Resoconto seduta n. 171 del 05/02/2004
La seduta riprende alle 14,40



Le prospettive dell?economia marchigiana

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta. Ha la parola il presidente della Cna Giuliano Drudi.

Giuliano DRUDI, Cna Marche. Ringrazio il Presidente Minardi per aver promosso questo Consiglio regionale aperto, che ci consente di intervenire nel dibattito avviato con le iniziative di ieri sul futuro della società e dell?economia marchigiana.
Il 2003 è stato un anno difficile per l'economia e gli effetti della crisi economica e della stagnazione produttiva, sono stati accentuati dalla crescente concorrenza mondiale, e dalla declinante competitività del ?sistema Italia?.
In questo quadro l'economia della nostra regione ha mostrato capacità di tenuta sotto il profilo occupazionale e per il numero di imprese attive. Ma il ritmo di crescita è calato, in ambedue i casi. Inoltre, un parametro come quello delle esportazioni, nei primi nove mesi del 2003, dice che la nostra competitività cala, benché ciò avvenga a ritmi più blandi rispetto alle altre realtà del Centro Italia.
Segnali preoccupanti arrivano da diversi distretti regionali, a cominciare dal calzaturiero e più in generale dalla provincia di Ascoli Piceno. Non sono problemi soltanto dei lavoratori e degli imprenditori interessati. Riguardano l'intera società marchigiana e dobbiamo farcene carico tutti: le istituzioni, i sindacati, le associazioni di categoria.
Lo scenario del 2004 non sembra migliore.
Noi rileviamo una brusca caduta degli investimenti nelle imprese artigiane, che da alcuni anni registravano invece una capacità sempre crescente nel tenere il passo con l'evoluzione tecnologica. E' un segnale preoccupante che giunge proprio quando
competizione si fa più dura e la qualificazione produttiva richiede nuove tecnologie e forti capacità di innovazione.
E' in relazione a questi dati e a queste preoccupazioni che abbiamo richiesto alla Giunta e al Consiglio regionale, che si appresta a varare il Bilancio per il 2004, di poter contare su risorse pubbliche per gli incentivi agli investimenti che siano almeno costanti rispetto agli anni precedenti.
Le potenzialità del nostro sistema di imprese restano elevate e la disponibilità di un articolato sistema di incentivi è una condizione essenziale per poter essere attrezzati a cogliere i primi segnali di ripresa economica.
Per agganciarla pienamente riteniamo necessarie tre condizioni:
l) la collaborazione di tutti i protagonisti del mondo politico sociale e produttivo; 2) un adeguato sostegno, in particolare alla ricerca all?innovazione per le micro e piccole imprese, con misure adeguate alle loro caratteristiche dimensionali; 3) l'attuazione di politiche coordinate e di sistema, per valorizzare tutte le risorse della regione, dal turismo alle produzioni tecnologicamente avanzate, dall'agroalimentare all'artigianato artistico.
E' un modo per dire la nostra convinzione che la spontaneità, oggi, non basta più.
La complessità dei processi di globalizzazione e dei percorsi tecnologici non può essere affrontata come in passato, basandoci solo sulle capacità delle forze imprenditoriali e dei lavoratori. Occorrono interventi esterni più efficaci ed efficienti a partire dalla formazione e in particolare dalla scuola, dalle infrastrutture di base, dalla mobilità delle persone e delle merci.
Occorre un sistema di servizi più evoluto ed adeguato alle esigenze delle piccole imprese, in modo da favorire i processi di ricerca e di sviluppo delle idee, dei progetti e dei materiali.
Una cosa infatti deve essere chiara. Se è vero che dobbiamo accettare la sfida del cambiamento, è altrettanto vero che potremo fare tutti i cambiamenti possibili, ma il futuro del sistema socioeconomico marchigiano non potrà prescindere dalla centralità dell'artigianato e dalla piccola e media imprenditoria diffusa.
Questo è stato il nostro passato, è il nostro presente e sarà anche il nostro futuro. Dipende da tutti noi farlo diventare un modello ancora vincente come quello che ha caratterizzato le Marche degli ultimi trent'anni.
L'artigianato e la piccola impresa sono pronti a farsi carico, per quanto di loro competenza, di questa sfida per lo sviluppo e la competitività delle Marche.
Noi artigiani siamo consapevoli dei cambiamenti che sono necessari. Fino ad ora molte piccole imprese, soprattutto nei distretti industriali, hanno saputo utilizzare, e in parte creare, un insieme di competenze applicative che le ha affermate come luoghi in cui si è sviluppato un "saper fare bene le cose".
Questo tipo di conoscenza, pur rimanendo importante, non è oggi più sufficiente ad assicurare una crescita duratura. La conoscenza che genera maggior valore non e più limitata al "saper fare bene le cose" ma nell'incorporare idee originali, nuove soluzioni, tecnologie innovative, la cultura e la storia dei nostri territori, nelle cose che anche altri possono fare.
La produzione di questo tipo di conoscenza e di innovazione è condizionata da elevate economie di scala, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti in ricerca, sviluppo di nuovi prodotti, sperimentazioni di nuove tecnologie, formazione e istruzione del capitale umano. Per questa ragione le piccole imprese, da sole, non sarebbero mai in grado di competere con le grandi. Eppure bisogna farle competere.
Per questo bisogna impegnarsi per adattare la ricerca, l'innovazione e gli incentivi ad essa destinati al sistema di micro e piccole imprese. Bisogna quindi garantire competitività anche rivedendo e aggiornando la funzione che i centri locali di servizio debbono svolgere, assicurando un collegamento intelligente fra i bisogni locali di conoscenze e la produzione scientifica e tecnologica che circola a livello globale.
Dobbiamo renderci conto anche di un'altra cosa. Nel futuro saremo sempre più simili alle altre regioni d'Italia, dove il terziario esprime la maggior parte del reddito e dell'occupazione. Questo processo non va ostacolato: va accompagnato per non ritrovarci a dover fare i conti con una economia obsoleta e di retroguardia, ed in sofferenza rispetto alla concorrenza di paesi a minor costo del lavoro sui settori maturi.
Questi processi di modernizzazione e di innovazione del sistema produttivo, dovranno in ogni caso puntare sempre su un equilibrio fra sviluppo e ambiente.
Quella marchigiana dovrà avere un suo valore aggiunto nell'essere una economia sostenibile ambientalmente e socialmente, dove il territorio ed i diritti sociali sono un valore e non un ostacolo allo sviluppo.
Nel ringraziare il, Consiglio regionale, che con questo convegno sta contribuendo a focalizzare i temi della sfida per il futuro, riteniamo che per poterli affrontate con successo è necessario un più intenso ed impegnativo percorso di una concertazione rinnovata e adeguata ai tempi nuovi che stiamo vivendo. Un periodo di crisi e di forti cambiamenti ha bisogno di una strumentazione straordinaria e dell'apporto di tutte le forze economiche e sociali della nostra regione.

PRESIDENTE. Ha ora la parola il viceministro Baldassarri.

