'innovazione e della ricerca, concependo sempre più in modo sistemico queste strutture rivisitate e riviste, in una logica di bracci operativi che servano ad affiancare le imprese nelle loro scelte e capacità di sviluppo, a fronte di politiche economiche che la Regione vuol portare avanti a seguito di una concertazione fatta con le rappresentanze economico-sociali.
Da ultimo una grande innovazione, della quale cominceremo a parlare tra non molto tempo: la definizione delle Arstel, le agenzie territoriali di sviluppo che sono una scelta importante e qualificata che noi riteniamo di aver fatto come centro-sinistra di questa Regione. Nel momento in cui il Governo nazionale manda a monte tutte le forme di finanziamento della programmazione territoriale negoziata, in un quadro di difficoltà economiche, la Regione Marche sceglie di destinare 6.500.000 euro alla definizione di un nuovo strumento di programmazione negoziata territoriale, che si aggiunge alle politiche settoriali e delle imprese che riguardano il testo unico e il piano delle attività produttive, in una logica di azione territoriale che tenda a mettere insieme gli attori istituzionali e sociali dei vari territori per cogliere dal basso le vocazioni e su quelle costruire integrazione di progetto ma integrazione anche rispetto alla capacità di utilizzare le risorse non soltanto regionali, ma prima di quelle e attraverso quelle, le risorse nazionali e le risorse comunitarie.
Il centro-sinistra in queste giornate, di nuovo si assume una responsabilità di governo rispetto al cambiamento che la nostra regione ci chiede e credo che il centro-sinistra debba porre a tutta la regione, complessivamente intesa, in questo fine legislatura, un nuovo patto per lo sviluppo, basato principalmente sull'idea dell'innovazione, che sappia guardare a un progetto complessivamente inteso per tutta la regione Marche, ma che non può prescindere e che sappia anzi fare delle diversità territoriali che rappresentano questa regione un punto di forza, un punto da valorizzare per uno sviluppo sostenibile sia sul piano sociale che ambientale. Sul piano sociale significa qualità del lavoro come valore, anche in termini di competizione con altre realtà territoriali e compatibilità ambientale che vuol dire salvaguardia del territorio, che è un altro elemento di forza della nostra regione.

PRESIDENTE. Ha la parola Cippitelli, segretario regionale della Confartigianato.

CIPPITELLI, Segretario Confartigianato Marche. A nome della Confartigianato ringrazio per questa "due giorni" di analisi, riflessione e confronto che è utile, necessaria per comprendere i cambiamenti in atto, per comprendere quali possono essere le strade per offrire le soluzioni all'economia di questo territorio e alla comunità delle Marche.
Molte sono state le osservazioni interessanti venute dai professori e dagli studi che ieri sono stati presentati, altrettante indicazioni di commento delle cose dette ieri sono intervenute oggi, dalle quali possiamo trarre già alcuni spunti e alcune considerazioni. Anche rifacendomi all'ultimo intervento del consigliere Tontini, vorrei cercare di attirare l'attenzione del Consiglio regionale che ci offre questa opportunità, che auspico non sia l'unica, ma sia l'inizio di un percorso di confronto aperto con il mondo che lavora, con il mondo che produce. Prendendo spunto dalle indicazioni del consigliere Tontini cercherei di calibrare le osservazioni di natura macro su alcuni fatti che negli ultimi 15 anni hanno profondamente trasformato l'economia internazionale e globale, cioè dalla caduta del muro di Berlino alle trasformazioni istituzionali, economiche, commerciali mondiali, all'inserimento sempre più massiccio, a partire dai primi anni '90, dell'economia della società dell'informazione, con le tecnologie che tutti ormai conosciamo, sostanzialmente sono cambiati completamente gli attori, i tempi e le capacità di riflessione e di reazione rispetto agli stessi cambiamenti che sono stati inseriti. Se dovessimo fare una valutazione macro, per titoli, visto il tempo limitato, ma come contributo alle osservazioni e alle analisi di questa comunità, potremmo dire che l'Italia come paese e questa regione come configurazione geografica e politico-istituzionale, hanno sostanzialmente mantenuto inalterato un complesso di modalità, in parte di norme, di risorse dedicate ai problemi della comunità, sia nazionale che marchigiana e soprattutto dell'economia dell'impresa.
