Resoconto seduta n. 196 del 19/07/2004
La seduta inizia alle 11,30




Approvazione verbali

PRESIDENTE. Ove non vi siano obiezioni do per letto ed approvato, ai sensi dell'art. 29 del regolamento interno, il processo verbale della seduta n. 195 del 14 luglio 2004.



Mozioni
(Annuncio di presentazione)

PRESIDENTE. Sono state presentate le seguenti mozioni:
— n. 373 del consigliere D'Angelo: «Attivazione di un tavolo di concertazione Regione Marche ed Enti locali interessati, relativamente alle soluzioni tecniche e temporali della costruzione della terza corsia dell'A 14 e dell'arretramento della stessa nel sud della Regione»;
— n. 374 del consigliere Massi: «Inserimento di una disposizione transitoria illegittima dello Statuto della Comunità Montana dei Monti Azzurri di San Ginesio».



Nomine

PRESIDENTE. Ho provveduto, con i sotto specificati decreti alle seguenti nomine:
— n. 83 in data 15 luglio 2004: "Consiglio di Amministrazione del Centro Agroalimentare di Macerata - nomina di un rappresentante della Regione";
— n. 84 in data 15 luglio 2004: "Assemblea dei soci della Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo - Nomina di un rappresentante della Regione".



Questione di legittimità
dinnanzi alla Corte costituzionale

PRESIDENTE. Il Governo ha promosso la questione di legittimità costituzionale dinnanzi alla Corte costituzionale sulle seguenti leggi:
— n. 10 del 13 maggio 2004, concernente: "Modifica alla legge regionale 15 ottobre 2001, n. 20 sull'organizzazione e sul personale della Regione e alla legge regionale 30 giugno 2003, n. 14 sulla riorganizzazione della struttura amministrativa del Consiglio regionale";
— n. 11 del 13 maggio 2004, concernente: "Norme in materia di pesca marittima e acquicoltura".




Proposta di legge regionale statutaria (Discussione generale): «Statuto della Regione Marche» Amati, Ceroni, Modesti, Franceschetti, Tontini, Luchetti, Benatti, Giannotti (247)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la proposta di
Comunico che la presidente della Commissione Statuto intende convocare la stessa Commissione alle 13,30 per esaminare alcuni emendamenti formali da presentare. Inoltre, domani mattina alle ore 9 la stessa Commissione Statuto è presentata per l'esame degli emendamenti.
Ha la parola il relatore di maggioranza, consigliere Amati.

SILVANA AMATI, Presidente della Commissione speciale per la riforma dello Statuto regionale. Nell’aprire la discussione in aula sul nuovo testo di Statuto delle Marche il mio rispettoso saluto va a quei colleghi costituenti, che nel 1971 approvarono, in grande concordia, il testo, ottimo e prezioso ancora in vigore.
Più di trenta anni sono passati da allora e la discussione su aggiornamenti della Carta costituzionale delle Marche si è più volte avviata senza positiva conclusione.
Ecco perché sento oggi una certa emozione nell’aprire il dibattito che mi auguro contribuisca ad arricchire il lavoro compiuto in sinergia e franca collaborazione con tutti i componenti della Commissione, che ringrazio di cuore per il lavoro svolto.
Il nostro compito è stato quello di dare seguito al dettato costituzionale, poiché l’art. 123 della Costituzione, prima sostituito dall’art 3 della legge costituzionale 22 /11/ 99, n. 1, poi modificato dall’art 7 della legge costituzionale 18/10/ 2001, n. 3 stabilisce che ciascuna Regione ha uno Statuto, che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Rispetto al precedente sistema costituzionale le novità introdotte dalla riforma sono significative, perché lo Statuto non è più approvato con legge dello Stato, ma con legge del Consiglio regionale. Lo Statuto determina la forma di governo e disciplina il Consiglio delle autonomie locali.
E’ restato quindi tutto sulle nostre spalle di legislatori regionali il riequilibrio dei poteri esecutivo e legislativo, cioè la soluzione del problema grande della realizzazione della democrazia decidente, essenziale per superare la lunga fase della crisi della rappresentanza.
