Resoconto seduta n. 181 del 10/03/2004
La seduta inizia alle 10,50


Approvazione verbali

PRESIDENTE. Ove non vi siano obiezioni do per letti ed approvati, ai sensi dell’art. 29 del regolamento interno, i processi verbali delle sedute nn. 179 e 180 del 25 febbraio 2004.



Proposta di legge
(Annuncio e assegnazione)

PRESIDENTE. E’ stata presentata, in data 23.2.2004, la proposta di legge n. 233, ad iniziativa della Giunta: «Modifica della legge regionale 28 aprile 1994, n. 15: “Norme per l’istituzione e gestione delle aree protette naturali”», assegnata alla IV Commissione.



Proposta di atto amministrativo
(Ritiro)

PRESIDENTE. La Giunta regionale, con deliberazione n. 76 del 3.2.2004 ha ritirato la proposta di atto amministrativo n. 110: «Approvazione variante al Piano del Parco del Conero per riconfinazione Area P2/2” comprendente il ristorante Le Cave, ai sensi dell’art. 15 della legge regionale 28 aprile 1994, n. 15».



Proposta di regolamento
(Annuncio e assegnazione)

PRESIDENTE. E’ stata presentata, in data 1.3.2004, la proposta di regolamento n. 6, ad iniziativa della Giunta: «Affidamento e gestione delle sponsorizzazioni», assegnata alla II Commissione.



Mozioni
(Annuncio di presentazione)

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti mozioni:
— n. 348 del consigliere Avenali: «Problemi del settore vitivinicolo ed europeo»;
— n. 349 dei consiglieri Amati, Franceschetti, Mollaroli, Avenali, Tontini e Modesti: «Crisi della impresa Antonio Merloni»;
— n. 350 dei consiglieri Giannotti, Brini, Cesaroni, Grandinetti, Trenta e Ceroni: «Ristrutturazione e riduzione degli orari di apertura degli uffici postali nei piccoli Comuni delle Marche»;
— n. 351 del consigliere Massi: «Individuazione degli aventi diritto alla circolazione agevolata (integrazione punto 2 della dgr n. 1706 del 25 settembre 2002)»;
— n. 352 dei consiglieri Mollaroli e Tontini: «Nuovo ospedale Pesaro-Fano nella rete ospedaliera provinciale e regionale»;
— n. 3534 del consigliere Trenta: «Ascoli Piceno. Ammodernamento SS n. 4 Salaria».



Mozione
(Ritiro)

PRESIDENTE. E’ stata ritirata la mozione n. 322, dei consiglieri Avenali, Procaccini, Cesaroni, Benatti, Moruzzi, Tontini e Viventi: «Coesistenza tra le colture transgeniche, convenzionali e biologiche»



Leggi regionali promulgate
dal Presidente della Giunta

PRESIDENTE. Il Presidente della Giunta ha promulgato le seguenti leggi regionali:
— n. 2 in data 19 febbraio 2004: «Provvedimento generale di rifinanziamento e modifica di leggi regionali per la formulazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione (Legge Finanziaria 2004)»;
— n. 3 in data 19 febbraio 2004: «Approvazione del bilancio di previsione per l’anno 2004 ed adozione del bilancio pluriennale per il triennio 2004/2006»;
— n. 4 in data 24 febbraio 2004: «Disposizioni eccezionali e straordinarie in attuazione del piano sanitario 2003/2006 relative al personale delle strutture sanitarie private titolari di accordi contrattuali con il servizio sanitario regionale».



Congedo

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo il consigliere Trenta.



Ordine del giorno della seduta

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sull'ordine dei lavori, il consigliere Amati. Ne ha facoltà.

SILVANA AMATI. Chiedo l'iscrizione della mozione 349 sulla crisi dell'impresa Antonio Merloni per questa mattina, in modo da poterla abbinare alla discussione già prevista per le interrogazioni all'ordine del giorno.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta.

Il Consiglio approva




Comunicazioni dei consiglieri

PRESIDENTE. Ha chiesto di fare una comunicazione il consigliere Gasperi. Ne ha facoltà.

GILBERTO GASPERI. Questa mattina, a Roma si sta inaugurando, presso l'ospedale San Camillo, la scuola di talassemia che poi si allargherà anche all'ospedale Spallanzani e all'ospedale Forlanini.



Comunicazioni del Presidente della Giunta regionale in ordine al proprio decreto n. 77 del 26 febbraio 2004: «L.r. 18/1980. Referendum abrogativo della legge regionale 20 giugno 2003, n. 13» (Discussione e votazione proposte di risoluzione)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le comunicazioni del Presidente della Giunta in ordine al proprio decreto n. 77 del 26 febbraio 2004.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della Giunta. Do lettura del documento istruttorio del decreto:
«L’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, in data 5 novembre 2003, con delibera n. 1449 ha dichiarato ammissibile il referendum abrogativo della legge regionale 13/2003 concernente “Riorganizzazione del Servizio Sanitario Regionale”, richiesto da 28 consigli comunali delle Marche con la seguente formula: “Volete che sia abrogata la legge regionale 20 giugno 2003, n. 13, Riorganizzazione del Servizio sanitario regionale, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Marche del 26 giugno 2003, n. 55”.
La dichiarazione di ammissibilità della richiesta di referendum rende necessario lo svolgimento di una serie di adempimenti procedurali, così come disciplinati dalla legge regionale 5 aprile 1980, n. 18, ad oggetto: “Norme sui referendum previsti dallo Statuto”.
Il primo degli atti previsti – il decreto del Presidente della Giunta regionale di indizione del referendum – può essere adottato, ai sensi dell’articolo 8 della legge regionale sopra menzionata, solo dopo aver chiarito l’arco temporale entro cui il referendum stesso può essere effettuato.
Tale articolo stabilisce infatti che “I referendum abrogativi vengono effettuati non più di una volta l’anno, nel periodo compreso tra il 1 aprile e il 30 giugno.
Essi sono indetti con decreto del Presidente della Giunta, da emanarsi entro il 28 febbraio. Il decreto dovrà indicare la data, ai sensi del primo comma, nonché la richiesta”.
L’articolo 9, comma 1 della stessa legge dispone poi che: “Non può essere depositata richiesta né può essere effettuato referendum nell’anno precedente la scadenza del Consiglio regionale e nei sei mesi successivi alla sua elezione”.
Quest’ultima disposizione può dar luogo a interpretazioni contrastanti, potendo l’espressione “anno precedente la scadenza del Consiglio regionale” essere intesa come anno solare o come periodo di 365 giorni antecedenti la scadenza stessa.
Pertanto, allo scopo di pervenire alla corretta interpretazione della disposizione sopra citata, in modo da individuare la data in cui, legittimamente, può svolgersi il referendum abrogativo in questione, il Presidente della Giunta regionale, con nota del 7 novembre 2003, ha richiesto ai componenti del Comitato tecnico consultivo per la legislazione un motivato e approfondito parere sul significato da attribuire alla disposizione stessa.
Al riguardo il Comitato tecnico ha reso in data 25 febbraio 2004 il parere che di seguito si riporta integralmente:
“Premesso che:
- è stata accertata l’ammissibilità di una richiesta di referendum abrogativo della L.R. 20 giugno 2003, n. 13 dal titolo “Riorganizzazione del Servizio sanitario regionale”;
- che i referendum abrogativi possono svolgersi non più di una volta l’anno, nel periodo compreso tra il 1° aprile e il 30 giugno, previa indizione con decreto del Presidente della Giunta da emanarsi entro il 28 febbraio (art. 8 L. R. 5 aprile 1980, n. 18);
- che il referendum abrogativo non può essere effettuato nell’anno precedente la scadenza del Consiglio regionale (art. 9, primo comma, L. R. 18/1980);
- che il Consiglio scade nel 2005;
si chiede di individuare in quale anno il referendum in questione può, legittimamente, svolgersi.
1. Il problema nasce dalla incerta formulazione dell’art. 9, primo comma, della L.R. 5 aprile 1980, n. 18, dal titolo “Norme sui referendum previsti dallo statuto” (peraltro ripresa dall’art. 31 della legge statale sui referendum: L. 25 maggio 1970, n. 352, “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sull’iniziativa legislativa del popolo”), secondo il quale “non può essere depositata richiesta né può essere effettuato referendum nell’anno precedente la scadenza del consiglio regionale”: l’anno precedente è l’anno solare che precede la scadenza del Consiglio regionale (cioè tutto il 2004) o vanno calcolati 365 giorni dalla scadenza del Consiglio?
Per eliminare questo dubbio, è stata presentata in Consiglio regionale una proposta di legge (17 luglio scorso, n. 185, del consigliere Castelli) nella quale si propone di sostituire la formulazione attuale, definita obiettivamente equivoca, con la previsione che i referendum non possono essere effettuati nei dodici mesi precedenti la scadenza del Consiglio regionale.
2. Il presente parere deve, evidentemente, prescindere dalla citata proposta di legge, la quale però testimonia la obiettiva incertezza derivante dal vigente art. 9 della L.R. 18/1980. Ma, ai nostri fini, non è necessario sciogliere tale incertezza perché, qualunque sia l’interpretazione dell’art. 9 L.R. 18/1980, il referendum in esame non può svolgersi nel presente anno.
E’ noto innanzitutto che la identica (sul punto) disposizione statale è stata interpretata dall’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione come riferita all’anno solare (ordinanza 23 ottobre 1992).
Il caso era il seguente. Erano state depositate richieste referendarie nel gennaio 1992, anno di elezione delle nuove Camere (il citato art. 31 vieta il deposito di richieste referendarie nell’anno anteriore all’elezione delle Camere). Poiché il procedimento referendario statale limita la possibilità di presentare domande di referendum abrogativo al periodo 1 gennaio – 30 settembre, le domande del gennaio 1992, non accogliendo la tesi dell’anno solare, sarebbero confluite con quelle presentate entro il 30 settembre 1993, con effettuazione del referendum nel periodo 15 aprile – 15 giugno 1994, e quindi ben oltre due anni dalla richiesta referendaria.
“Un simile amplissimo non sarebbe radicato, si legge nell’ordinanza, su alcuna logica ed apprezzabile esigenza e verrebbe perciò a limitare gravemente, senza alcuna giustificazione, il diritto fondamentale del cittadino di far valere la sua volontà in ordine alla gestione della civitas e di esprimere la sua opinione sul modo in cui soddisfare determinati interessi pubblici”.
Di qui la decisione dell’Ufficio centrale per il referendum di interpretare il citato art. 31 nel senso che il periodo di inibizione della richiesta di referendum sia quello dell’anno solare antecedente a quello delle nuove elezioni delle Camere, nonostante che, si legge sempre nell’ordinanza, l’interpretazione letterale della norma porti a computare l’anno a ritroso dalla data di scadenza delle Camere (365 giorni prima delle elezioni).
Nel nostro caso, la tesi dell’anno solare comporta la impossibilità dell’effettuazione del referendum in esame nel corrente anno 2004, anno precedente le elezioni regionali del 2005, perché il citato art. 9 della L.R. 18/1980 vieta, non solo il deposito delle richieste referendarie, ma anche l’effettuazione dei referendum nell’anno precedente la scadenza del Consiglio regionale.
Ma anche se si ritiene che i referendum non si possono svolgere nei 365 giorni antecedenti la scadenza del Consiglio regionale (anziché nell’anno solare precedente), non è possibile effettuare il referendum in esame nel corrente anno.
Ed invero, l’art. 3 della legge 17 febbraio 1968, n. 108 (“Norme per l’elezione dei Consigli regionali nelle regioni a statuto normale”) prevede che i consigli regionali si rinnovano ogni cinque anni; esercitano le loro funzioni fino al 46° giorno anteriore alla data delle elezioni, che potranno aver luogo a decorrere dalla quarta domenica precedente il quinquennio; il quinquennio decorre dalla data delle elezioni.
Ne consegue che la durata dei consigli regionali è di cinque anni, mentre la scadenza coincide con l’elezione e può quindi essere più breve della durata (quarta domenica precedente il compimento del quinquennio). La distinzione fra durata e scadenza del Consiglio la si ritrova anche nel nuovo Titolo quinto, Parte seconda, della Costituzione in cui la durata è materia di competenza statale (art. 122, comma 1, Cost.), mentre la fissazione della data delle elezioni, e quindi la scadenza dei consigli regionali, è materia di competenza concorrente delle regioni (art. 10, comma 2, lettera f, della legge 5 giugno 2003, n. 131, “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”).
Nel nostro caso, le ultime elezioni regionali si sono tenute il 16 aprile 2000; i consigli durano in carica, quindi, fino al 16 aprile 2005, ma le elezioni si possono tenere, e quindi i consigli scadono, in una domenica compresa tra il 20 marzo e il 15 aprile 2005: il referendum potrebbe svolgersi, pertanto, fino al 20 marzo 2004, non oltre. Ma poiché, secondo l’art. 8 della L. R. 18/1980 i referendum possono svolgersi solo nel periodo compreso tra il 1 aprile e il 30 giugno, ne consegue l’impossibilità dello svolgimento del referendum in esame nel corrente anno.
Di conseguenza il decreto che dovrà essere emanato entro il prossimo 28 febbraio dovrà motivare perché non indice il referendum nel periodo 1 aprile – 30 giugno 2004. La indicazione della data di effettuazione del referendum spetterà al decreto da emanarsi entro il 28 febbraio 2005, sempreché sia possibile fissarne la data nel periodo 1° aprile-30 giugno 2005.
3. Va d’altronde considerato il fatto che si potrebbe ritenere che tale referendum non solo debba essere rinviato, ma non debba neppure essere più effettuato. L’art. 19 della L.R. 18/1980 prevede che, se prima dell’effettuazione del referendum la norma (rectius, la legge) o il provvedimento amministrativo o le singole disposizioni di essi, cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, il Presidente della Giunta, con proprio decreto, stabilisce che le operazioni relative non abbiano più corso.
La L.R. 13/2003, di cui si chiede l’abrogazione referendaria, in pochi mesi è già stata modificata tre volte e la prima modifica porta addirittura una data (28 ottobre 2003, data della L.R. 19, Assestamento del bilancio 2003, art. 13) anteriore a quella della delibera dell’Ufficio di Presidenza che ha dichiarato l’ammissibilità del referendum abrogativo (5 novembre 2003). La seconda modifica è stata introdotta dall’art. 11 della L.R. 20 gennaio 2004, n. 1; la terza, dalla legge finanziaria regionale per il 2004 (L.R. 2/2004, art. 38).
Con tali modifiche si ampliano le competenze dei sindaci e dei direttori di zona e si limita l’accentramento delle funzioni amministrative nell’unica azienda sanitaria regionale (ASUR), prevedendo la obbligatoria nomina di (non più di quattro) coordinatori amministrativi di area vasta, comprendenti più zone territoriali (comma 6 ter dell’art. 28 della L.R. 13/2003, aggiunto dall’art. 38 L.R. 2/2004). E poiché il referendum, come si legge nella richiesta referendaria, è contro “l’estremo della Azienda unica” e vuole ricostruire, insieme ai Comuni (fra gli altri), “un sistema con al centro gli interessi del cittadino malato”, le modifiche legislative vanno nella direzione auspicata dai promotori del referendum. E che si tratti di modifiche sostanziali all’organizzazione sanitaria disegnata dalla legge sottoposta a richiesta di referendum abrogativo, è confermato dal dibattito che si è svolto in Consiglio regionale sulla legge finanziaria regionale per il 2004.
Vero è che si potrebbe obiettare che la norma dell’art. 19 della L.R. 18/1980 si riferisce soltanto al caso in cui le norme sottoposte a referendum (legge, provvedimento amministrativo o singole disposizioni di essi) siano state abrogate sic et simpliciter, mentre nel caso in esame l’abrogazione si accompagna ad una nuova normativa, di cui va valutato il grado di “novità”, che tuttavia pare sussistere. Si potrebbe obiettare inoltre che le abrogazioni riguardano solo alcune disposizioni di una legge di cui è stata chiesta l’abrogazione referendaria nella sua interezza e va valutata pertanto l’essenzialità delle disposizioni modificate in ordine al disegno organizzativo complessivo della legge, ma anche ciò nel caso pare sussistere.
Se così fosse, dall’applicazione dell’art. 19 della L.R. 18/1980 potrebbe derivare quindi anche la decisione del Presidente della Giunta regionale che le operazioni referendarie non abbiano più luogo, perché “singole disposizioni” essenziali della legge cui il referendum si riferisce sono state sostituite (e quindi abrogate), ma trattasi di una interpretazione che affiderebbe ad un organo politico come il Presidente della Giunta regionale valutazioni che comportano una qualche discrezionalità interpretativa (novità della nuova normativa ed essenzialità dell’abrogazione parziale).
Si tenga conto infine:
- che il referendum è stato dichiarato ammissibile perché l’attuale art. 7 della L.R. 18/1980 limita il giudizio sull’ammissibilità all’osservanza, soltanto, di quanto previsto dagli articoli 1 e 2 della legge, che riguardano i proponenti e le materie escluse dalle richieste referendarie, ma il quesito non è affatto omogeneo, come prescrive la Corte costituzionale, perché la L.R. 13/2003 disciplina oggetti molto diversi fra loro, quali, ad esempio, le finalità del servizio sanitario regionale e il sistema informativo regionale integrato;
- che, se fosse accolto il referendum, la sanità regionale resterebbe senza regole, perché la normativa in vigore non prevede la possibilità di ritardare gli effetti abrogativi del referendum per colmare il vuoto normativo, sebbene lo Statuto favorisca il referendum “nei limiti consentiti dalle esigenze di funzionalità della organizzazione regionale” (art. 34, primo comma).
Sulla base delle indicazioni contenute nel sopra riportato parere si deve ritenere che il referendum abrogativo in argomento non possa legittimamente svolgersi nell’anno 2004.
Conseguentemente si propone al Presidente della Giunta regionale di adottare un decreto che disponga la non indizione nell’anno 2004 del referendum abrogativo della legge regionale 13/2003 concernente “Riorganizzazione del Servizio Sanitario Regionale”.».
Sulla base di questo parere, che io condivido e sulla base della proposta del servizio ho emanato il decreto.
Potrei terminare qui la mia esposizione, ma vorrei aggiungere qualche riflessione.
Sostanzialmente, che la disciplina attuale dell'istituto referendario fra le norme dello Statuto e la norma della legge regionale del 1980 sia una disciplina oggettivamente ambigua, che vada rivista perché affida ad organismi non tecnici ma politici, come l'Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, al Presidente della Giunta valutazioni che invece sarebbe bene che fossero sottratte alla discrezionalità di organi politici per essere lasciati ad organi terzi; che il dato di prevedere un solo periodo dell'anno in cui si svolga il referendum sia un dato che può essere inutilmente restrittivo, credo siano elementi sui quali possiamo tutti concordare. Si tratta quindi di ripensare ad un istituto e ad una disciplina dell'istituto referendario che potremmo, cogliendo l'opportunità dello Statuto, riesaminare e ri-normare, prevedendo prima di tutto una dizione che elimini l'ambiguità, quindi parlando non più di anni, ma di mesi antecedenti (la bozza di Statuto parla di numero di mesi antecedenti alla scadenza), inoltre, si potrebbe valutare di costruire un giudizio di ammissibilità che sia affidato ad un organismo terzo, neutrale, che potrebbe essere l'ufficio elettorale presso la Corte di appello, in analogia con l'istituto dell'ufficio elettorale per il referendum presso la Cassazione e prevedere un periodo di svolgimento del referendum non più soltanto una sola volta all'anno, in un solo periodo dell'anno. Questo renderebbe più semplice e più obiettivamente ricostruibile una volontà e quindi più facilmente risolvibili i dubbi che sono sorti e sono stati risolti come ho indicato prima. Del resto, anche la presentazione di norme di legge, proposte di legge che puntavano a risolvere questo obiettivo dato di ambiguità e di incertezza credo che sia un segno che vada colto per costruire insieme una nuova disciplina del referendum.