Mario BALDASSARRI, Vice ministro dell?economia e delle finanze. Grazie al Consiglio regionale delle Marche e personalmente al Presidente Luigi Minardi che tempo fa mi ha invitato a partecipare a questo incontro. Purtroppo gli avevo già detto che non sarei riuscito a partecipare alla presentazione del ?Rapporto? nella città di ieri, ma sono riuscito a ricavare, pur con qualche fatica, la partecipazione alla giornata di oggi.
Come ho avuto modo di dire sin dall?inizio del mio impegno politico, credo fermamente ad un rapporto tra le istituzioni, a vantaggio dei cittadini. Il confronto politico che è necessario, fisiologico in democrazia, deve però fermarsi nel dopo-risultato elettorale e nella collaborazione e nel coordinamento tra le responsabilità di tutte le istituzioni, dal Governo centrale ai governi locali, regionali, Province e Comuni sul territorio. E? per questo che ringrazio sia il Presidente sia il Consiglio.
Ho raccolto qualche elemento di riflessione che vi vorrei sottoporre. Primo, non credo affatto al declino e alla ineluttabile decadenza del modello marchigiano. Ormai credo di avere un?età abbastanza avanzata ma una memoria ancora lucida per dover ricordare che all?inizio degli anni ?60 ci dipingevano come una regione prevalentemente agricola, che non sarebbe mai riuscita a diventare protagonista nello sviluppo industriale. Negli anni ?70 ci dipingevano come una regione che aveva avuto uno sviluppo industriale ma fatto di tante piccole e medie imprese destinate ad essere spazzate via dall?innovazione tecnologica, dalle economie di scala, dalle grandi dimensioni. Quando, all?epoca, pochi, compreso il sottoscritto, cercavano di far capire che le Marche erano un modello non teorico, ma che partiva dal basso, dalla realtà del territorio e cominciamo a parlare di ?modello marchigiano? e di ?via adriatica allo sviluppo?, a metà degli anni ?70 ci presero un po? per matti, ci consideravano con qualche grado di comprensione e di sufficienza. Poi vent?anni dopo nelle Marche, in Italia, in Europa, in giro per il mondo si è cominciato a parlare di ?modello? importante per l?armonia, per l?equilibrio fra i settori produttivi, per l?equilibrio fra agricoltura, industria, turismo, ma soprattutto per l?equilibrio sociale, cioè la promozione sociale che avviene attraverso la formazione della persona umana nel proprio lavoro, nella propria professione, nel mettere in piedi la propria azienda. La grande conquista della democrazia è quella di poter offrire una opportunità di progressione a chiunque, indipendentemente dallo stato patrimoniale della famiglia di provenienza.
Le nostre famiglie di imprenditori, di professionisti, le nostre famiglie di quella che oggi è la realtà marchigiana, hanno alle spalle alcune antiche tradizioni ma tantissime hanno alle spalle altri tipi di condizioni economiche, sociali e forse questa è la ragione che ha svolto nel silenzio generale, all?inizio, una delle più grandi rivoluzioni non solo di crescita del benessere economico, ma di partecipazione civile e di democrazia.
Per questo non credo al declino. Credo alla necessità di avere la consapevolezza che il mondo è cambiato e se il mondo è cambiato è necessario che anche il nostro sistema produttivo, economico, forse anche civile e sociale, cambi, non per paura del futuro, ma per avere la consapevolezza che se certi processi si governano, si riuscirà a riprodurre, anche in futuro, i successi del passato. La situazione non è facile ma non è facile per nessuno e in questo biennio di crisi non è che le Marche abbiano avuto risultati peggiori degli altri, anzi sul piano del tessuto sociale, sulla tenuta dell?occupazione, sulla tenuta anche delle condizioni di vita possono reagire meglio di tanti altri. Pensiamo soltanto al momento in cui mi annunciarono, in ufficio, la volontà della Fiat di chiudere Termini Imerese, in una condizione territoriale italiana ben diversa: capite che la preoccupazione era molto forte. Ora ? è una questione di questi giorni ? il problema di Terni. In una realtà come quella nostra che è più diffusa, più articolata, forse le nuove sfide sono più facili da assorbire, ma anche più complesse da rilanciare.
Credo quindi che questo modello ha la sua validità non solo per i successi passati ma per quello che si può costruire per il futuro. Dobbiamo però avere la consapevolezza che con quel modello che siamo abituati a conoscere non possiamo vincere le sfide future, per una banale considerazione. Se immaginassimo l?attuale struttura produttiva, tecnologica, occupazionale delle Marche e nei prossimi vent?anni la raddoppiassimo quantitativamente, a parità di condizioni, il modello salterebbe. Non perché non saremmo in grado di reggere la competitività internazionale, cosa vera, ma per la semplice ragione che avremmo bisogno di 300-400 mila immigrati nella regione, nelle attuali condizioni produttive, occupazionali. Qualcuno ha detto ? è stato detto anche qui ? che la nostra è una regione che ha una vita media molto elevata, un forte processo di invecchiamento e questo è sicuramente vero, ma è anche positivo, perché vuol dire che è una regione che sa vivere meglio. Ma ci pone due sfide. La prima è tener conto che i nostri giovani sono fatti in un certo modo, per nostra fortuna sono più qualificati, sono diplomati, sono laureati e non possiamo immaginare di raddoppiare o triplicare la produzione delle scarpe immaginando di farlo con gli immigrati che arrivano e i nostri giovani disoccupati perché non trovano la qualificazione di lavoro, di opportunità di occupazione che corrisponde al loro processo formativo. D?altro canto c?è un gigantesco problema in tutta Italia, ma nelle Marche ancora più grave, nel campo della sanità. Nella sanità stiamo vivendo un cambiamento epocale: tutto l?apparato sanitario deve cambiare pelle, perché dobbiamo passare verso il cronico, verso l?assistenza a domicilio, verso l?organizzazione delle fasce elevate di età. Se prendiamo, anche qui, l?attuale curva della spesa sanitaria per classi di età e le sovrapponiamo la demografia fra 10-20 anni, la spesa sanitaria, in Italia, raddoppia in rapporto al pil. Quindi bisogna cambiare la struttura dell?offerta sanitaria. Non è più un problema di allargare le dimensioni degli ospedali, ma di organizzare su rete, sul territorio, l?assistenza agli anziani. E? per questo che in molte occasioni, nelle difficoltà di bilancio che abbiamo avuto non sono riuscito quest?anno ? ma continuerò su questa strada ? a proporre, in primo luogo, il bonus per gli anziani che vengono mantenuti presso il nucleo familiare e poi organizzare la sanità con la telemedicina, il telecontrollo. Sono cose che altri paesi hanno affrontato. Questi problemi non si risolvono in sei mesi, occorre prevenirli cinque anni prima, dieci anni prima e occorre attrezzarsi, altrimenti vedremo esplodere i costi e diminuire la qualità e la quantità dei servizi.
Se questa è la condizione nella quale dobbiamo operare, credo che vada fatta una divisione dei compiti. Ciascun comparto della società deve impegnarsi a svolgere al meglio il proprio ruolo, senza pretendere che un comparto vada a spiegare all?altro come si fa il mestiere dell?altro.
Mi spiego. Le imprese facciano le imprese, accettino le sfide di fare le imprese, contribuiscano pure al dibattito, ma non presentino i progetti infrastrutturali come semplice imposizione. Le organizzazioni, sia dei lavoratori che delle imprese che partecipano a questo, debbono pretendere dalla politica e dalle istituzioni le scelte che competono alla politica e alle istituzioni. In una regione in cui siamo stati capaci tutti di produrre un?enormità di beni privati, un salto economico enorme dal punto di vista del benessere quantitativo e anche un salto dal punto di vista del benessere qualitativo, vista l?equità della distribuzione sul territorio, ci siamo dimenticati ? lo dico quasi paradossalmente ? o abbiamo dimostrato di essere molto meno capaci di produrre i beni pubblici. Questa regione è stata in grado di produrre benissimo in quantità e qualità beni privati, non ha ancora dimostrato la capacità di produrre beni pubblici, cioè i beni collettivi. E i beni pubblici si possono produrre solo con le decisioni politiche, con le responsabilità delle istituzioni. Tutti i gap che vediamo ? ne vorrei segnalare due, in particolare ? dipendono dalla non capacità di seguire lo sviluppo della società, dell?economia, della produzione con le stesse capacità, con lo stesso ritmo, con gli stessi tempi in termini di attrezzature pubbliche, di beni collettivi: infrastrutture, formazione e innovazione tecnologica.
Ripeto, non è questa la sede per fare rilievi polemici, credo che sia la sede per lavorare insieme per recuperare più rapidamente possibile questo tipo di ritardi, perché possiamo fare tutti i sussidi alle imprese che vogliamo, sostenerle ecc., ma se prima di dare un sussidio, un aiuto, un sostegno facciamo loro pagare più tasse, diamo loro le infrastrutture peggiori e non curiamo attentamente la formazione, la qualificazione, la ricerca e l?innovazione, è un po? come l?ipocrisia che gira per il mondo tra il nord industriale e il terzo mondo sottosviluppato, per cui tutti noi ci salviamo la coscia perché facciamo la carità, dimenticando che ogni giorno rubiamo ai paesi del terzo mondo il loro reddito solo per l?andamento dei prezzi relativi tra i prodotti industriali e le materie prime. Negli ultimi 35 anni abbiamo tolto ai paesi del terzo mondo circa il 40% di prodotto interno lordo solo per il giochetto che avviene alla borsa merci di Chicago in termini di prezzi dei prodotti industriali a contenuto tecnologico e prezzi delle materie prime. Ciascuno di noi ha un telefonino in tasca e qualcuno mi deve spiegare perché ogni nostro telefonino vale circa 500 quintali di riso o 300 quintali di caffè. E? ovvio che i paesi che producono caffè e riso sono poveri e noi che produciamo i telefonini siamo ricchi.
Anche qui, nel nostro piccolo va benissimo avere politiche industriali a sostegno delle imprese, ma la madre delle politiche industriali a sostegno delle imprese sono: infrastrutture efficienti, prelievo fiscale più basso e bene pubblico della formazione, della ricerca, dell?innovazione tecnologica, su questo ci dobbiamo concentrare. Poi chiediamo agli imprenditori di far bene il loro mestiere sul mercato aperto, competitivo, ma dobbiamo noi assumerci, come politica, la responsabilità di fornire ciò che il mercato non fornirà mai, i beni pubblici.
Sulle infrastrutture vorrei approfittare di questa occasione per dare qualche informazione e qualche chiarimento.
Sono in corso d?opera, relativamente alle procedure, alcuni importanti progetti. Finalmente la settimana scorsa si è chiuso l?iter per la terza corsia sulla A14 da Rimini a Pedaso, nei seguenti termini: nel dicembre del 2002, nella convenzione rinnovata tra Anas e Società autostrade fu inserito il nuovo piano di investimenti della Società Autostrade spa che, come sapete, è stata privatizzata e in questo piano di investimenti, nella proposta che aveva inizialmente fatto la Società Autostrade c?erano vari progetti, come la quarta corsia della Brescia-Milano, la quarta corsia della Milano-Como, il Passo dei Giovi e altri vari progetti, ma le Marche, come al solito, non c?erano. Mi sono allora permesso di ricordare che le Marche non sono soltanto una regione di confine ma sono un pezzo importante del collegamento nord-sud europeo: il famoso ?corridoio 8?. Trovai al momento piena disponibilità della Società Autostrade, che inserì la terza corsia della A14 da Rimini a Pedaso nel piano di investimenti della stessa società. Questo piano di investimenti, come sapete bene, non prevede capitale pubblico, da bilanci pubblico, perché gli investimenti autostradali sono la prima realizzazione di quella che oggi si chiama ?finanza di progetto?; in realtà l?Italia è stato il primo paese al mondo, negli anni ?60, a realizzare il più grande progetto al mondo di ?finanza di progetto?, che è il sistema autostradale Iri Autostrade spa. Nessuno di noi ha pagato tasse per costruire le autostrade in Italia, abbiamo pagato pedaggi.
La convenzione fu firmata il 21 dicembre 2002, dopodiché questi investimenti sono legati ai pedaggi. C?è stato un dibattito molto forte all?interno sia del Governo, sia delle analisi tecniche, per la semplice ragione che nella precedente convenzione, quindi al momento in cui la Società Autostrade è stata privatizzata, nella formula ? si usa chiamare ?price cap? ? che definiva gli aumenti dei pedaggi autostradali, nella precedente legislatura e nella precedente convenzione, non era stato messo il legame tra aumento del pedaggio e investimenti. Quindi nei cinque anni precedenti i pedaggi sono aumentati indipendentemente dalla realizzazione degli investimenti da parte della Società Autostrade.
In ambito Cipe ho provveduto, attraverso gli organi tecnici, a ricambiare tutte le formule di ?price cap? compresa quella dei pedaggi autostradali, per inserire una cosa molto banale, ma credo importante e un po? innovativa, cioè si prevede una spalmatura negli anni dei pedaggi autostradali, con una condizione: che l?aumento del pedaggio scatta l?anno dopo, a consuntivo, laddove la Società Autostrade presenti, certificato da terzi ? e sulle società di certificazione dovremmo fare approfondimenti, come sapete bene, ma in ogni caso il principio resta valido ? gli investimenti realizzati. Ci si è messo un anno per chiarire questo punto e finalmente la settimana scorsa, addirittura in sede di Consiglio dei ministri, si è provveduto a varare il provvedimento, chiedendo peraltro, per ragioni contingenti, alla Società Autostrade, la disponibilità a slittare l?aumento del pedaggio nell?anno 2004, non a partire dal primo gennaio ma a partire dal primo luglio, cosa che la società ha accettato. Quindi la terza corsia dell?A14 da Rimini a Pedaso è parte di questo piano, pertanto finisce la sua procedura per entrare nella fase di cantierizzazione.
Avendo partecipato negli anni ?60, come giovane studente universitario dell?università di Urbino, sede staccata di Ancona, all?epoca, al dibattito sulla A14, ero allora e sono rimasto fermamente convinto che sarebbe stato molto meglio fare la A14 non sulla spiaggia ma un po? più arretrata. So altrettanto che se adesso cominciamo un dibattito sull?arretramento della A14 discuteremo per i prossimi 30 anni, non avremo l?arretramento e avremo ancora, anche fra 30 anni, la A14 a due corsie. Quindi, personalmente, politicamente ho preferito spingere per fare il più rapidamente possibile la terza corsia, lasciando il nuovo tracciato al tratto Pedaso-San Benedetto, per l?ovvia ragione che, essendoci molte gallerie, lì conviene fare il nuovo tacciato più a monte, piuttosto che allargare tutte le gallerie.
Da sud viene la Teramo-San Benedetto che è nella legge obiettivo e che adesso anch?essa fa parte della Società Autostrade, perché, come sapete, la ?Autostrade spa? ha rilevato le autostrade abruzzesi.
Secondo blocco importante, il collegamento est-ovest. Il ?Progetto Quadrilatero spa? è un progetto integrato, un progetto pilota per l?Italia come progetto nazionale, fu inserito a suo tempo nella legge obiettivo, è stata costituita la ?Quadrilatero spa?. Vorrei precisare all?assessore Agostini che la ?Quadrilatero spa? non è una società privata, è una spa pubblica, il capitale è partecipato al 51% dall?Anas spa e al 49% da ?Sviluppo Italia?, ma come il Governo ha detto sin dalla sua costituzione, questo capitale deve essere aperto all?ingresso di tutti quelli che sono disposti a entrarvi come governi locali: Regioni, Province, Comuni. In particolare Province e Comuni perché sono i titolari di quella parte, piccola ma significativa, che è la parte di finanza di progetto ? circa il 15% del totale ? circa 4.000 miliardi di costo complessivo, sia sulla Flaminia, sia sulla Valdichienti. Il quadrilatero si completa con la pedemontana e le intervallive e con l?ammodernamento della statale 78 Val di Fiastra fino a Sarnano, che dovrà poi costituire il pezzo di proseguimento della pedemontana da Sarnano ad Amandola, fin verso Ascoli Piceno.
Quindi questo progetto è pubblico, deciso dal Governo centrale nell?ambito della legge obiettivo, con l?85% circa di finanziamenti dal bilancio dello Stato e con il 15%, con le stime che sono state predisposte, in finanza di progetto attraverso il piano di area vasta. Non si tratta di sottrarre risorse a nessuno, si tratta addirittura di aumentare le risorse, perché un?opera di questo genere aumenta le potenzialità e la riorganizzazione del territorio, che rimane nella piena responsabilità dei singoli governi locali, a partire dai Comuni. Quindi, quando si parla di Ici non si tratta di sottrarre ai Comuni l?Ici, ma di dare ai Comuni la possibilità di avere una maggiore Ici e una parte di questa maggiore Ici potrà essere destinata a finanziare, per la quota modesta che ho detto, il progetto, con la garanzia dello Stato che, laddove questa opera non dovesse produrre gli effetti previsti sul territorio e quindi gli enti locali non avessero questo effetto di maggiore Ici, a quel punto scatterebbe la garanzia dello Stato per la copertura complessiva del finanziamento.
Credo che oggi si sta svolgendo la conferenza dei servizi, nella riunione Cipe di dicembre il Governo ha riapprovato e riconfermato in via programmatica l?intero progetto, entro la fine di febbraio, completata la procedura, dovremmo fare l?assegnazione definitiva delle risorse. Nei tempi previsti dovremmo avere la gara per il general contractor. Ovviamente parte prima il progetto sulla statale 76 Flaminia, perché la progettazione era un po? più avanti quindi questi tempi vengono rispettati, contrariamente a quanto detto da qualcuno, che all?inizio mi accusò di essere troppo filo-maceratese, per cui avrei ritardato la costruzione della nuova Flaminia a favore della Valdichienti. E? vero che sono nato a Macerata, ma come sapete ho qualche legame anche con Ancona e la Vallesina: il problema non è il campanilismo fra le valli, ma mettere insieme le valli marchigiane per costruire insieme cose migliori per tutti, sia per la gente, sia per le nostre potenzialità produttive. Quindi confido che a fine febbraio al Cipe venga presentata la completa procedura, il finanziamento, il general contractor per la Flaminia e la pedemontana da Fabriano a Muccia. Dovrebbe partire la gara a maggio e un mese dopo dovrebbe partire la gara per la Valdichienti, le intervallive e la Val di Fiastra 78.
Infine ho avuto occasione nelle ultime settimane, cosa di cui non avevo parlato prima perché non avevamo contezza della potenzialità, della fattibilità della cosa ? ma siccome emergono elementi positivi ho cominciato a parlare, anche se dal punto di vista istituzionale dovremo discuterne seriamente con i governi locali appena avremo definito un progetto ? della rete ferroviaria italiana. Ho chiesto alla società RFI (Rete Ferroviaria Italiana), di immaginare un progetto di spostamento della ferrovia da Marina di Montemarciano all?Aspio, progetto integrato che ricostruisse la città di Ancona come vero capoluogo al servizio della regione e non soffocato dalla ferrovia, dalla A14, dalla statale 16 e quant?altro. Questo progetto presenta, nei primi elementi che emergono ? ma anche questo dovrebbe essere pronto per fine febbraio ? possibilità di fattibilità, quindi significa modificare tutto l?assetto urbanistico, ritornare all?Ancona di prima della costruzione della ferrovia sulla spiaggia, sostanzialmente, liberare una potenzialità enorme di riassetto urbanistico. In questo quadro ? ma non ha niente a che vedere con i tempi, perché questo progetto, laddove si dimostri fattibile, ha dei tempi relativamente medi ? occorrerebbe risolvere al più presto, possibilmente domani mattina ? anche perché è un dibattito che va avanti da troppo tempo nelle Marche e ad Ancona ? il problema del porto e dell?uscita dal porto. Mi sono permesso di dire che se in prospettiva è fattibile lo spostamento della ferrovia, se da qui a cinque anni si sposta la ferrovia non avrebbe molto senso costruire l?uscita dal porto al posto della ferrovia o a fianco della ferrovia. Lo dico da cittadino, non sono né un tecnico, né un ingegnere, né un urbanista. Mi sembra, ?a naso?, che se questa prospettiva della ferrovia esiste, forse varrebbe la pena decidere, appena gli organi tecnici daranno la disponibilità, l?uscita dal porto che, probabilmente, a quel punto diventerebbe la più ragionevole a nord-est, in modo che, appena usciti dal porto di Ancona ci si possa infilare in galleria, quindi eliminando in modo forte tutto l?impatto del traffico pesante che chiunque abiti nelle Marche o ci venga stesso, si rende conto penalizza fortemente. Questa mattina stessa, per venire dall?aeroporto di Falconara fin qui c?era la solita fila di camion, quindi la gente ha ragione a protestare, a fare i blocchi, perché vedersi davanti casa tutti i giorni qualche centinaia di Tir non è cosa simpatica.
Dobbiamo quindi spezzare, separare le arterie, ci devono essere arterie che consentano di arrivare al porto di Ancona senza attraversare la passeggiata che si fa con le carrozzine dei bambini, poi lasciare che ci sia lo spazio anche per le carrozzine dei bambini.
Sull?ab portuale di Ancona già nella finanziaria del 2001, per l?anno 2002, fra i sei porti privilegiati in Italia, furono appostati 200 miliardi. Questa credo sia una decisione da assumere nel brevissimo tempo. Questo sfondo dell?eventuale progetto dello spostamento della ferrovia può aiutare a disegnare un percorso coerente anche con le decisioni che dovranno essere assunte nei prossimi anni.
Questo non vuol dire non decidere oggi e subito l?uscita dal porto di Ancona, anzi vuol dire decidere al più presto possibile, avendo però una sequenza di decisioni nel tempo che siano coerenti l?una con l?altra, altrimenti rischiamo, come spesso nel passato, di fare piccoli pezzetti di opere di 300, 400, 500, 700 metri, che poi non si mettono in collegamento l?una con l?altra.
L?ultimo punto che vorrei sottoporre alla riflessione riguarda la parte su formazione e ricerca. Anche qui dobbiamo superare la nostra caratteristica tipica, storica, geografica, morfologica, che sono lo spezzettamento, il campanilismo, la divisione per valli, la divisione per province, esaltando questa radici diverse, ma cercando di metterle in sinergia, invece che in contrapposizione che blocca le decisioni.
Per questo ho pensato di suggerire alle nostre università di mettersi in rete, di avere in prospettiva un?idea di ateneo federato delle Marche, di mettere le nostre università e i nostri centri di ricerca in collegamento con i distretti industriali e su questo il Governo nazionale sta varando il progetto delle stazioni sperimentali. Sono due filoni di progetti: le stazioni sperimentali presso il Ministero delle attività produttive e i poli di alta eccellenza tecnologica presso il Ministero della ricerca. Questi secondi sono più spostati sul fronte della ricerca quasi pura o comunque dell?alta innovazione futuribile; quelli delle stazioni sperimentali sono invece progetti più vicini alle strutture produttive. L?idea potrebbe essere quella di averne 2-3 nelle marche, che affianchino i distretti industriali, mettano le realtà imprenditoriali in sinergia con i centri di ricerca della regione, anche fuori della regione, anche in giro per il mondo, per fare la grading dei nostri distretti industriali in termini di materie prime, processi produttivi, innovazione tecnologica, collateralmente anche formazione, in modo da avere un accompagnamento: il bene pubblico che deve essere costruito è questo accompagnamento della realtà produttiva delle piccole e medie imprese che, singolarmente prese o anche come singoli distretti non riescono ad avere le sufficienti risorse economiche, ma soprattutto organizzative e formative, per fare il salto un po? più in alto mentre la competizione cinese rischia di minarci sulle produzioni per ora più basse, ma dobbiamo correre velocemente, perché purtroppo, o buon per loro, fra pochi anni questi nuovi continenti non solo ci faranno concorrenza sulla fascia bassa di produzione, ma saranno in grado di farcela sulla fasce medie e forse anche sulle fasce alte. Quindi questo è un processo che va fatto rapidamente, con una grande coesione tra la realtà produttiva, le realtà della formazione e della ricerca, le istituzioni, i governi centrale, locali. Questo indipendentemente dalle maggioranze politiche che possono esserci nei vari livelli di governo, perché prima dell?appartenenza partitica, prima dell?appartenenza ad una maggioranza politica, chi è stato eletto ha una responsabilità verso la cittadinanza e deve assumere queste responsabilità. Più c?è collaborazione e più si riesce a fare meglio il cosiddetto bene pubblico.
Infine un appello al Consiglio regionale delle Marche, perché è un elemento che mi è saltato agli occhi un paio di settimane fa. Parlo della legge 598 del 1994 per la ricerca. Questa legge è destinata a finanziare le piccole e medie imprese con un meccanismo ?a sportello?, mirata a progetti di ricerca industriale, di sviluppo dell?innovazione tecnologica dentro le imprese. Sapete che purtroppo i fondi sulle leggi nazionali ? tipo il fondo per l?innovazione tecnologica (FIT), la vecchia 46 ecc. ? non sono tanti. Qui non ci sono tantissimi fondi, però sono fondi gestiti direttamente dalle Regioni. I Consigli regionali delle varie Regioni italiane si sono attivati per deliberare l?attuazione pratica di questa legge 598. Il Molise l?ha fatto a dicembre del 2002, la Puglia l?ha fatto nell?aprile 2003, la Toscana l?ha fatto a luglio, la Puglia ha fatto un secondo bando addirittura a settembre, la Liguria l?aveva fatto a settembre dell?anno scorso, la Campania l?ha fatto ad ottobre, il Lazio l?ha fatto adesso, il 14 gennaio. Come vedete sto citando Regioni diverse, con governi a maggioranze diverse. Non so perché la Regione Marche ? forse ci sono tempi, procedure, accordi più complicati ? non ha ancora attivato la 598 per la ricerca. Vi do qui un mio parere personale, poi, evidentemente, il Consiglio, la Giunta, il governo, nella loro responsabilità decisionale possono decidere, spero per il meglio, comunque nella loro autonomia. Qui siamo di fronte a una scelta: o diamo cinque lire a tutti o concentriamo le risorse mirate sui progetti che facciano fare un salto di qualità tecnologico, innovativo alle imprese. Io sono per questa seconda strada. Le risorse non sono molte, quindi piuttosto che cercare un apparente consenso populistico, spargendo a pioggia ? e poi non credo che sia la strada migliore, perché gli operatori, la gente non sono così sciocchi da esprimere consenso politico perché si sono date quattro lire a tutti in modo equo ? conviene assumersi la responsabilità di essere selettivi, di far competere le imprese nella presentazione dei progetti, di avere una trasparente procedura di selezione dei progetti e poi di concentrare le risorse su quei progetti che appaiano qualitativamente più importanti nel modificare il posizionamento tecnologico delle nostre imprese.
Questo è un invito a mettere all?ordine del giorno questo argomento. Ripeto, non è uno strumento potentissimo, non ci sono risorse infinite, però ho visto molte altre Regioni che stanno attivando questo strumento, che sta funzionando.
Infine vorrei chiudere con un rammarico e, anche qui, un piccolo appello: a fine febbraio tornerò in Palestina e in Israele per il ?Progetto talassemia?. Come sapete il Governo centrale aveva offerto alla Regione Marche questa opportunità e la Regione Marche, per sua corretta decisione ha preferito non aderire all?Irccs, alla fondazione nazionale mista tra Governo centrale e Governo locale, quindi questa fondazione che è stata costituita opera al San Camillo di Roma. A fine febbraio, nel riportare i bambini guariti a Betlemme riporteremo un gruppo di bambini da trapiantare, ma per la prima volta questi bambini non verranno portati a Pesaro ma dovranno essere portati al San Camillo che comincia così la sua attività di centro internazionale di talassemia, ovviamente dopo avvenuto il trasferimento sul San Camillo di Roma dell?intera équipe dei medici del prof. Lucarelli, che comincia ad operare appunto a Roma. Non credo che questo chiuda la speranza di fare delle Marche e di Pesaro, comunque, un importante centro su questa frontiera della ricerca scientifica. Spero ancora che, quanto meno, si possa in futuro avere su Pesaro uno dei punti della rete nazionale e internazionale che possa associarsi e attivarsi su questo progetto che continuo a pensare progetto importante come politica estera del nostro paese.
Mi rendo conto che ci sono enormi difficoltà, ma spero che magari, nei mesi prossimi, si possa arrivare ad una soluzione che possa coinvolgere le Marche e Pesaro anche su questo progetto.
Spero che la Asl unica non faccia prevalere il pensiero unico anche in questo settore.
Grazie di questo invito e grazie dell?attenzione.

PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro per la sua partecipazione. Ha la parola Venturi, segretario regionale della Cgil.

Gianni VENTURI, Segretario Cgil Marche. Vorrei anch?io ringraziare la presidenza del Consiglio e il Consiglio regionale tutto per l?occasione di approfondimento sui temi legati allo sviluppo economico e sociale di questa regione, facendo di questa stessa occasione la possibilità di una valutazione e della presentazione anche di punti di vista non necessariamente coincidenti sulle analisi, per cercare di uscire da una discussione che spesso ha anche qualche tratto davvero poco utile.
Ho sotto gli occhi alcuni dati molto recenti, in particolare della camera di commercio di Ascoli Piceno, che ci dice che nei primi nove mesi del 2003 in quella realtà, tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi si sono persi 3.600 addetti, di cui 750 non nell?industria manifatturiera ma nelle reti: parlo delle Poste, dell?Enel, dei trasporti, dei bancari. Si è superato il milione di ore di cassa integrazione, quindi il ricorso alla cassa integrazione è triplicato rispetto al 2001 e il 2004 è iniziato in quella realtà sotto auspici che non sono dei migliori, visto e considerato che sono aperte 169 richieste di mobilità.
La nostra è una struttura produttiva particolarmente diffusa e dispersa, quindi molto spesso, quando si aprono delle crisi aziendali diventa anche difficile trovare la possibilità di bucare la comunicazione, quindi di rendere queste cose evidenti ai soggetti della politica, delle istituzioni, comunque a coloro che in qualche modo hanno delle responsabilità collettive pubbliche sul terreno regionale. Stiamo parlando di una cosa che vale quattro volte la chiusura delle Acciaierie di Terni. Fa impressione ragionare su 900 licenziamenti alle Acciaierie di Terni perché la Krupp così decide e noi, nella realtà diffusa di un?area soltanto, quella ascolana, dobbiamo fare i conti con 3.600 addetti in meno nei primi nove mesi del 2003 e con 169 richieste di mobilità nei primi giorni del 2004.
Se andiamo in un territorio immediatamente adiacente quello della provincia di Macerata nelle liste di mobilità ci sono 839 lavoratori rispetto ai 222 del 2002, quindi è quadruplicata, da un punto di vista quantitativo, la lista di mobilità in quel territorio. Se vogliamo salire al territorio di Ancona è particolarmente preoccupante la situazione della Antonio Merloni Termosanitari, sulla quale si rischia l?apertura di una procedura di mobilità per centinaia e centinaia di lavoratori. Se andiamo verso nord c?è una situazione particolarmente preoccupante del settore del legno e del mobile, escludendo la produzione delle cucine.
Cos?altro debba accadere per occuparsi, in termini assolutamente preoccupati, della tenuta della nostra struttura produttiva, del modello di sviluppo che in qualche modo ha caratterizzato la nostra regione mi sfugge.
Voglio però anch?io evitare una discussione tutta nominalistica, se siamo dentro un modello declinante o se il riferimento ad un possibile declino economico e sociale di questa regione debba essere considerato una qualche forzatura dal punto di vista anche della lettura di questi processi.
Io dico una cosa molto semplice: fin dalla fine degli anni ?90 il Censis di De Rita sosteneva correttamente che già allora il nostro sistema produttivo e il nostro modello di sviluppo era sottoposto, per effetto dei processi di internazionalizzazione e di globalizzazione dei mercati e delle economie, a quella che lui definiva una ?torsione strutturale dolce?. A me pare che la torsione si è fatta meno dolce e più marcatamente strutturale e che quindi, in qualche modo, l?idea di uno sviluppo senza fratture ? quella che richiamava il prof. Alessandrini rifacendosi alla teoria di Fuà ? lascia il posto ad un rischio evidente, non un declino; un rischio evidente di declino produttivo al quale si associa una nuova vulnerabilità sociale. Io considero assolutamente non ineluttabile questo rischio e per questo credo che noi dobbiamo leggere i segni, le tracce di questo pericolo, di questo rischio che si muove nella nostra regione. Noi abbiamo dei divari e dei differenziali interni e nel rapporto con altri simili modelli di sviluppo al nostro, che in questi anni non solo non diminuiscono, ma in alcuni casi si allargano. Basta prendere a riferimento alcuni degli indicatori che in qualche modo sono più caratteristici e anche più utili a questa riflessione. Abbiamo un prodotto interno lordo pro-capite nella nostra regione, molto più simile al pil pro-capite delle migliori regioni del sud del paese piuttosto che a quello delle regioni del centro e del nord-est. La dipendenza delle nostre produzioni, nell?export, da eventi esterni come quelli che qui venivano richiamati e che non sono soltanto riconducibili al rapporto che è significativamente cambiato, delle ragioni di scambio per effetto della rivalutazione dell?euro sul dollaro, o meglio della svalutazione del dollaro sull?euro, è maggiore da noi rispetto ad altre aree, rispetto ad altri sistemi. Così come è minore la produttività del lavoro. I servizi avanzati alle imprese in questa regione sono scarsamente diffusi. Il livello di innovazione prodotto da questi servizi è nettamente al di sotto delle medie, sia interne ad altri sistemi produttivi italiani, sia in particolare a sistemi produttivi dell?Ue. Ieri il prof. Alessandrini citava un dato: rispetto alla richiesta di brevetti europei per milioni di abitanti nel triennio 1998-2000, nelle Marche siamo a 55,9 nei confronti del 146,8 dell?Emilia Romagna. Dal punto di vista delle politiche infrastrutturali ritengo la discussione nella nostra regione fortemente viziata da una concezione a dir poco datata, dell?idea di infrastrutturazione che deve sostenere lo sviluppo delle imprese, perché non c?è dubbio che non può essere identificata esclusivamente con la viabilità e con la comunicazione l?infrastrutturazione utile alle imprese. Paradossalmente la più grande e significativa impresa e gruppo industriale di questa regione si sviluppa nell?area che ha meno infrastrutturazione da questo punto di vista, e abbiamo una tendenza che in questi anni si è accresciuta: le imprese ricorrono al decentramento estero e alla delocalizzazione di fasi di produzioni o di intere produzioni, allo scopo di recuperare margini di competitività, spesso in assenza di una chiara strategia di sviluppo. Oppure le nostre imprese spesso sono e diventano sempre più terziste o licenziatarie di grandi marchi nazionali.
C?è un po? quello che ieri il prof. Alessandrini chiamava, nella sua relazione, rischio di essere soltanto globalizzati e non tanto globalizzatori nell?era della internazionalizzazione e della globalizzazione dei mercati. Inoltre, sul versante che riguarda più direttamente il ruolo e la funzione del sindacato, sembra che nella nostra regione si interrompa un processo di apprendimento cumulato che era tipico e che è stato tipico dello sviluppo dei sistemi distrettuali, che ha caratterizzato la forza-lavoro marchigiana e che costituiva uno dei principali punti di forza delle imprese e dei sistemi territoriali. Non c?è dubbio che le strategie con le quali si prova a rispondere anche a questo problema sul versante della domanda, cioè immigrazione e delocalizzazione, per tanti versi non solo non risolvono il problema, ma in qualche modo rischiano di fare del fattore lavoro un elemento debole su cui si scaricano le fragilità generali del sistema, sottoponendo il fattore lavoro stesso ad un processo, quanto meno al rischio di un processo di dequalificazione permanente, perché se si pensa che i modelli di competitività e i margini di competitività di un sistema come quello marchigiano si possano recuperare accentuando gli elementi di flessibilità e di precarietà sul mercato del lavoro, si parte da un presupposto assolutamente sbagliato, perché se c?è un dato oggettivo dal quale partire, non c?è dubbio che la nostra è una realtà che da questo punto di vista ha un eccesso e non un difetto di flessibilità, per quanto riguarda il mercato del lavoro e se si parte da questo è evidente che i margini di recupero, ammesso e non concesso che possano esserci, sono comunque molto bassi, dato che si parte da una condizione di estrema flessibilità e fragilità.
Noi pensiamo che si debba ripartire dal lavoro, dalla necessità di considerarlo il fattore strategico fondamentale per la produzione e la riproduzione dei saperi e delle conoscenze, perché questo è il punto sul quale immaginare di costruire una strategia di innovazione di questa regione, di come si possa in qualche modo sostanziare una via alta allo sviluppo e alla qualità dello sviluppo, partendo da alcune esigenze. La prima è che ci sia un ri-orientamento generale degli strumenti di politica industriale, dei centri di sostegno all?innovazione e alla ricerca; che ci sia una fortissima selettività nell?utilizzo delle scarse risorse pubbliche che sono disponibili a questo; che ci sia un doppio canale di intervento nella situazione, perché ricordava Serpilli questa mattina che tra il passato e il futuro c?è il presente e il presente ha questi elementi di difficoltà evidente per quanto riguarda il versante dell?occupazione. Quindi noi abbiamo bisogno, da una parte, di un intervento che guardi alla ridefinizione anche degli strumenti di ammortizzazione sociale, cioè quegli strumenti che sono in grado di far fronte alla componente congiunturale della crisi, quindi abbiamo bisogno di cominciare a pensare a qualche strategia di medio-lungo termine, immaginando anche che nel medio-lungo termine possa rientrare anche una possibilità di riconversione verso produzioni non delocalizzabili, che siano fortemente ancorate alla specificità del territorio.
Finisco con una considerazione. Sia nella relazione di questa mattina, sia dagli interventi, dalla discussione che c?è stata ieri è sembrato venire un appello ad aprire una fase nella quale si possa ragionare sulla praticabilità di un patto per lo sviluppo in questa regione. Anche qui, non per una discussione di tipo nominalistico, credo che dovremmo distinguere tra il patto e la necessità che in questa regione si arrivi invece ad un nuovo contratto sociale. Io sono per la seconda di queste ipotesi, perché l?idea di contratto sociale rimanda all?idea di soggetti di rappresentanza collettiva che mantengono i profili della loro autonomia, nel rapporto tra i soggetti contraenti stessi, e con essi anche le diverse responsabilità e la diversa autonomia nella definizione, appunto, del contratto sociale. Credo, cioè, che sia particolarmente utile per tutti che ciascuno faccia il proprio mestiere.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Pistarelli.

Fabio PISTARELLI. In un momento congiunturale come quello che stiamo vivendo si debbono affrontare le questioni dell?emergenza con risposte di sistema: sistema-paese, di cui hanno parlato il nostro viceministro Baldassarri e altri relatori prima di noi. Sistema regione: fare sistema significa in primo luogo affrontare sì le questioni correnti, il quotidiano dei rapporti tra i soggetti istituzionali e sociali, ma essere altresì attrezzati per il futuro, avere quella rete di base che permette di essere in grado di giocare ogni partita, anche la più difficile. I soggetti: famiglia, imprese, istituzioni. Un patto sociale, l?hanno ricordato in molti. Un patto sociale forte, però, si costruisce facendo sì che l?istituzione pensi avanti, individuando gli impegni e le priorità per dotare la nostra regione di quella ricchezza pubblica di cui parlava il viceministro, da dare in dote a famiglie e imprese, ma compito precipuo delle istituzioni. Ricchezza pubblica sono le infrastrutture, non solo strade, ponti, ferrovie ma infrastrutture sociali, servizi per le famiglie: l?anziano, le giovani coppie, i figli, le politiche di sostegno e di servizio, l?efficienza delle strutture. Per le imprese: le politiche fiscali, i protocolli d?intesa su progetti per affrontare congiunture. Ricordo quella delle calzature, del tessile, dell?abbigliamento. Il sostegno e la ricerca all?innovazione. Le Marche sotto questo profilo sono indietro, sono state caratterizzate da scelte di corto respiro o addirittura in contrasto con quanto da fare, in contraddizione con le giuste soluzioni ad analisi, pur profonde ed in grado di toccare i nodi veri delle questioni sul tappeto. Più volte ci siamo confrontati in questo Consiglio regionale, ma anche nei momenti che il Consiglio regionale tutto ha voluto, di approfondimento, abbiamo affrontato analisi e questioni in maniera sostanziale, poi le ricette non sono venute, non sono state individuate con la necessaria chiarezza. A che cosa mi riferisco? Alle difficoltà sulle scelte infrastrutturali: abbiamo un piano trasporti datati e abbiamo difficoltà di relazione e di risposta sinergica a quanto l?azione anche del Governo centrale sta portando avanti con le leggi obiettivo e con le scelte anche su questo territorio. Abbiamo un ritardo per affrontare le esigenze che scaturiscono da un andamento demografico che molto acutamente e da tempo è stato indicato come andamento demografico straordinario nel quadro nazionale: quello delle Marche che ha la ?questione anziano? maggiormente aperta rispetto ad altri territorio; giovani coppie, un ?piano casa?, una indicazione forte su questo. Le politiche sociali possono affrontare questi temi e questi nodi: il fondo sociale nazionale assegna alle Regioni e le Regioni individuano poi le voci ed i capitoli sui quali destinare le proprie risorse. Qui mi pare che le risposte sono state solo accennate e mai portate a compimento. Questo riguarda la famiglia. Sulla famiglia grava anche un carico fiscale, che se dallo Stato non è stato aggravato, dalla Regione vi è stato, con la manovra dell?addizionale, un percorso diverso. Questo ragionamento riguarda anche le imprese, con l?Irap, perché la manovra di fine anno 2003 ha leggermente diminuito un carico fiscale che però con le nostre addizionali, con le addizionali regionali rimane troppo alto, soprattutto in un momento come questo per tante imprese, piccole e medie ? tessile, abbigliamento e calzature in particolare ? che vivono un momento congiunturale difficile. Politiche di innovazione, programmi e progetti, protocolli che siano in grado di affrontare anche le situazioni e a breve-medio periodo dare quella possibilità di superare la palude e di superare il momento difficile di tanti distretti che sono nella nostra regione e che vivono un momento di stagnazione e di crisi.
Tutto questo a nostro avviso deve essere ricordato per far meglio, non per dire ?la casa brucia, scappiamo?, per dare però messaggi chiari, idee che diventino progetto, programmi che anticipino e non subiscano i cambiamenti. Questa è la nostra visione che abbiamo cercato di portare nelle discussioni che abbiamo effettuato fino ad oggi e che faremo da qui a poco ,tempo: la prossima settimana si aprirà la sessione di bilancio per parlare dello strumento di programmazione principale, che è il bilancio di previsione 2004 e quello triennale 2004-2006.
Su questi documenti ci confronteremo in maniera concreta, guardando alle scelte che vengono proposte dal governo regionale e cercando di dare soluzioni diverse e alternative alle cose che non condividiamo. Oggi ne abbiamo accennata qualcuno, già dalla prossima settimana saremo qui in aula ad indicare quelle che sono le nostre proposte di integrazione, di modificazione, di cambiamento. C?è necessità di un cambio di marcia, questo è quello che la Regione Marche deve fare molto presto.

PRESIDENTE. Ha la parola l?assessore Amagliani.