Nella prima metà degli anni Novanta, nel pieno della crisi determinata dalla fine del bipolarismo internazionale e dai processi per le corruzioni politiche si era evidenziata una crisi istituzionale, alla quale lo Stato ha cercato di rimediare con una cosiddetta modernizzazione, incentrata soprattutto sugli esecutivi. L’elezione diretta del sindaco, del presidente della Provincia del presidente della Regione sono state una risposta alla domanda di maggiore rapidità decisionale e maggiore stabilità di governo. Il cosiddetto processo di modernizzazione ha però depresso le assemblee rappresentative.
Occorreva dunque superare questo vuoto di riforma, perché il rafforzamento della rappresentanza generale serve anche per legittimare gli esecutivi e per un migliore raccordo tra istituzioni politiche e cittadini. La capacità di rinnovarsi degli organi della rappresentanza generale dipende dalla capacità di stabilire l’interconnessione tra valori e soggetti diversi, di fare emergere le conseguenze generali di scelte particolari, di far valere le ragioni del cittadino in termini di risultati complessivi delle politiche pubbliche.
Era manifesto che le assemblee elettive dovevano impegnarsi sulle grandi scelte e sui problemi cruciali per le rispettive comunità in tema di indirizzo politico e di risultato finale delle politiche pubbliche. La dialettica democratica e le garanzie per le minoranze dovevano dunque potersi applicare a rendere trasparenti, verificabili e giudicabili le scelte, senza paralizzare l’azione di governo.
Si tratta di tematiche tutte di difficilissima soluzione reale. D’altra parte, ancora oggi, sappiamo bene come sia difficile e complesso dare un volto al cosiddetto federalismo.
L’introduzione del termine «federalismo», inteso come regionalismo spinto , nel dibattito sulle autonomie, si situa nella relazione di Nilde Iotti, che accompagnava il progetto della Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali, e che parlava di «regionalismo ai limiti del federalismo».
Del resto il federalismo non occupa nella storia del pensiero politico un posto chiaramente definito e problematico resta il precisarne il significato, anche considerando che la formula del federalismo fiscale è inizialmente applicata nell’ambito della scienza delle finanze pubbliche per indicare soprattutto istanze di intervento del governo centrale a sostegno di politiche pubbliche dei governi locali negli Stati federali, affermando un’esigenza di uniformità e di centralizzazione. All’opposto, come ha notato, in un suo scritto, il prof. Enrico Moroni la suggestiva evoluzione semantica trasmette oggi un messaggio di controllo diretto da parte dei cittadini sul prelievo di risorse finanziarie operato localmente dallo Stato.
Il dibattito nazionale a livello governativo ha posto in chiara evidenza, proprio in questi giorni, la persistente difficoltà del livello statale a mettere ordine nella valutazione politica della prospettiva federalista. In tema di federalismo pare però che mettere ordine, dare unità e rigore al linguaggio giuridico e filosofico non sarebbe meno arduo. Ci ha già provato, senza riuscirvi, negli anni venti la Società francese di filosofia, con il Vocabulaire di Lalande , che ha voluto superare, positivisticamente l’anarchia linguistica attraverso definizioni stabili. Qualche certezza in più si può raggiungere riferendosi all’analisi storica del federalismo.
Nella storia la questione federalista è comparsa solo verso la fine del Settecento, cominciando, con la fondazione degli Stati Uniti d’America. Gli americani si trovarono immediatamente di fronte a una scelta, dove si giocava il loro destino. Erano aperte per loro due vie: o ripetere in America una specie di storia europea su scala ridotta, e allora non si sarebbero evitati il confronto di forza permanente tra gli Stati e le guerre intestine, con le conseguenze materiali e ideali connesse, oppure dar vita ad una storia nuova con un sistema politico nuovo, se si fosse trovato il modo di assicurare sia l’indipendenza degli Stati nella diversità, sia quella dell’Unione. Era possibile declinare diversità e unità come accadde con un percorso interno, che nel tempo si rivelò vincente, ma anche aspro e difficile.