PRESIDENTE. Apriamo la discussione. Ricordo che i gruppi maggiori hanno dieci minuti, complessivamente, a disposizione, i gruppi minori cinque minuti. Vi prego di attenervi ai tempi già decisi.
Ha la parola il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. Nel momento in cui era stato dichiarato ammissibile il referendum, non avevamo e non potevamo avere alcun dubbio che potesse venire negato un diritto sacrosanto ai cittadini marchigiani, soprattutto 28 sindaci con i loro Consigli comunali, in rappresentanza di circa 300.000 abitanti, un quinto della popolazione marchigiana. Eravamo convinti che questa maggioranza, forte della propria proposta, non avesse alcun problema a confrontarsi con i cittadini marchigiani, soprattutto con quel sindacato che l'aveva incalzata in più di una circostanza su una proposta di legge che ritenevano inopportuna e fuori luogo.
Quindi una vecchia "politica dei due forni": mentre ad Ancona si rifiuta il confronto, si nega un sacrosanto diritto ai cittadini, a Roma non si fa altro che predicare il confronto e il dialogo con i sindacati, con gli stessi cittadini rappresentati, a volte, anche dai "girotondi", in modo tale da discriminare quotidianamente, puntualmente un Governo che a loro avviso rifiuta il confronto e il dibattito.
Noi notiamo anche uno scollamento, tra le forze politiche che sostengono la sua maggioranza, Presidente. Oggi registriamo un intervento di un giovane, a Civitanova, consigliere comunale della Margherita, alla prima esperienza politica, che proviene da una famiglia molto nobile, importante nel campo politico, il quale critica il sindaco Marinelli perché democraticamente, civilmente ha espresso un proprio parere sul referendum. Ebbene, a Civitanova, a livello apparente le forze del centro-sinistra hanno trovato un accordo sullo Statuto comunale, chiedendo che il referendum possa essere fatto 30 giorni prima delle elezioni. Quindi, o c'è uno scollamento tra il vertice e la base o è la solita demagogia e strumentalizzazione di chi si alza la mattina e improvvisa il fare e il dire della politica.
Noi non vogliamo far parte di questo gruppo di personaggi che intendono la politica come un'improvvisazione, però alcune riflessioni ancora una volta le vogliamo mettere sul tappeto e a nostro avviso sono problematiche serie, che pongono una riflessione.
Anzitutto lo schiaffo dato ai marchigiani negando il referendum. La sanità marchigiana non è quel modello che i più illustrano e prospettano. Le liste di attesa, nonostante sia venuto il manager per dirigere e studiare — non parlo di Aprile ma di chi è venuto prima di lui —...

GILBERTO GASPERI. Zuccatelli...

OTTAVIO BRINI. Sì, Zuccatelli.
Noi non sappiamo ancora se sono migliorate le liste di attesa, non sappiamo che piega hanno preso le "consulenze d'oro", perché qualcuno cerca di nasconderle con un meccanismo perverso — ma la matematica non è un'opinione — gli importi e le cifre e soprattutto non abbiamo notato un miglioramento dei servizi. Queste risposte i marchigiani le vogliono sapere. Un conto è la teoria, caro assessore, un conto la pratica. Lei ha applicato la teoria, perché in pratica le liste d'attesa sono aumentate, i servizi non sono migliorati, le consulenze ancora vengono date, anche in misura forte.. (Interruzione dell'assessore Melappioni)
Ogni volta, lei ci stuzzica, ci provoca, poi ci fa tenere dei comportamenti e degli atteggiamenti che non rientrano nel nostro DNA. Lei una volta mi ha provocato su due questioni e ancora non mi ha dato una risposta. La prima riguarda una gara per un'assicurazione a Civitanova e lei mi ha chiesto se conoscevo come si fa un cartello di assicurazioni e mi ha fatto fare dei passi che non rientrano nello stile di Forza Italia e di chi rappresentavo in passato. Noi non ci siamo mai rivolti alla Corte dei conti, non ci siamo mai rivolti ad altri tipi di organi di controllo, però ancora non ci ha dato una risposta su queste problematiche, quindi non ci ha messo nelle condizioni di svolgere il nostro diritto-dovere di funzione e di controllo, cosa che in alcune circostanze dovrebbe fare meglio di noi, perché è lei l'assessore competente.
Quindi noi rivendichiamo un'altra lamentela: sono stati tolti i revisori dei conti nelle varie aziende. Sfido chiunque — Parmalat e altri tipi di società possono insegnare — a indicare un revisore dei conti che controlli quotidianamente e puntualmente tutto il lavoro...

FERDINANDO AVENALI. Il "caso Parmalat" insegna che non bastano i revisori, perché lì c'erano i bilanci certificati...

OTTAVIO BRINI. Stai dando ragione al sottoscritto. Io non volevo avere ragione, sotto questo aspetto. Come si fa il controllo? Togliendo i revisori? Oppure questo permette a chi gestisce di avere le mani più libere nell'operare giornalmente, già sapendo che nessuno lo controlla? Sicuramente questi revisori dei conti operano a campione, non possono controllare tutte le pratiche. Noi lo chiederemo con una interrogazione e mi auguro che non ci si risponda nel 2006.

AUGUSTO MELAPPIONI. Ti rispondo quando vuoi. Sono pronto a rispondere quando il Consiglio mette in condizioni di rispondere a tutto.

OTTAVIO BRINI. Io ho una marea di interrogazioni sulle rivalse ospedaliere, dove non recuperate i soldi, e non ho mai avuto risposte.

AUGUSTO MELAPPIONI. L'ordine del giorno non lo faccio io...

OTTAVIO BRINI. Ma io chiedo risposta scritta, quindi se non risponde qui me la può mandare anche a casa.

AUGUSTO MELAPPIONI. Va bene...

OTTAVIO BRINI. ...ma nemmeno a casa me le manda...
Quindi non è rifiutando il confronto costruttivo che si risolvono i problemi e non è con queste risposte che risolvete i vostri problemi. Lei conosce benissimo il richiamo e l'appello che ha fatto il presidente della Corte dei conti dott. Avoli su quello che sta succedendo rispetto alla sanità marchigiana. Non potete rifiutare questo confronto. Noi non parliamo di una nuova "tangentopoli", perché non facciamo parte di quella scuola e non abbiamo quello stile, ma voi non potete rifiutare questo confronto. Avere tolto i revisori non vorrei che mettesse in futuro chi è in buona fede nelle condizioni di essere anche raggirato da qualche funzionario o da qualche dirigente. Noi poniamo dei quesiti, sempre per migliorare e per avere degli ottimi risultati.
E' un vero peccato che abbiamo perso un'occasione per un confronto democratico e non saprete mai se la legge è buona e accettata dai cittadini, perché avete negato un sacrosanto diritto ai cittadini marchigiani.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. Non entrerò nel problema squisitamente giuridico, perché il collega consigliere avv. Castelli ha approfondito in materia di diritto il problema, quindi credo che in materia di diritto, tra magistrati e avvocati siate più completi. Viceversa affronterò il problema politico, perché talvolta — succede spessissimo — dietro la discettazione — si discetta sul problema, si spacca il capello in quattro — si nasconde il problema politico. Compito dei giuristi a volte è sciogliere i nodi, a volte azzeccare il garbuglio e intricarlo; molto spesso gli avvocati vincono quando sono riusciti ad aggrovigliare talmente la matassa, che nessuno ci capisce più niente. Anche i magistrati, talvolta, per evitare di arrivare a sentenze nette e compiute, siccome non voglio scegliere nel merito, vanno a intercettare nella procedura qualcosa che non va bene e si salvano con la procedura. Qui più o meno tutti abbiamo esperienza, sappiamo benissimo come stanno le cose: quando una consulta, una corte si trova in difficoltà e non riesce a sciogliere il nodo, con un approfondimento estremo trova il cavillo che toglie dal pasticcio.
Il problema è politico, io parlo solo dell'aspetto politico.
Secondo me, nel omento in cui 28 Comuni depositano la richiesta di referendum — ne bastavano 20 — e altri due l'hanno approvata e deliberata in Assemblea (non l'anno depositata, perché- arrivati a 28 non serviva più), nel momento in cui c'è tanta aspettativa... Questa è una legge che nasce con i dubbi di una parte della maggioranza, con l'opposizione dei sindacati più importanti, Cgil e Cisl, con il voto di disciplina di partito dei Comunisti italiani (i verdi non l'hanno votata) e molti esponenti sia Ds che della Margherita erano fortemente perplessi e non parlo dei sindacati dei medici, a cominciare dall'Anao. Cosa di meglio di una verifica popolare?
Dal punto di vista del percorso chiamerei questa una "condotta di evitamento", questo è il termine tecnico, psico-patologico con cui viene definita questa condotta. Cos'è la "condotta di evitamento"? Quando uno ha un impegno importante, un esame, un appuntamento con una donna o con un uomo o un affare, si sviluppano ansia, agitazione, tensione, confusione, fuga. Classico quadro psico-patologico della "condotta di evitamento".
Di fronte al problema, alla fine si dice "non ci vado per niente a dare all'esame" nella "condotta di evitamento".
Questo è un tipico esempio politico di "condotta di evitamento". In data 17 agosto dell'anno scorso è stata presentata a firma del consigliere Castelli, che seguiva giuridicamente il problema, una proposta di legge con l'interpretazione autentica delle norme del referendum. Era quello che secondo me, all'epoca dello Statuto si voleva: che l'anno solare precedente le consultazioni non fosse "inquinato" da un referendum. Tutti sanno che il calendario politico non va da gennaio a dicembre ma va dall'estate all’estate successiva, come l'anno scolastico. Il legislatore allora, scarsamente previdente nelle interpretazioni, disse "l'anno precedente non si può fare", poi l'"anno precedente" per noi è l'anno scolastico o l'anno politico, voi dite "è l'anno completo". Ci si risponde il 26 febbraio con scadenza il 28 febbraio, ma dopo tanto tempo, mesi e mesi trascorsi lasciando passare il problema.
Se c'era un problema di natura politica era quello delle spese, perché una consultazione referendaria costa centinaia di milioni, forse qualche miliardo. Noi eravamo disponibili all'abbinamento: si abbinava, attraverso una proposta di legge esplicativa, come abbiamo fatto sempre per tante cose, bipartisan, il referendum con le elezioni amministrative, senza una lira in più di costo. Si votava prima dell'estate, insieme alle amministrative anche le europee e non c'erano problemi di costi, problemi di disaffezione degli elettori. Tra l'altro, in una vicenda in cui non sta succedendo nulla, perché anch'io da questa benedetta legge mi aspettavo la fine del mondo, cataclismi, nel senso che mi aspettavo che questa legge mettesse poi effettivamente mano al riordino della sanità. Non sta succedendo sostanzialmente nulla: dove c'erano i direttori sanitari e i direttori amministrativi delle ex Asl, che sono le attuali zone, sono stati nominati "consulenti", amministrativi e sanitari. Quasi ovunque. Non c'è una zona che non ha il suo consulente: sono i collaboratori stretti del direttore di zona.
Per quanto riguarda l'aggregazione scarse cose sono successe, perché ogni direttore pi o meno fa quello che ritiene opportuno. L'unica cosa è che ci sono queste mega-riunioni in cui tutti i direttori vengono riuniti: vengono dette le cose, ma nella loro autonomia ognuno più o meno si muove come vuole. I cosiddetti risparmi non ci sono stati, perché siamo ancora la regione che ha l'Irpef e l'Irap più alta. Quindi gli effetti del cambiamento non ci sono, si è impedito un referendum che avrebbe fatto una verifica popolare. Insomma, è un altro passaggi oscuro di questa Giunta, che di fronte a un nodo cruciale adotta la via di fuga, cioè dietro li cavillo giuridico — "l'anno non è solare" ecc. — si scomodano dotti professori per dire come devono andare le cose. Tutti sanno che quando uno trova le dotte consulenze, queste servono a giustificare condotte che non vanno bene.
Quindi da parte nostra c'è una forte censura e se giuridicamente riuscite in qualche modo a "incavillarla", dal punto di vista giuridico, non potete pararla: c'è una forte censura nei confronti di questa scelta che tra l'altro, a mio parere, dimostra una forte impotenza: chi è tranquillo, chi ha la coscienza a posto, chi è sicuro di sé va alla verifica e dà uno schiaffo in faccia ai critici. Questo non accade perché non lo potete fare.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Cecchini.