Marco AMAGLIANI. Esordisco subito dicendo che a me sembra che il bon-ton istituzionale non sia la qualità migliore del viceministro Baldassarri, perché davvero avrei gradito che a fronte delle questioni da lui citate in quest?aula, ma citate anche alcuni giorni fa presso l?autorità portuale di Ancona, avesse per lo meno avuto davvero il bon-ton istituzionale di ascoltare le risposte, perché è la seconda volta che dice cose e non dimostra niente rispetto a quanto dice. Non risponde, a nome del Governo nazionale, alle richieste d?incontro che questa Regione fa a livello ufficiale, alle mie note, alle note del Presidente della Giunta regionale, salvo venire qui in regione, dire le cose che pensa non suffragate da nulla e andarsene. Capisco i tanti impegni del viceministro Baldassarri, ma non credo proprio che questo sia il modo migliore di rapportarsi con il territorio e con il suo territorio.
Voglio intervenire solo ed esclusivamente sulle questioni che seguo direttamente come assessore ai trasporti e alle infrastrutture, poi il collega Vicepresidente Spacca avrà modo nelle conclusioni, a nome del Presidente, di rispondere a tutte le questioni poste non soltanto dal viceministro Baldassarri.
Sull?elenco che lui ha fatto concordo soltanto su una questione, quella riguardante la terza corsia dell?A14. Sono convinto che probabilmente negli anni ?60 si è commesso il grave errore di ubicare l?A14 sulla costa e non a monte. Oggi fare una scelta diversa probabilmente significherebbe non fare alcuna scelta, perché le risorse non sarebbero sufficienti, ma molto probabilmente significherebbe dare un ulteriore colpo a questo territorio, che sarebbe una cura peggiore del male, quindi sono d?accordo con lui quando dice che, obtorto collo, non vi è probabilmente altra soluzione possibile.
Rispetto a tutte le altre questioni poste gradirei un minimo di correttezza e di serietà. Parto dall?ultima citata in ordine di tempo dall?intervento del viceministro, cioè spostamento ferrovia, quindi bypass a Falconara Marittima. Come si fa a venire qui per due volte consecutivamente a proporre un progetto senza dire di cosa si tratta, quali sono le risorse disponibili. E? un progetto che passa da dove? Questo famoso spostamento di ferrovie che partirebbe da Montemarciano per arrivare non so dove... ?Perché non da Cattolica invece che da Montemarciano??, ci direbbero probabilmente i cittadini dell?Emilia Romagna. Come risolveremmo la questione della stazione di Ancona che diventerebbe una stazione di testa come Roma, come Milano? Come risolveremmo tutte queste questioni messe insieme, rispetto alle quali noi diciamo già che siamo d?accordo? Si venga qui con un progetto preciso, con finanziamenti certi e ci si dica cosa si intende fare, con quali risorse, con quale cronoprogramma. Questo si dice dopo che la società FRI ha già presentato un suo programma con un progetto, con finanziamenti certi, con interventi che partirebbero nel 2007 e si concluderebbero nel 2011. Questo intervento ha fatto sì che già su quel territorio si creassero comunque contraddizioni anche con i cittadini residenti, che vivono questa questione come una ferita ambientale che probabilmente risolve alcune questioni ma necessariamente, come nel miglior concetto di entropia, ne crea subito altre. Ad ogni azione di ordine ne segue subito una di disordine. Qual è la proposta del viceministro? Perché non è rimasto qui a spiegarcela fino in fondo, questa proposta? Ho già scritto sulla pagine di stampa locale, ho già chiesto lumi su questo, ma nessuna risposta è avvenuta: non è venuta qui e non verrà in seguito.
Uscita a ovest, stessa questione. L?ultima mia nota è datata settembre 2003, rispetto ad un progetto che è stato fortemente concertato. La Regione Marche ha aspettato le decisioni del Consiglio comunale di Ancona per capire quale scelta fare, anche lì non per subire ma per capire. Abbiamo atteso le loro progettazioni, le loro scelte, le abbiamo valutate, le abbiamo ritenute utili, importanti, valide e le abbiamo spedite al Governo nazionale di questo paese il quale non risponde se non attraverso le parole del viceministro che se ne viene qui e ci dice che c?è un?altra progettazione possibile, quella legata allo spostamento della ferrovia. Quindi a una soluzione sicuramente non certa, anzi fantasiosa se ne lega un?altra ancor più fantasiosa di cui non conosciamo assolutamente nulla, che non fa altro che procrastinare i tempi, che probabilmente non ci darà la possibilità di questo reale collegamento, perdendo ancor più competitività rispetto al porto di Ravenna, perché questa è la verità. Poi ognuno si assuma le proprie responsabilità.
Poi si viene qui a mettere la ciliegina sulla torta, parlando della ?Quadrilatero spa?. Qui bisogna che ci comprendiamo, non possiamo far finta di non sapere, di non capire. Il ministro viene qui e ci parla della società ?Quadrilatero spa? nata il 12 giugno 2003. Il viceministro dovrebbe venire qui e dirci cosa ne è dell?intesa quadro firmata tra la Regione Marche e il Governo nazionale di questo paese. Che ne è? Perché non si è andati avanti? Non avevo dubbi che non si sarebbe andati avanti, perché quell?intesa era stata tradita una settimana dopo, perché dal 24 al 31 ottobre il Cipe, esattamente una settimana dopo, già decideva cose diverse da quelle che erano stabilite in quell?intesa. Questo è il motivo del nostro ricorso. Ma noi siamo voluti andare a vedere, abbiamo voluto capire cosa significasse, cosa fosse il progetto Price Waterhouse, cosa significasse fino in fondo questa ?cattura di valore?, nonostante che la struttura tecnica del Ministero dell?economia avesse già espresso tutti i suoi dubbi rispetto a quel progetto.
Non volevamo essere accusati di non voler assolutamente fare l?intervento di cui si stava parlando, che è un parte dell?intervento dell?intesa quadro. Oggi questo famoso progetto di area vasta che era all?interno degli studi fatti dalla Price Waterhouse, è arrivato. E allora, siccome è arrivato e ho avuto la possibilità, come assessore competente in questa materia, di verificarlo, vorrei dire in maniera chiara ed evidente che è una proposta vaga, insufficiente e indefinita e ciò che non è indefinito, quindi ciò che è definito, è largamente preoccupante e pericoloso, perché sono definiti i metri cubi di cemento che potrebbero investire questa nostra realtà marchigiana. Sono allora convinto che le infrastrutture debbano essere al servizio del territorio e non può essere il contrario.
Abbiamo iniziato questa partita con le Province, con gli enti locali, l?abbiamo giocata, continueremo a giocarla, ma tutto è indefinito, di definito ci sono soltanto i milioni di metri cubi che potrebbero investire questo territorio. Se questa è la questione, per quanto mi riguarda io dico no, non ci sto, perché la verità è che le infrastrutture debbono essere al servizio del territorio. Il viceministro è venuto qui dicendo ?l?85% delle risorse sarà a carico dello Stato e il 15% ? nei documenti si parla del 17%, 405 milioni di euro ? a carico delle autonomie locali?. Prendiamo allora atto di una prima questione: che rispetto all?intesa quadro il Governo nazionale già tornato indietro, perché tutte le risorse erano a carico dello Stato. Allora si dica chiaro e forte che queste risorse non ci sono e che si viene a chiedere l?intervento nel territorio. Si dica che dei 400 milioni di euro che si prospettano al territorio, 92 sono già stati assegnati dalle precedenti riunioni del Cipe a questa nostra realtà per ciò che riguarda la pedemontana, per cui già scenderemo a 300 milioni. Allora si dica che al territorio competono 300 milioni di spesa, ragioniamo su questo, ma i modi, le forme come trovare i fondi li decide il territorio, li decide la Regione perché è una sua competenza, li decide tutti coloro che non potrebbero sopportare una ferita al territorio quale quella che viene prospettata, perché tra l?altro in quei documenti si parla molto chiaramente di aree leader, quindi lì si stabilisce, avendo difficoltà anche di calcolo, che 2.100.000 metri cubi sarebbero assegnati alle aree leader e poi, non per deduzione ma per un calcolo ben preciso, rapportandolo allo 0,5% circa di indice fondiario, 750.000 ettari allo 0,5% fanno qualcosa come quasi 19 milioni di metri cubi di costruito.
Non è questo il modo migliore di ragionare, anzi questo è il modo peggiore di ragionare di ciò.
Io avrei voluto dire queste cose alla presenza del viceministro. Sono intervenuto al Cipe rappresentando le nostre perplessità e il viceministro non ha posto verbo, non ha detto alcuna parola, è venuto qui a riproporre per due volte la stessa cosa e non si degna nemmeno di ascoltare le risposte che vengono dal territorio, che vengono da chi in questo territorio è deputato a seguire la questione. Io non sono aduso parlare alle spalle di alcuno, ma non posso negare le cose come stanno. Vorrei trovare un momento in cui ci possa essere un confronto su queste questioni, ma la cosa che deve essere chiara è che l?unico documento che ci lega al Governo nazionale di questo paese è l?intesa quadro firmata il 24 ottobre 2002, rispetto alla quale avremmo dovuto verificare, dopo quattro mesi, qual era lo stato delle progettazioni. Io sono andato a Roma, al Ministero delle infrastrutture due giorni prima della scadenza dei quattro mesi: nessuna delle progettazioni qui iscritte ci è stata presentata, ci è stata fatta soltanto una ulteriore promessa che ciò sarebbe avvenuto, salvo poi scoprire, dopo quattro mesi, che nasceva una società senza che la Regione Marche ne sapesse nulla.
Noi abbiamo percorso questo cammino fino in fondo, continuiamo a percorrerlo perché vogliamo davvero vedere fino in fondo, ma la cosa che posso dire sotto questo profilo e da questo punto di vista, è che certo non sarò io a poter essere definito l??Attila? di questo territorio.

PRESIDENTE. Ha la parola Fioretti, segretario regionale della Uil.

Graziano FIORETTI, Segretario Uil Marche. Questo dibattito è molto interessante ed importante, pieno di spunti, a partire da ieri. In questo mio breve intervento non mi pongo l?obiettivo di fare un grande ragionamento, considerato anche il tempo a disposizione, quindi vorrei fare alcune considerazioni, evidenziare alcuni aspetti che mi stanno particolarmente a cuore.
Dalla discussione di ieri, da quanto gli studiosi hanno rappresentato sono rimasto un po? choccato nel sentire che il 4% di cittadini marchigiani avrebbero l?intenzione di occuparsi nel settore industriale. Questo è un fatto molto negativo su cui occorre fare i necessari approfondimenti. La mia lettura rapidissima è che questa percentuale esigua, pressoché nulla, non può essere ricondotta solo ad una crescita della società marchigiana, quindi ad una evoluzione per cui i giovani sarebbero più propensi a svolgere determinate attività piuttosto che altre. Penso che una lettura debba essere fatta, perché ha delle ripercussioni di un certo tenore, anche in riferimento alle condizioni di lavoro che ci sono nelle piccole e medie aziende marchigiane laddove sappiamo che esistono problemi di sicurezza, problemi di orari di lavoro, bassi salari e soprattutto aziende piccolissime, laddove gli ammortizzatori sociali sono sostanzialmente inesistenti. Se questo è il quadro che ha il giovane di fronte, può scegliere altri percorsi e altre strade. Questo è più grave se consideriamo il fatto che le cosiddette qualifiche specializzate non si creano nella scuola né nell?università ma si creano lavorando, quindi avendo occasione di acquisire professionalità. Questo dato, dal mio punto di vista è estremamente preoccupante e penso valga la pena fare degli approfondimenti.
Sono dell?opinione che siamo di fronte ad un profondo cambiamento del nostro sistema industriale. Gli effetti che vediamo non rappresentano una crisi congiunturale, ma una crisi legata ad una modifica del sistema a fronte delle trasformazioni legate alla globalizzazione. Non entro in analisi più specifiche ma do questa lettura, considerando il fatto che questo processo di trasformazione è un passaggio molto importante, storico, molto delicato, perché li nostro sistema industriale lo affronta in una situazione di debolezza e con un sistema produttivo caratterizzato in buona parte da lavoro in conto terzi e questo lo vediamo quando andiamo ad analizzare la bassa incidenza dei brevetti e degli investimenti sulla ricerca, perché le aziende che lavorano in conto terzi non sono portate a fare questo tipo di operazione.
Quindi non solo un problema legato al mercato mondiale, a come le aziende marchigiane aggrediscono ma a come le stesse aziende marchigiane dovranno trasformarsi da fasoniste in aziende titolari di un brevetto, di una produzione, che rispondono al mercato rispetto a proprie iniziative, non a e-mail o a fax che aziende titolari poi commissionano. Questo è un passaggio altrettanto delicato e interessante. Da questo punto di vista ho valutato le conclusioni del prof. Alessandrini, perché se questo è il quadro, è ovvio che implica indirizzare gli sforzi e gli investimenti in certe determinate direzioni e fare delle scelte molto precise, rinunciando magari a delle procedure o a dei titoli di assegnazione che fino ad oggi sono stati fatti, vero obiettivi più precisi, quindi intervenire in settori laddove esistono prospettive e non pensare di poter assistere a forme assistenzialistiche o addirittura a forme protezionistiche.
Questo processo lo ritengo ineludibile. Guardando questi processi che si sono realizzati in altre realtà italiane e internazionali, ritengo che questo farà atterrare il sistema produttivo marchigiano, in termini di occupati, in maniera molto più bassa di quanto è attualmente. Questo è un elemento sostanziale, incontrovertibile.
Ci si pone allora il problema di come, dal punto di vista sociale, far fronte a quello che gli effetti di questa ristrutturazione produrrà. Qui dobbiamo allora stare molto attenti, nel senso che le istituzioni debbono pensare da una parte a come intervenire e indirizzare lo sviluppo, ma dall?altra parte ci si deve far carico di come intervenire per andare a costruire una rete di ammortizzatori sociali, necessari nella nostra regione, più che in altre, perché gli ammortizzatori sociali intervengono con un numero di dipendenti normalmente, da 15 in su. Sappiamo che il nostro tessuto industriale è fatto da aziende con 6.1 dipendenti in media, sappiamo che la mobilità, la cassa integrazione straordinaria non hanno effetti su queste aziende, quindi c?è necessità che a livello istituzionale si definiscano in maniera molto precisa non solo gli aspetti relativi a come indirizzare, ma interventi a copertura degli effetti sociali che questo sviluppo crea sul tessuto occupazionale, una legge sul mercato del lavoro che aspettiamo di poter discutere e una formazione professionale mirata agli indirizzi che vogliamo perseguire in relazione agli obiettivi che vogliamo porci.

PRESIDENTE. Ha la parola Fuselli, della Coldiretti.

Luciano FUSELLI, Coldiretti Marche. Mi è particolarmente gradito intervenire in questa sala per partecipare a un dibattito sulle prospettive di sviluppo dell?economia marchigiana, perché parlare di prospettive di fatto è parlare di come realizzare in questa regione la distintività del territorio. Deve essere l?obiettivo che deve perseguire chiunque voglia perseguire un patto di sviluppo per rimuovere tutte le resistenze che sono state causa dell?attuale situazione economica nella nostra regione. Prima di me sono intervenuti diversi attori dell?economia marchigiana, rappresentanti di organizzazioni che hanno posto il punto su uno stato di crisi, di cambiamento delle situazioni che regolano i fatti economici. Ognuno ha più o meno posto l?accento su questioni di interesse particolare. Essendo il primo delle organizzazioni agricole che parla oggi, è chiaro che non ho sentito nulla, fino ad ora, rispetto a questo versante. Non vedo come si possa raggiungere il perseguimento della distintività del territorio se ci si dimentica del territorio e di come viene gestito, perché prima di distinguersi bisogna dimostrare che vi è una corretta gestione.
Qualche accenno è stato fatto rispetto alla ecocompatibilità di alcune soluzioni che venivano proposte e lì ci si è fermati. L?agricoltura per prima, anche in questa regione si è dovuta confrontare con un fenomeno, la delocalizzazione, cioè un fenomeno altamente competitivo e che mette subito in risalto i gap che scontiamo. E? evidente a tutti che l?agricoltura marchigiana non può e non potrà mai avere un eccesso di capacità di produzione. Se facciamo mente locale al nostro territorio, immaginiamo che non è questo il nostro problema oggi, non sarà questo il nostro problema in futuro, non sarà su questo che potremo cercare di combattere la concorrenza che viene dalla globalizzazione. Proponiamo di controbattere questo attraverso un lavoro che renda questo territorio distinguibile anche quando si parla di fatti economici.
La delocalizzazione e la globalizzazione o, come è stato definito da qualcuno in quest?aula, gli investimenti all?estero, portano subito una domanda. I profitti che si realizzano da parte di imprese di questa regione attraverso gli investimenti all?estero, dove vengono reinvestiti? Sono dei valori che ritornano in questa regione? Allora parliamo di globalizzazione e di delocalizzazione. Ma siccome la mia impressione è che non vengono reinvestiti, on vengono riportati nel tessuto sociale di questa realtà così come si è sviluppato in questo lungo periodo del dopoguerra, dobbiamo dibattere non sull?altrove ma intorno alle questioni che ci interessano veramente.
Un esempio di come sono stati ripartiti i fondi della legge 173: il 70% di questi fondi che dovevano promuovere il made in Italy sono finiti alle aziende Cirio e Parmalat. Non mi sembra che ci sia stata ricaduta di questi investimenti sul territorio nazionale.
Ecco perché questo nostro insistere sul rimuovere le resistenze al cambiamento. La Coldiretti per prima nel mondo agricolo ha proposto un progetto di rigenerazione dell?agricoltura, non perché voleva fare qualcosa di nuovo, di diverso, perché se andate a vedere i dati che sono stati pubblicati in uno studio socio-economico, tenendo in conto i dati Istat in questa regione, di tutti i settori economici che hanno sfilato qui questa mattina nel quinquennio 1999-2001, l?unico settore che ha vissuto un decremento, che ha visto -26% a livello di occupazione è il settore agricolo, il primo settore che ha impattato con il mercato globale. Sono sparite colture proprie di queste nostre vallate, colture ortive che si fanno altrove e sono sparite automaticamente anche risorse possibili per la rigenerazione di questa nostra agricoltura.
Ma quello che ci preoccupa più oggi è che non sappiamo più bene che cosa è stato fatto del made in Italy dell?agroalimentare. Sappiamo che era un valore, sappiamo che è un valore, però non sappiamo più se questo valore viene effettivamente percepito come tale da chi consideriamo elemento fondamentale della catena del valore, cioè il consumatore, non sappiamo se il consumatore, ancora oggi, ha fiducia.
Si è parlato, anche qui, di fiducia da ricostruire, eticità da ritrovare e non sappiamo più che cosa è stato fatto di questo valore. Nel momento in cui andiamo a proporre di costruire un patto per lo sviluppo credo che è per noi importante dare un?occhiata al ?giardino di casa?. Nel momento in cui andiamo a proporre un patto per lo sviluppo e quindi pensiamo per forza di cose al sistema delle imprese, al sistema del commercio, non possiamo non fissare cardini ben precisi per quello che riguarda ciò che vogliamo fare del nostro territorio. Non possiamo pensare che costruire sistemi imprenditoriali basati su una manifattura che produce eccedenza non abbia impatto sul territorio, non possiamo non pensare che sviluppare i sistemi di commercio che giocano sul valore aggiunto del made in Italy possa avere una ricaduta negativa sul territorio.
L?invito che rivolgo a tutti quanti sono intervenuti questa mattina ma soprattutto alle istituzioni riguarda quello che questa mattina è stato chiamato concetto della crescita dei poteri del sistema locale. E? importante che questa crescita di poteri sia giocata pensando a un territorio che si distingue qui, in questi ambiti, in questi confini, perché un territorio non lo si distingue solo con le strade, con fabbriche, con i porti, con le ferrovie, ma lo di distingue anche con l?impatto ambientale, con le sicurezze che il territorio è in grado di dare ai cittadini che ci vivono.
La nostra richiesta al sistema dei poteri locali è quella di gestire le regole etiche e chiare, che siano però anche capaci di non essere immobili e rigide ma flessibili, capaci di interpretare. Non vi possono essere delle regole che fisso una-tantum e poi non mi ricordo di verificare l?impatto che creano sul territorio. Le leggi devono avere una elasticità tale da saper interpretare in maniera veloce i cambiamenti, in modo che possano essere adeguate alla realtà in costante mutamento. Quindi nel momento in cui penso, come cinque anni fa era giusto pensare, che non possono essere i cittadini a preoccuparsi dell?irrigazione o meno delle campagne e quindi elimino una tassa su tutti i cittadini quale quella sulla bonifica, non può essere che a cinque anni di distanza non sia cambiata la prospettiva del problema, perché oggi è cambiata la prospettiva del problema, oggi non si tratta più di gestire l?irriguo nel sistema agricolo, oggi si tratta di gestire il sistema delle acque in questa regione, una regione che ha anche una lunga fascia costiera, una regione che ha bisogno di ripensare il consumo dell?acqua non solo civile, ma anche per l?industria e per l?artigianato.
La nostra richiesta fatta in quest?aula, in cui il potere delle istituzioni locali meglio si identifica, è di una capacità da parte di tutti noi, di un confronto serrato che si è chiamato con tanti termini e quello che oggi va più di moda è concertazione, quindi un confronto serrato che nasca in questo modo, non una concertazione vissuta e pensata in funzione di una legge che esce in un dato momento di sensibilità e che poi viene dimenticata e non è più efficace per creare dinamiche di sviluppo del territorio.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Lavagnoli per la Cia.