Negli ultimi 8-10 anni la quota d'incidenza del commercio mondiale che si sviluppa nell'area del pacifico, è passata dal 52 al 59% rispetto alla quota complessiva del pianeta e il commercio mondiale complessivamente, in quello stesso periodo è cresciuto solo del 2%. Evidentemente questo significa che, in generale, l'Europa e la sponda atlantica di questo planisfero, hanno subito quello che la Comunità europea definiva come una crisi imminente alla fine degli anni '80, segnatamente rispetto alle attività di natura manifatturiera. Da questo punto di vista il nostro territorio, purtroppo, ha un elemento di criticità maggiore perché, come veniva ricordato anche ieri dai dati, dalle analisi che ci sono state presentate ma che sono comunque note, ormai il 76-77% dell'economia marchigiana è un'economia di natura manifatturiera e poiché la catena del valore è quella che si sviluppa a valle della produzione, nel nostro caso della produzione manifatturiera, è evidente che se le cose dovessero restare così come sono e le linee evolutive mondiali dovessero continuare ad accelerare secondo le tracce ad oggi note, il nostro territorio continuerebbe a subire ancora più pesantemente la difficoltà di questi ulteriori punti di criticità, quindi le calzature, non intese solo in quanto imprese di produzione della calzatura... Perché il discorso non vale solo per le 5.500 imprese della calzatura di questo territorio, ma potrebbe valere anche per altri settori. In realtà, solo 800-1.000 di queste sono legate direttamente al mercato, il resto fa parte della cosiddetta filiera, cioè di quello che viene utilizzato come nominalità, come un sistema, il quale non sa affatto quello che accade nel mercato, se non nei partners di riferimento che sono quelli del suo territorio, del suo sistema. Se la reazione giuridico-legislativo-economica e dell'analisi, della riflessione dei soggetti politici, dei soggetti istituzionali ed economico-sociali, resta quella che c'è stata fino adesso, cioè un'analisi e una reazione di natura tradizionale, non abbiamo chances di salvare e di offrire un'ipotesi di soluzione ai problemi di quel tipo d'impresa, di quel tipo di territorio, perché, come è stato ricordato oggi, l'impresa non vale come un fatto di natura ideologico-concettuale, perché è lì che si produce la ricchezza e non nel lavoro o viceversa, ma semplicemente perché l'impresa, come tutti ormai hanno compreso, è l'elemento centrale di questo equilibrio economico-sociale che fa di questo territorio, come è stato detto ieri, pur non avendo nessuno dei 27 elementi vincenti rispetto agli altri di ciascuna regione, la prima regione d'Italia, sulla base dello studio Irpet, per qualità complessiva della vita e qualità complessiva di questo equilibrio.
Quindi, nell'inquadrare in un contesto internazionale e in un contesto nazionale le possibilità che le analisi di questi giorni devono offrire al sistema più generale delle imprese e della comunità delle Marche, bisognerebbe fare una prima valutazione sulla necessità di adeguare le azioni e le attività del governo regionale, del Consiglio regionale e, in generale, di quel clima di equilibrio, di condivisa volontà a superare questa situazione di crisi — quindi di tutti gli attori economico-sociali — verso azioni che siano conformi, pur nelle difficoltà che venivano ricordate prima, perché c'è un federalismo normativo, ma non ce n'è stato uno di natura relativa ai trasferimenti finanziari, pubblici, che possa effettivamente consentire a ciascuno un ruolo rispetto a un disegno generale, quindi, per esempio, cominciare a modificare il ruolo della Regione non come soggetto che è chiamato anche e soprattutto, fino adesso, a gestire. Ormai il soggetto-Regione è stato posto al centro da una serie di norme, sia di natura costituzionale — è stato richiamato prima il valore fondamentale dei contenuti del nuovo statuto in essere all'attenzione del Consiglio — sia di natura economica e giuridica. Sono tutte pertinenze che gli possono consentire non più di gestire ma di programmare, concertando, e di fare leggi, affidando poi, nell'autonomia e nel confronto con i soggetti sia di natura pubblica, sia delle rappresentanze delle associazioni economiche e sociali, la possibilità di intervenire.