CRISTINA CECCHINI. Mi limiterò a un ragionamento esclusivamente politico, perché ritengo che le questioni poste dal decreto dal punto di vista giuridico siano corrette. Prova ne sia che tanto io quanto il collega Castelli avevamo presentato una proposta di legge per aggiustare la norma, non arrivare al 2006 e consentire ai cittadini marchigiani di dare un parere prima che fosse messo in piedi il meccanismo dell'Asur. Quindi non parlo tanto delle questioni giuridiche quanto di quelle politiche. Sulle questioni politiche la maggioranza si assume una responsabilità molto grave, non oggi. Il Presidente D'Ambrosio oggi ratifica, la responsabilità se l'assume tutta la maggioranza con una serie di atti che sono stati compiuti in questi mesi.
Il primo: il presidente della Commissione istituzionale non ha messo all'ordine del giorno le due leggi. Secondo: il consigliere Castelli, ai sensi del regolamento ha posto l'iscrizione in Consiglio regionale della norma e non si è mai arrivati a questa discussione. Terzo: il consigliere Castelli, con un emendamento alla finanziaria ha fatto discutere alla maggioranza se far avere o meno ai marchigiani lo strumento del referendum. Tutte queste cose non sono accadute, la maggioranza ha volutamente girato dietro il problema e oggi, giuridicamente, il Presidente D'Ambrosio fa un ragionamento ineccepibile. Allora parliamo di politica, parliamo del fatto che questa maggioranza, forte di avere costruito una riforma della sanità di cui si è fatta vanto — l'assessore ha ritenuto questo un punto nodale della politica di questa legislatura — ha però paura di andare alla verifica con i cittadini.
Nel merito cosa volete che diciamo? Ognuno, grosso modo, dopo qualche mese la pensa come prima. Personalmente io ritengo che sia stata una ulteriore centralizzazione della sanità marchigiana su Ancona: il fatto di avere espropriato i territori delle risorse, dei patrimoni la dice lunga su come si intende razionalizzare. Di fatto non siete in grado nemmeno di farlo, tanto è vero che dovete continuamente modificare quella norma perché è ingestibile, così scritta.
Possiamo qui tornare a una discussione già fatta? Non voglio impegnare questo Consiglio con un argomentare già sentito, voglio soltanto dire che questa maggioranza non ha il coraggio di affrontare i cittadini e male fa, perché ci poteva essere la buona fede della maggioranza nel pensare giusta questa riforma e lo si sarebbe visto in questi mesi quando, a fronte di proposte di legge, si poteva argomentare per poter emendare la legge 18 che, scritta così come dicono i giuristi, non lascia spazio. Era quindi chiaro che o si procedeva a una modifica della legge, oppure ci saremmo trovati di fronte a una difficoltà giuridica ben forte.
La maggioranza non ha il coraggio di questa sua scelta.
Nonostante la lettura fatta dal Presidente D'Ambrosio, il punto 3 di questo decreto "simpaticamente" la dice lunga su qual è lo stato dell'arte dal punto di vista non di un politico che ha votato contro quella legge e che quindi la ritiene sbagliata, ma dal punto di vista di un comitato tecnico-consultivo per la legislazione formato da Carli, Di Cosimo, Nori e Pastori, quindi persone che da sempre praticano il diritto e che la Regione ha ritenuto essere utili per supportare il Presidente rispetto a questa scelta delicata.
Cosa dicono questi signori? Dicono: "Va d’altronde considerato il fatto che si potrebbe ritenere che tale referendum non solo debba essere rinviato, ma non debba neppure essere più effettuato. L’art. 19 della L.R. 18/1980 prevede che, se prima dell’effettuazione del referendum la norma (rectius, la legge) o il provvedimento amministrativo o le singole disposizioni di essi, cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, il Presidente della Giunta, con proprio decreto, stabilisce che le operazioni relative non abbiano più corso"
Sentite come argomentano i giuristi: "La L.R. 13/2003, di cui si chiede l’abrogazione referendaria, in pochi mesi è già stata modificata tre volte e la prima modifica porta addirittura una data (28 ottobre 2003, data della L.R. 19, Assestamento del bilancio 2003, art. 13) anteriore a quella della delibera dell’Ufficio di Presidenza che ha dichiarato l’ammissibilità del referendum abrogativo (5 novembre 2003). La seconda modifica è stata introdotta dall’art. 11 della L.R. 20 gennaio 2004, n. 1; la terza, dalla legge finanziaria regionale per il 2004 (L.R. 2/2004, art. 38). Con tali modifiche si ampliano le competenze dei sindaci e dei direttori di zona e si limita l’accentramento delle funzioni amministrative nell’unica azienda sanitaria regionale (ASUR), prevedendo la obbligatoria nomina di (non più di quattro) coordinatori amministrativi di area vasta, comprendenti più zone territoriali (comma 6 ter dell’art. 28 della L.R. 13/2003, aggiunto dall’art. 38 L.R. 2/2004). E poiché il referendum, come si legge nella richiesta referendaria, è contro “l’estremo della Azienda unica” e vuole ricostruire, insieme ai Comuni (fra gli altri), “un sistema con al centro gli interessi del cittadino malato"...' ecc.
Perché ho letto? Perché addirittura i giuristi vi dicono che la norma, così, non sta in piedi, che l'avete modificata tre volte e che adesso abbiamo un'altra legge in campo e non sapete nemmeno voi che cosa state gestendo.
Voglio ricordarvi la vostra delibera del 5 agosto, dove di fatto avete costruito la XIV azienda. Però chiedo un atto di coraggio e assieme al consigliere Castelli, in quanto presentatore, come me, di una legge nel merito, presenteremo una mozione molto semplice, che ci potrebbe dare una via d'uscita ulteriore. Recita: "qualora il Parlamento nazionale prorogasse la data delle elezioni europee al 2006? il Consiglio regionale impegna il Presidente della Giunta a indire il referendum nel 2004".

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Modesti.

CATALDO MODESTI. Ritengo che la comunicazione del Presidente D'Ambrosio è ineccepibile sul piano politico e sul piano istituzionale, oltre che sul piano strettamente formale e giuridico. Non occorreva scomodare grandi esperti di diritto, perché era comprensibile a tutti noi, leggendo le norme, che sarebbe stato impossibile procedere allo svolgimento del referendum. Però non è questo che interessa noi, a noi interessa attenerci al rispetto scrupoloso delle regole, perché è questa maggioranza che avrebbe avuto tutto l’interesse a celebrare il referendum come occasione di vero confronto sulla politica sanitaria, tra il centro-sinistra e il centro-destra. Se fossimo stati animati da interessi di bottega avremmo fatto forzature, avremmo modificato la legge e avremmo costretto i cittadini marchigiani al referendum. Per senso di responsabilità e per rispetto delle istituzioni ci siamo attenuti con scrupolo alle regole che sono scritte. Un'altra cosa che pure bisognerà criticare, per quello che sta avvenendo a livello nazionale, è il malcostume di cambiare le carte in corso d'opera. Basti vedere il dibattito nazionale, la durata dei Consigli regionali, i doppi mandati, le quote per il sesso femminile, si sta discutendo, alla vigilia delle elezioni, di modificare le regole in corso d'opera. Questo è un attacco alla serietà delle istituzioni e una mancanza di responsabilità.
Sarebbe stata l'occasione di entrare nel merito, e allora sarebbe venuto fuori — ma i cittadini marchigiani già lo sanno — che c'è una sottostima da parte del Governo nazionale del fabbisogno sanitario di circa 10.000 miliardi di vecchie lire che grava sul nostro bilancio di circa 250 miliardi di vecchie lire all'anno, che sono quelli che mancano per dare una maggiore risposta alle liste d'attesa, a quei limiti, a quei difetti che la sanità marchigiana presenta. Ma noi sappiamo altrettanto bene che nonostante questi limiti siamo riusciti a contenere il disavanzo, siamo riusciti a non smantellare i servizi nel territorio regionale, a garantire i servizi anche nelle zone più disagiate, nelle zone montane e quant'altro. Voi lo sapete bene tutto questo, cari amici dell'opposizione. Nessuno può ignorare il fatto che della riforma sanitaria si è discusso per ben due anni in questa Regione, non un giorno. Quindi i cittadini marchigiani sono abbondantemente informati, quelli che vogliono essere informati, perché d'altra parte sono convinto che mentre voi concentrate tutta la vostra attenzione al referendum contrabbandandolo con l'azienda unica, in realtà la materia è molto più complessa, articolata, tutti noi sappiamo quanto sarebbe difficile, per un normale cittadino, avventurarsi in una discussione per capire i contenuti di dettaglio tecnico, organizzativo, della legge di riorganizzazione, ma nella sostanza politica i cittadini marchigiani hanno capito perfettamente come stanno le cose e vivono ogni giorno la loro esperienza e come sanno che il costo della vita è aumentato grazie alla politica del Governo Berlusconi, sanno che nel sistema sanitario non c'è stato nessun peggioramento, anzi rispetto alle difficoltà di carattere economico-finanziario c'è una sostanziale tenuta della qualità e dell'efficienza del servizio sanitario marchigiano.
Detto questo credo che nessuno, per lo meno fino a questo momento, ha colto negli aspetti fondamentali e positivi l'ultima parte dell'intervento del Presidente D'Ambrosio, che è quello che merita il vero approfondimento in questo dibattito, se vogliamo essere seri e rispettosi delle istituzioni. Il Presidente D'Ambrosio ha fatto affermazioni forti sul piano politico, ha detto che l'attuale normativa affida alle mani della maggioranza, del Presidente della Giunta, del Presidente del Consiglio la possibilità o meno di indire il referendum e questo non va bene, perché in materia delicata come i referendum (pronunciamenti del popolo) bisogna che le regole siano chiare prima, ma una volta che ci sono le regole l'interpretazione, quando c'è da interpretare, non può venire dagli organi politici in carica, che governano la stessa Regione, l'interpretazione deve avvenire da parte di organi terzi, come avviene per i referendum nazionali: si pronunciano la Cassazione, la Corte costituzionale. Quindi D'Ambrosio ha invitato tutti noi che siamo impegnati nella fase costituente del nuovo Statuto, ad affrontare con un'ottica diversa, nuova questa problematica. Quindi io colgo l'invito del Presidente D'Ambrosio, per fare in modo che questa problematica venga rivista.
Non c'è solo questo (la garanzia per tutti di un organo terzo che giudichi l'ammissibilità del referendum) ma c'è anche un problema che viene dopo, che non è normato nel nostro ordinamento: cosa avviene in caso di referendum e in caso di abrogazione di quella legge nella prassi quotidiana? Qual è il vuoto che si viene a determinare? Non è normato. Quindi metteremmo allo sbando, nella confusione più incredibile tutto il sistema.
Quindi, anziché fare propaganda o ripetere a iosa le solite argomentazioni che ci ripetiamo da anni, cogliamo questa occasione nella fase in cui siamo impegnati a riscrivere lo Statuto, poi entreremo meglio nel merito, secondo l'invito che faceva il Presidente D'Ambrosio che noi condividiamo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Massi.

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Penso che sia palese, dagli interventi del Presidente e del collega Modesti, la posizione scomoda di difesa che la maggioranza di centro-sinistra ha deciso di assumere in questo Consiglio su questa vicenda. Noi che veniamo dal "catenaccio all'italiana" sappiamo che la difesa non è una cosa indegna, può essere anche una cosa positiva, però è un catenaccio, non è una cosa molto spettacolare, caro collega Modesti. Purtroppo, quando si dice che qualche spazio di dibattito democratico è stato sottratto credo che non sia una bestemmia. La strategia che avete adottato non la condiviso, la combatto, ma la rispetto, perché è pur sempre una strategia. Non so quanto questo vi possa giovare: secondo me il confronto promosso anche da voi, sarebbe stato più utile anche per voi stessi.
Seconda cosa. Non mi nascondo dietro una foglia di fico e sottolineo anche oggi che non ho condiviso lo strumento "azienda unica", che l'ho combattuto in aula e fuori, che l'ho combattuto insieme agli altri amministratori, innumerevoli, del mio partito, ma anche del centro-sinistra sparsi per il territorio, e non ho difficoltà a dire che la nomina del dott. Aprile costituisce la classica nomina dell'uomo giusto per lo strumento sbagliato, ma ho anche un certo timore a dire queste cose, perché non vorrei che quando un funzionario, un dirigente — questo ci capita spesso — viene apprezzato dalla minoranza, venga considerato dalla maggioranza in un'ottica un po' diversa. Mi auguro che questo non sia. Dico che per questo strumento, che non condivido, l'"uomo-Aprile" è un uomo giusto, azzeccato, perché se aveste fatto ancora l'ennesimo blitz da fuori regione su una posizione come questa, avreste avuto la rivolta popolare, prima di tutto la rivolta anche nei vostri partiti.
E' quindi uno strumento che non condivido, però siccome anch'io vengo da una formazione burocratico-aziendalista, sottolineo il fatto che è un modello che voi avete scelto, un modello organizzativo, strategico, aziendale.
L'ansia che ho io nel valutare queste cose è la seguente. Se avete scelto questo modello andate fino in fondo, perché cercate di annacquarlo con altri parallelismi, altre sotto e sovrastrutture, i coordinatori provinciali ecc.? Voi avete scelto un modello che si può discutere, però è una scelta strategica, organizzativa. Esiste: se uno va a vedere i "modelli Bocconi" c'è anche quello che avete scelto voi. Benissimo, ma andate fino in fondo, perché l'incertezza non la dava il dibattito sul referendum, collega Modesti, l'incertezza negli operatori c'è perché tutto l'apparato organizzativo e aziendale della sanità delle Marche si chiede "come siamo governati, da chi?", tra agenzia, assessorato, dott. Zuccatelli, Aprile, adesso i quattro coordinatori provinciali ecc.
Questo è il problema: il referendum avrebbe consentito anche a voi di fare una valutazione su questa prima fase dell'attuazione, pur con tante contraddizioni. Ma non sto qui fare il fondamentalista dicendo "sbaglierete tutto". E' un modello in cui noi non abbiamo fiducia, l'uomo l'avete azzeccato, auguro a quest'uomo di lavorare bene e in sintonia con voi e di confrontarsi sempre positivamente, soprattutto con quella periferia di enti locali, di sindaci ecc. che chiedono di contare qualcosa.
Ricordatevi che la raccolta delle procedure referendarie è venuta fortemente dai sindaci che si sono sentiti i soggetti più penalizzati da questa vicenda, perché a loro sfugge il controllo sui servizi.
Credo che siano certi timori e certe ipocrisie a nuocere più di altre cose. Avete scelto un modello? Andate fino in fondo. Questa è una scelta di responsabilità, è una dialettica democratica, l'abbiamo contestata, verifichiamo cosa succede. Ripeto, l'uomo è azzeccato, che lo strumento funzioni, altrimenti anche l'uomo che avete azzeccato sarà in fortissima difficoltà.
Comunque prendo atto con un erto rammarico che il referendum si poteva fare, non sarebbe stato una cosa rivoluzionaria, avrebbe cimentato tutti quanti in un confronto dalla base al vertice e viceversa: forse sarebbe stato uno spazio democratico positivo da tutelare e giocare in difesa come avete scelto voi significa farvi gli auguri: in bocca al lupo, speriamo che la gente vi capisca.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giannotti.

ROBERTO GIANNOTTI. Più che dolerci di questa cosa, le opposizioni, oggi dovrebbero dire un grazie grande come una casa al Presidente della Giunta, perché credo che questo aspetto, questo pronunciamento antidemocratico, questo atto di arroganza della Giunta che si aggiunge alla politica fiscale, che si aggiunge allo sfascio sanitario, rappresenti la chiave di lettura rispetto alla quale ritengo che i marchigiani, oggi, abbiano tutti gli elementi per dire che questa Giunta deve essere mandata all'opposizione. Si può dire tutto e si può fare il contrario di tutto rispetto a tantissime questioni importanti, ma il fatto che questa Giunta regionale disconosce un istituto, il principale istituto di democrazia diretta, espressione della volontà popolare, la dice tutta sul riferimento democratico di questo Esecutivo. Voglio ricordare, come abbiamo ricordato ieri in conferenza stampa, che questo paese è nato su un pronunciamento popolare, cioè il primo atto politico di questo paese è stato il referendum fra monarchia e repubblica. Oggi la Giunta regionale vieta ai marchigiani di esprimere un giudizio su come deve essere organizzata la salute, la loro salute. Questo è il dramma. E' un dramma politico il fatto che la Giunta regionale, di fronte alla prima richiesta di referendum — questa è la prima richiesta di referendum su un tema qualificante, non marginale, perché non si parla del tempo di apertura di caccia alle allodole o dei passaggi pedonali nei comuni montani, ma si parla della salute — ha detto no e ha deciso di non dare voce ai marchigiani arrampicandosi sugli specchi, con una interpretazione della norma che non ci sta. Presidente D'Ambrosio, se lei avesse avuto il coraggio di parlare, dialogare con chi ha fatto questa legge, sarebbe stato meglio: le sembra giusto che il legislatore, chi ha solcato i banchi di questo Consiglio, abbia introdotto nello Statuto una norma che prevede la possibilità di fare il referendum due anni soltanto, in una legislatura? Perché l'interpretazione che i suoi uffici hanno dato e che lei ha confermato è questa: che solo in due dei cinque anni della legislatura si può realizzare il pronunciamento referendario. Infatti, se consideriamo le elezioni ad aprile, sei mesi dopo non si può fare, quindi sarebbe saltato il 2000, il 2001 è l'anno delle elezioni politiche e dottrina ormai acquisita dispone di non abbinare il referendum alle elezioni politiche: avremmo avuto solamente il 2002 e il 2003. Io dico che questo è un atto di arroganza che non sta in piedi. La norma andava applicata, andava interpretata per quello che vale, cioè il referendum non può essere fatto nei 365 giorni precedenti la data di svolgimento delle elezioni e cade anche il secondo assunto riportato nel suo decreto, perché il Governo ha fissato una data per tenere le elezioni regionali. C'è un periodo che non è più il 18 aprile cui si fa riferimento. Così come non è accettabile il terzo appunto contenuto nel decreto, quando dice che, avendo apportato tre modifiche alla legge... Lei ha apportato tre modifiche marginali e la marginalità sta nel fatto che le modifiche non le ha fatte con una legge ad hoc ma addirittura ricorrendo alla legge di bilancio, a dimostrazione dell'insignificanza.
Lei ha avuto paura del pronunciamento dei marchigiani, ha disatteso il diritto delle opposizioni di chiedere una verifica popolare, ha disatteso il diritto di 28 Consigli comunali che rappresentano 200.000 cittadini, di esercitare il diritto referendario così come previsto dallo Statuto, lei ha mortificato la volontà dei marchigiani di esprimere un giudizio sulla organizzazione di un servizio fondamentale per la loro vita, che è quello della salute. Rispetto a questo noi possiamo solo concludere che siamo al di là della censura politica, perché riteniamo che questo atto vada veramente condannato come un attacco alla democrazia in questa regione e i marchigiani stiano pur certi che comunque noi difenderemo fino alla fine il loro diritto di espressione e di parola.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Luchetti.