Nevio LAVAGNOLI, Cia Marche. Ringrazio il Presidente Minardi e il Consiglio per l?occasione che ci viene offerta di ragionare intorno alle questioni dello sviluppo della nostra regione, un?occasione che arricchisce anche il dibattito attorno alle questioni dell?agricoltura, verso la quale questo Consiglio regionale ha dimostrato grande sensibilità in un?apposita riunione non molto tempo fa. Un dibattito attorno alle questioni agricole, oggi arricchito anche dalle novità introdotte dall?attuale politica agricola comunitaria, si sta orientando verso un'ulteriore valorizzazione della multifunzionalità delle impresa agricola, della sua presenza sul territorio, anche a presidio dell'ambiente, condizione importante per la qualità e la tipicità delle produzioni. Una rete di aziende che al di là dello standard di reddito, costituisce un patrimonio dal quale partire per una nuova concezione dello sviluppo dove agricoltura e ambiente, prodotti tipici e di qualità, agriturismo e turismo rurale, sappiano coniugarsi in un disegno più generale di sviluppo socio-economico della nostra regione. Occorre fare della peculiarità marchigiana un punto di forza del nuovo sviluppo, come in questi giorni è stato detto e approfondito.
Oggi, in questo periodo di globalizzazione, il rischio vero e profondo è l?omologazione dell?offerta che, al contrario, lascia ampi spazi alla valorizzazione delle produzioni tipiche. Il fatto che nelle Marche diverse sono le agricolture, diverse sono le imprese agricole e diverso il modo di fare impresa, può costituire una grande risorsa. Uno sviluppo non può che partire da qui. Inoltre, le caratteristiche della nuova competizione che la globalizzazione porta con sé non sono solo competizione fra aziende ma anche fra sistemi territoriali. Allora perché non fare della peculiarità marchigiana un punto di forza?
In questo senso la rete costituita dalle organizzazioni agricole ? circa il 98,7% degli agricoltori aderiscono alle organizzazioni professionali agricole ? può costituire una grande opportunità. Le organizzazioni agricole possono dunque essere sempre più protagoniste nel supportare gli imprenditori agricoli che devono misurare le loro capacità manageriali, prima ancora che con le difficoltà del mercato, con i lacci e lacciuoli della burocrazia, dato che l?agricoltura è un settore amministrato addirittura da Bruxelles. Burocrazia che nei fatti spesso e volentieri si sostituisce alla volontà politica.
Per questo occorre rilanciare la concertazione come un modo nuovo e diverso di governare, dove la fase istruttoria preparata di comune accordo fra le parti, fa del metodo sostanza e può rendere le decisioni assunte più efficienti ed efficaci, ma anche come ?luogo? dove possa esprimersi la qualità del protagonismo degli agricoltori e delle loro rappresentanze. Protagonismo oggi più che mai necessario per affrontare le difficoltà dell?agroalimentare marchigiano e del sistema cooperativo agricolo delle Marche, che rischia di diventare il ventre molle dell?agroalimentare marchigiano.
Sarebbe opportuno convocare al pi presto il tavolo verde per approntare un intervento specifico e da questo punto di vista occorre fare molto presto, perché, come diceva un grande perseguitato politico, Dante Alighieri, ?il perder tempo a chi più sa più spiace?.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Luchetti.

Marco LUCHETTI. Credo che queste due giornate siano state importanti per il Consiglio regionale, opportune e credo che possa partire da queste due giornate una discussione ancora più articolata e pi profonda di quanto non sia stato fatto. Ritengo che in queste due giornate sono state messe a fuoco diverse questioni.
Una delle questioni da cui volevo cominciare è proprio un?affermazione fatta ieri da Massimo Paci, il quale ci ha ricordato che sostanzialmente, mentre qualche decennio fa ci si interrogava, nelle Marche, per quello che lo Stato poteva fare per le Marche, siamo addirittura arrivati al fatto che le Marche possono essere riferimento per il nostro paese. Questo a conferma di una evoluzione, di uno sviluppo che ha avuto un grande successo, che ha dimostrato una grande viabilità. Credo che dobbiamo ripartire proprio da queste considerazioni nel fare tutti gli approfondimenti necessari, perché ci troviamo di fronte a grandi trasformazioni, a una grande transizione, ma che può essere affrontata grazie alla grande tradizione della nostra comunità. Non dobbiamo dimenticarci ? siamo in un periodo di congiuntura sfavorevole ? che questo sistema che già vent?anni fa qualcuno considerava di fondo ? e per la verità anch?io ricordo che quando come organizzazioni sindacali confederali si faceva un?analisi vent?anni fa, si parlava di crisi, si parlava di paura di non sviluppo ? ha dimostrato una vitalità incredibile che ha superato, nell?arco di questi 50 anni, crisi come quella degli strumenti musicali che nel giro di due anni ha visto radere al suolo 14.000 posti di lavoro, riassorbiti completamente da una dinamicità molto spinta, che ha fatto leva su una delle caratteristiche fondamentali del nostro tessuto produttivo, quella di una capacità enorme di lavoro dei marchigiani.
Se ricordate, qualche tempo fa si avevano a modello i lavoratori giapponesi, i lavoratori tedeschi e non ci si accorgeva invece che il lavoro marchigiano, quello che poi ha originato la grande imprenditorialtà, è stata la base fondamentale del grande sviluppo delle Marche. Lo stesso localismo, che essendo ?ismo? dovrebbe considerarsi un fatto negativo ? il sistema delle autonomie locali, le autonomie delle comunità locali ? è stato la leva fondamentale che ha consentito, grazie a una profonda lungimiranza, a un utilizzo del territorio corretto, lo sviluppo senza fratture che ha studiato Giorgio Fuà nel descrivere il nostro modello marchigiano. Ecco perché dobbiamo partire da questi dati positivi per pensare al futuro in termini ottimistici e non pessimistici.
L?indagine che ieri ha posto in luce i vari soggetti, attori della nostra comunità regionale, ha messo in luce anche la grande vitalità delle nostre associazioni, sia imprenditoriali che sociali, che animano il tessuto della nostra comunità. Queste sono le basi da cui partire per costruire il nuovo e già il nuovo si è affacciato, benché noi non ce ne accorgiamo, come allora, forse, non ci accorgevamo di quello che stava avvenendo nel nostro sviluppo. Le condizioni per poter andare avanti, per poter garantire le nuove generazioni, lo stesso sviluppo che abbiamo garantito attualmente alla nostra comunità credo che siano già in essere, che si stia già lavorando in questa direzione.
Si parla di innovazione che non c?è, ma io credo che dobbiamo riflettere su quanto è stato fatto, su quanto è presente sul territorio. Le nostre imprese, nonostante la loro piccola dimensione, hanno saputo internalizzare forti quote di nuove tecnologie. Abbiamo la possibilità di avere delle aziende leader, mondiali per certi versi, proprio nella tecnologia, se è vero che proprio ad Angeli di Mergo esiste un?azienda che produce le macchine che testano il common-rail della General Motors o il cambio della Ferrari. Queste sono cose che già esistono e che dimostrano come è possibile che il nostro tessuto produttivo sia in grado di competere a livello internazionale. Ma se non dimentichiamo le cose fondamentali che anche in questa legislatura la Regione ha prodotto, che le linee che sono state definite dal famoso convegno di Pesaro sulla politica economica, hanno già indicato le strade ? e da anni le stiamo perseguendo: forse il ministro Baldassarri non ne è a conoscenza ? basandole sulla internazionalizzazione e sull?innovazione. Certo, dobbiamo migliorare questi strumenti, dobbiamo renderli più coesi all?interno della strategia complessiva dello sviluppo delle Marche, ma sono scelte già fatte, che sono state la guida della nostra politica economica, per quanto, fino a che il titolo V non sarà perfettamente attuato abbiamo ancora, in parte, le armi spuntate perché il fondo unico non è rifinanziato, perché lo Stato non consente alla Regione di sviluppare quelle opportune politiche che consentono di guidare in questo nostro contesto le politiche di sviluppo industriale e complessivo.
Ecco perché l?analisi de LaPolis che mette in evidenza la situazione per quella che è, ci richiama alla necessità di fare il punto e questo è stato consentito dalla ricerca del prof. Diamanti, ma credo che proprio da quelle osservazioni possiamo trarre gli spunti di positività.
Anche il discorso che si è fatto sulla delocalizzazione, questo spauracchio, ci dice che già siamo sulla buona strada per consentire che questo fenomeno sia un fatto positivo per il nostro sistema, sia la base per cerare quei nuovi mercati affinché una struttura più qualificata della nostra realtà industriale possa ottenere nuovi sbocchi a livello internazionale e siamo anche in condizioni di poter aprire ulteriormente i confini delle nostre produzioni, proprio facendo leva su una qualità che sicuramente può essere migliorata, che è già sulla buona strada per il miglioramento e che può ottenere risultati positivi anche in mercati che ancora non conosciamo.
Pertanto credo che sia un fatto importante questa riflessione che comunque, secondo me, non ha tenuto conto fino in fondo del punto di partenza che è un punto estremamente positivo. Ecco perché dobbiamo perseguire politiche che siano adeguate a queste linee che ancora devono informare la direzione del nostro sviluppo, che non possono indubbiamente essere abbandonate ma che vanno implementate, vanno migliorate e sostenute anche da nuove politiche, come quelle del mercato del lavoro e della formazione professionale, che sono elementi fondamentali proprio per gestire congiunture come quelle che stiamo attraversando. Dobbiamo raffinare queste politiche che aiutano lo sviluppo. Fino ad oggi non ne abbiamo avuto bisogno proprio perché il grande sviluppo è riuscito ad ammorbidire i conflitti, anche quelli che potevano essere trend negativi temporanei. Oggi abbiamo l?opportunità anche di mettere in campo nuove politiche che aiutino sia l?internazionalizzazione che l?innovazione. Così è importante tenere coeso il nostro sistema che è già coeso, che fa leva su una forte caratterizzazione di coesione sociale migliorando la qualità dei servizi e lo si sta facendo sia applicando la 328, sia migliorando le strutture della nostra sanità.
Pertanto le linee che in questa legislatura sono già state perseguite vanno portate avanti nella salvaguardia dell?ambiente, nella salvaguardia delle caratteristiche fondamentali della nostra gente.
Credo che il titolo V possa essere un?occasione meravigliosa per implementare questa nostra realtà attraverso passi avanti che si possono fare ragionando soprattutto ? ed è questa la prima proposta che penso si debba fare ? sulla necessità di lavorare su una nuova dimensione della sussidiarietà, sia verticale che orizzontale. Quando parlo di sussidiarietà verticale ? possiamo farlo iniziando a partire dallo Statuto regionale ? significa darci una rete di governi locali adeguati, che implementino le loro politiche cercando di suddividere le proprie competenze in maniera opportuna, cercando di tarare adeguatamente le responsabilità tra Comuni, Province e Regione. Questo sì che si può fare: speriamo che la finanza centrale ci dia una mano da questo punto di vista, cosa che non sta facendo, che non consente lo sviluppo di questa armonia del governo locale. Così come dobbiamo ulteriormente lavorare su una sussidiarietà orizzontale cercando di chiamare a maggiore responsabilità quelle associazioni, quegli attori sociali ed economici che devono avere in mano la responsabilità di guidare le politiche che possono sostenere i filoni dello sviluppo.
Il secondo aspetto che ritengo fondamentale riprende quel suggerimento che il prof. Rullani ieri sera ci ha dato, su cui ci ha fatto riflettere: occorre fare in modo che gli innovatori in questa regione si mettano insieme. Questo è fondamentale, perché significa costruire una classe dirigente all?altezza delle sfide che ci vengono dalla globalizzazione e dalla trasformazione di questi tempi. Ecco perché è importante il miglioramento della classe dirigente a livello politico, a livello imprenditoriale, a livello associativo, partendo da quegli strumenti che abbiamo a disposizione, di cui siamo ricchi, a cominciare dalla nostra università.
Ecco perché dobbiamo lavorare fortemente da questo punto di vista, lasciare aperte le porte agli innovatori, cercando di fare in modo che gli strumenti della nostra comunità aumentino, così come necessariamente dobbiamo mettere a disposizione dello sviluppo le questioni che tutti qui hanno sottolineato, a cominciare da una rete infrastrutturale di altro tipo.
Mi dispiace che il ministro Baldassarri se ne sia andato, perché ha inizialmente, nel suo discorso, perfettamente compreso qual è la situazione della nostra realtà che lui conosce bene, perché è nato qui e ha studiato qui. La cosa che non mi è piaciuta è la sua interpretazione nella realizzazione delle infrastrutture, chiamando a partecipare la nostra Regione ad un progetto che stranamente capovolge in sé il criterio del nostro sviluppo, cioè pensando di ottenere parte di quelle risorse per le infrastrutture da uno sviluppo indotto dalle infrastrutture. Gli dobbiamo ricordare che lo sviluppo, da noi non è nato attraverso le infrastrutture, le infrastrutture sono a servizio dello sviluppo e non è pensabile che creando delle nuove realtà produttive, in maniera artificiale si possa aiutare lo sviluppo. Questo è sbagliato, cioè capovolgere una filosofia che non può essere capovolta. Ecco perché consiglierei all?assessore Amagliani di andare fino in fondo a verificare la volontà del ministro Baldassarri di darci effettive risorse, verificare se queste risorse sono stanziate e partono i cantieri, per poi riscontrare chi metterà questo 15%, perché indubbiamente il nostro sviluppo parte da presupposti diversi. Ecco perché non si possono preordinare capannoni o non si possono preordinare sviluppi strani, unicamente indotti dalle infrastrutture o dalle strade.
Tutto questo può far parte di un patto nella nostra realtà e io credo che il patto, di fatto, c?è sempre stato nella nostra comunità. Siamo cresciuti attraverso un patto che ha riguardato tutti coloro che si sono presi la responsabilità sulle spalle di mandare avanti uno sviluppo coeso, uno sviluppo che ha dato grandi risultati nella nostra realtà marchigiana e oggi questi risultati ci collocano ai vertici della nostra realtà nazionale.
La nuova classe dirigente che dovrà realizzare le novità nello sviluppo credo che possa prendere spunto dall?esperienza, un?esperienza positiva che non può essere disconosciuta e che sta alla base di quello che sarà il nostro futuro, un futuro che credo sia ancora vincente e che porrà la nostra economia, la nostra società, comunque, ai vertici della comunità nazionale.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Massi. Interverrà poi Landi, della Copagri.