Il federalismo poi non si risolve in una teoria puramente istituzionale. Si usa riconoscere che lo schema interpretativo più organico che permette di dominare teoricamente la tendenza del federalismo verso la globalità è quello sviluppato da Mario Albertini, il quale definisce il federalismo come un’ideologia che ha più aspetti: un aspetto di struttura istituzionale del federalismo, che è il più noto e studiato, e un aspetto di valore (la pace universale e il cosmopolitismo), che ne costituisce l’obiettivo. La riflessione sul significato storico globale delle istituzioni federali, non si trova nel pensiero costituzionale americano, in conformità con il suo carattere pragmatico, mentre risulta dagli scritti di filosofia politica di Kant e di Proudhon proprio l’aspetto storico-sociale, che consiste nel superamento della divisione della società in classi e in nazioni, evidenziando la capacità del progetto federalistico di uscire dal mondo dell’utopia e di incidere sul processo storico. Ma la crisi dello Stato nazionale, accelerata dai processi di globalizzazione, si è manifestata anche in una direzione opposta, nei movimenti per l’autogoverno regionale e locale, nella tendenza al superamento degli aspetti accentratori e autoritari dello Stato nazionale, la cui forza è affievolita e bypassata proprio dai processi di globalizzazione e internazionalizzazione.
La storia ha manifestato due diversi, complementari, ma forse anche configgenti, tipi di federalismo. Da una parte quello sovranazionale o esterno, in cui più stati nazionali decidono di alienare una parte della loro sovranità per unirsi in una federazione sopranazionale configurata come superiore stato federale. E, dall’altra parte, il federalismo infranazionale o interno, dove stati regionali, veri stati con una loro sovranità, si uniscono in uno Stato federale nazionale.
Tutti convengono sul fatto che in tema di federalismo interno non esista una riflessione teorica approfondita. ed è tuttora evidente la scissione tra riflessione teorica e riflessione giuridica. Ma il federalismo, nella teoria e nella prassi, è cosa antica.
Il tempo disponibile mi consente per questo intervento solo una velocissima rassegna , ma è ugualmente importante segnalare i riferimenti che danno base culturale concreta alla dichiarazione di preambolo sull’ispirazione del nuovo Statuto delle Marche al patrimonio storico del risorgimento, ai valori ideali e politici della Repubblica nata dalla Resistenza, ai contenuti di libertà, pluralismo e autonomia, già sostenuti in sede all’assemblea Costituente dalla forze democratiche regionaliste, alla tradizione laica e alla matrice religiosa.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
SANDRO DONATI

Quattrocento anni fa (1603) veniva pubblicata in Germania la Politica methodice digesta di Johannes Althusius, che svolge un sistema interamente federalistico.
La traduzione italiana di questo testo, è compiuta da Antonio Giolitti e non a caso costituisce nel 1943 il primo volume della “Biblioteca di cultura giuridica di Einaudi.
Althusius afferma il principio della sovranità popolare, quasi un secolo e mezzo prima di Rousseau. “Attribuisco al popolo la sovranità “ sostiene Althusius ”ed essa gli appartiene talmente che neanche volesse può rinunciarvi, mentre i governanti sono solo famuli et ministri della comunità. Interessa certo chi è chiamato a risolvere il problema degli squilibri della rappresentanza, il fatto che la politica venga definita da Althusius simbiotica, ad esprimere il fondamento della società, che risiede nella socievolezza. Già nella prima modernità dunque il concetto di sussidiarietà (al di là dell’assenza del termine) si può così rintracciare nel protofederalismo althusiano. Il pensiero della sussidiarietà appartiene alla tradizione liberale, ma è con le encicliche dei papi Leone XIII (1891, Rerum novarum) e Pio XI (1931, Quadragesimo anno), che si ha la formulazione dottrinale. Nella Centesimus annus (1991, Giovanni Paolo II sostiene che«una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune».
Nel dibattito risorgimentale Cattaneo aveva introdotto il federalismo come teorica della libertà, come era stato già suscitato in Francia dagli uomini della Gironda, nel periodo della Convenzione nazionale, in contrasto con la tendenza accentratrice dei giacobini.