MARCO LUCHETTI. E' chiaro che un tema come questo non poteva che sfociare nella vecchia polemica che è stata oggetto di discussione allorché modificammo, con la legge 13, l'ordinamento della sanità. Ed è chiaro che questa richiesta fatta da parte della minoranza di discutere questa decisione non poteva che sfociare nella polemica, nel ritorno alla valutazione dei contenuti della legge 13, alla valutazione della sanità e ovviamente farne oggetto di polemica politica senza entrare nel merito che per la verità penso che la minoranza abbia appreso da tempo: non c'era nulla da dire nel merito di questo provvedimento. Ricordo a questo proposito anche che la precisazione di intendere questo anno nei dodici mesi era stata espressa anche dal collega Castelli quando, nella legge finanziaria, tentò di introdurre questa specificazione che non era compresa nella normativa vigente.
Oggettivamente era chiaro che il referendum non poteva essere svolto nel 2004, stante la data delle elezioni del 2005, poi c’era qualcuno che intendeva discutere su questa questione, ma generalmente il buon senso ci aiutava a capire che questo non poteva sussistere. Difatti, piuttosto che discutere su queste questioni del referendum, di come è stata prodotta questa decisione, i colleghi della minoranza sono ritornati alla polemica sulla sanità, rivangando vecchie questioni abbastanza sterili, nel senso che ormai sappiamo quali sono le posizioni intorno alla legge. Invece sono a ribadire la necessità che noi abbiamo di riformulare la normativa del referendum, cioè la necessità non solo di chiarire i termini dello svolgimento del referendum in quanto temporalità, ma c’è un problema di sostanza, perché questo strumento del referendum, che è uno dei pochi strumenti istituzionali in mano ai cittadini per poter far valere la loro volontà, rischia di diventare per la comunità stessa, se non disciplinato in termini corretti, un boomerang in termini giuridici, di normazione della vita comunitaria.
Il fatto stesso che il referendum sia stato posto ad abrogare un’intera legge la dice lunga su come questa normativa abbia dei limiti, nel senso che l’ordinamento, nel momento in cui si abroga un’intera legge, rimarrebbe acefalo, privo di ogni capacità ordinamentale in un settore come quello della sanità che, come ben comprendiamo, diventa essenziale nella vita di tutta la comunità. E’ quindi chiaro che questo aspetto è fondamentale e deve essere disciplinato, perché non è accettabile che una norma di questo genere possa porre in crisi un intero settore di attività, un intero settore dei servizi. Credo che sia uno degli aspetti da normare, in modo tale che il referendum possa avere efficacia senza porre l’ordinamento in questa situazione. Non sarà una cosa facile, però credo che dobbiamo riflettere su questa questione, perché non è peregrina e credo che sia uno dei motivi per cui dobbiamo rivedere la legge. La legge sul referendum, secondo me, ha più possibilità di essere efficace nel momento in cui si colgono degli aspetti che non riguardano i fondamentali di un settore, perché non avrebbe un’efficacia corretta, si dovrebbe inevitabilmente ripristinare una legislazione che per certi versi troverebbe vacante completamente un settore nel caso in cui venisse cancellata l’intera normativa.
Colgo l’occasione di questa relazione del Presidente che tiene conto di queste necessità. Dato che ci troviamo in un’epoca favorevole da questo punto di vista, perché stiamo rivedendo lo Statuto, potremmo anche normare meglio la questione. Ripeto, non è un fatto strumentale rispetto alla libertà di utilizzo del referendum. E’ chiaro che in questo caso ci troviamo di fronte ad una questione che suscita queste problematiche.
Per quanto riguarda la questione della strumentalità politica non possono non trovare risposta alcune osservazioni fatte. Io ho capito una cosa: che la minoranza cavalca l’onda della protesta di alcuni settori. Di fronte alle scelte della sanità è difficile non trovare gente disposta a protestare, perché l’esperienza ci ha insegnato che non si troverà mai un consenso generalizzato allorché si mette mano ad una riorganizzazione così importante come quella della sanità, che attiene le questioni di territorialità dei servizi, di organizzazione dei servizi. Anche questa mattina è rimbalzata la questione della “anconetanità” della sanità, quasi che Ancona fosse qualche cosa di avulso. Non so perché la Cecchini ripete sempre questo disco. Concentrare da qualche parte un centro di eccellenza non credo che faccia schifo agli anconetani: se questa centralità è a supporto di servizi reali, di servizi efficaci è ora di farsela finita. Prego i colleghi di altre province di smetterla con questa questione, anche perché Ancona ha dimostrato ampiamente, con la legge 13, di non giocare al campanilismo. Per cortesia smettiamola. Vorrei che fosse una volta per tutte sfatata questa questione, perché non è accettabile che a fronte della sanità, dove indubbiamente le tecnologie, i servizi vanno verso una concentrazione per offrire una qualità maggiore, si tiri fuori sempre questa questione che non c’entra assolutamente nulla, soprattutto se la dobbiamo rapportare alla cura delle acuzie più complicate.
Riprendendo il concetto della strutturazione della nostra sanità, credo che quello che si è varato è un modello su cui tutti hanno delle perplessità, ma comunque viene incontro all’esigenza di razionalizzare il sistema, che troverà nei suoi adempimenti l’efficacia necessaria e speriamo di dimostrare che queste scelte portino vantaggio non solo alla economicità, ma speriamo che si elevi la qualità dei servizi mantenendo quei criteri di economicità che sono necessari nella organizzazione della sanità.
Ecco perché credo che un referendum di questo tipo sia unicamente strumentale, anche perché chi lo propone, non propone qualche cosa di alternativo. Non si è mai capito cosa vuole la minoranza rispetto al modello, perché in sede di approvazione ne avete detto di tutti i colori, avete proposto 40 modelli, invece rispetto al modello che si è definito sarebbe stato opportuno capire qual era l’alternativa. Ma anche lì, quando uno parla dell’alternativa c’è sempre il rischio di prendersi delle responsabilità.
Rispetto alle cose che si sono dette, credo che vada rigettata soprattutto la strumentalità con cui sono state affermate. Noi riconfermiamo l’adesione alla decisione del Presidente, che credo sia corretta dal punto di vista normativo e colga l’essenzialità dello spirito che l’attuale legge del referendum prevede.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Castelli.

GUIDO CASTELLI. Primo punto che credo valga la pena di sottolineare: l’iniziativa è dei Comuni, caro Luchetti. Questo non è un particolare di secondaria importanza, in quanto l’istituto di partecipazione prevede che i Comuni possano promuovere la richiesta, sicché ogni indebita esecrazione delle iniziative dei partiti si scontra comunque con un dato che è grave: ritenere figli di un Dio minore i Comuni che hanno proposto l’iniziativa. Punto secondo: è una scelta politica quella di non fare il referendum, perché io, diversamente da Giannotti, ritengo che il parere sostanzialmente sia corretto. Proprio per questo ho fatto una legge, ma proprio per questo per ben due volte il sottoscritto ha dato a questa maggioranza la possibilità di scegliere se superare il tecnicismo che oggi impedisce la celebrazione del referendum. E’ successo il 9 febbraio 2004, nel momento in cui ho proposto un emendamento alla finanziaria che pari pari riprendeva il testo della mia legge. L’ho riproposto il 24 febbraio quando, iscritta la legge all’ordine del giorno, ne ho chiesto anche la discussione d’urgenza e per la seconda volta questa maggioranza, legittimamente, ha detto no. Sicché sono d’accordo con il parere: dobbiamo essere onesti intellettualmente e dire “la maggioranza ha scelto una strada diversa”. Quello che non si può accettare, è che qualcuno, come Modesti e Luchetti, dica “attenzione all’implicita valenza sfascista di un referendum che lascerebbe in brache di tela questo territorio”. Questo è un argomento veramente inesistente, per un semplice motivo: che questa legge andrà a regime fra due anni; che questa legge, nel caso in cui oggi il referendum avesse detto no, non avrebbe prodotto alcun effetto, proprio perché quel famoso giugno del 2003 avete deciso di differirne gli effetti al 2005. E allora, questa è veramente una “pacchianata”. Invocare che “le oscure forze del male”, di Mordor per chi conosce “Il Signore degli anelli”, volevano in qualche modo mettere tritolo e dinamite sotto gli scanni e le poltrone dei direttori delle zone, è sicuramente un argomento politicamente irrilevante, proprio perché c’è quel tipo di discorso che era un differimento voluto, studiato, al quale vi siete appellati proprio per dimostrare come quella mediazione di giugno avesse prodotto la necessità, comunque, di un assestamento. Quindi questo referendum non produceva quegli effetti.
Ancora più significativo, a mio modo di vedere, dal punto di vista politico, è il fatto che gli stessi “saggi” che hanno steso il parere, abbiano detto “questa legge è stata modificata più volte”. Innanzitutto i “saggi” dimenticano che le vere e significative modifiche non sono quelle menzionate nel parere, ovvero l’assestamento e la finanziaria; la vera modifica capitale della legge — ed è questo il fatto grave — è quella della delibera di Giunta del 5 agosto la quale cambia la legge, modifica la struttura normativa del provvedimento, prevedendo una fusione per incorporazione che non si determina ipso facto nel giugno del 2003 ma che viene differita nel tempo con l’introduzione della Asl ulteriore. Allora c’è da dire che da un punto di vista politico questa manovra, che era stata salutata con il significativo e suggestivo slogan “il governo della salute”, in realtà si permea di una filosofia che è il contrario della democraticità e della partecipazione: è un governo autocratico, è un governo zarista. E’ un governo autocratico nel momento in cui sottrae potere al Consiglio modificando una legge di questo Consiglio attraverso provvedimenti di Giunta, primo segnale e campanello non solo sintomatico di illegittimità ma sintomatico di volontà politica di sottrazione di quote popolari di decisioni e possibilità di interferire su questo modello. Inoltre si dice no al referendum. Attenzione: un referendum promosso e richiesto da Comuni, relativamente a un provvedimento di legge che era stato fieramente avversato da sindacati — almeno due fra i tre più importanti, Cisl e Cgil — che le autonomie locali avevano fieramente avversato, non solo della Casa delle libertà ma anche nella persona di sindaci importanti della sinistra marchigiana, non ultimo il sindaco di Ancona Sturani. Una legge, quindi, che già allora era stata partorita nel contrasto popolare, che viene modificata nelle segrete stanze della Giunta violando il principio della gerarchia delle leggi e su cui viene addirittura rifiutato il giudizio popolare, un giudizio popolare che non avrebbe prodotto problemi di natura organizzativa proprio per la operatività della norma che differisce al 2005-2006 la vigenza della legge.
C’è tutto un quadro per poter dire che questa è una sinistra che ha paura del popolo. Mi avevano insegnato, nella vulgata che insegnavano — ma che non ho imparato, evidentemente — alle elementari, che la sinistra stava con il popolo, invece la sinistra sicuramente è zarista in questo caso — se mi è consentito invocare i vostri sacri miti — perché si sottrae alla volontà popolare, sottrae quote all’Assemblea elettiva e soprattutto, quel che è più grave, cerca di costruire un modello autocratico che è esattamente il contrario delle sue premesse ideali.
Bene abbiamo fatto con il consigliere Cecchini a presentare l’ordine del giorno, che in qualche misura riflette l’antico adagio che “il diavolo è bravo a fare le pentole ma generalmente si dimentica di fare i coperchi”. Se il caso volesse che dalle discussioni vi fosse davvero il differimento delle elezioni regionali — senza entrare nel merito dell’opportunità e della legittimità di questa norma — potremmo davvero fare questo referendum nel 2004.
Se è vero che la sua opinione, Presidente D'Ambrosio, si basa esclusivamente su un fatto giuridico e non politico, ci voti questo ordine del giorno che chiarirebbe un fatto: che in quella ipotetica eventualità i cittadini potrebbero esprimersi. (Interruzione). Lei ha fatto il decreto, quindi ha messo una pietra tombale sulla possibilità di celebrare il referendum nel 2004 e noi Consiglio regionale l’autorizziamo a farlo, se del caso attraverso una modifica di legge immediata, ma il fatto politico è importante: ic rodus ic salta, dicevano gli antichi, caro Presidente D'Ambrosio. Se lei vota questo ordine del giorno, evidentemente, in parte almeno, mi sono sbagliato; se lei non lo dovesse votare, probabilmente rafforzerò anche i miei dubbi politici sulla popolarità, soprattutto sul rispetto democratico che lei ha del suo popolo governato in questo decennio.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Novelli.

SERGIO NOVELLI. Mi sembra superfluo parlarci addosso per dirci che il referendum non lo volete fare, cosa che sembra a me abbastanza evidente, anche perché il collega diceva che non dissente dal parere. Secondo me il parere ha un limite interpretativo nel momento in cui fa riferimento al periodo di programmata celebrabilità delle elezioni regionali che è battuto in breccia dal fatto che, con la nuova configurazione che hanno avuto le elezioni del nuovo Consiglio regionale, in qualunque momento c’è incertezza circa la data del rinnovo. Se il Presidente D'Ambrosio si dimette domani mattina da Presidente della Giunta regionale, si vota ad ottobre. Ma la mera eventualità che possa avvenire il rinnovo dal primo aprile dell’anno venturo, non credo possa essere promossa ad una retrocessione cronologica del divieto di celebrare il referendum, perché ove così fosse, la mera eventualità della celebrazione delle elezioni, sarebbe un limite costantemente presente alla celebrazione del referendum.
Al di là di questo, non dico neanche che è un decreto, quindi impugnabile al Tar, ma dico che c’è una scelta politica a monte di una maggioranza che ha la consapevolezza che il referendum lo perderebbe. Ove così non fosse, ove ci fosse la mia speranza, da parte della maggioranza consiliare, di poter avere l’avallo popolare... Ricordo un altro dettaglio di quello sciagurato giugno in cui abbiamo — avete — approvato l’Asur: fu la sostanziale cassazione della proposta di legge di iniziativa popolare dei cittadini del Fermano, che fu rinviata a cose fate e poi alla fine si è detto “visto che ormai le cose sono fatte non ne parliamo più”. La volontà di procedere nelle segrete stanze e nell’ambiente rigorosamente della cupola politica sulla scelta della Asur, traspare anche da questo passaggio. Da questo punto di vista mi sembra retorica la domanda del collega quando dice “voglio vedere se firmerete l’ordine del giorno”. E’ evidente che se c’era una volontà di confronto con il popolo che è stato definito “suddito”, diversamente ci si sarebbe contenuti.
E’ chiaro che voterò l’ordine del giorno, anche se mi sembra che il problema non sia la proroga, che io ritengo difficilmente concepibile, del mandato di questa legislatura, ma mi sembra di affermare il principio che se le elezioni, ovviamente, si svolgeranno non il primo aprile dell’anno venturo ma in una data successiva a quella di calendario in cui furono svolte le elezioni dell’inizio di questa legislatura, vi trovereste a sancire il principio che il referendum si può fare non nell’anno precedente ma nell’anno e mezzo precedente le elezioni. Dimostrazione di poca fiducia nella democrazia diretta e nella partecipazione popolare, che traspare anche da quello che è stato fatto in sede di approvazione. Qualcuno ha detto che l’abrogazione creerebbe il caos. Assolutamente no. In sede di approvazione della legge l’opposizione presentò vari emendamenti a 4, a 5, a 12 aziende. Il referendum abrogativo non comporta l’abrogazione degli emendamenti contrari al testo approvato, comporta semplicemente la soppressione della Asl unica e la reviviscenza dello status quo ante che, tra l’altro, come è stato giustamente ricordato, vive attualmente in regime di prorogatio, se non per quegli aspetti marginali relativi a patrimonio e zone.
Per cui il ripristino dello status quo ante, che non fu brillante, ma gestito anche da chi ne aveva l’incarico — bolscevico in questo caso — di gestione perché aveva avuto la maggioranza. Se anche questo ritorno vi allarma, evidentemente quando gridate all’allarme e al caos, il caos che temete è la gestione vostra pregressa. Posso condividere sulla valutazione caotica circa il passato, mi sorprende la pervicace decisione di rifiutare ogni confronto con il popolo elettore che, come rammenterete, in un lontano aprile di quattro anni fa vi ha pur sempre eletto. Mi rallegra il fatto che siate convinti che quel popolo che sbagliò allora a votarvi, sia assolutamente indisponibile a sbagliare ancora sull’eventuale referendum per l’azienda sanitaria unica.