Se questo non si riesce a fare è inutile parlare di sviluppo dell'economia, perché diventerebbe un esercizio di esclusiva natura accademica. Se consideriamo il fatto che, per una serie di ragioni, solo le risorse legate in modo diretto e indiretto all'economia sono percentualmente ascrivibili e rintracciabili nel complesso del bilancio regionale al 2-3% circa, è chiaro che ciò, in questo territorio e per questo soggetto-Regione — ma lo stesso discorso vale per lo Stato centrale — non ha chances e opportunità di natura economico-finanziaria per poter accompagnare, per poter guidare lo sviluppo sui mercati internazionali, laddove è la produzione nella catena del valore, della parte vera in cui possono essere remunerate le attività delle nostre imprese e dei nostri lavoratori.
Questo riguarda un secondo aspetto, un punto critico che anche nella discussione di ieri è emerso e che oggi è ancora più evidente: l'eccessiva caratterizzazione territoriale, personalistica, individualistica dei soggetti, sia di natura pubblica che di natura privata, per cui non si riesce, ad esempio, neanche ad immaginare una capacità unica, condivisa su un progetto comune di internazionalizzazione valido — soprattutto nelle aree più economicamente interessanti — che possa prevedere un accompagnamento di natura storica, artistica, culturale, produttiva, enograstronomica, proprio per presentare un modello di questo territorio e non frazionando LA capacità di intervenire da un unico soggetto — lo Stato — a 21 soggetti — le Regioni — a cui poi dobbiamo aggiungere le camere di commercio, le Amministrazioni provinciali. Così facciamo un danno alle attività e alle possibilità di produzione, di commercializzazione delle nostre attività e del nostro territorio.
Una terza ipotesi di riflessione sulla base delle indicazioni che sono emerse, ieri molte volte richiamata, è quella dell'attività di educazione e formazione. Questo è un problema centrale. La Comunità europea da anni insiste, dotando gli attori pubblici di risorse congrue. Immagino che il Consiglio regionale sappia che complessivamente ci sono circa 50 milioni di euro all'anno nel nostro territorio regionale per questo tipo di attività. Immagino altrettanto che il Consiglio regionale sappia che questo tipo di risorse sono dedicate, o prevalentemente finora sono state dedicate ad attività valide, talvolta meno valide, ma che hanno avuto una configurazione non direttamente legata a ciò che la necessità evolutiva di quel contesto, che anche prima veniva richiamato, obbliga: cioè le imprese sono obbligate a dover competere con capacità e caratteristiche che debbono essere loro riferite e non esclusivamente, ancorché validi, a fattori di natura diversa da quelli che possono consentire a questo territorio di poter competere, invitando, se serve guidando, le imprese, i loro titolari e i loro dipendenti a crescere dal punto di vista culturale e imprenditoriale, oltre che tecnico. Questo è un aspetto che deve essere assolutamente al centro dell'attenzione, sia delle organizzazioni economico-sociali che del Governo e del Consiglio regionali. E' un aspetto dal quale non ci possiamo permettere di prescindere, perché se uno degli aspetti di criticità è quello che fa riferimento a una eccessiva preponderanza della produzione rispetto alla capacità di offrire servizi, questi possono essere offerti anche e soprattutto in ragione della capacità di bagaglio formativo che sono in grado di poter esprimere nell'accompagnamento alle imprese nella loro attività quotidiana e strategica sui mercati.