Cattaneo conosceva e apprezzava Benjamin Constant che paragonava la libertà degli enti locali, in tutto ciò che non riguardava gli interessi generali, alla libertà di cui doveva godere l’individuo nella sfera degli interessi individuali. Bobbio ha ricostruito, ed era il momento di “Giustizia e libertà”, i tre diversi momenti, ciascuno con i propri caratteri, dello sviluppo del pensiero federalistico di Cattaneo: prima una ideologia normativa per una generale politica europea, poi la matura idea federalistica viene applicata al problema della guerra di insurrezione nazionale, idea infine che si trasforma in principio generatore di riforme amministrative. Dal 1835 a dopo il 1860, ll vago disegno prende forma più precisa e poi si adatta al fatto compiuto dell’unità, nel turbinoso e rapido svolgersi degli eventi, un’unica idea assume aspetti diversi. Il programma massimo dello stato federale si riduce, a contatto con la realtà, al programma minimo dell’autonomia legislativa e amministrativa della regione. Il federalismo risorgimentale è il federalismo di Cattaneo e Ferrari, ma anche quello cattolico di Rosmini e Balbo. Su tutti vince la tensione unitaria di Mazzini, che riesce a far prevalere l’idea di nazione.
Il filo di questo dibattito risorgimentale però non si rompe. Fra le due guerre e nel secondo dopoguerra, lo riprendono gli intellettuali antifascisti (Gobetti, Salvemini, Bobbio) che provano a conciliare giustizia e libertà. “Giustizia e libertà” ha tenuto acceso il dibattito sullo Stato, sui principi dell’autonomia, sul federalismo inteso in senso istituzionale ed anche sociale, come ha tenuto aperto il dibattito sull’europeismo. Nella discussione, quasi un manifesto del 1935, sul federalismo e l’autonomia, Carlo Rosselli, allievo di Salvemini, fissa sei punti riassuntivi, di cui il primo è il federalismo politico territoriale, in quanto applicazione del più generale concetto di autonomia, che significa libertà per i singoli gruppi in una concezione pluralista, dell’organizzazione sociale, facendo emergere quanto ha, in seguito, trovato ulteriore sviluppo nelle teorie di Silvio Trentin e nei nuclei di vita collettiva (opera, impresa, comunità) di Adriano Olivetti e cioè nelle riflessioni che puntualizzano come gli organi dell’autonomia si trovano dove la vita avviene veramente, dove l’individuo può esercitare il controllo e quindi il comune, il consiglio di fabbrica o dell’azienda agricola, cooperativa, camera del lavoro, sindacati, leghe, giornali, scuola, famiglia, gruppi sportivi, centri di cultura e tutte le forme innumerevoli di associazione libera e gli organismi della vita civile. Si tratta di visioni, che trovano consonanze evidenti nelle teorie personaliste di Mounier e Maritain, in cui si impostano le relazioni tra persona, società, Stato, in una visione statuale antiaccentratrice e valorizzatrice dei corpi periferici e intermedi. La società ha una vita autonoma da quella dello Stato. È essenziale per la libertà che questa vita proceda dal basso, quasi che, con un’immagine oggi assai richiamata, lo Stato sia un grande albero a protezione di un immenso giardino, il consorzio umano, le cui radici affondano e si estendono nel terreno che le alimenta.
Nell’uso quotidiano, è stata fornita, spesso strumentalmente, un’immagine impropria del federalismo con riferimento a modelli assai diversi tra loro e con confronti con altre realtà, europee e non solo europee, non conciliabili con la storia italiana e con il modello disegnato dalla cultura e dalla Costituzione italiana.
Quello che è stato definito il fallimento dell’ultima bicamerale non ha poi consentito che si potesse giungere a determinare per il livello nazionale né il modello di Stato né il modello di governo. Parziali sono poi state le riforme costituzionali che hanno riguardato il ruolo e il potere delle Regioni, mentre in via di applicazione resta il cosiddetto federalismo amministrativo delle riforme Bassanini.