PRESIDENTE. Sono pervenute due proposte di risoluzione, una firma Cecchini e Castelli e l’altra a firma Pistarelli.
Ha la parola, per dichiarazione di voto, il consigliere Pistarelli su entrambe le proposte di risoluzione.

FABIO PISTARELLI. Non so se la collega Cecchini sta ascoltando i lavori dell’aula, ma dovrebbe intervenire, perché penso che sia suo diritto, essendo stata anche lei firmataria di una proposta di risoluzione.
Per quanto riguarda la proposta di risoluzione dei colleghi Cecchini e Castelli, il discorso del differimento della data delle elezioni ci permetterebbe rebus istantibus, con il suo parere, Presidente, di indire il referendum entro l’anno in corso, quindi questa proposta di risoluzione è semplicissima, basta avere la volontà politica. Tecnicamente è inappuntabile.
Per quanto riguarda la seconda proposta, quella a mia firma, chiedo che comunque l’aula impegni la Giunta, dia mandato alla Giunta di predisporre una proposta di legge che chiarisca i termini più contestati o comunque problematici, come anche il collega Modesti sottolineava, della nostra legge di effettuazione del referendum, perché la legge è del 1980, molte cose sono cambiate, anche le esigenze sono cambiate: sono quelle di una regolamentazione in favore di un certo tipo di strumento, perché anche il quadro nazionale è cambiato sotto questo profilo. Chiediamo allora che la Giunta regionale, nei più brevi termini possibile possa proporre, al di là delle proposte che già sono giacenti, una legge regionale di modifica della 18/1980, basata su due principi. Primo, la facilitazione dell’attivazione delle procedure di referendum, semplificando. Secondo, i termini: chiariamo una volta per tutte che fino a sei mesi prima c’è il “semestre bianco”, ma l’anno bianco non l’ho visto mai da nessun’altra parte. Fino a sei mesi prima dalle elezioni si possono effettuare referendum. Perché questo anno? Poi anno solare, anno politico, anno di calendario, anno di interpretazione che è anno e mezzo. Anche se dovesse essere il 2006, se si riaprisse la procedura saremmo fuori dei termini, secondo questo parere, dice il Presidente D'Ambrosio argutamente ma furbescamente.
Fatela voi, come Giunta, una proposta di legge, fateci vedere che al di là dei codicilli siamo dalla parte della possibilità di effettuazione del referendum e dell’esercizio del diritto al referendum da parte dei cittadini. Questo è un segnale importante, anche se abbiamo dei precedenti molto negativi. Ricordo il referendum del povero paese di Genga i cui cittadini votarono quasi all’unanimità contro l’istituzione dei parco nel proprio comune, ma la Giunta e poi il Consiglio votarono comunque l’istituzione del parco. Perciò i referendum, tante volte anche se si indicono, non vengono neppure rispettati, quando non fanno comodo. Qui addirittura non si indicono neppure, quindi non ripeto le considerazioni dei miei colleghi, chiedo che sulle due proposte di legge che sono tecnicamente inappuntabili e politicamente da condividersi da parte di tutti, ci si esprima all’unanimità.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Grandinetti.

FABRIZIO GRANDINETTI. Noi facciamo delle considerazioni un po’ diverse da quelle fatte finora in aula, che sono non dissimili ma complementari. Ci troviamo di fronte, in prossimità della scadenza di una legislatura, anzi direi di due legislature che si sono succedute con una politica piuttosto simile, a dei risultati che sono sotto gli occhi del popolo marchigiano: la tassazione più alta d’Italia, una situazione di invasione negativa della sanità su un bilancio che è ormai sclerotico, ingessato e non può più essere usato per sviluppare la società e l’impresa marchigiana, una situazione che è apparentemente innocente, ma sotto l’etica politica discutibile, di consulenze e incarichi dati a raffica, che non rappresentano certamente una consuetudine positiva nella società civile e nemmeno nella politica. Nelle istituzioni viene usato il denaro del cittadino, mentre nel privato vengono usati i soldi dell’imprenditore, ma in questi giorni abbiamo anche visto la commistione della politica con una grossa azienda privata.
Ebbene un fallimento forte nei comparti più importanti che hanno caratterizzato questa politica, il fallimento di due legislature. Una situazione difficile che si potrebbe anche protrarre da quello che si dice, e sarebbe veramente il “bollito ben cotto” se arrivasse al 2006. Chi prenderà questa eredità avrà grossissimo problemi nel governare, quindi ci vuole competenza, non ci deve essere improvvisazione, occorre gente che abbia la voglia veramente di sollevarsi con tanta fantasia e tanta creatività per uscire fuori da questa spirale negativa: il cittadino più tassato, una delle situazioni peggiori di bilancio, una sanità male organizzata. Prima diceva il collega Brini che ha fatto qualche tentativo per capire per quale motivo è stata organizzata così e ha fatto riflessioni legittime che ha posto all’attenzione dei marchigiani e del Consiglio regionale.
A questo punto perché non fare un confronto su questo importante comparto per vedere se è vero quello che ho detto diverse volte in quest’aula, cioè che le Marche sono contro la Giunta? Perché i sindacati, i partiti, le critiche all’interno della coalizione, le associazioni, tutto il mondo che rappresenta la società civile e politica maceratese si è schierato — anche importanti componenti del centro-sinistra — improvvisamente contro la Giunta delle Marche. Cosa significa?
Cerchiamo di vedere se a questa ostilità evidentemente motivata, di questo mondo, risponde anche il cittadino marchigiano che vota un referendum e mette in minoranza, nei fatti, questa Giunta. Invece no, la Giunta rifiuta perché il fatto non è tecnico ma è di origine politica, quindi dice “no, non si può fare”, con un cavillo piuttosto discutibile.
Ritengo che adesso abbia una funzione importante l’opposizione nel cercare spazio nei mass-media, in modo che tutti sappiano che è stato negato il diritto di misurarsi su un comparto importante e determinante, che interessa degli utenti in difficoltà, che è stato negato il diritto di misurarsi sull’organizzazione della sanità marchigiana. Il rifiuto di questo confronto non può essere all’infinito, perché poi si arriverà nel 2005 o pochi mesi dopo, al confronto sotto altri aspetti. Queste cose ce le ricorderemo.
Dispiace veramente che quando si parla, anche a livello nazionale, della necessità di trovare un modo di confrontarsi da avversari e non certamente da nemici, si rifiuti un mezzo della democrazia che tante volte avete vantato e ritenuto molto utile. Quel referendum sarebbe il primo tra la VI e la VII legislatura, dunque una situazione negata, una democrazia offesa e negata: è negata al marchigiano la possibilità di esprimersi su un comparto importante. I marchigiani, uno ad uno, devono sapere quello che è successo in quest’aula, quello che ha deciso la Giunta regionale delle Marche.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Gasperi.

GILBERTO GASPERI. Ho ascoltato con interesse la relazione del Presidente D'Ambrosio, ma obiettivamente è stata più trattata a livello tecnico che politico. La richiesta che è stata fatta dalla Casa delle libertà non ha solo un risvolto tecnico ma ha un risvolto politico, visto e considerato che il problema che deve essere trattato è quello della sanità ed è stato al centro del dibattito di ben due legislature, questa e quella precedente, tanto è vero che la cosa più intelligente che è stata fatta allora dall’assessore alla sanità è stata quella di candidarsi al Senato dopo qualche mese dall’approvazione della legge, andandosene dalla Regione Marche, proprio per non rispondere in prima persona alle problematiche che si erano venute ad avere.
In questa legislatura il capovolgimento è stato ancora maggiore: al centro della questione non era la sanità ma il patrimonio che aveva la sanità delle marche attraverso gli immobili, i terreni e tutto un patrimonio delle vecchie Irab, che viene direttamente riportato a un centro unico, dando in questa maniera la possibilità andare a rapinare i vari territori della regione Marche del patrimonio lasciato dalle vecchie famiglie e dai benefattori, a beneficio di coloro che hanno dei problemi e non hanno un risvolto economico più che soddisfacente.
Noi abbiamo chiesto questo referendum, proprio perché c’è una regola fondamentale della politica: che tutto sia portato direttamente alla gente, al popolo, a coloro che ci hanno eletto. Siccome c’era un certo dissidio su questa legge, era indispensabile che ci fosse una risposta e che fosse data direttamente dal popolo attraverso questo quesito. Ecco perché sono contento di queste proposte di risoluzione. Voterò a favore di entrambe, perché c’è una novità: nel caso in cui ci fosse una proroga è normale che verrebbero a cadere i presupposti sul piano prettamente tecnico e allora è giusto che la risposta politica venga data nel caso in cui le elezioni regionali siano spostate al 2006. Questo è quello che chiedono i cittadini, questo è quello che noi dobbiamo dare come risposta, perché non possiamo assolutamente prevaricare il principio della democrazia, proprio perché il dibattito che c’è stato in aula, durato per tanto tempo, non ha fatto altro che rimandare sempre la presentazione della legge proprio perché non c’era assolutamente assonanza da parte dei partiti che compongono la maggioranza. Nel gioco del compromesso viene il dubbio — che è una realtà presente in politica e nella democrazia — che i giochi siano stati fatti per avvantaggiare il singolo. Siccome noi sediamo in questo consesso solo ed esclusivamente per cercare di portare vantaggio alla comunità marchigiana, credo che l’unica soluzione sia quella di sottoporre il quesito alla stessa comunità marchigiana, per avere una risposta sicura se questo impatto e questa situazione, questo compromesso che avete fatto nell’ambito della sanità sia accettato dai cittadini marchigiani.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di risoluzione a firma Castelli e Cecchini.

CRISTINA CECCHINI. Chiedo la votazione per appello nominale a nome anche dei consiglieri Castelli e Romagnoli.

PRESIDENTE. Prego di procedere alla votazione per appello nominale, a partire dal n. 1.

GILBERTO GASPERI, Consigliere segretario. Procedo alla chiama:
Agostini no
Amagliani assente
Amati no
Ascoli no
Avenali assente
Benatti no
Brini sì
Castelli sì
Cecchini sì
Ceroni assente
Cesaroni sì
Ciccioli sì
D’Ambrosio no
D’Angelo no
Donati no
Favia assente
Franceschetti no
Gasperi sì
Giannotti sì
Grandinetti sì
Luchetti no
Martoni no
Massi sì
Melappioni no
Minardi assente
Modesti no
Mollaroli no
Moruzzi assente
Novelli assente
Pistarelli sì
Procaccini no
Ricci assente
Rocchi no
Romagnoli sì
Secchiaroli no
Silenzi no
Spacca no
Tontini no
Trenta assente
Viventi assente

Il Consiglio non approva

Pongo in votazione la proposta di risoluzione presentata dal consigliere Pistarelli.

Il Consiglio non approva



Mozione (Svolgimento): «Centri di permanenza temporanei per i migranti delle Marche» Ricci (306)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la mozione n. 306 del consigliere Ricci, che ha la parola per l’illustrazione della stessa.