Francesco MASSI GENTILONI SILVERI. Landi della Copagri è un ?eroe?, lo ringrazio per essere rimasto fino in fondo ad aspettare di intervenire e lo ringrazio anche perché, essendo l?ultimo, almeno ascolta i pochi consiglieri regionali rimasti.
Cari colleghi, qui si è svolto un dibattito interessante, anche se durante l?intervento di Baldassarri c?è stato un clima veramente surreale in quest?aula, irripetibile, devo dire interessantissimo, curioso. Non lo giudico in altra maniera. Forse ci sarà bisogno di ulteriore approfondimento, perché dopo che Baldassarri se ne è andato via ho visto Amagliani scatenato, Luchetti che adesso ha fatto delle affermazioni che credo comporteranno un approfondimento complessivo, e comunque ringrazio anche Luchetti.
Io non farò un intervento organico per brevità, quindi salto di palo in frasca, come si dice. Se la politica del Governo ha indotto la nostra Amministrazione regionale a dire ?abbiamo dovuto tagliare le risorse della sanità ma nello stesso tempo non sono stati ridotti i servizi, anzi la qualità dei servizi della sanità marchigiana va avanti ed è confermata?, allora devo dire che il Governo ha colto nel segno, perché significa che avete tagliato gli sprechi, quindi complimenti a voi e a chi vi ha portato su questo. La polemica sul Governo l?accennava anche il sindaco Sturani: se ci sono Comuni nella nostra regione che hanno dato 40, 50, 70 milioni dei propri bilanci per il terremoto dell?Iran, cosa meritoria, moralmente eccezionale, con cui mi complimento, significa che i nostri Comuni le risorse ancora le hanno, quindi se la politica del Governo è una chiamata di responsabilità a stare attenti a come si spende, forse era necessario.
Non siamo contenti, però forse era necessario. Sapete tutti come sono andate le stagioni estive, le consulenze, le missioni, i viaggi, i gemellaggi di tutti i tipi, finanze abbastanza ?allegre?. Significa che quella stretta era necessaria. Non faccio salti di gioia, però guardo i colleghi ex democristiani che sanno come fu necessario anche in certi periodi in cui regnavano democristiani e socialisti. In certi momenti c?è bisogno di una responsabilità nella scelta della spesa.
La relazione di Diamanti, interessantissima, la condivido per il 90%, sono abbastanza perplesso per le conclusioni sull?occupazione. E? vero che abbiamo un tasso del 6%, forse tra i migliori d?Italia, ma qui la disoccupazione intellettuale è a livelli drammatici, la disoccupazione di lungo periodo è la più alta d?Italia. Qui c?è un altro problema: ci sono facoltà come quella di scienze bancarie a Macerata, istituite per rimpinguare il personale delle banche, ma non so quanti usciti da quelle facoltà negli ultimi 3-4 anni siano entrati in banca, perché viene ancora privilegiato il ?vecchio ragioniere?, cassiere, molto utile, e non il laureato. Spesso sento direi dai nostri imprenditori ?abbiamo quattro università, una università ogni 300.000 abitanti?, cosa eccezionale, ma quanti sono i laureati che vengono assunti dalle imprese, fatta eccezione per chimici, elettrotecnici, informatici di alto livello? Ti dicono ?occorre la formazione umanistica per gestire le risorse umane, ben vengano i laureati in lettere, in filosofia?... Non scherziamo, sono tutti disoccupati. E nelle Marche la situazione è drammatica, non più solo per i laureati ma ormai lo è per i diplomati e per tutta un?altra schiera di lavoratori ? anche se la manodopera ormai assorbe il 75% ? di livello inferiore.
Caro Spacca, ho fatto l?altra volta un esempio, ma c?erano pochi colleghi come oggi, quindi lo ripeto. Un imprenditore, non di quelli che lavorano insieme alla loro famiglia, ma di un certo livello, che sapendo che spesso i politici fanno ?ambulatorio? ricevendo persone di tutti i tipi con tante necessità, incontrandomi mi ha detto ?mi devi trovare un dipendente: un ragioniere che sappia l?inglese, che conosca l?informatica, robusto e che sappia agire con il muletto?. Questa è la situazione. Che corsi dobbiamo fare? Che scuole dobbiamo fare? La realtà è che prendono il ragioniere e poi lo mandano a scaricare il camion, oggi.
Gli attori spesso non si parlano, non riescono a parlarsi. Nel sistema della formazione sono stati fatti tanti sforzi, abbiamo partecipato a tanti convegni, ma il rischio è che a questo punto i vari settori, attori, imprenditori, scuola formazione, enti, sindacati, poteri ecc. non si parlino o si parlino male, perché non si capiscono. Vi prego di approfondire ancora la situazione presso i centri per l?impiego, che hanno vissuto una rivoluzione organizzativa, perché vi accorgerete che la situazione da questo punto di vista è drammatica.
Cosa dire alla Giunta regionale? Credo, caro Vicepresidente, l?unico dell?Esecutivo che sta ad ascoltare, che gli esami si facciano alla fine, però se dovessi esprimere, al di fuori delle visioni politiche, un pensiero, ritengo che siano due i settori dove la Giunta regionale ha non colto gli obiettivi. Primo, non si è riusciti ancora a dare a tutti i marchigiani l?idea che non ci siano squilibri nella distribuzione territoriale delle risorse. Posso dire che per la sanità, almeno nella mia provincia, le esigenze dell?entroterra sono state soddisfatte, per lo meno rispetto a quello che si pensava. Su altri settori ? scuola, turismo, formazione ? vedo un po? più di squilibrio e i cittadini questo lo avvertono. Secondo, non siamo riusciti complessivamente a combattere le politiche campanilistiche: zone forti contro zone deboli, vallate in contrasto stentano ancora a parlarsi, a integrarsi. Abbiamo visto cosa è successo con politiche integrate dell?acqua, figuriamoci su tutto il resto. Ho quindi l?impressione che questa è la cosa su cui non siamo riusciti. L?ultima cosa è che non siamo riusciti, nonostante una legge buona, a dare meccanismi ai poteri locali per parlare e per incidere sul mondo economico. Qualcuno ha prima detto ?a noi interessa che non ci sia la frammentazione nei livelli dei poteri e dei luoghi decisionali?. Invece questa frammentazione c?è e l?imprenditore si trova di fronte a una miriade di poteri distribuiti per livelli verticali e orizzontali nei confronti dei quali non ci capisce niente.
Queste sono le tre cose importanti su cui oggi la Regione, a mio avviso, non ha brillato.
C?è ancora un anno per recuperare e c?è il bilancio 2004, andiamo ai provvedimenti da fare. L?ansia delle imprese per l?applicazione di ?Basilea 2? è un?ansia forte. Mi pare che Lucarelli dicesse ?trovate tutti i meccanismi, i finanziamenti, le organizzazioni per garantire le imprese sulla questione del rating, altrimenti ci sarà una selezione ulteriore sulla vicenda del credito?, altro che Cina e qualità.
Secondo, occorre una concertazione vera, come hanno detto qui diversi imprenditori. Lo sforzo è stato fatto, gli assessori saranno convinti di aver fatto di tutto, però io avverto nelle imprese questo disagio. Spesso anche categorie vicinissime ideologicamente all?area di governo delle Marche trovano questo disagio nella concertazione, avvertono che decisioni sono prese nel piccolo di alcuni poteri decisionali e non insieme alle categorie. Gli stessi hanno chiesto regole chiare per lo Statuto e non uno strumento farraginoso.
Infine un problema che è nazionale, forse internazionale, ma di casa nostra: credo che anche alle università, a tutto il sistema stia sfuggendo il problema drammatico del ?di padre in figlio?. Sappiamo che i nostri capitani d?azienda ormai anziani, non riescono tutti a passare al dopo. Il Vicepresidente ha la dimensione di questo fenomeno, io vedo che questo fenomeno non solo persiste ma aumenta e l?insuccesso del passaggio di padre in figlio porta spesso a crisi drammatiche della nostra impresa.
Qui c?è stato un prelievo fiscale su chi investe. Non è che la Regione abbia fatto il Robin Hood, ma ha tolto in un momento drammatico, con un prelievo fiscale forte, risorse soprattutto alla piccola impresa. E? stato solo questo a colpire? Sicuramente no, ma è stata una delle concause, un meccanismo che ha prodotto sicuramente sfiducia.
Tutto quello che ha detto Baldassarri verificatelo. Da avversario vi potrei dire ?Baldassarri è bravissimo e voi siete tutti in malafede?, invece pongo solo un esempio: il presidente della Provincia di Macerata ? non so se è ?simpatico? all?entourage della sinistra ? che è un Ds dichiarato, ha detto ?io partecipo e vado a verificare le carte?. Se il progetto andrà avanti anch?egli sarà parte di quel successo; se non andrà avanti potrà dire ?c?è qualcuno che al Governo non ci ha saputo fare?. Ma una chiusura pregiudiziale come quella espressa da Amagliani credo sia per voi veramente letale, non solo dannosa.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Moruzzi.

Marco MORUZZI. La discussione di questa mattina preparata dall?iniziativa di ieri, ha evidenziato come le Marche risentano dei fenomeni di stagnazione e recessione presenti sui mercati internazionali più che in passato, proprio perché la nostra regione è uscita da una chiusura della propria economia, che in precedenza era più rivolta al mercato locale, al mercato nazionale.
Nella giornata di ieri si è avuta certamente una utile opportunità di discussione e di riflessione per la prospettiva della nostra società, utile e ben preparata, nei contenuti e nelle modalità.
La politica deve avere chiara la percezione degli obiettivi anche e soprattutto quando questi sono difficili da raggiungere come in questa fase in cui ci è chiesto di non affidarci più allo sviluppo spontaneo ma di accompagnare in modo diverso questo processo di crescita.
La coesione sociale è ancora per il futuro, forse ancor più di prima, parte importante di requisiti per raggiungere gli obiettivi di consolidamento dello sviluppo già raggiunto ma anche per le prospettive di sviluppo futuro che, abbiamo visto, non può essere misurato come si cercava di fare in passato, soprattutto in termini economici. In questo le Marche credo siano un ?caso? a livello nazionale e in questo è stato fatto uno sforzo anche di misurare, con nuovi parametri, una condizione precedente e una condizione attuale, ragionando sul futuro.
In questi giorni siamo bombardati dalle valutazioni e dalle statistiche, dalle misurazioni economiche, ultimo lo studio dell?Eurispes che ha misurato l?entità del disagio degli italiani con un indicatore nazionale del rischio di povertà che si è impennato pericolosamente. L?attuale livello dei prezzi desta una preoccupazione che non è tale soltanto da chi il lavoro non ce l?ha più ? questa mattina una notizia Ansa riportava che sono 16.000 i posti di lavoro persi nella grande impresa, nel nostro paese, soltanto lo scorso anno. ? ma è una preoccupazione che tocca anche chi il lavoro ce l?ha, autonomo, dipendente o proveniente da una pensione. Quindi coloro che hanno un reddito così basso, in molti casi, da non poter soddisfare i bisogni essenziali, nonostante che sia un reddito derivante da un lavoro anche stabile nel tempo, in alcune situazioni.
Quindi le ricadute sociali sono pericolose. Anche qualche giorno fa c?era un?altra notizia: quanto costa un figlio nei primi anni di età (600 euro al mese) e quanto costa mantenere un figlio agli studi universitari (oltre 1.000 euro al mese). Questo ci fa capire quali siano, in questa situazione, le ricadute sociali di una condizione economica che immediatamente ha delle ripercussioni non soltanto sulla qualità della vita, e quando scattano questi indicatori di rischio di povertà.
Si parla di nuove povertà, si parla di investire sui giovani che in questo momento non formano nuove famiglie, che mantengono più a lungo la dipendenza dalle famiglie di origine quando questo è possibile, nel senso che certe volte sono in difficoltà le stesse famiglie da cui provengono questi figli, perché non c?è il denaro per sostenere un nucleo familiare autonomo. Quindi le nostre riflessioni sull?economia non possono più seguire i criteri tradizionali. Il nostro monitoraggio sulla società delle Marche non può prendere soltanto degli indicatori di carattere economico, ma occorre allargarli.
Se si comprime oltre certi livelli il tenore di vita degli italiani, dei nostri concittadini, si mina sul nascere la possibilità di ripresa che è fondata anche sulla situazione del mercato interno e sulla sua capacità di richiedere beni e servizi. Così come le condizioni sociali ed economiche delle famiglie sono in input importante, altrettanto importante quanto altri e tra gli altri io inserisco anche la variabile della qualità ambientale, perché conservare e tenere in considerazione anche questo parametro è un elemento essenziale per lo sviluppo del nostro territorio.
Qualcuno ha fatto riferimento al deterioramento ambientale, che mina molte possibilità di sviluppo, durevole e sostenibile. Un sistema produttivo che punta sulla qualità, su cui il sistema marchigiano deve puntare, non può pensare solo alla qualità di prodotto, alla qualità di processo e dimenticare le ricadute ambientali e quali contributi positivi può dare l?attenzione a questi aspetti importanti, a questi diritti, come il diritto all?ambiente.
Scaricare sulla collettività i costi ambientali costituisce l?elemento di alcune spericolate politiche di sviluppo che sottraggono risorse al territorio e minano la possibilità di uno sviluppo senza fratture, per usare alcuni termini che sono stati utilizzati nei giorni scorsi.
Quanto vale un territorio libero da deturpazioni urbanistiche e caratterizzato da una convivenza tra la presenza umana, che consuma pesantemente il territorio, più di ogni altra specie presente sul pianeta? Quanto vale questo territorio libero da deturpazioni urbanistiche? Quanta iniziativa economica può sorgere in un territorio di qualità? Se i settori industriali e artigianali puntano sulla qualità per reggere la competizione, turismo e agroindustria hanno bisogno essenziale, vitale di qualità del territorio, un territorio che non può essere un contenitore indistinto, dove ovunque posso collocare strutture a grande impatto ambientale o dove posso collocare, in qualsiasi luogo, insediamenti prescindendo dalle questioni d?impatto.
I tentativi di trarre profitti da speculazioni fondiarie sui terreni, con le famose trasformazioni da terreno agricolo a terreno edificabile che moltiplicano i profitti come nessun?altra speculazione finanziaria disponibile sul mercato oggi consente, sono qualche cosa da cui dobbiamo rifuggire e soprattutto vanno al di là dei bisogni reali, sono al di fuori della programmazione.
A mio avviso queste operazioni, queste speculazioni fondiarie che talvolta vengono invocate in nome di una presunta libertà d?iniziativa d?impresa sono paragonabili a quella finanza creativa contro cui oggi tanti si scagliano.
Non dobbiamo quindi percorrere queste scorciatoie per produrre valore, dobbiamo produrre valore con i metodi che i marchigiani hanno dimostrato di saper mettere in pratica efficacemente, anche cambiando il volto di questa regione e trasformando una società prevalentemente contadina in un modello preso come punto di riferimento non soltanto in Italia ma che inizia ad essere conosciuto anche al di fuori del nostro paese. La vera economia cresce su solide gambe che i marchigiani hanno dimostrato di avere e in particolare modo con la loro speciale vocazione e la loro capacità imprenditoriale. L?uso del territorio credo che in questa nostra regione può essere seguito con particolare attenzione, senza dover prendere quelle scorciatoie che alcuni qui auspicano. Possiamo farlo con tranquillità, senza pensare che questo possa diventare un elemento di freno allo sviluppo. Dobbiamo però stare attenti a frenare il localismo, perché quando si concede qualche cosa a un territorio, immediatamente c?è un altro che lo rivendica e quello che ha già ottenuto chiede la compensazione rispetto a quello che è stato dato al secondo.
Credo quindi che ci sia il rischio di questa vecchia concezione del localismo, che pure non è negativo in tutti i suoi aspetti ? come ormai mi sembra riflessione comune ? ma questa vecchia mentalità di concepire il localismo dobbiamo tenerla sotto controllo, perché rischia di prendere la mano e farci perdere di vista certi obiettivi.
Sono preoccupato, ad esempio, che si possano finanziare le strutture viarie nelle Marche prevedendo una urbanizzazione delle aree ai lati delle strade, da realizzare introitando degli oneri di urbanizzazione e di Ici che sono destinati a finanziare i bilanci dei Comuni e destinati a finanziare altre cose rispetto a queste grandi infrastrutture.
Colgo con favore gli interventi di Procaccini e Amagliani e, nella sua chiave di lettura, anche quello del collega Luchetti, che dice che quel tipo di interventi, di urbanizzazione, o di creazione di capannoni, se vogliamo semplificare, vengono dopo, sono lo strumento su cui può correre lo sviluppo e non lo strumento da cui parte lo sviluppo. E? una drammatizzazione parlare di infrastrutture senza le quali lo sviluppo si ferma. Colgo con favore anche le affermazioni che ho sentito fare dal segretario regionale della Cgil proprio in questa direzione. Non vorrei che il dibattito sulle infrastrutture diventasse la cortina fumogena dietro cui nascondere altri temi che sono al centro delle questioni sviluppate oggi: le contraddizioni della globalizzazione ad esempio, i problemi legati alle produzioni in conto terzi delle nostre imprese che non riescono ad avere un marchio proprio, non riescono ad avere propri brevetti, non riescono a collocare la loro fascia di produzione in direzione della media ed alta qualità. Una cortina fumogena sui problemi dell?accesso al credito, che va facilitato per le piccole iniziative economiche. Non dimentichiamo che proprio nella nostra regione, grazie alle casse rurali, è stato reso possibile a tante imprese o a tanti imprenditori di diventare tali, dal campo dell?agricoltura ad altri settori.
Quindi penso che l?innovazione sia strettamente legata alla capacità e alla possibilità di continuare a investire e se noi andiamo a una difficoltà di accesso al credito da parte di tutte le iniziative economiche che non sono già finanziariamente o non sufficientemente capitalizzate in partenza perdiamo tutti i vantaggi di questo grande sacrificio che i cittadini italiani hanno fatto per rientrare nei parametri di Maastricht e avere anche, tra le altre cose, dei tassi di interesse particolarmente bassi, quindi interessanti potenziali motori di sviluppo.
Le piccole imprese hanno difficoltà a mettere insieme parti della loro organizzazione logistica e strutturale per contrastare meglio la competizione. Proprio pochi giorni fa è stata presentata al teatro delle Muse una proposta interessante nel settore dei trasporti in questa direzione.
Altro tema che rischia di essere messo dietro una cortina fumogena riguarda le condizioni che mantengono nel territorio quella coesione sociale che costituisce un valore determinante per il ?sistema Marche?.
Un altro tema riguarda la difficoltà che incontra a livello nazionale ed europeo, la certificazione delle origini delle produzioni, dove il massimo della difficoltà la incontrano proprio le produzioni agricole e agroalimentari che il territorio fornisce con delle caratteristiche non riproducibili, con processi di delocalizzazione: non è possibile avere lo stesso prodotto che otteniamo qui nelle Marche in un altro luogo. Certamente la politica del Governo non ci dà assolutamente una mano, in particolare in agricoltura che per sua natura dà un prodotto difficilmente delocalizzabile se legato alla tipicità, e invece si percorre la politica della standardizzazione, aprendo le porte alla manipolazione genetica in agricoltura e alla omogeneizzazione delle produzioni.
Nel mercato globale la Cina sta diventando certamente la ?fabbrica del mondo?. Questo paese oggi occupa spazi di mercato in costante crescita: i lettori per DVD nei supermercati americani vengono venduti a 29 dollari. Evidentemente ci si colloca anche su alcune fasce di produzione non propriamente basse.
Questa mattina sulla stampa ci si domandava se questi prezzi derivano da una sovraproduzione o da una effettiva riduzione dei costi di produzione. Quanta sovraproduzione è dovuta ad investimenti eccessivi che anche le industrie occidentali stanno facendo in questo paese? Un mercato che sta crescendo, sta crescendo il suo pil dell?8% annuo. La Cina si dice anche un ?mercato? ? la principale casa automobilistica tedesca oggi vende negli Stati Uniti più auto di quante ne venda in Germania ? e per occupare questo mercato occorre insediarsi, insediare produzione, insediare trasformazione, insediare commercializzazione. Addirittura è stato fatto nel campo del vino da una ditta sarda, la Sella & Mosca, che ha scelto, nello Shandong, di insediare la filiera produttiva del vino, perché questo era l?unico sistema per occupare questo mercato.
Mi chiedo se si deve ricorrere al dumping economico, sociale, ambientale operando con le nostre imprese in Cina e nei luoghi dove ci sono condizioni analoghe, luoghi dove le violazioni delle regole sono all?ordine del giorno, di tutte le regole, da quelle sindacali a quelle del commercio internazionale, a quelle sui brevetti ecc. Circa le sedi internazionali non ho sentito niente dal nostro viceministro dell?economia e sono preoccupato, perché non so se è stata una dimenticanza. Si tratta di un sistema che ha permesso prima l?iniqua distribuzione delle risorse tra nord e sud e oggi c?è una iniqua redistribuzione delle risorse tra i paesi del nord, perché società multinazionali scelgono in quegli spazi di mercato di fare le loro politiche, poi abbiamo effetti devastanti su territori come il nostro, su paesi anche ricchi. Mi chiedo se quelle politiche debbano essere contrastate o si debba rimanere subalterni a questi giochi politici in cui contano i bilanci delle multinazionali, e allora noi cerchiamo di scimmiottare, nel nostro piccolo, modelli multinazionali che mai potremo perseguire con quell?efficacia economica e con quella capacità di presa sui mercati internazionali.
Quindi mi sia concesso un paradosso: la Cina è additata da noi come colei che fa saltare l?economia, quindi chiediamo i dazi da parte del ministro Bossi ed altri, ma in realtà le armi con cui si fa saltare questa economia gliele stiamo fornendo proprio noi.
Evidentemente le regole di questo mercato globalizzato non funzionano da sole. Non ci possiamo affidare a questo come chiede il centro-destra o come chiede una certa filosofia. Certamente queste regole non sono la soluzione dei tanti mali che oggi destano preoccupazione sul futuro. Il patto per lo sviluppo, di cui si sta parlando in questi giorni nella nostra regione, è certamente una consapevolezza che nelle Marche non possiamo affidarci a uno sviluppo spontaneo, né limitarci ad accompagnare i processi di innovazione, ma dovremo fare più attenzione a che, nel nome dell?innovazione e dell?internazionalizzazione non si dimentichi la necessaria salvaguardia di alcuni diritti e di alcuni valori che sono alla base del sistema marchigiano.