Incerti dunque sono rimasti i punti di riferimento nazionali in cui iscrivere il nuovo statuto delle Marche. Abbiamo cercato di compiere il nostro lavoro in un confronto sempre più aperto con gli enti locali, sapendo bene che la sostanza delle nuove regole non poteva prescindere dall’attenta conoscenza della società civile marchigiana. Una società civile che va intesa non solo come insieme di cittadini associati o contrapposti quali attori di ruoli economici, ma anche di cittadini titolari della troppo dimenticata rappresentanza, esercitata individualmente o espletata attraverso il diritto di associarsi nelle varie forme politiche, sindacali, culturali e sociali ancora previste dalla Costituzione. Siamo stati ampiamente consapevoli insomma del fatto che in particolare i principi fondamentali di una riforma in senso federale della Repubblica italiana debbano prevedere uno Stato federale che riforma lo Stato nazionale e non lo dissolve. Un nuovo modello che non può prescindere da un concetto di solidarietà proprio della storia costituzionale italiana.
Si usa dire che e se le costituzioni, quindi anche gli statuti, hanno un cuore, e certo non possono non averlo, questo è rappresentato da una vera consapevolezza del concetto di solidarietà istituzionale e dalla difesa dei diritti umani, fondamento della carta costituzionale repubblicana e di tutta la legislazione internazionale moderna. Universalità, interdipendenza e indivisibilità dei diritti sono presupposti del buongoverno, a qualunque livello esso venga perseguito. Di fatto sull’ente di governo locale regionale ricade oggi l’onere maggiore di rispondere concretamente, giorno per giorno, emergenza dopo emergenza alle esigenze che riguardano la cittadinanza di quanti risiedono nel territorio. Ecco perché è indispensabile riflettere e ribadire i valori fondamentali, sottolineare la storia delle radici delle comunità. Per risalire da queste alle istituzioni della governabilità democratica e per ridare primato alla politica simbiotica e solidale, valorizzando il luogo delle istituzioni. Insomma trattando dei valori abbiamo scelto di inserire nella normativa statutaria riferimenti alla pace e ai diritti umani, perché ritenevamo di dover inserire l’ordinamento regionale entro una sfera di principi che sta alla base di uno spazio giuridico mondiale in corso di sviluppo.
Ancora prendendo le mosse dal comma 7 del 117, dalla riforma del titolo V abbiamo ritenuto di dover dare attuazione concreta ai principi di parità. Negli statuti attualmente vigenti, per lo più datati ai primi anni Settanta non sono infatti presenti tematiche di pari opportunità. In Italia così come nelle Marche ci troviamo a vivere in una democrazia autenticamente e drammaticamente dimezzata, come spesso ormai la si definisce. Il fatto che ci si trovi in un sistema nel quale la maggioranza dei cittadini della repubblica, le donne, non ha né potere né voce, essendo praticamente assenti dalle sedi in cui le decisioni vengono assunte, configura un’anomalia tanto marcata da rendere assai difficile il funzionamento della democrazia. Molti suggeriscono che questa, anche da sola, potrebbe essere causa di distacco tra istituzioni e corpo sociale, tra paese reale e paese legale. Da qui la volontà unanime della Commissione di realizzare nelle Marche un più avanzato livello di pari opportunità.
Ho voluto fin qui trattare alcuni elementi fondanti della discussione. Il testo licenziato dalla Commissione , credo possa essere definito il migliore possibile nella situazione data, nella quale, come noto, manca il punto fermo costituzionale. Devo dire con soddisfazione che proprio la Commissione marchigiana ha contribuito ad affrontare positivamente alcuni temi complessi. Di questi, risolto positivamente dalla sentenza n. 313 del 2003 della Corte costituzionale risulta quello del potere regolamentare.
Per il resto il lavoro della Commissione, arricchito dal contributo delle tante audizioni e dei tanti incontri nelle sedi istituzionali e non solo, ha consentito di porre con chiarezza all’attenzione della società marchigiana i temi che l’Assemblea sovrana ora è chiamata a discutere.

PRESIDENTE. Ha la parola il relatore di minoranza, consigliere Ceroni.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI MINARDI

REMIGIO CERONI, Vice Presidente della Commissione speciale per la riforma dello Statuto regionale. Signor Presidente, signori consiglieri, la P.dL. n. 247 "Statuto della Regione Marche", è giunta alla fase conclusiva dopo un impegno molto intenso durato quasi quattro anni.