ANDREA RICCI. Questa mozione è stata presentata nel mese di ottobre dello scorso anno, quando da notizie di stampa si apprendeva la volontà, da parte del Ministero dell’interno e del Governo, di realizzare un centro di permanenza temporanea per gli immigrati nella nostra regione. Eravamo allora in una fase in cui la “legge Bossi-Fini” sull’immigrazione cominciava ad essere sistematicamente attuata nel nostro paese. Noi allora ritenevamo necessario che il Consiglio regionale assumesse una posizione chiara e netta, sia rispetto alla “legge Bossi-Fini” sull’immigrazione, sia rispetto all’eventualità che nella nostra regione venissero aperti i centri di permanenza temporanei.
Sulla legge crediamo che questo Consiglio regionale debba esprimere la condanna nei confronti dell’indirizzo repressivo e discriminarono introdotto nell’ordinamento del nostro paese. Una legge che viola gli elementari diritti della popolazione immigrata, condizionando la presenza sul territorio nazionale da parte dei cittadini migranti al contratto di lavoro e in questo modo rendendo questi cittadini e questi lavoratori ricattabili continuamente da parte dei loro datori di lavoro. Ma l’aspetto ancora più grave e preoccupante di quella legge erano le ulteriori strette repressive che essa comportava, attraverso una nuova e più pericolosa funzione riservata ai centri di permanenza temporanea, già istituiti, peraltro, dalla precedente legge approvata dalla maggioranza di centro-sinistra. I centri di permanenza temporanea infatti, rappresentano una violazione palese dei fondamentali diritti umani, perché “imprigionano” persone che non hanno commesso nessun tipo di reato, esclusivamente perché non hanno ancora ricevuto l’autorizzazione a soggiornare nel nostro paese. Inoltre le notizie sul reale funzionamento di queste strutture già operanti sul territorio nazionale dimostrano che questi centri di permanenza temporanea sono gestiti nel più totale disprezzo dei diritti umani all’interno della struttura. Sono numerosi i casi di denuncia di atti e di comportamenti lesivi delle persone detenute in questi centri, sono diverse le inchieste della magistratura già aperte per centri di permanenza temporanea, al cui interno i diritti di libertà vengono conculcati continuamente.
La Giunta regionale, in modo informale ma pubblicò, affermò allora che non era a conoscenza di alcun progetto da parte del Governo, di istituzione nella nostra regione di un centro di permanenza temporanea ed espresse attraverso il Presidente della Giunta la propria contrarietà ad ogni eventuale apertura di centri di permanenza temporanea. In quell’occasione la Giunta regionale, in conformità con le linee programmatiche generali di questa maggioranza regionale, sostenne che l’immigrazione nella nostra regione non poteva essere affrontata in termini di emergenza, di ordine pubblico e di repressione, poiché l’immigrazione rappresenta, dal punto di vista culturale innanzitutto, ma anche dal punto di vista sociale ed economico, una ricchezza per la società marchigiana. Quindi il problema dell’immigrazione andava affrontato con un’ottica opposta rispetto a quella presente nella “legge Bossi-Fini”, che fa da sfondo all’istituzione dei centri di permanenza temporanea. Deve essere affrontata attraverso i potenziamento delle strutture di accoglienza e dei servizi materiali e immateriali che le persone immigrate debbono avere nella nostra regione. Purtroppo le vicende di queste ultime settimane hanno confermato che le preoccupazioni che sei mesi fa circolavano nella società marchigiana erano vere e reali. Infatti soltanto pochi giorni fa la collettività marchigiana è venuta a conoscenza, dalla stampa, della decisione del Comune di Corridonia, in provincia di Macerata, di realizzare nel proprio territorio un centro di permanenza temporanea. Le modalità attraverso cui la collettività marchigiana, comprese le istituzioni locali e regionali, sono venute a conoscenza di questo progetto sono sconcertanti.
A quel che è risultato — e oggi chiediamo conferma alla Giunta regionale della veridicità di questo punto — la realizzazione eventuale di un centro di permanenza temporanea nel comune di Corridonia non ha visto alcun tipo di coinvolgimento e di informazione da parte dei Comuni limitrofi della provincia di Macerata e della regione Marche, nonostante che sia evidente che il centro di permanenza temporanea che si vuol realizzare a Corridonia non può essere delimitato a faccenda municipale o locale, ma investe una problematica e svolgerebbe una funzione concreta di dimensione provinciale e regionale.
E’ risultato che il progettato centro di permanenza temporanea di Corridonia è il frutto di un rapporto diretto ed esclusivo tra il Ministero dell’interno, il Comune di Corridonia e la ditta appaltatrice dei lavori. Credo che questo sia un fatto grave che debba portare la Regione Marche ad esprimere una formale protesta, innanzitutto nei confronti del Governo e poi anche della stessa Amministrazione comunale di Corridonia per la mancata informazione preventiva e per il mancato coinvolgimento in una decisione che investe l’intera comunità regionale.
Il Comune di Corridonia aveva programmato di dare il via libera a questo progetto in un Consiglio comunale che si è svolto la scorsa settimana e che aveva all’ordine del giorno l’approvazione della variante al Prg di quel Comune per rendere possibile la realizzazione del centro di permanenza temporanea. In quell’occasione varie componenti della società marchigiana, in primo luogo quelle protagoniste dell’ampio movimento “altromondialista” che anche nella nostra regione è presente e vivo, ma insieme ad esso gran parte della popolazione dello stesso comune di Corridonia, ha voluto esprimere, con una manifestazione di protesta pacifica e civile, la propria contrarietà al progetto e soprattutto la propria contrarietà rispetto all’atteggiamento antidemocratico dell’Amministrazione e del Governo, che avevano impedito, fino allora, ogni tipo di discussione pubblica e di informazione.
Riteniamo che in quell’occasione sia avvenuto un fatto grave che la dice lunga sul clima repressivo che nel nostro paese, in questi ultimi tempi, va dilagando in modo preoccupante. Infatti abbiamo assistito ad un intervento delle forze dell’ordine, della polizia nello specifico, che ha bruscamente interrotto il Consiglio comunale in corso aggredendo e caricando dei manifestanti che chiedevano di trasformare quel Consiglio comunale in un’assemblea pubblica e aperta per garantire la più ampia informazione e partecipazione della cittadinanza di Corridonia e più in generale della collettività regionale, ad una scelta così grave come quella che si voleva compiere.
In questo senso ritengo che sarebbe necessario che la Regione Marche esprimesse la condanna per questo comportamento delle forze dell’ordine ed esprimesse quindi la volontà di assicurare anche nello svolgimento delle funzioni istituzionali, la partecipazione democratica dei cittadini, dei movimenti, delle associazioni a decisioni che riguardano l’interesse comune.
Credo, infine, che è necessario, in questa occasione, esprimere definitivamente, attraverso l’approvazione di una mozione, la contrarietà della Regione alla realizzazione di centri di permanenza temporanea non solo nel comune di Corridonia ma in qualsiasi altro comune della nostra regione. Crediamo che sia necessario impegnare la Giunta regionale ad assumere tutte le iniziative politiche ed istituzionali nei confronti dei soggetti interessati — Governo e Comune di Corridonia nello specifico — per impedire la realizzazione del programmato centro di permanenza temporanea in quel comune.
Da questo punto di vista chiediamo alla Giunta regionale di rimanere fedele alle linee programmatiche che hanno guidato finora la sua azione in merito al problema dell’immigrazione: non un problema ma un’opportunità, non una questione che può essere affrontata in termini repressivi ma una questione che deve essere affrontata in termini di integrazione nel rispetto delle differenze culturali e di accoglienza e che quindi deve vedere un impegno forte e costante per creare quelle strutture e quella rete di servizi e anche quel clima di tolleranza, di civiltà, di integrazione e di riconoscimento delle differenze che deve caratterizzare la nostra comunità regionale.
Mi auguro che su questa questione vi sia un’espressione vasta di questo Consiglio regionale, tanto più tenendo conto che l’iniziativa dell’Amministrazione comunale di Corridonia pare, almeno alla luce delle notizie di stampa, non trovare il consenso di alcuna delle forze politiche presenti all’interno di questo Consiglio regionale.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. Ad eccezione dell’ultima considerazione del consigliere Ricci, che diceva “tutte le forze politiche sono contrarie” — penso che si riferiva alle forze di opposizione — per il resto, come Forza Italia non condividiamo una virgola della sua relazione. Innanzitutto, rispetto alla condanna delle forze dell’ordine, noi esprimiamo con forza la più viva solidarietà di chi è impegnato, in questi momenti difficili, non solo in quella circostanza in cui hanno dovuto difendere e tutelare la legge, ma soprattutto per l’impegno che stanno portando avanti nel nostro territorio con difficoltà quotidiane anche di organici, come spesso viene denunciato.
Noi siamo distanti da quello che diceva Ricci, perché a nostro avviso distorce la legge, distorce i fatti avvenuti a Corridonia e nega anche i risultati della “legge Bossi-Fini”. Non bisogna parlare a senso unico su un problema così difficile e delicato. Sul caso specifico stiamo parlando di un centro per la detenzione di extracomunitari clandestini, non parliamo di gente con giacca e cravatta che viene nel nostro paese e chiedere lavoro, a cercare benessere per le loro famiglie, ma stiamo parlando di clandestini e non mi meraviglia che Rifondazione comunista, ancora una volta, si schieri a fianco di questa gente clandestina che a volte porta violenza, droga, prostituzione. E’ molto facile far presa su della gente comune, della gente normale, caro consigliere Ricci. Corridonia ha detto no per un altro fatto, non per quello che lei ha esposto, perché ha anche condannato chi ha tentato di occupare. Non è la prima volta che simili atteggiamenti si registrano nei Consigli comunali. Si è verificato anche a Civitanova. Quindi non è una cosa anomala, al di fuori della logica...

ANDREA RICCI. Che la polizia intervenga dentro il Consiglio comunale sì.

OTTAVIO BRINI. Io penso che la polizia debba far rispettare l’ordine a chi non vuol rispettare le regole democratiche del Consiglio comunale. Una volta è intervenuta anche in questo Consiglio regionale la polizia, l’avete chiamata voi: vi eravate impauriti di noi. Come vi è venuto in testa quella, sera, non si riesce a capire... Perché volavano dei fogli, non volavano cazzotti o martelli o falci. Volavano delle parole, civili o incivili, pur contestabili, ma un fatto democratico.
Corridonia si è rifiutata non per la speculazione politica, strumentale e demagogica che state portando avanti con questo tipo di discorso, ma perché Corridonia ha già dato molto sotto l’aspetto dell’immigrazione, penso che sia la città più ospitale e solidale delle marche, con un gran numero di immigrati, e sapete che le cronache non sono state nemmeno tanto rosee, recentemente, ma nonostante questo Corridonia vive, convive, va avanti e produce con questi immigrati, quindi non accetta alcuna strumentalizzazione in questa circostanza. Ha il più alto tasso di permanenza extracomunitaria, mi pare 1.800 persone solo nella città di Corridonia. Quindi è scattato non il rifiuto dell’ospitalità, ma del clandestino che dovrebbe essere espulso, ed è diverso da quello che sta dicendo il consigliere Ricci. Un conto è l’immigrato che viene in Italia a portare la droga, la prostituzione, la violenza, un conto è chi viene in Italia a lavorare, portando anche la propria famiglia che viene ospitata tranquillamente. Questo è lo spirito della “legge Bossi-Fini” che non devi strumentalizzare. E’ una buona legge che la sinistra non vuole, non accetta, perché per voi l’immigrazione è tutta una cosa giusta e corretta, come erano i nostri immigranti quando andavano in Argentina: io ho uno zio che ha lavorato 40 anni in Svizzera, ma ha lavorato con la “L” maiuscola, ha dovuto anche subire le difficoltà, prima di essere inserito a pieno titolo, mentre da noi tutto è facile, tutto è consentito. Questo non significa essere razzisti o intolleranti, bisogna che diamo delle regole, come all'estero, dove stanno rivedendo — in Francia, in Germania — le quote, perché è una cosa molto importante. Questo non significa essere una nazione razzista e inospitale. Noi siamo convinti che se oggi molte cose vanno meglio è grazie alle forze dell'ordine, quindi non si devono condannare le forze dell'ordine, il servizio che stanno facendo, la prevenzione, i controlli, evitando la prostituzione, cercando di far circolare meno droga possibile. Quindi non dobbiamo dare addosso alle forze dell'ordine.
Su una cosa ci troviamo d'accordo con Ricci. Come Forza Italia abbiamo fatto un'iniziativa e personalmente ho coinvolto il ministro Pisanu, ma sul ragionamento che facciamo noi: noi non vogliamo dei läger, non vogliamo che ci siano delle caserme, noi vogliamo che i clandestini pericolosi prima dell'espulsione siano controllati, perché il delinquente se sbaglia va in galera, sconta la sua pena e poi esce, quindi il clandestino prima della sua espulsione è giusto che venga controllato, altrimenti se lo troveranno in Germania, in Francia o nella nostra nazione. Quindi ragioniamo con uno spirito diverso senza demagogia, senza strumentalizzazione, senza chiamare in causa una città come quella di Corridonia che è solidale, non è che si rifiuta di ospitare questo centro perché è contro gli immigrati, tutt'altro. Ecco ancora una volta che cercate di speculare su una buona legge, la "legge Bossi-Fini". Lasciamola applicare. Certo che è difficile per tutti, come quando si parla di discariche: nessuno la vuole sotto casa sua, ma da qualche parte bisogna pur metterle. Corridonia però non è in questo momento in grado di poter sopportare anche questa situazione, quindi noi di Forza Italia diciamo no alla mozione del consigliere Ricci, ma diciamo un forte sì affinché venga rivista questa risoluzione su Corridonia con il Governo, con la Regione, con la stessa Provincia di Macerata che si è già pronunciata in modo negativo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Procaccini.

CESARE PROCACCINI. Poche considerazioni, Presidente e colleghi, perché condivido nella sostanza la mozione proposta dal consigliere Ricci. Rispetto alla disciplina delle espulsioni, la "legge Bossi-Fini" attua un vero e proprio stravolgimento in senso autoritario. Infatti essa richiama solo in via del tutto strumentale il testo unico 286 del 1998, ma in realtà l'espulsione diventa immediata ed esecutiva. Viene vanificata qualsiasi motivazione o impugnativa da parte dell'interessato. Lo straniero, l'extracomunitario è gradito solo se serve come manodopera, ma viene privato dei suoi diritti.
In questo contesto dell'espulsione preventiva anche il sistema dei cosiddetti centri di permanenza temporanea e di assistenza, assume una caratteristica non già di accoglienza ma di detenzione. Infatti questi centri, già previsti dalla legge 40 del 1998 sono stati totalmente trasformati e stravolti ed oggi sono luoghi di detenzione. La misura di trattenimento forzato in attesa di espulsione ha, anche nella sua declinazione, un tipo poliziesco e non sociale, di ordine pubblico e non già di esplorare un fenomeno che attiene all'aspirazione di masse di donne e di uomini che cercano una vita migliore nel nostro ricco occidente. Dov'è finita, cari colleghi della destra e della Casa delle libertà, la vostra comprensione e la vostra carità per i popoli che si liberavano dalle dittature nel 1988? Il vostro no al centro di permanenza temporanea di Corridonia è strumentale ed ipocrita, perché voi in realtà volete questi centri di detenzione, purché non siano ubicati nel vostro collegio elettorale.
Con tale provvedimento si introduce nella prassi e nell'ordinamento italiano una cosa che stravolge; con tale provvedimento previsto dalla "legge Bossi-Fini", la 189 del 2002 — almeno per una sola volta questi due personaggi governativi si sono trovati d'accordo — viene dato al questore un ruolo abnorme insieme a quello delle prefetture. Inoltre si introduce nella prassi la cosiddetta "prevenzione del trattenimento", una nuova ed inquietante misura dell'ordinamento italiano. Anche la modalità di istituzione di questi centri è autoritaria, centralistica: si scavalcano in maniera totale le Regioni. La Regione Marche deve, viceversa, rifiutare tale impostazione nel merito. Le Marche devono porre un netto rifiuto a questo attacco e ai diritti della persona. La nostra regione ha una tradizione di libertà, di tolleranza e di integrazione. E' su questa strada che si deve continuare in totale alternativa alla concezione governativa, a partire da un esplicito rifiuto alla costruzione di questi centri nella nostra regione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Massi.

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Non so se è possibile riportare nei termini giusti questo dibattito, perché credo che molto sia frutto anche di diversi passaggi di comunicazione, non tutti esatti. Intanto vorrei chiedere a Ricci: possiamo in questo benedetto paese, in questa benedetta regione, almeno convenire sul fatto che qualunque opinione esprimano i Consigli regionali, provinciali, comunali, non è ammesso per nessuno intromettersi nello spazio segnato dalle transenne dei lavori per andare a interrompere la seduta? Lo possiamo dire o ancora, dopo 60 anni di democrazia, non siamo in grado di dire che su questo siamo d'accordo?

ANDREA RICCI. Possiamo dire anche che le forze dell'ordine non devono entrare, a meno che ci siano gravissimi pericoli? Anche questo è un altro principio-chiave.

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Hanno interrotto la seduta, si sono diretti verso il presidente del Consiglio, gli hanno tolto il microfono: questa non la chiamavate "aggressione fascista"? Voi la chiamavate "aggressione fascista". Chiunque governi, ce lo vogliamo dire che questo non è ammesso? Quando l'on. Calzolaio dice "questi poveri ragazzi sono stati trattati male", ma che dice?

ANDREA RICCI. Peraltro penso che non è ammesso nemmeno che le forze dell'ordine interrompano una seduta democratica di una Assemblea elettiva.

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Ma la polizia ha interrotto la seduta? Questa è roba da "Grecia dei colonnelli"...Rimango veramente sbalordito.
Indipendentemente dal merito, non possiamo pronunciarci, come Assemblea istituzionale più importante della regione a favore di questi episodi, al di là delle opinioni. Chi ha letto i giornali ha visto che questi, che chiamare "ragazzi"... Lasciamo perdere, non so come vorrei chiamarli. Qualcuno era anche un po' cresciuto d'età e non era più tanto ragazzo. Sicuramente è sbagliato. Chi ha letto gli interventi, anche dell'amico-compagno Calzolaio, sa che è stata una cosa sbagliata dire queste cose.
Nel merito bisogna prendere atto che qui cambiamo opinione a seconda di chi governa, quindi le leggi le interpretiamo a seconda di chi governa, perché la "legge Bossi-Fini" si può criticare, contestare ecc., ma la più grossa sanatoria della storia democratica di questo paese è avvenuta con la "legge Bossi-Fini": 700.000 persone. Provaste a confutare questi dati. Voglio sapere quale Governo l'ha fatto prima: 700.000 persone regolarizzate con il lavoro e con procedure giuste, dati delle prefetture. O le prefetture sono fasciste anche loro? Ci sono i "prefetti di ferro", i "questori di ferro"? C'è stata una grandissima regolarizzazione. Terzo, non è possibile dire che quando le strutture le prevedono Turco-Napolitano sono progressiste, democratiche, civili, sociali e quando le propone un altro sono fasciste e läger. (Interruzione del consigliere Tontini). Vorrei che il gruppo Ds non si arrabbiasse: questo è un episodio avvenuto sotto la presidenza D'Alema e allora gridarono allo scandalo anche diversi giornali della sinistra, compreso Il Manifesto. Vi ricordate quando in Abruzzo e in Puglia furono mandati i "celerini" a prendere a manganellate la gente che scendeva dalle barche? O no? L'unico episodio che ricordo di manganellate alla gente che scendeva dai barconi è stato sotto il Governo D'Alema.

MARCO AMAGLIANI. Io ricordo quando Berlusconi andò a piangere, gli venne la lacrimuccia, fermo restando che adesso gli sparano.

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Meglio piangere che prendere a manganellate donne e giovani come è avvenuto lì.

MARCO AMAGLIANI. Per non piangere quando arrivano gli sparano prima!

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Quello fu un episodio che segnò un'epoca, perché anche il mondo cattolico, quello vicino a voi, biasimò questo intervento. Ve lo ricordate? (Interruzione dell'assessore Amagliani). Però bisogna anche qui mettersi d'accordo su una cosa: se ci vanno Prodi, D'Alema e Fassino a visitare i terremotati è gente sensibile, che ama il popolo, se ci vanno Berlusconi, Fini o Follini strumentalizzano tutti. Per favore... Questo paese non è maturato perché non siamo d'accordo neanche su quattro principi fondamentali.
Nel merito ritengo che ci sia una strumentalizzazione enorme dall'una e dall'altra parte. Io sono contrario all'insediamento lì di quel centro, perché l'impatto non si è valutato e su questo nessuno è stato in grado di fornire dati precisi, sull'impatto sociale, criminale, sulla microdelinquenza ecc. Tutto qui. Io non sono pregiudizialmente contrario, ricordo anche che molti di voi erano contrari pure alle comunità di don Gelmini. Lo ricordiamo che dicevate che dovevano essere curati in ospedale? Questo fa parte del dibattito degli anni '80, è normale dirlo. Sono contrario proprio per quello che diceva Brini: quella città ha dato un esempio di accoglienza formidabile, è la città con il più alto numero di immigrati e lavorano tutti, sono tutti integrati. Poi la pecora nera c'è, ma c'è anche tra gli italiani.
Cosa si può fare? Interagire con il Comune con il Ministero e con la Provincia per capire qual è l'impatto. Ho chiesto anch'io al sindaco di sospendere questa procedura, di riunire le parti, di ascoltare, di approfondire, di valutare, poi si vedrà. Però sospendiamo queste strumentalizzazioni, perché credo che la gente non le approvi assolutamente.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Mollaroli.