PRESIDENTE. Ha la parola Landi, per la Copagri.

Emilio LANDI, Copagri Marche. Saluto e ringrazio il Presidente del Consiglio regionale delle Marche per questa opportunità e vado subito al dunque.
Questo mio intervento sarà spudoratamente di parte, o di settore, anche per riequilibrare il dibattito e il territorio, altrimenti si rischia, anche a livello istituzionale, di pensare al settore agricolo come un male necessario, come già stanno pensando gli operatori della filiera agroalimentare. Quindi che questo settore agricolo ormai dobbiamo tenercelo come male necessario della filiera agroalimentare, a me sembra una cosa riduttiva, ben sapendo tutti che lo sviluppo del territorio in una regione come quella marchigiana non può prescindere dallo sviluppo delle aree rurali.
Ci sono stati dei notevoli cambiamenti negli ultimi periodi, le nostre piccole aziende collinari non potranno mai diventare grandi: l?illusione di poter raggiungere la validità economica attraverso l?ampliamento della superficie ormai è svanita, sarebbe una rincorsa senza fine, perché il limite che ci si poneva nella programmazione comunitaria, fin da Mansholt si sta spostando sempre più in là, con la programmazione di aziende, a pochi chilometri da casa, di migliaia di ettari di terreno. Quindi le nostre piccole aziende agricole si trovano ormai a competere, nelle produzioni di massa, con grandissime aziende di notevoli estensioni pianeggianti.
Sono d?accordo con il viceministro Baldassarri quando diceva che il costo di un telefonino corrisponde, in certi paesi a 200 quintali di caffè. Dovete sapere che ormai il valore del grano, nel pane che voi acquistate, non rappresenta più nemmeno il 5%. In un bicchiere di birra, l?orzo rappresenta meno del 3,5%, addirittura nella tazzina di orzo che consumate al bar siamo allo 0,4% del costo. Qualcuno dirà ?però abbiamo valorizzato l?acqua?. Dico questo perché, in questo caso, questo è un settore povero, se la situazione è questa.
Sono cambiate tante cose, effettivamente, si ragiona molto sull?effimero. Quando c?era il fazzoletto della spesa e si andava a comprare 100 lire di spaghetti, si portavano a casa, sostanzialmente, 100 lire di spaghetti. Oggi con 100 lire di spaghetti si portano a casa 30 lire di spaghetti, 30 lire di pubblicità, 20 lire di packaging, praticamente il valore del prodotto non c?è più. Questo è un dato di cui dobbiamo prendere atto, perché fra l?altro negli ultimi tempi i beni alimentari sono cresciuti notevolmente di prezzo, ma i prezzi della produzione primaria sono rimasti quelli: è inutile portare l?esempio della zucchina, perché è una stupidaggine. E? invece aumentato il valore aggiunto, che non è per l?agricoltore, per l?agricoltura. Allora già un piccolo sforzo per portare all?agricoltore e all?agricoltura quel valore aggiunto che si è anche allargato, farebbe ricche le nostre aree rurali.
C?è un altro cambiamento avvenuto negli ultimi anni. Una nuova richiesta si è imposta: quella di chiedere da parte della collettività, all?agricoltore, di ridurre i suoi spazi tradizionali e produrre soltanto beni alimentari per produrre altri beni, quali quelli dell?ambiente, della ruralità, della vivibilità del territorio. Anche qui dobbiamo intervenire. Questo territorio che in apparenza può sembrare svantaggiato, potrebbe diventare avvantaggiato, proprio perché si chiede una nuova produzione. Come dire che se fino a qualche tempo fa ci si alimentava esclusivamente di mais, erano le aree pianeggianti irrigue ad essere avvantaggiate, ora che invece ci si alimenta di sole castagne la montagna torna a essere competitive. E? un paradosso, ma dovrebbe rendere l?idea.
C?è un?altra cosa: la consapevolezza che ormai vale la pena spendere una lira in più per alimentarsi in maniera diversa. Questa consapevolezza è cresciuta ma non corrisponde ai reali comportamenti dei produttori. Come dire che se c?è una maggiore consapevolezza del 30%, i comportamenti alimentari dei consumatori, nell?approvvigionamento dei beni che loro servono, è cresciuta del 5%. Perché? Perché qui c?è un collante malefico rappresentato dalle abitudini che lo riportano a fare quello che ha sempre fatto. Allora qui bisogna intervenire fortemente per aiutare, sostenere, affiancare, incoraggiare, soccorrere il consumatore, cosa che non fanno più le televisioni, non fa più nessuno. Una volta c?era una trasmissione bellissima di educazione del consumatore, oggi non c?è più niente, è lasciato tutto alla pubblicità. Qui bisogna che le istituzioni intervengano per creare una nuova cultura della qualità sui prodotti agroalimentari.
C?è un?altra cosa che in alcune regioni, vedi la Toscana, è venuta avanti: la nuova concezione dello spazio rurale che nelle Marche tarda ad imporsi. Qui bisogna fare un grosso sforzo che oggi, sentendo tutto questo dibattito, non ho percepito. Si è ragionato di territorio da tutti i punti di vista, senza tener conto di questa diversa concezione. Prima c?era una concezione che separava le aree di insediamenti produttivi e industriali da quelle agricole, quelle abitative. Oggi invece queste aree si integrano e le aree agricole non sono più qualcosa da buttare là ?in funzione di...? ma hanno una loro validità, quindi bisogna ragionare in termini diversi sul territorio e oggi, purtroppo, con mio disappunto, questo non l?ho notato.
Il territorio marchigiano ha una sua specificità che dobbiamo in qualche maniera valorizzare. Abbiamo il decreto 228 del 2001 che dice che l?agricoltore può mettersi a fare tutto: può ammazzare la sua vacca, prenderle la pelle, farci le scarpe e vendere quel prodotto come prodotto agricolo, per assurdo. Noi dobbiamo acquisire quel maggiore valore aggiunto per l?impresa agricola. Abbiamo dimostrato che i livelli occupazionali e la validità economica dell?impresa agricola prescindono dalla estensione. Dovremmo essere la nuova Toscana, in questo senso.
Secondo me nelle Marche esistono solo tre agricolture possibili, quindi è l?ora della scelta tra l?agricoltura che può sfidare il mondo e la globalizzazione perché ha le condizioni per farlo ma non lo sfida, perché sono altri prodotti che sfidano il mondo, vedi il florovivaismo e qualcos?altro. Bisogna che ci organizziamo, perché le condizioni per sfidare il mondo le abbiamo. Poi c?è l?agricoltura più ampia che si deve riconvertire alla multifunzionalità. Infine c?è quella che dovrà produrre un bene pubblico, oltre al bene alimentare, qual è l?ambiente. L?opportunità grossa per fare questo ci viene data dal disaccoppiamento e dalla regionalizzazione dei contributi. Dobbiamo capitalizzare il disaccoppiamento. Se nel 2012 arriveremo dopo esserci mangiati questo grosso ?malloppo? che come regione Marche abbiamo, perché abbiamo più seminativi a contributo di tutte le altre regioni d?Italia, non avremo più la possibilità di avere grosse risorse che, invece, dobbiamo investire e non spendere, perché altrimenti ci troveremo un?agricoltura arretrata e saremo fuori.
Oggi è tempo delle scelte, ogni agricoltore dovrà scegliere di collocarsi in una di quelle tre agricolture, ma prima dell?agricoltore dovrà essere la Regione a scegliere, perché l?agricoltore si deve sentire sicuro. L?ottimismo viene da una sicurezza che può essere data all?agricoltore e qui la Regione deve scegliere che tipo di agricoltura, quale agricoltura fare nelle Marche e dove farla, dopodiché l?agricoltore dovrà essere messo di fronte alle sue responsabilità. I Comuni possono avere un grande ruolo in questo e i nostri sindaci sbagliano quando dicono che loro non c?entrano niente con lo sviluppo rurale, perché non è vero. Ogni Comune ha qualcosa di nascosto che deve andare a rispolverare.
Chiudo con la montagna. Noi dobbiamo fare una politica per la montagna. La montagna dà l?acqua a tutti e non riesce a tenersela per sé. Qui qualcosa bisogna fare: bisogna rivitalizzare i pascoli, bisogna creare uno sviluppo integrato in montagna basato sulla zootecnica, sul turismo e sull?agricoltura.

PRESIDENTE. Ha la parola Duranti per la Legacoop.

Amedeo DURANTI, Legacoop Marche. Porto il saluto della Legacoop Marche a questa iniziativa molto importante. Legacoop è un?associazione che negli ultimi anni nella nostra regione ha conseguito un saldo attivo in termini di crescita: oltre a un aumento delle cooperative e dei loro fatturati in generale, abbiamo registrato un forte incremento dell?occupazione femminile ed in particolare nel settore giovanile. Con le nostre limitate risorse abbiamo conseguito un obiettivo, soprattutto esaltando il valore delle nostre risorse umane, anche perché quelle economiche non sono mai state nostre grosse alleate.
Questo per fare un quadro di quello che è accaduto negli ultimi tempi e che ci ha visto molto presenti a questa crescita.
Siamo anche presenti e pronti ad attivarci nelle grosse aggregazioni per realizzare imprese che riescano a misurarsi nel nostro mercato e attenti alla crescita delle piccole imprese cooperative che sono in grado, a nostro avviso, di determinare, spesso, quel benessere sociale che può innalzare e sostenere la qualità della vita nella nostra regione.
Noi abbiamo diversi settori molto importanti, che hanno determinato e caratterizzato questo nostro tessuto regionale, incrementando una forte presenza nel nostro territorio e riteniamo che possiamo continuare a svolgere questo ruolo anche in una situazione in cui la nostra realtà sta mutando. Questo, ovviamente, se riusciremo, con adeguate risorse, ad incentivare la crescita, la nascita di nuove realtà e a valorizzare i processi formativi che riteniamo siano un punto determinante per lo sviluppo delle nostre imprese, soprattutto per quanto riguarda la qualità, che ha una necessità fondamentale in un risultato che le nostre realtà hanno conseguito, determinata soprattutto da una forte necessità di far sì che il supporto che questa Regione può dare alle cooperative vada soprattutto mirato a valorizzare le nostre risorse umane che riteniamo debbano essere anche adeguatamente riqualificate, perché in alcuni dei nostri settori soffriamo molto del rischio anche di allontanamento dal mondo del lavoro di alcune figure professionali per non adeguata riqualificazione, così come riteniamo che anche i risultati positivi che le nostre realtà hanno conseguito debbano essere affiancati in maniera forte da strumenti che possano permettere di leggere anticipatamente le difficoltà che in un periodo come questo vanno attentamente lette e anticipate, per non creare situazioni di difficoltà ulteriori.
Alcuni dei valori su cui noi abbiamo puntato riguardano l?introduzione della pratica della certificazione etica e del bilancio sociale iniziato già da parecchi anni. Riteniamo che questo sia uno degli strumenti a cui vada ulteriormente impressa una forte accelerazione per far sì che tutte le nostre imprese abbiano questo uso comune del bilancio sociale.
Riteniamo che un?attenzione particolare vada riservata anche allo sviluppo internazionale che le nostre imprese possono avere, soprattutto con l?Europa dell?est più vicina a noi, con la quale dialoghiamo e riteniamo che si possano attivare importanti iniziative.

PRESIDENTE. Ha la parola il Vicepresidente Gian Mario Spacca per le conclusioni.