L'ultima osservazione che ci permettiamo di esprimere alla valutazione del Consiglio regionale è quella che viene offerta dalla riscrittura dello Statuto regionale. Non credo che sia il caso di mettersi a disquisire se sia più importante il lavoro, l'impresa, il mondo dell'artigianato, dell'industria, della cooperazione. Questo è uno degli elementi di criticità che tutti dimenticano, reale, di natura culturale e politica. Mi permetto di evidenziare che un aspetto centrale che deve vedere il Consiglio regionale insieme al governo regionale, è il principio di una reale capacità di governance legata alla metodologia della concertazione vera e non un assemblearismo spento, dietro il quale si celano le stesse caratteristiche di scelta che lasciano ai più ignoti le scelte e agli altri la sola capacità di poterle attuare.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GILBERTO GASPERI

PRESIDENTE. Ha la parola il presidente di Confindustria Marche, dott. Lucarelli.

LUCARELLI, Presidente Confindustria Marche. Vi ringrazio di darmi questa seconda opportunità di prendere la parola nel corso di questa "due giorni" di convegno. Non voglio ripetere le cose che ho detto ieri, vorrei partire dalla conclusione che il prof. Diamanti ha tratto quando ha finito la sua presentazione. Non per sottolineare un aspetto preoccupante ma per essere realista.
Ho detto ieri che sono sostanzialmente un ottimista e credo nella possibilità di reazione del nostro territorio, ma credo che per essere realisti si debbano considerare più gli aspetti negativi che cominciano ad emergere, piuttosto che consolarci con tutte le cose positive che potremmo elencare. Diamanti ha concluso ieri, dicendo che dall'analisi fatta su un certo campione di opinione pubblica cominciano a comparire due parole che nel contesto sociale delle Marche non erano comparse mai, cioè "declino" e "sfiducia". Secondo me noi dobbiamo fare molta attenzione a questo segnale. E'( giusto che istituzionalmente ci rifiutiamo di parlare di declino e parliamo, piuttosto, di necessità di cambiamento, però se nell'opinione pubblica c'è questa sensazione non possiamo far finta che non sia vero. Se nell'opinione pubblica c'è la sensazione, sorprendente, negativamente sorprendente, di essere meno contenti dei servizi sanitari, non credo che non possiamo non tenerne conto.
Penso quindi che sia assolutamente necessario che lo sforzo di chi ci governa — quindi la Giunta — e di chi contribuisce a formare le decisioni di governo — cioè il Consiglio — si focalizzi su questo, perché come ho detto ieri, nel quadro della relazione di Diamanti manca una considerazione fondamentale, che è il tempo. Il mondo sta viaggiando ad una velocità di gran lunga maggiore di quella a cui noi, come territorio, stiamo reagendo. Giustamente il consigliere Viventi ha prima detto "non è la Giunta regionale che può cambiare l'andamento dell'economia mondiale, indipendentemente dal colore politico del Governo" e questo è più che logico, però dobbiamo tenere conto di quello che sta succedendo, e quello che sta succedendo va veloce. Sto parlando della concorrenza che arriva dai paesi è che è sbagliato definire "emergenti", perché a Fermo, in un convegno sul "made in Italy", il ministro Urso ha fatto una considerazione intelligente. Ha detto "La Cina non è un paese emergente, è un paese che ha una maturità e una storia molto più lunghe e molto più significative di quella dell'Europa". Quindi ci troviamo di fronte a un concorrente che per dimensioni, per capacità, per rapidità di sviluppo sicuramente ci batte. Questo è un dato di fatto.