ADRIANA MOLLAROLI. Condivido sia la premessa della mozione che l'impegno che il consigliere Ricci chiede alla Giunta regionale e che spero il Consiglio approvi. Non mi soffermo sugli aspetti che hanno prevalso negli interventi dei consiglieri Brini e Massi, perché i fatti di Corridonia li ho letti sui giornali, ma credo che questo Consiglio debba esprimersi con molta nettezza sul merito della vicenda.
Condivido il giudizio sulla "legge Bossi-Fini" che trasforma i migranti da cittadini a lavoratori, rende più difficile anche il diventare lavoratori in questo nostro paese, perché i percorsi per ottenere i permessi di soggiorno ed altro sono notevolmente complicati. Sono ridotte le possibilità di ricongiungimento familiare e aumentate notevolmente le forme repressive. Faceva cenno a questo con molta nettezza anche l'intervento del consigliere Procaccini. Condivido anche l'idea che non si debba, nelle Marche, attivare un centro di permanenza temporaneo, credo che sia una vera provocazione quella del Governo, in una regione come la nostra, dove i dati ci dicono che la presenza di migranti in questi ultimi anni è notevolmente aumentata — si passa da 37.000 a 47.000, dati della Caritas e dati dell'Istat — ed è una regione che li sta accogliendo senza compensi, senza complicazioni. Dovremmo invece rafforzare le nostre politiche di accoglienza e di integrazione. Proprio pochissimi giorni fa, l'ultimo fine settimana ero presente con gli assessori Ascoli e Secchiaroli, ad un convegno tenuto a Fano, promosso dalla Regione Marche, dal Comune e dalla università di Urbino, dove emeriti esperti di queste materie davano un giudizio fortemente positivo sulle politiche di integrazione e di accoglienza della nostra Regione, quindi credo che dobbiamo eventualmente aggiornare le nostre politiche, perché siamo sicuramente di fronte ad una seconda fase, dove dovremo perfezionare alcuni aspetti delle nostre politiche, sicuramente quelle riferite all'accoglienza ma possiamo permetterci di più. Credo che nella nostra regione possiamo davvero cominciare a costruire le premesse di una società multietnica pacifica e fare in modo che i cittadini marchigiani e i migranti presenti nella nostra regione, che provengono da 52 paesi di altre appartenenze culturali e nazionali possano davvero diventare "cittadini del mondo".
Quindi respingere fortemente e nettamente l'idea di costituire nella nostra regione un centro di permanenza temporanea e invece rafforzare le nostre politiche di accoglienza e di integrazione. Questo vogliono i cittadini marchigiani che hanno accettato ciò senza scompensi e senza tensione. Il tempo non mi permette di fare adesso un'analisi sulle diversità quantitative e qualitative che abbiamo nelle città, ma credo che siamo sulla buona strada, quindi credo che dobbiamo assolutamente non accettare questa ipotesi e proseguire, invece, sulla nostra politica, che fino ad ora ha dato soltanto risultati positivi. Certo si può fare di più, si può fare meglio ma non cambiare linea, non cambiare assolutamente progetto politico e respingere l'idea di attivare nella nostra regione un centro di permanenza temporanea. Mi auguro che il Consiglio approvi questa mozione e se esistono le condizioni per farlo unitariamente credo che dobbiamo farlo, respingendo però alcune interpretazioni e alcuni passaggi non condivisibili degli interventi dei consiglieri della minoranza che mi hanno preceduto.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Pistarelli.

FABIO PISTARELLI. Dobbiamo riportare l'argomento nei giusti binari. I centri di permanenza temporanea erano già previsti dalla "legge Turco-Napolitano", perché di fronte ad un clandestino fermato in Italia c'è bisogno di un luogo di accoglienza e di verifica dei documenti, della propria identità. Che cosa aggiunge la "legge Bossi-Fini"? Un principio elementare: se una persona entra clandestinamente in Italia, molto spesso senza documenti, sicuramente senza permessi, è chiaro che non può essere un fatto ininfluente, perché vi è una violazione delle regole e delle leggi che tutti debbono rispettare: i cittadini italiani come i cittadini stranieri, siano essi comunitari che extracomunitari, perché nessuno può andare in un altro paese privo di documenti, anche nel paese comunitario limitrofo. Se noi andiamo in un altro paese dell’Ue, ci andiamo con tutto il rispetto delle procedure previste dagli ordinamenti comunitari e nazionali. A maggior ragione per i cittadini extracomunitari, perché la mobilità è regolata da apposite leggi. Questo aggiunge la “legge Bossi-Fini”, dicendo anche che il termine massimo è 60 giorni per queste verifiche, poi se la verifica non giunge all’individuazione del paese di origine, alla individuazione delle identità, si ordina alla persona di lasciare il territorio entro i 5 giorni successivi. Non mi sembra quindi che sia una legge liberticida, anzi è una legge che regola un fenomeno che ha avuto pesanti ripercussioni nel passato e che non deve essere lasciato al caos legislativo, normativo, ordinamentale, ma deve essere regolamentato, proprio per far sì che si giunga a quell’obiettivo comune per tutti di una convivenza seria, di un’integrazione seria, vera, sostanziale e questa integrazione si ha — anche il buon senso ci dice questo — quando un cittadino si presenta con la propria identità, con il rispetto delle regole e delle procedure: chiede di entrare a far parte di una comunità locale, sociale e lo fa applicando prima di tutto un principio, che è quello del rispetto delle regole, dei doveri, poi si apre ai diritti di cittadinanza dopo dieci anni di permanenza, si apre ai diritti di voto. La “proposta di legge Fini” dice che dopo sei anni di permanenza in Italia con regolare permesso, con un lavoro, con la possibilità di mantenere se stessi e la propria famiglia, si apre anche al voto amministrativo. Mi pare che è stata una significativa e importante apertura nel senso dell’integrazione vara, seria e sostanziale.
Che cosa sta accadendo in questi ultimi tempi? Che i centri di permanenza — sono pochissimi in Italia: per tutto il centro Italia c’è solo Formia in provincia di Latina — sono pochi e c’è bisogno di altri centri, perché il flusso di clandestini è comunque un flesso che continua ad esserci, anche se molto più limitato rispetto al passato, perché finalmente le regole ci sono e sono applicate. C’è bisogno di questi centri, pertanto non si può demonizzare questo che è uno strumento positivo, perché rafforza la presenza di coloro che vogliono veramente l’integrazione e non vogliono solamente vivere nella clandestinità ed essere preda automatica o quasi di fatti delittuosi, perché quando uno vive clandestino vive nella illegalità e compie anche atti illegali. Sappiamo che la clandestinità porta poi alla prostituzione, ai fenomeni che i colleghi hanno indicato e descritto prima di me.
C’è bisogno, pertanto, di centri di permanenza temporanea, c’è bisogno dell’applicazione seria della “legge Bossi-Fini”, c’è bisogno senz’altro di una riflessione sulla individuazione dei siti. Ecco allora le nostre perplessità sulla individuazione del sito di Corridonia che è avvenuta con procedure poco lineari che hanno sollevato delle perplessità e dei dubbi, perché la collocazione su Corridonia e soprattutto le procedure seguite di individuazione del sito non danno certezza di efficacia dell’intervento. La collocazione, a nostro avviso è poco opportuna, perché si è individuato un territorio marginale, in aperta campagna, all’interno del territorio maceratese, non verso la costa che invece è esposta a questo tipo di flussi clandestini, perché la costa per sua natura, con i porti, con le principali vie di comunicazione, ferroviarie o autostradali, è più esposta. Allora, forse sarebbe più idoneo un sito verso quei territori e non un territorio dell’entroterra che tra l’altro è poco in grado di essere controllato, di essere regolamentato da servizi idonei, sia di polizia sia di accoglienza sociale ecc.
Questo è un ragionamento che noi facciamo. Altro è quello che è avvenuto a Corridonia in sede di Consiglio comunale, quando il dibattito democratico è stato interrotto, perché manifestazioni civili e pacifiche non si svolgono attraverso l’irruzione all’interno del Consiglio comunale, le manifestazioni civili e pacifiche vanno fatte all’esterno del Consiglio comunale e comunque nel luogo dedicato al pubblico e in questo senso sono assolutamente legittime. Ma quando c’è un’interruzione di Consiglio comunale, quando c’è una sospensione dei lavori, quando c’è un rinvio dei lavori stessi c’è un problema che va al di là della manifestazione di un pensiero, c’è un problema di ordine pubblico, di rispetto delle regole democratiche e pertanto su questi atti dobbiamo essere fermi tutti quanti nella loro condanna. Non è possibile osservare passivamente questo tipo di manifestazioni o di atti e non stigmatizzare questi episodi violenti.
Se si deve aprire una discussione si deve aprire su queste basi: primo, la necessità dei centri di permanenza temporanea, perché con i clandestini cosa deve essere fatto se non una procedura trasparente, seria, lineare, in grado di garantire tutti, il rispetto delle regole, ma anche i diritti della persona. Altro che läger: sono centri di accoglienza che devono in maniera temporanea e provvisoria verificare le condizioni minime per la permanenza di una persona in Italia, cioè la propria identità, la regolarizzazione dei propri permessi. Se non c’è questo c’è il respingimento, c’è l’espulsione dal territorio, che cosa ci deve essere? I centri sono allora importanti, è importante l’applicazione della legge che riprende i principi della “legge Turco-Napolitano”. C’è però bisogno di individuare siti idonei. Corridonia in questo senso non lo è, perché è troppo marginale rispetto ai flussi di migrazione clandestina, rispetto ai centri più importanti, rispetto alla possibilità, per le forze di polizia, di essere in grado di assolvere le proprie funzioni rispetto a quella che può essere una efficace azione di verifica e controllo di questo fenomeno che pure c’è, quello della clandestinità.
Discutiamo di questo, discutiamo serenamente, senza blocchi ideologici, perché mi pare che da questa mozione esca fuori solo un’assunzione di posizioni ideologiche rigide, contro qualsiasi forma di controllo che invece deve essere fatta, perché l’immigrazione non è un problema, deve essere una ricchezza, ma per evitare che sia un problema e non una ricchezza, bisogna che si rispettino delle regole e delle procedure che tutti gli emigrati italiani, francesi, di qualsiasi nazione devono rispettare e che hanno sempre rispettato per arrivare ad un lavoro, ad avere riconosciuta la propria dignità e ad una integrazione seria e sostanziale.
Per questo motivo noi siamo contrari alla mozione.

PRESIDENTE. Sono le 13,30, quindi concludiamo i lavori per riprenderli alle 15,30 con gli interventi di Cecchini, Ciccioli e Moruzzi.

CESARE PROCACCINI. Presidente, chiedo la parola.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CESARE PROCACCINI. Rispetto alla programmazione, la seduta odierna ha avuto una modificazione, tuttavia prima di chiudere la seduta mattutina è importante impegnare il Consiglio per la continuazione dell’ordine del giorno, quindi la mozione sulla crisi della Merloni e le mozioni sull’Iraq, perché questa sera il Parlamento voterà e dopo saremmo fuori tempo massimo, perché queste mozioni sono mesi che giacciono in Consiglio.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ricci.

ANDREA RICCI. Chiedo di proseguire la discussione fino ad arrivare alla fine di questa mozione, tanto più che la II Commissione non deve svolgere i propri lavori alle 13,30 come previsto, quindi nel giro di mezz’ora possiamo chiudere questo, in modo tale che il pomeriggio chiudiamo con le altre mozioni. Propongo pertanto, prima di chiudere la seduta antimeridiana, di terminare questo punto dell’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Franceschetti.

FAUSTO FRANCESCHETTI. Possiamo essere d’accordo su quest’ultima proposta di Ricci, cioè finire la discussione di questa mozione, visto che è iniziata e si è svolta per gran parte. Dopodiché non dobbiamo dimenticare che nella Conferenza dei presidenti di gruppo della scorsa settimana ribadita anche questa mattina, abbiamo preso un orientamento preciso che sono dell’avviso di mantenere, cioè che nel pomeriggio cominciamo con i punti all’ordine del giorno che riguardano le leggi e gli atti amministrativi. Avevamo detto: la comunicazione del Presidente sul referendum e le mozioni per tutta la mattinata e poi, nel pomeriggio, le leggi e gli atti amministrativi, perché se è vero che alcune mozioni giacciono da tanto tempo, è anche vero che alcune leggi come quella della modifica della 20, che è il primo punto all’ordine del giorno dopo le mozioni sono iscritte all’ordine del giorno da tanto tempo. Per quanto riguarda la mozione sulla Merloni, se c’è una risoluzione unitaria, come abbiamo fatto tantissime volte possiamo votarla senza che ci sia discussione, altrimenti con questo ragionamento le leggi e gli atti amministrativi non li facciamo mai.
Io sono per il rispetto di quello che abbiamo deciso nella Conferenza dei presidenti di gruppo la scorsa settimana e ribadito questa mattina.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Cecchini.

CRISTINA CECCHINI. Io credo che debba prevalere il buon senso: se la Conferenza dei presidenti di gruppo ha deciso questa cosa non c’è dubbio che però si deve tener conto del fatto che il Parlamento italiano vota oggi sull’Iraq, quindi o abbiamo la nostra posizione oggi, oppure non ha più senso che ci pronunciamo la prossima volta.
La proposta che si può fare è che si vada a oltranza fino alla notturna. Non ha senso avere mozioni unitarie sulla Merloni, che io non conosco e quindi non sono disponibile a votare niente senza avere parlato, né far saltare la discussione sull’Iraq e sulla pace. Dopodiché staremo fino a questa notte, ma non ci si può chiedere di fare una legge di quel tipo, sull’organizzazione dei concorsi in fretta.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. In effetti ci sono tre interventi su questa mozione, quindi se la concludiamo mi sembra cosa utile. Si tratta di 15-20 minuti, poi si può sospendere la seduta per riprendere l’ordine dei lavori nel pomeriggio. Senza discussione non siamo d’accordo a votare alcun atto.

PRESIDENTE. Ha la parola l’assessore Ascoli.

UGO ASCOLI. Vorrei richiamare tutti i colleghi, sia della maggioranza che dell’opposizione, a un atto di responsabilità. Se è possibile fare un discorso di buon senso in Consiglio regionale, al di là delle parti politiche, vi chiedo solamente di trovare il tempo, oggi — a mezzanotte mi sta bene, come alle cinque del pomeriggio, però con l’impegno di essere in aula — per discutere una proposta di riforma della legge 20 che tutti voi conoscete, di cui tutti conoscete quali sono le origini. Siccome è un provvedimento di legge che riguarda alcune persone e alcune situazioni in sofferenza molto importanti, che stiamo rinviando da tempo, vi chiedo che non ci sia l’ennesima seduta di Consiglio regionale nella quale si parla solamente di mozioni e interrogazioni che, pure importantissime, non possono però impedire a questo consesso di afre il suo mestiere di legislatore. Siccome di questa modifica della legge 209 tutti sanno l’origine, tutti hanno avuto modo di discettare, di conoscere, di discutere in tutti i corridoi e gli anfratti di questa Regione, sarebbe opportuno che trovassimo un po’ di senso di responsabilità e di buon senso per discuterla e votarla oggi, quale che sia il risultato della discussione e della votazione. Sarebbe veramente un atto di irresponsabilità rinviarla ancora di una settimana.
L’accordo fra i presidenti di gruppo è che nella mattina si fossero discusse mozioni e interrogazioni e il pomeriggio gli atti legislativi. Adesso c’è una richiesta di protrarre la discussione anche per affrontare altre mozioni, io voterò a favore di questo solo se ci sarà la garanzia delle persone, in quanto persone serie, a dire che sono disposte a rimanere in aula per discutere anche di questa legge, altrimenti così non sarà, però a questo punto i nomi e cognomi di chi non è serio li farò in tutti i modi possibili, perché è impensabile che si continui con questo giro del cerino, come se la Giunta non volesse risolvere i problemi e l’opposizione fosse così tanto responsabile da farsi carico dei problemi della Regione. Quindi attenzione, perché state scherzando col fuoco.

PRESIDENTE. Direi di concludere questa mozione lasciando però soltanto cinque minuti per gli interventi. Poi alle 16 riprenderemo con la legge 226, discutendo le mozioni e le interrogazioni successive dopo la conclusione della legge 226. Se siete d’accordo, pongo in votazione questa proposta.

(Segue la votazione)

Ripetiamo la votazione.

Il Consiglio approva

PIETRO D'ANGELO. Presidente, sull’Iraq chiedo che si faccia chiarezza.