Gian Mario SPACCA, Vicepresidente della Giunta. Non possiamo concludere un dibattito così vasto, articolato, che ci ha visto impegnati per due giornate. Credo che le conclusioni di questo dibattito le faremo nel prosieguo dei lavori del Consiglio regionale, a partire dalle prossime discussioni che avremo nella sessione di bilancio dove gran parte delle argomentazioni che qui sono state prodotte troveranno il modo di comporsi nella scelta di allocazione delle risorse, definendo un quadro bene organizzato di priorità e di focalizzazioni. Quindi alcune considerazioni per flash, disorganiche se volete. Prevedendo che il ministro Baldassarri se ne sarebbe andato al termine del suo intervento, mi sono permesso di regalargli questo volume di colore verde che tutti voi avete avuto, riguardante l?applicazione delle più importanti normative di agevolazione della Regione Marche, in modo tale che potesse trovare le risposte ad alcune delle argomentazioni che lui ha prodotto in quest?aula, non con appropriatezza di termini. In modo particolare mi riferisco alla citazione che lui ha fatto dell?applicazione della legge 598/94 da parte della nostra Regione. Noi abbiamo utilizzato la legge 598? siamo al quinto posto tra le Regioni italiane per quanto riguarda il 2002 dietro la Lombardia, dietro l?Emilia Romagna, la Toscana e il Piemonte. Questo dato lo trovate a pag. 190 del volume a tutti distribuito e che il ministro questa sera si leggerà con la dedica che gli ho prodotto quando gliel?ho consegnato. Gli sarà molto utile per la sua prossima campagna elettorale, qualora dovesse candidarsi nella veste di Presidente.
Ci sono anche i dati ? ma non sono ancora certificati ? con riferimento al 2003, che non sono fondati su un benchmarking regionale, che comunque testimoniano la continuità dell?azione che la Regione Marche ha intrapreso con riferimento alla 598. Dice il ministro che noi non abbiamo utilizzato comunque queste risorse per la ricerca. Il fondo unico ? risorse che lo Stato trasferisce a noi ? a partire dal 2002 la Regione Marche lo rimodula sulla base delle indicazioni che il Consiglio regionale e la concertazione decidono. Quindi noi abbiamo concentrato le nostre risorse per l?attività di ricerca sulla legge 140 di cui posso darvi qualche dato, sempre con riferimento all?anno 2002, per vedere quante imprese nella nostra regione hanno usufruito di questo intervento, funzionale non soltanto all?attività di innovazione ma anche a quella di ricerca.
Sostanzialmente nel triennio 2000-2002 sono state 858 le imprese che hanno avuto agevolazioni per attività di ricerca, pari a 17 milioni di euro, con investimenti superiori a 288 milioni di euro. Non basta: sull?attività di ricerca il ministro ha richiamato le delibere Cipe. Noi abbiamo utilizzato, contrariamente a quello che lui pensa, anche le delibere Cipe, destinandole alle imprese attraverso le università. Le delibere Cipe del 2002 e 2003 hanno visto fondi dedicati alla ricerca, da parte della nostra Regione, per 2,9 milioni di euro, che hanno generato 18 progetti e 3,471 milioni di euro, che hanno generato 37 progetti. Questa mattina l?assessore Agostini, nella sua relazione orgogliosamente ha citato un dato: che la nostra Regione dedica alle quattro università delle Marche più risorse di quante ne siano previste dal Ministero della ricerca scientifica e tecnologica del nostro paese, esattamente attraverso l?utilizzo delle delibere Cipe che sono state precedentemente richiamate. Quindi una politica di integrazione forte tra innovazione e ricerca, che richiama la responsabilità di più soggetti e che impiega tutte le risorse che vengono messe a nostra disposizione dal Governo nazionale e dalla Ue.
Ma c?è di più. Il Ministero delle attività produttive, proprio per questa esigenza di benchmarking ci dà i parametri, annualmente, di quale sia il risultato, l?efficacia e l?azione che le Regioni propongono. Ebbene, dal 2000 ad oggi sono quasi 16.000 le piccole imprese delle Marche che hanno usufruito delle agevolazioni del fondo unico, con un valore di investimenti attivato pari a 1.500 milioni di euro e nella classifica qualitativa la Regione Marche si colloca come indici di performances circa i procedimenti e i provvedimenti conferiti, davanti a Regioni come la Lombardia ed è ai primi posti d?Italia secondo le valutazioni del Ministero delle attività produttive, proprio sull?attuazione del decentramento in materia di incentivi alle imprese.
Credo che questa sia una risposta puntuale e doverosa da dover dare al ministro Baldassarri in riposta alle argomentazioni che lui ha sollevato e che questa sera lui avrà non dalla mia voce ma leggendosi il volume che ho avutola possibilità di consegnargli.
Sul dibattito complessivo che abbiamo consumato in queste due giornate credo che possiamo formulare delle considerazioni che rafforzano la fiducia della nostra comunità. Vorrei richiamare un?affermazione di sintesi che ieri ha fatto il prof. Diamanti quando, con un?immagine anche abbastanza plastica, ci ha detto come nel decennio 1990-2000 le Marche abbiano risalito il convoglio delle Regioni del nord-est dove erano all?ultimo posto, e si siano portate sulla motrice, siano andate nella posizione di testa. Questo posizionamento nuovo e più competitivo della nostra Regione l?abbiamo verificato negli indicatori di carattere economico e sociale che abbiamo passato in rassegna, che facevano riferimento al pil, ad alcuni dati del mercato del lavoro, ai dati sulle esportazioni, rispetto alla media nazionale, rispetto a dati che complessivamente l?Europa, un?Europa oggi in profonda difficoltà, sta producendo. Per significare una specificità della nostra comunità, di una maggiore capacità reattiva a fronte delle difficoltà. Diamanti ci diceva, però, che questo nuovo posizionamento delle Marche ci pone in una posizione differente dal passato. Questa nostra specificità non la possiamo giocare più in termini autoreferenziali, in termini interni ma la dobbiamo necessariamente confrontare, nello scenario che si allarga, con nuovi soggetti, quindi siamo in una dimensione di nazionalizzazione, per lo meno, ma forse anche di più, del posizionamento della nostra regione, con il rischio che le percezioni che riceviamo non siano coerenti con i dati che presentiamo. E faceva riferimento ? il prof. Paci ha ripreso questo dato ? alla profonda, più grande molecolarizzazione o individualizzazione che la nostra società registra rispetto al passato.
Se vogliamo mantenere, preservare l?identità della nostra storia, che è fondata sul policentrismo istituzionale e sulla diffusività e pervasività della nostra autonomia, dobbiamo riflettere molto su questo dato di progressiva molecolarizzazione della comunità e della società marchigiana, perché questa molecolarizzazione, queste ridotte dimensioni delle molecole comportano la necessità di fare delle aggregazioni per rispondere alle sfide della globalizzazione che richiedono delle masse critiche di livello superiore.
La risposta che abbiamo dato, per essere coerenti con la nostra storia che è emersa anche negli interventi di oggi, è quella di lavorare molto sull?integrazione, sull?interdipendenza, sulle collaborazioni, sulla relazionalità, lavorare su questa via per mettere insieme tutti i protagonisti, tanti protagonisti della nostra comunità, di fronte alle sfide che ci parano innanzi, attraverso una organizzazione del lavoro che risponda a questo criterio di collaborazione.
Abbiamo detto che non bastano più relazioni di buon vicinato. Il sindaco di Ancona questa mattina ha usato una formula che credo sia molto appropriata: nei rapporti fra le istituzioni non ci si può più fermare alla espressione di pareri rispetto alle determinazioni che ciascuno propone. Non bastano più queste ?relazioni di buon vicinato?, è stata richiamata la necessità della concertazione, ma dal dibattito che abbiamo fatto secondo me non basta neanche la concertazione, occorre una vera e propria condivisione progettuale, occorre che le istituzioni, gli enti si mettano insieme, sappiano integrare, rendere interdipendenti le loro capacità di progettazione, in modo tale da allocare le risorse su un obiettivo condiviso, affinché sia massimo il risultato che si possa perseguire. Quindi la richiesta che ci dobbiamo tutti formulare reciprocamente, è quella di progettare di più, di progettare meglio, progettare con maggiore qualità, di rispondere a questa richiesta sui tempi, che ci è stata ripetutamente proposta, quindi più velocemente, e soprattutto ? questo è il dato di fatto, perché anche la nostra regione è piena di atti progettuali che non trovano possibilità concreta di attuazione ? realizzare i progetti che proponiamo. Qui sta il salto di qualità che ci dobbiamo proporre: la progettazione condivisa, la progettazione che diventa realizzazione.
Certamente questo dibattito ha evidenziato, soprattutto nelle parole del viceministro, che occorre un altro modo di porsi nei termini di una relazionalità positiva che porti poi alla condivisione progettuale. L?esempio che oggi ci è stato proposto di progettazione, di un progetto importante per la nostra comunità come il quadrilatero, è proprio la negazione di questa modalità di collaborazione progettuale: non si può venir qui a proporre un progetto e dire ?questo è il nostro progetto, voi dovete aderire e dovete accettare quello che noi vi proponiamo?, quando questo progetto richiama soprattutto responsabilità di altri enti, di altri soggetti, di tanti territori. Condividere un progetto significa costruirlo insieme fin dall?inizio. Questo non significa che noi non valuteremo, come Giunta regionale, la validità di questo progetto, ma lo verificheremo proprio in coerenza con quelli che sono gli interessi della nostra comunità e in corrispondenza con quelli che sono i diritti della nostra comunità ad autodeterminarsi rispetto ai propri bisogni di sviluppo e di crescita.
Sui fattori la riflessione si è soffermata molto in queste giornate e questo modello di progettualità condivisa, di concertazione che si fa progetto vero e concreto, si deve indirizzare su alcuni di questi fattori. Credo che il dibattito abbia posto in evidenza come, accanto alle infrastrutture, che restano sicuramente uno dei fattori importanti per dare competitività ai territori, emergano altre esigenze e altri elementi fattoriali altrettanto importanti, se non addirittura di più. Proprio il dibattito che c?è stato ha messo in evidenza quanto sia importante il capitale sociale, ma interpretato come capacità critica, come capacità creativa, capitale creativo della nostra comunità per intercettare i cambiamenti, risolvere le sfide in chiave positiva, in modo tale da poter continuare a crescere e a svilupparci.
E? soprattutto su questo elemento della capacità creativa che noi dobbiamo lavorare in prospettiva, come del resto stiamo facendo, attraverso il piano del lavoro e le risorse che vengono allocate in modo sempre più qualificato sulle attività di educazione e sulle attività di formazione, sul capitale umano della nostra comunità, per sviluppare questa capacità creativa.
Abbiamo compreso che la risorsa più grande che c?è oggi nelle Marche e che c?è stata anche in passato, per parafrasare un slogan caro in questo momento ai nostri amici della Casa delle libertà, sono i marchigiani. Questo è un dato che in questi giorni abbiamo acquisito con grande consapevolezza: la centralità del lavoro intesa come capacità necessaria della nostra gente di espressione di intelligenza, capacità creativa, per poter assicurarci il nostro futuro e vincere le sfide che il futuro ci para innanzi.
Accanto a questo credo che un altro fattore importante e non eludibile sia quello della internazionalizzazione. Anche questo elemento è emerso con grandissima forza nella riflessione e nel dibattito che abbiamo svolto, non si può non internazionalizzare la nostra economia, che è una cosa profondamente diversa dalla delocalizzazione. Internazionalizzare significa che le nostre imprese debbano andare a fare quegli investimenti di carattere commerciale e produttivo su quei mercati che sono in una fase di forte espansione, per incrementare le loro quote di mercato, quindi incrementare la loro capacità competitiva attraverso margini superiori da poter investire, come sta avvenendo, sul core-business che continua a risiedere nella nostra regione. Queste sono le esperienze che abbiamo visto essere di successo. Le imprese che sono in difficoltà in questo momento, sono quelle rimaste nelle fasce basse del mercato, che non hanno aggredito il fattore di internazionalizzazione. Nell?ambito del settore calzaturiero o nell?ambito di altri settori che oggi sono stati citati abbiamo avuto sempre l?esemplificazione di imprese in difficoltà perché non hanno saputo giocare su questi paradigmi che noi proponiamo e che anche sosteniamo come Regione Marche, cioè imprese che non innovano, che non fanno innovazione di prodotto, innovazione di processo, che non fanno innovazione commerciale e organizzativa, che non fanno strategie di marketing ma che continuano a rimanere sulle fasce basse del mercato, che non fanno internazionalizzazione. Anche casi clamorosi di imprese che qui sono stati citati, sono riferiti a imprese che non hanno prodotto strategie di questa natura e che stanno uscendo dal mercato. Quindi, su questo dobbiamo continuare ad investire anche le risorse dell?istituzione regionale per accompagnare le imprese verso questa prospettiva, naturalmente con saggezza.
Qui sono stati richiamati alcuni parametri che devono sicuramente essere fatti valere e noi l?abbiamo fatto nei tavoli delle Conferenze Stato-Regioni che il ministro Urso ha ieri ripetutamente richiamato. Devo dire che con il ministro Urso le Regioni si trovano in un rapporto di concertazione forte, molto vicina a quella della condivisione progettuale. Le scelte che il Governo nazionale ha fatto di aggredire alcuni mercati come la Russia e la Cina con le piccole imprese, di sostenere il loro progetto di investimenti per acquisire quote di mercato, corrispondono agli interessi della nostra comunità regionale e noi accompagniamo queste imprese in tale sforzo, anche perché poi c?è la possibilità di interloquire con i governanti di altri paesi, e soprattutto con riferimento agli amministratori del governo cinese sono state rappresentate. Le possibilità di interscambio tra l?Italia e la Cina vengono collegate alla salvaguardia delle esigenze dei consumatori, quindi a vietare l?utilizzo di prodotti che possano essere nocivi per la salute dei consumatori, a utilizzare nei processi produttivi, delle pratiche che non siano illegali: non ci sia, ad esempio, l?utilizzo del lavoro minorile. Al rifiuto, da parte dei paesi di nuova industrializzazione, di pratiche anti-dumping e progressivamente alla salvaguardia dell?ambiente in cui i processi produttivi si realizzano. Questi quattro parametri vengono costantemente posti all?attenzione dell?autorità di governo, soprattutto cinese, ma dell?estremo oriente, ogni volta che si stabiliscono delle relazioni di carattere commerciale o internazionale, come è stato fatto a Cancùn, come verrà fatto nelle prossime occasioni, per cui il Governo italiano si è impegnato a dire una parola forte. Come pure in queste relazioni internazionali, in questi tavoli internazionali che fanno riferimento soprattutto al Wto, il richiamo è quello alla tutela del made in Italy, per cui è stato annunciato che probabilmente sarà accolta la richiesta che noi come Regione Marche avevamo rappresentato anche al Governo italiano, del marchio dei prodotti che entrano in Europa con l?identificazione della loro provenienza, quindi una tutela indiretta del made in Italy che potrà dare maggiore slancio alle produzioni del nostro paese e anche soprattutto della nostra regione, perché non dimentichiamo che questo settore è legato per l?80% alla produzione manifatturiera delle Marche.
Un tema che è rimasto in ombra ma che penso dovremo riprendere riguarda la finanza. Oggi sono stati per alcuni minuti presenti al nostro dibattito i rappresentanti delle istituzioni finanziarie, delle istituzioni bancarie, ma non hanno partecipato a questo nostro confronto. Credo che non ci possa essere una prospettiva di crescita e di sviluppo per la nostra regione se non sapremo coinvolgere in questo nostro disegno di concertazione rafforzata fino alla condivisione progettuale, le istituzioni finanziarie, perché senza risorse non si va da nessuna parte.
E? quindi importante che nei prossimi passaggi questo soggetto venga coinvolto. Noi abbiamo bisogno di innovazione finanziaria per sostenere la crescita delle relazioni dimensionali delle nostre piccole imprese. Questo è un altro fattore che è emerso sulla necessità della crescita dimensionale delle relazioni delle nostre imprese e per farlo abbiamo bisogno di innovazione finanziaria, quindi del contributo delle istituzioni finanziarie.
In conclusione ? anche perché credo che il dibattito sia stato molto lungo e richiederà molti altri approfondimenti, che peraltro sono stati già annunciati ? credo che noi abbiamo davvero un punto di forza nella coesione della nostra comunità. Questo è un bene prezioso che non dobbiamo disperdere. La nostra capacità di confronto deve limitarsi alla razionalizzazione, all?approfondimento di quelli che sono i problemi della nostra regione, senza mai superare quella che può essere una polemica costruttiva finalizzata a risolvere questi problemi. Dobbiamo saper preservare la coesione della nostra comunità, sia nel dialogo tra maggioranza e opposizione, sia nel dialogo tra istituzioni, sia nel confronto ,a istituzioni e comunità regionale, valorizzando il ruolo e il protagonismo di ciascuno.
La forza della nostra regione sta in questo equilibrio, in questa capacità di equilibrio, in questo esercizio di saggezza e di responsabilità, che è una delle eredità più preziose che dobbiamo saper salvaguardare. Questo equilibrio che rende coesa la comunità regionale, la rende soprattutto capace di performances particolarmente significative su quei tre pilastri che ne caratterizzano l?identità. L?identità della nostra regione si fonda su un ambiente particolarmente sano, un ambiente che rappresenta un valore profondo per tutte le persone che vi risiedono, rispetto a cui dovremmo avere la stessa cura che abbiamo per le nostre abitazioni. ?Ovunque noi siamo sempre abitiamo?, si dice, prozio perché dovremmo avere, per questo ambiente in cui risiede la nostra comunità, la stessa cura che abbiamo per la nostra casa, che riusciamo ad avere, secondo i parametri che definiscono l?ambiente regionale ai primi posti nel panorama nazionale. Come pure gli indicatori di benessere, che costituisce il pilastro identitario della comunità regionale, che rappresentano, secondo un?altra valutazione fatta dall?istituto Irpet, che è stato ripetutamente citato in questi giorni, ci portano al primo posto in Italia. Abbiamo quindi una forte capacità di tenuta su due momenti fondamentali su cui si costruisce la convivenza: l?ambiente in cui viviamo e il benessere e la sicurezza sui diritti fondamentali e primari della nostra comunità, come la salute, i servizi sociali, l?educazione, la formazione. Dobbiamo stare attenti, in questo momento in cui si aprono nuovi orizzonti all?economia, a cogliere in modo intelligente le prospettive di crescita e di sviluppo, affinché il cambiamento possa consentirci di proseguire nel nostro percorso di crescita e di sviluppo qualitativo, uno sviluppo intelligente. Uno sviluppo significativamente quantitativo, perché se non ci sarà sviluppo non ci saranno le risorse per sostenere la valorizzazione dell?ambiente e il benessere della nostra comunità. Questo è un circuito virtuoso che non dobbiamo mai interrompere. Non è pensabile che il nostro benessere si possa sostenere con le risorse prodotte da altri. Le risorse per sostenere il nostro benessere nascono dalla nostra comunità, nascono dalla capacità di crescita e di sviluppo della nostra comunità.
Quindi credo che ci dobbiamo lasciare con questo obiettivo: non pensare di rallentare o di marginalizzare la nostra regione per ricercare delle rendite di posizione, ma sfidare apertamente il mondo che si fa sempre più largo, con maggiori competenze, con maggiori conoscenze, con maggiore capacità di informazione, accettare la sfida per continuare a crescere in qualità, in modo da avere più risorse per sostenere il benessere e valorizzare l?ambiente in cui noi viviamo, proseguendo il rafforzamento dell?identità della nostra regione, secondo un circuito virtuoso che ci ha posto ai primi posti in Italia.
Con questo spirito di ottimismo e soprattutto di fiducia, credo che dovremmo proseguire nella nostra riflessione che a questo punto si interrompe, per riprenderla in altre sedi, in sedi in cui avremo modo di approfondire più specificatamente le singole questioni che abbiamo intravisto in queste giornate.

PRESIDENTE. Si conclude anche questa seduta pomeridiana. L?appuntamento è al 9 febbraio per l?avvio della sessione di bilancio.

La seduta termina alle 18,25