Ciò non vuol dire che dobbiamo buttarci a terra, piangendo, però dobbiamo reagire in un modo mirato. Secondo noi, l'unico modo mirato è quello di lavorare per rendere questo territorio competitivo. Le imprese devono fare la loro parte, e qui avrei qualcosa da dire al consigliere Tontini, che dice "abbiamo fatto questo e quest'altro". Sì, abbiamo fatto un ottimo piano di sviluppo delle attività produttive, abbiamo fatto un ottimo testo unico, ma poi dobbiamo riempirlo di contenuti, di risorse. Lamentiamoci della mancanza di risorse da parte governativa, però cerchiamo di agire sulle risorse che ci competono e sulla loro distribuzione. Se è vero che lo sviluppo economico, sociale e ambientale di questa regione dipende dall'impresa, e credo che questo sia innegabile, non possiamo scaricare addosso all'impresa delle condizioni sfavorevoli. Come lei sa, noi siamo stati contrari all'imposizione delle addizionali. Lei oggi ci dice, da una statistica, che non è vero che le Marche siano la regione più tassata d'Italia. Può anche darsi, ma ho qualche dubbio, perché a me risulta che siamo la regione più tassata d'Italia, almeno come imprese, ma non è questo l'importante, è che siamo tassati e non siamo nemmeno d'accordo con la politica di defiscalizzazione che oggi è stata messa in pratica, perché il fatto di ridurre di poco a un settore non risolve il problema di quel settore e instaura un metodo assolutamente non selettivo e non significativo di defiscalizzazione.
L'ho detto in molte altre occasioni e lo ripeto qui: vorrò vedere l'anno prossimo, quando, mi auguro, riuscirete ad avere un'altra possibilità di riduzione, come sceglierete un settore. Non ha senso, perché l'industria e l'artigianato e tutte le attività produttive hanno necessità analoghe, hanno problemi analoghi, quindi il criterio deve essere un altro e noi insistiamo: deve essere un criterio selettivo che spinga sempre di più l'impresa a fare ricerca, quindi se vogliamo defiscalizzare defiscalizziamo l'Irap agendo come riduzione dell'imponibile Irap, togliendone i costi del lavoro destinato alla ricerca. Questo è un modo costruttivo, non una riduzione che in pratica non significa nulla in termini di aiuto alle imprese.
L'altra questione importante è il tempo. Le imprese reagiscono con quella che viene definita delocalizzazione. Ho detto ieri che è una parola che non mi piace, perché ha un senso negativo, preferisco definirla "investimenti all'estero". Questa è una reazione abbastanza rapida, ma nel momento in cui si realizzano delle produzioni altrove è chiaro che si riducono le produzioni fatte qui. Ormai è evidente che il disegno complessivo deve essere quello di crescere come valore aggiunto, come qualità di prodotto, quindi di spostarci in una fascia sempre più alta, perché l'Italia è, tra le nazioni occidentali, quella che ha più produzioni in cui il contenuto di lavoro è elevato, fra quelle più facilmente aggredibili e questo le imprese devono fare e tentano di fare, ma sappiate che ci vuole del tempo e sappiate che ciò che le attività produttive vogliono non è riempire il cappello di qualche soldo per aiutare questa o quella situazione, ma concentrare gli sforzi su alcune azioni ben definite e più di tutto sul rendere il territorio competitivo. Cosa vuol dire questo? Vuol dire renderlo appetibile a nuovi investimenti, quindi fiscalmente interessante, vuol dire renderlo dotato di infrastrutture e qui non mi stancherò di ripetere che è necessaria una presa di posizione bipartisan per risolvere queste problematiche, non sono problemi in cui si possa discutere come parte politica, sono problemi che toccano tutti, che toccano il futuro della nostra regione e come tali vanno affrontati con uno spirito assolutamente a-politico, tenendo conto del fattore tempo. Alcune cose si stanno facendo, mi auguro che si riesca ad accelerare, mi auguro che da parte del Governo si metta di perdere tempo e si diano delle risposte, ma il fattore tempo è essenziale.