Attraverso una laboriosa discussione, abbiamo stilato la nuova Carta Fondamentale delle Marche sintesi di idee, ideologie, scelte politiche nelle quali dopo l'ulteriore confronto e i contributi di questa aula mi auguro ognuno di noi possa, il più possibile ritrovarsi.
Vorrei rammentare che ho potuto partecipare e contribuire solo parzialmente ai lavori della Commissione, avendo fatto il mio ingresso in un momento successivo all'insediamento della stessa, e precisamente, all'inizio di questo anno.
Intendo esprimere i più sentiti ringraziamenti non formali a tutti coloro che hanno collaborato e contribuito alla formulazione del nuovo Statuto della Regione Marche: ai consulenti, ai dirigenti e funzionari del Consiglio e della Giunta, nonché ai colleghi consiglieri regionali che hanno fatto parte della Commissione Statuto. Sento il dovere di rivolgere un ringraziamento particolare, alla presidente della Commissione prof.ssa Silvana Amati che si è prodigata con tenacia, spirito di sacrificio ed intelligenza, nel difficile compito di condurre con grande equilibrio i lavori tra posizioni politiche molto variegate ed inconciliabili anche all'interno della stessa maggioranza.
Abbiamo lavorato tutti nella convinzione che le istituzioni sono di tutti ed è importante cercare di scrivere insieme le modalità di funzionamento che debbono essere valide sia quando si è maggioranza che quando si è all'opposizione.
L'intento di tutti noi e stato quello di varare uno Statuto il più possibile condiviso e rappresentativo di tutta la regione, che potesse raccogliere i più ampi consensi.
E' noto, come i lavori della Commissione si siano svolti in un periodo di forte cambiamento politico-istituzionale, in una legislatura che si potrebbe definire di "transizione" durante la quale si è aperta una vera e propria " fase costituente" che ha segnato una decisa evoluzione del sistema regionale.
Questo Statuto è stato concepito alla luce delle modifiche apportate al titolo V della Costituzione italiana, in un quadro normativo di riferimento alquanto incerto e contraddittorio (si ricordi che la prima modifica costituzionale, al riguardo è avvenuta con la legge n. 1 del 1999, poi è successivamente avvenuta la modifica del titolo V alla fine del 2001 e successivamente sono stati presentati vari disegni di legge governativi di ulteriori modifiche costituzionali.
Siamo dinnanzi ad uno scenario caratterizzato da riforme costituzionali ancora in atto che pongono notevoli difficoltà ai lavori dei costituenti regionali.
Ritengo che la forte evoluzione istituzionale ci imporrà tra breve un ulteriore riassetto dello Statuto che oggi ci accingiamo a licenziare.
Lo Statuto in discussione è giunto in questa aula con il voto favorevole dei rappresentanti di Forza Italia in commissione.
Va dato atto al presidente di aver cercato in ogni modo di metterci in questa condizione. Questo però non significa che l'elaborato all'esame è il nostro statuto, perché deve essere chiaro che noi abbiamo in testa un altro statuto.
Lo Statuto a cui noi aspiravamo, doveva essere uno Statuto che avesse degli elementi di continuità con una grande tradizione civile delle Marche, ma nello stesso tempo moderno e rivolto al futuro, percepibile come uno Statuto per le Marche nel quale la nostra comunità si potesse largamente riconoscere.
Questo testo è snello, essenziale, ma non affronta alcuna delle questioni che noi riteniamo fondamentali e sostanzialmente rinvia tutto a regolamenti e a leggi regionali attuative da fare.
Questo Statuto ci appare modesto nei contenuti e, francamente, si fa molta fatica a riconoscere in esso la tipicità della società marchigiana: è uno Statuto che non coglie tutti i valori, né segna i caratteri della nostra Regione.
Mancano, infatti, quei riferimenti morali, culturali, storici ed etnici che caratterizzano le Marche e che rendono la nostra regione unica.
Se questo testo dovesse essere licenziato così come presentato al Consiglio, non riuscirebbe certamente a cogliere i caratteri della società marchigiana. forte delle sue tradizioni civili e delle sue radici cristiane, della sua laboriosità, operosità, creatività, imprenditorialità diffusa, e senso del dovere.