ANDREA RICCI. Io avevo chiesto la continuazione fino alla conclusione di questo punto all’ordine del giorno, poi c’è una proposta sull’ordine dei lavori successiva. Sono due cose diverse, nel senso che anche il mio voto è diverso tra le due cose.

PRESIDENTE. Torniamo alla proposta di continuare fino alle 14 per concludere la mozione del consigliere Ricci.
La pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Pongo in votazione la proposta di iniziare alle ore 16 la seduta pomeridiana con la proposta di legge n. 226, per discutere, successivamente, le mozioni sull’Iraq e sulla crisi della Antonio Merloni.

CARLO CICCIOLI. Chiedo la votazione per appello nominale a nome anche dei consiglieri Pistarelli e Romagnoli.

PRESIDENTE. Prego di procedere alla votazione per appello nominale, a partire dal n. 1.

GABRIELE MARTONI, Consigliere segretario. Procedo alla chiama:
Agostini sì
Amagliani no
Amati sì
Ascoli sì
Avenali sì
Benatti assente
Brini no
Castelli no
Cecchini no
Ceroni assente
Cesaroni assente
Ciccioli no
D’Ambrosio sì
D’Angelo no
Donati sì
Favia assente
Franceschetti sì
Gasperi assente
Giannotti assente
Grandinetti assente
Luchetti sì
Martoni no
Massi Gentiloni Silveri no
Melappioni sì
Minardi assente
Modesti sì
Mollaroli sì
Moruzzi no
Novelli assente
Pistarelli no
Procaccini no
Ricci no
Rocchi assente
Romagnoli no
Secchiaroli sì
Silenzi sì
Spacca sì
Tontini sì
Trenta assente
Viventi assente

Il Consiglio approva

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Cecchini. Ricordo che l’impegno preso è di stare entro i cinque minuti.

CRISTINA CECCHINI. Utilizzerò ancora minor tempo, per sottolineare che voterò questa proposta di risoluzione. Vorrei però ricordare che questi centri di permanenza temporanea per immigrati sono stati istituiti dalla “legge Turco-Napolitano” e se erano negativi allora, oggi sono ancora peggiorati, dopo la “legge Bossi-Fini”, proprio perché l’entrata in vigore della nuova legge sull’immigrazione ne prevede il potenziamento e con i tagli inflitti dalla finanziaria sui progetti multiculturali per la scuola pubblica, per l’integrazione della cittadinanza degli immigrati, si continua a rendere questi centri veri e propri läger. Nella legislazione del nostro paese si introduce il principio della forza-lavoro, quindi della cittadinanza legata alla forza-lavoro, che è un principio in dispregio di ogni civiltà giuridica, quindi non il soggetto in quanto titolare di diritti ma titolare di diritti solo se è forza-lavoro. Inoltre questi campi di permanenza temporanei altri non sono che andare nella direzione di una nuova apartheid, quindi la convivenza fra cultura differenti, tema che dovrebbe essere caro alla civiltà giuridica, viene spostato su un terreno repressivo e da ordine pubblico, quindi in modo trasversale si risponde alla rivendicazione populistica e lobbistica di chi teme ragionevolmente di vedersi sottrarre diritti e garanzie.
Quindi voterò questa proposta, anche se voglio dire all’assessore all’immigrazione che bisognerebbe fare di più rispetto alla dotazione finanziaria che stanziamo complessivamente nel bilancio della nostra regione. Parlo soprattutto di fondi ordinari, ai quali si aggiunge una piccolissima parte di fondi Fse nell’asse B. L’assessore sa bene quali sono le cifre: sono minori di quelle della comunicazione istituzionale che si voleva improntare nel caso di referendum sull’Asur. Siccome queste cose gli immigrati le dicono nella consulta, l’assessore sa che deve costruire un po’ più politica in questa direzione, rispetto al bilancio, proprio perché, se è molto difficile costruire un ragionamento che metta insieme libertà, uguaglianza dei cittadini, sia nativi che migranti, c’è bisogno di risorse per farlo. Ovviamente non voglio monetizzare il tutto, però non c’è dubbio che la necessità di combattere un ragionamento che la destra porta nel nostro paese, dove si lavora per la libera circolazione delle merci ma non per la libera circolazione delle persone, quindi bisogna contrastare ciò che delle politiche concrete, quindi anche con dei finanziamenti.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. Al contrario della collega Cecchini, sia come presidente del gruppo di Alleanza nazionale ma anche come semplice consigliere di questa Assemblea rigetto il contenuto di questa mozione, che non è altro che la riproposizione delle tesi negative rispetto alla “legge Bossi-Fini”. Già abbiamo svolto un dibattito, in quest’aula, sul problema della “legge Fini”, oggi siamo a distanza di tempo e possiamo iniziare a verificare qual è stato l’effetto di tale legge.
Cito una fonte non sospetta. Come noto a Loreto ci sono i Padri Scalabrini che ogni anno fanno un convegno nazionale sull’immigrazione. A questo convegno in passato fu presente il sottosegretario, anche lui di Alleanza nazionale, Mantovano e fu criticato per la legge che si stava portando avanti. Ho incontrato qualche giorno fa personalmente una rappresentanza dei Padri Scalabrini e mi hanno detto che a distanza di tempo la “legge Bossi-Fini” ha avuto effetti diversi da quelli che pensavano: ha regolarizzato, dando diritti e doveri, 700.000 lavoratori clandestini in nero, che oggi hanno diritti. E’ stata una sanatoria molto più forte di qualsiasi sanatoria delle leggi di centro-sinistra, ma nella legalità e nella correttezza, al contrario della “legge Turco-Napolitano” che ha lasciato tutti i problemi irrisolti. Perché in Francia Le Pen, in una certa fase — è una destra che non condividiamo — arrivò al 18% dei voti? Perché non c’erano politiche giuste di immigrazione, quindi si era creato un fortissimo risentimento tra i lavoratori francesi e proprio l’ambiente dei lavoratori, degli operai francesi, che si vedevano privati del lavoro con una concorrenza terribile degli extracomunitari votò Le Pen. La sinistra dovrebbe riflettere su questo fenomeno: come mai nei quartieri popolari di Parigi e della Francia il 18% vota Le Pen, di cui non condividiamo la politica? — lo dico come Alleanza nazionale ma come destre europee — Perché evidentemente le leggi fatte dalla sinistra francese non hanno prodotto risultati, mentre le leggi e i provvedimenti amministrativi che vengono adesso portati avanti dal centro-destra francese hanno molto ridimensionato il “fenomeno Le Pen”.
Questa mozione ripropone i vecchi temi triti e ritriti, che non condividiamo. Gli Stati Uniti, che sono una nazione “inventata” — il popolo autoctono americano, cioè i pellerossa, rappresentano un’aliquota infinitesimale nella realtà americana — con l’immigrazione proveniente da tutti i popoli europei e non solo europei ma anche degli altri continenti, hanno regole rigide in materia di immigrazione, perché altrimenti, se non si governa il fenomeno succede che si tolgono i diritti a coloro che risiedono sul territorio. Di fatto l’accoglienza indistinta di qualsiasi persona proveniente da qualsiasi parte del mondo produce un fenomeno gravissimo sul vivere civile nostro e quindi fa un danno a tutti.
Perché i centri di permanenza temporanei? Perché si è visto che l’eccesso di garantismo produceva dei guai. Cito due episodi: la rapina al nord da parte di un extracomunitario che ha avuto il decreto di espulsione. Questa persona, con il solo decreto di espulsione è andata in giro per l’Italia, ha fatto una rapina a Milano e ha ucciso un commerciante, ferendo altre persone che erano all’interno del negozio. Ci si è accorti che da tempo avrebbe dovuto lasciare il paese, ma il paese non l’aveva mai lasciato. Il secondo episodio riguarda l’albanese di Roma che ha distrutto un’intera famiglia, guidando la macchina in maniera assolutamente imprudente: ci si è accorti che aveva avuto altri incidenti e che aveva avuto il decreto di espulsione da oltre un anno. Se ricordate sono stati due episodi clamorosi. L’eccesso di garantismo, quando una persona è clandestina, deve in qualche modo essere contenuto per poi applicare i provvedimenti previsti dalle leggi. Quindi il centro di permanenza temporanea è una necessità di gestione della legge e del criterio di accoglienza a tutti coloro che vengono per lavorare e quindi assumono diritti e doveri. In questa linea Fini ha lanciato la proposta del diritto di voto amministrativo a coloro che sono in regola da sei anni con le leggi dello Stato, perché è giusto che partecipino anche alla vita civile. Quindi non c’è alcun pregiudizio di tipo razzistico. Sono andato all’assemblea delle comunità islamiche a Bellaria, dove erano presenti 600 islamici, ho preso la parola e tutti hanno ringraziato della nostra proposta, che speriamo entro un anno di far approvare.
Concludo su Corridonia. Per quanto riguarda la nostra area è stato identificato a Corridonia il centro di permanenza temporanea. Ci sono perplessità sulla scelta del luogo: va verificato con il Comune, con gli altri organi istituzionali se quello è il posto migliore. Se non è Corridonia ma un altro sito è chiaro che bisogna fare la scelta migliore, ma detto questo deve esistere un centri di permanenza temporanea che sia attrezzato, che possa ospitare e possa far applicare le leggi dello Stato che questo Parlamento si è liberamente date.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Moruzzi.

MARCO MORUZZI. Questa mozione è stata opportunamente presentata, perché apre una discussione che evidenzia una contraddizione anche da parte dei colleghi del centro-destra che contestano a Corridonia la localizzazione di questa struttura, ma sostanzialmente non si assumono la responsabilità di prendere atto dei limiti dei centri di permanenza temporanea e delle leggi che hanno determinato la localizzazione o i tentativi di localizzazione in tutto il territorio nazionale di queste strutture. Io credo che non si possa essere contrari — io sono tra i contrari — e limitarsi ad essere contrari a quella localizzazione: si deve per forza di cose essere contrari a queste strutture, a queste modalità. Non pretendo che il centro-destra faccia un’abiura della “legge Bossi-Fini”, ma credo che almeno su questo aspetto sia doveroso, da parte di chi in quest’aula si presenta esponendo una posizione contraria alla localizzazione dei centri di permanenza temporanea a Corridonia, prendere atto che i centri di permanenza temporanea non vanno bene né a Corridonia né da nessun’altra parte. I centri di permanenza temporanea sono dei luoghi di detenzione, basta vederli, basta averli visitati, basta averne avuto la percezione della situazione in cui le persone vengono “detenute” all’interno di queste strutture.
Ciò non toglie che la critica ai centri di permanenza temporanea che i verdi fanno significa, automaticamente, che ci debba essere un trattamento identico tra clandestini e regolari; la critica ai centri di permanenza temporanea nasce dal fatto che queste strutture non rispettano i diritti essenziali che la Costituzione garantisce non solo ai cittadini italiani ma a tutti coloro che mettono piede sul territorio nazionale, indipendentemente dal fatto che possano avere diritto a rimanere o che questo diritto a rimanere non l’abbiano ancora acquisito o non abbiano diritto ad acquisirlo.
Diversa deve essere la politica tra immigrati che occupano spazi lavorativi, per i quali non c’è disponibilità da parte di cittadini italiani e coloro che invece sono nel nostro paese non alla ricerca di un lavoro ma con altre finalità, non per motivi di studio, non per motivi che possano giustificare la loro presenza e che devono spingere la società civile a un lavoro di integrazione tra culture e provenienze diverse.
Al di là di questo diverso ragionamento credo che vada fatta anche una precisazione rispetto ai temi del diritto di asilo: non si possono toccare i principi relativi al diritto di asilo e la “legge Bossi-Fini” in qualche modo li ha messi in discussione: assistiamo periodicamente a delle situazioni in cui dei cittadini vengono respinti oltre la frontiera, in paesi dove il ritorno comporta per loro, spesso, la privazione della libertà, in alcuni casi anche la privazione della vita. I meccanismi di respingimento in alcuni casi vanno contro i più elementari principi di diritto d’asilo che in paesi democratici come il nostro devono essere mantenuti. Non possiamo parlare di alcuni paesi additandoli come paesi in deficit di democrazia e poi disinteressarci completamente quando, perseguitati politici, perseguitati per reati di opinione varcano le nostre frontiere alla ricerca del diritto di asilo. Su questo tema del respingimento dei cittadini in patria credo che si possano fare alcune considerazione. Come anche la fattispecie del clandestino: clandestino diventa anche il lavoratore extracomunitario che viene privato del lavoro e che in forza della “legge Fini”, venendo meno il rapporto di lavoro viene privato del diritto di soggiorno nel nostro paese. Il clandestino è il ragazzo diciottenne, diciannovenne che entra nel territorio nazionale perché vuole avvicinarsi alla sua famiglia, in cui i genitori sono regolarmente ospitati, ma in quanto maggiorenne non ha diritto di entrare nel territorio del nostro paese. Clandestino diventa chi perde il lavoro perché il sistema della flessibilità e dei lavori temporanei non dà la possibilità ai lavoratori extracomunitario, come a tanti lavoratori italiani peraltro, di avere un posto di lavoro fisso. Per l’extracomunitario l’assenza di questo contratto di lavoro comporta la perdita del diritto di soggiorno, quindi diventano clandestini.
Un sistema che non funziona, che ha avuto necessità di continue sanatorie, quindi una legge che non condividiamo, che è rappresentata simbolicamente, emblematicamente, da questi “centri di detenzione” chiamati centri di permanenza temporanea.
Voteremo a favore della mozione.

PRESIDENTE. Ha la parola l’assessore Ascoli.

UGO ASCOLI. Sarò naturalmente brevissimo. Già c’è stato un precedente in questa vicenda: vi ricordo che si pensò che c’era il tentativo di istituire un centro di permanenza temporanea in provincia di Ancona, in quel caso ci fu anche un’assemblea, una manifestazione e io e Agostini, a nome della Giunta dicemmo — e lo ribadì il Presidente D'Ambrosio — che la Regione Marche non aveva mai acconsentito all’istituzione di nuovi centri in questa regione e che non era per nulla d’accordo su questa istituzione. La Regione era contraria all’istituzione di tali centri. Questo è il precedente, che peraltro veniva già ricordato da parte di Ricci.
Io mi sono informato presso la prefettura di Macerata, le informazioni che ho ricevuto sono che il Governo non ha sentito e non sentirà mai l’esigenza di consultare le Regioni, va direttamente all’incontro con i Comuni. Mi è stato detto che il Comune di Corridonia deve approvare una variante al Prg che poi andrà in Provincia, altrimenti non sarà possibile istituire questo centro. Mi è stato detto che il Comune di Corridonia adesso prenderà in considerazione la nuova situazione che si è creata alla luce della contestazione. Per quanto ci riguarda ribadisco la posizione della Giunta che, vista la mala gestione di questi centri e visto quello che sono diventati in Italia, è contraria all’istituzione di nuovi centri di permanenza temporanea, quindi siamo contrari anche all’istituzione di tali centri nella regione Marche, riteniamo che la “legge Bossi-Fini” abbia peggiorato sostanzialmente le politiche per l’integrazione degli immigrati, quindi diamo un giudizio pesantemente negativo non solo alla “legge Bossi-Fini” ma anche alla gestione che è stata fatta dal Governo di questi centri, che si sono trasformati per lo più in veri e propri centri di detenzione che assomigliano anche a quello che è stato detto essere il clima di un läger.
Quindi siamo nettamente contrari e contemporaneamente ci stiamo adoperando per delle politiche vere di integrazione sociale degli immigrati, ne abbiamo fatto un asse strategico del nuovo piano del lavoro 2004, stiamo istituendo servizi nuovi per l’integrazione degli immigrati di cui adesso non c’è tempo di parlare, quindi la nostra attenzione è tutta in positivo, tesa ad aumentare le risorse da destinare a questo aspetto. Abbiamo appena deliberato in Giunta, martedì scorso, l’istituzione di un call-center per immigrati che dia informazioni 12 ore su 12 a tutti gli immigrati sui servizi presenti in questa regione, stiamo cercando di varare altri strumenti di integrazione. Questo strumento di cui stiamo discutendo crea invece più problemi di quanti ne potrebbe eventualmente risolvere, quindi ribadiamo la netta contrarietà alla gestione di questi centri, la netta contrarietà all’esistenza di questi centri, la netta contrarietà all’esistenza di questi centri nelle Marche. La Regione Marche si adopererà in tutti i luoghi opportuni per ribadire questa posizione e chiederemo altre politiche per l’integrazione degli immigrati, di cui ci facciamo parte promotrice.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la mozione.

Il Consiglio approva

La seduta è sospesa. Riprenderà alle 16.


La seduta è sospesa alle 14,1O