Infrastruttura vuol dire anche creare delle condizioni di collaborazione e di coalizione fra le varie forze — credito, impresa, multiservizi e ovviamente le istituzioni soprattutto — perché ad esempio si possano creare delle situazioni di credito accessibile a tutti, a seconda delle loro dimensioni e questo attraverso la realizzazione di strutture forti, comuni, ben patrimonializzate (faccio riferimento alla società regionale di garanzia) per poter avere uno strumento che copra, con un rating valido, le necessità delle imprese di qualsiasi dimensione.
Dobbiamo fare un piano — questo compete al Consiglio e alla Giunta della Regione — in cui si mettano insieme le potenzialità culturali, turistiche, ambientali della nostra regione con le opportunità di sviluppo. Questo vuol dire creare un territorio competitivo, poi dobbiamo combattere con le autostrade piuttosto che con le Ferrovie che ci tagliano i collegamenti o con Alitalia che ci obbliga a dei voli assurdi. Questo è quello che dobbiamo fare, quindi credo che, pur essendo ottimisti dobbiamo essere realisti per cercare di guardare questi problemi con chiarezza — perché abbiamo le risorse e abbiamo le forze per affrontarli — e risolverli in tempi molto brevi.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI MINARDI

PRESIDENTE. Siccome ci sono numerosi interventi previsti e mi pare che il dibattito sia di assoluto rilievo, quindi non credo che dobbiamo strozzarlo, propongo di cambiare il nostro orientamento, perché non riusciamo a chiudere per le 14,30. Oltretutto non è stato possibile programmare l'arrivo del viceministro, quindi direi di prendere un orientamento di questo tipo: chiudere alle 13,30, sospendere per la pausa pranzo, invece di ricominciare alle 16 possiamo ricominciare alle 15, chiudendo alle 17, in modo da stare concentrati anche nel pomeriggio sui nostri lavori.
Ha la parola il consigliere Procaccini.

CESARE PROCACCINI. Questa discussione avviene prima della predisposizione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Marche, quindi una riflessione rispetto al modello economico è quanto mai opportuna ed appropriata. Infatti il modello economico delle Marche, se non si rinnova rischia la crisi. La competizione totale sta spazzando via la piccola impresa artigiana, che anch'essa è diventata nel corso degli anni, sempre più terzista dei tre grandi comparti: il mobile, l'elettrodomestico, la calzatura. Ormai, tranne qualche eccezione, non esiste più una piccola azienda capace di avere e commercializzare una propria autonoma produzione, gli artigiani sono diventati anch'essi precari, al pari dei lavoratori. Tutto ciò si colloca in un paese — l'Italia — che non ha più una politica industriale, anzi è in atto un vero e proprio declino industriale: le grandi imprese tipo la Fiat hanno drasticamente ridotto il personale, i licenziamenti sono stati massicci, da imprese di produzione si è passati a società di capitali senza nessun controllo: il caso della Parmalat è sotto gli occhi di tutti. Ma anche nelle Marche ormai c'è il problema della crisi industriale, c'è un forte problema occupazionale, anzi una disoccupazione addirittura peggiore, perché è femminile ed è molto scolarizzata.
La mobilità, che per molti lavoratori rappresenta la strada del licenziamento, investe molti settori: ad Ascoli la calzatura, la pelletteria nel maceratese, la meccanica a Jesi. Si presenta e si paventa anche la mobilità, per molti lavoratori, delle industrie Merloni Termosanitari. Le Cartiere hanno già subito un tracollo: lo sbocco on può e non deve essere la delocalizzazione, i cosiddetti "investimenti all'estero". Al tempo stesso, mentre succedono queste cose, per colpa del taglio ai trasferimenti agli enti locali da parte del Governo, i servizi pubblici e quelli a domanda individuale hanno subito enormi aumenti, l'inflazione reale è molto al di sopra di quella programmata, i salari e gli stipendi sono ormai taglieggiati e non è colpa dell'euro, ma del fatto che ormai c'è stata la liberalizzazione di tutte le tariffe dei principali servizi: benzina, gas, energia elettrica.