Uno Statuto, in altri termini, che non si discosta da un generico "Statuto tipo", adattabile a qualsiasi altra realtà regionale.
Il nostro spirito democratico e liberale di uomini liberi in coerenza con la volontà di partecipare a scrivere le regole di funzionamento della nostra regione, pur dissentendo in alcuni punti dal testo redatto, non ci ha impedito di esprimere un voto favorevole che trova ragione anche nello sforzo che la presidente e tutti i membri della commissione hanno fatto per comprendere le ragioni di tutti. Mi auguro che alla fine di questi lavori possa permanere in noi questo atteggiamento.
Noi riteniamo il preambolo parte fondamentale dello Statuto perché contiene il richiamo ai valori forti e guida della Società marchigiana. Per questo, ci appare carente e generico, e non in grado di rappresentare ai marchigiani di oggi e alle generazioni future, in modo chiaro ed inequivocabile, alcuni principi ideali e politici che noli riteniamo irrinunciabili.
In primo luogo, nel preambolo manca una questione che noi riteniamo fondamentale: il riferimento chiaro ed esplicito all'uomo.
Questo Statuto nasce per servire l'uomo, per venire incontro alla sua domanda di umanità, al suo bisogno di avere una radice, di tenere ben stretta la sua dignità, di vedere esaudito il suo desiderio di cittadinanza, di poter vivere pienamente il suo dovere di cittadinanza.
Lo Statuto deve porre al centro del suoi obiettivi l'uomo con i suoi problemi, con le sue necessità, con le sue domande. Questa attenzione mi sembra di poter dire che manchi completamente e, se volete, non è rilevabile tra i principi e i valori fondamentali contenuti nello Statuto.
Seconda questione: se noi riteniamo che il preambolo deve racchiudere valori ed esperienze che hanno segnato la nostra storia e ai quali lo Statuto si ispira, non si può ignorare o nascondere il contributo che la cultura cattolica ha significato per la realizzazione e la crescita della nostra regione.
Ciò non toglie che l'affermazione delle radici cristiane e cattoliche della nostra terra sia accompagnata dal principio della tolleranza di ogni altra forma di confessione religiosa.
Noi valutiamo insufficiente il richiamo alla matrice religiosa della nostra terra, perché riteniamo di dover affermare chiaramente che le Marche hanno una tradizione religiosa cristiana e cattolica.
Riconoscere che la nostra cultura sia permeata con elementi cristiano-ebraici è un atto dovuto a duemila anni di storia delle nostre genti.
E' pur vero che nella recente Costituzione europea nonostante l'impegno dei partiti popolari europei di ispirazione cristiana, per l'opposizione di forze laicistiche e radicali è venuto a mancare il riferimento alle radici cristiane dell'Europa, ma le Marche non sono l'Europa.
Come è possibile che componenti dell'attuale maggioranza regionale, che si ispirano a valori cristiani e cattolici, che hanno un forte riferimento morale e culturale nel Cristianesimo, non sentano il bisogno di affermare nello Statuto in modo netto e inequivocabile i principi a cui fanno riferimento.
Anche un grande filosofo come Benedetto Croce, uno dei più autorevoli esponenti del pensiero laico contemporaneo, afferma che, "se ci appelliamo alla storia non possiamo non riconoscerci e non dirci Cristiani". Aggiunge poi che "il Cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuto".
Ecco perché, se provassimo a negare o ignorare i valori cristiani non ci rimarrebbe tra le mani che un testo arido ed insignificante.
Noi condividiamo il riferimento al patrimonio storico del Risorgimento, ai valori ideali e politici della Repubblica nata dalla Resistenza che ha contribuito a liberare le Marche dal fascismo e dal nazismo. Non possiamo, però, non rilevare che in questo testo manca ogni riferimento, alla lotta e all'avversione a tutte le forme di totalitarismo. In modo particolare, a quelle ideologie maligne che hanno comportato le più grandi tragedie del secolo precedente con milioni di morti e cioè il nazismo ed il comunismo.