In questo contesto occorre più Stato, non meno Stato; occorre meno flessibilità, non più flessibilità. La legge 30 va cancellata, non solo perché equipara la persona lavoratrice a somministrazione di prestazioni, come se fosse uno scatolone da spostare a seconda delle necessità del mercato, ma per il fatto che i cosiddetti contratti atipici, ormai presenti dentro lo stesso reparto e comparto e dentro la stessa catena di montaggio, spezzano l'unità del lavoro, indeboliscono il blocco sociale, rompono la solidarietà, portano ad indebolire ed abolire il contratto nazionale di lavoro.
Torna per noi Comunisti italiani, in primo piano, il problema del lavoro salariato e dei lavori precarizzati che rischiano di non essere più rappresentati. Non servono politiche assistenziali, serve, in primo luogo, una nuova e moderna scala mobile che tuteli i salari e gli stipendi; servono politiche di investimenti pubblici nei servizi, nei principali servizi, perché è illusorio pensare all'aumento dei consumi attraverso una maggiore offerta.
Il problema è quello di salvaguardare il potere di acquisto dei salari e delle pensioni, occorrono politiche sociali e bilanci sociali; politiche alternative a quelle liberiste del Governo. Occorrono bilanci sociali anche nelle Regioni. Le Regioni, è ovvio, non possono sostituirsi allo Stato centrale, non solo per le competenze, ma perché non hanno e non avrebbero una massa critica.
E' in questo senso che noi abbiamo inteso dire alle altre forze della maggioranza, mentre si prepara il bilancio, di indicare una via diversa, di destinare almeno 5 milioni di euro in più a favore dei Comuni, finalizzati agli investimenti ed alla gestione dei principali servizi sociali: assistenza agli anziani, scuole materne pubbliche, abbattimento delle barriere architettoniche. Non bisogna disperdere le risorse in opere faraoniche, costosissime e futuribili; le infrastrutture vanno riclassificate: regionali, provinciali e comunali. Porto, aeroporto e fiera debbono essere regionali. Va investito sulla ferrovia. E' illusorio e pericolosissimo — noi siamo contrari — aderire a società come la "Quadrilatero spa", che utilizzando in maniera privatistica fondi pubblici, che del resto ancora non ci sono, ipotecherà per sempre gli assetti urbanistici dei comuni interessati. E' una fuga in avanti pericolosa e costosa.
Fermo restando la necessità che esiste un problema infrastrutturale nelle Marche, come esiste, la cura non può essere peggiore della malattia. Si rischia, con una impostazione tutta tecnocratica, di penalizzare la vocazione turistico-culturale delle Marche stesse. Occorre investire nella qualità dei prodotti agricoli, nel turismo e nella cultura e non sottrarre ulteriori spazi. Occorre investire nel potenziamento delle ferrovie, anche interne, tipo metropolitana di superficie e di lunga percorrenza. Occorre completare le "incompiute": l'asse attrezzato di Ancona, le statali 76 e 776, la Fano-Grosseto, l'elettrificazione della tratta ferroviaria San Benedetto-Ascoli. Dopo aver fatto tutto questo, è ovvio, si può pensare a cose nuove, ma con una impostazione diversa: pensare al tempo stesso ad un progetto diverso per le Marche, per l'Italia, che faccia intravedere un modello di sviluppo diverso, diversificato. Se non si fa questo l'attuale sistema rischierà di implodere.

PRESIDENTE. Concludiamo in questo modo la seduta antimeridiana. Il ministro ha necessità di partire presto, quindi non ricominceremo alle 15, ma alle 14,30. La seduta è sospesa.

La seduta è sospesa alle 13,05