Ci pare che si voglia negare alle giovani generazioni, la verità storica piegando la stessa a ragioni di parte che non sono più tollerabili in una società moderna, democratica, liberale e pluralista. Tragedie che purtroppo in alcuni Paesi continuano a manifestarsi con effetti devastanti.
Inoltre, nessun accenno nessuna presa di distanza rispetto alla spaventosa realtà del terrorismo che rappresenta per il XXI secolo una tragedia non certamente da meno di quelle che hanno insanguinato il secolo precedente.
A noi sembra, che condannare ogni forma di totalitarismo e violenza, sia un dovere, una manifestazione culturale di alta civiltà, di alto impegno politico e ideale.
Anche il principio di uguaglianza come formulato all'art. 3 della presente bozza di Statuto, appare generico, privo di concretezza e di efficacia.
Se è corretto e giusto che in una società democratica in cui la libertà è uguale per tutti, vengano garantiti i fondamentali diritti sociali, (salute, istruzione, ecc.) in modo da assicurare una buona comunità politica, rimane il problema di rendere l'uguaglianza sostanziale, eliminando discriminazioni, rimuovendo gli ostacoli e creando pari opportunità. Non basta cioè annunciare un principi è necessario dargli effettività. Ecco quindi la necessità che il testo proposto espliciti meglio il concetto di uguaglianza, che va tradotto in comportamenti e norme conseguenti.
Ci sono poi altre questioni, per noi importanti, che rendono lo Statuto non condivisibile completamente.
La Costituzione italiana all'art. 29 riconosce e garantisce i diritti della famiglia "quale società naturale fondata sul matrimonio". La norma costituzionale è chiara ed inequivocabile. La famiglia non è un mero fatto privato dei singoli individui ma uno snodo fondamentale tra la persona e la società e per questo trova esplicito riconoscimento costituzionale. Parimenti la famiglia non è una questione cattolica, una specifica forma di convivenza dei credenti, come molti vorrebbero far credere.
La famiglia riguarda tutti i cittadini, e per questo va affrontata con argomenti razionali, con chiarezza e serietà di analisi in tutti i suoi risvolti, giuridici, psicologici, sociologici, economici e politici.
Per noi lo Statuto deve prevedere il riconoscimento e la difesa del valore sociale della famiglia fondata sul matrimonio, deve inoltre risultare chiara ed inequivocabile la distinzione che la nostra Costituzione pone tra la famiglia e le altre formazioni sociali. Noi siamo contrari all'equiparazione delle convivenze con l'istituto matrimoniale, ad una visione riduttiva della famiglia relegata esclusivamente nel privato, quasi fosse una scelta puramente personale, ininfluente per la società.
Al contrario, nell'attuale società, la famiglia è chiamata a rinnovare la sua centralità sociale.
E' fondamentale passare da una società dove la maggior parte dei diritti e delle prestazioni sono previsti per gli individui (welfare state), ad una società ove diritti e prestazioni siano previsti per le famiglie (welfare Society). Ed è proprio in questa anomalia che si nasconde la decadenza generata da un individualismo illimitato unito ad uno statalismo intrusivo. Tale anomalia va superata.
La welfare society fondata sulla famiglia, si potrebbe anche definire come la società della libera scelta.
Una società nella quale il livello privato e il livello statale cooperino e competano nell'offerta dei servizi fornendo un unico sistema pubblico all'interno del quale, viva la più plurale e libera scelta dei cittadini.
Non "meno Stato e più mercato", dunque, come si diceva negli anni Ottanta, ma "Stato necessario e Società responsabile". E' questa l'unica via per riuscire a governare società che, demograficamente e culturalmente si vanno facendo sempre più complesse.
Non a caso, del resto, istruzione e sanità diventano le questioni cruciali (e di difficile governabilità) di tutti i Paesi occidentali: perché sono i settori dove più urgenti, sofisticate e plurali si fanno le domande dei cittadini e, nello stesso tempo, più acutamente stridono le disfunzioni e gli anacronismi dello statalismo che in questa Regione ha raggiunto livelli ormai non più accettabili.
Quindi, la famiglia è chiamata ad assumere svolgere un ruolo sempre più strategico ma può farlo se è fondata su tradizioni consolidate, principi saldi e regole certe e, quindi, secondo il dettato costituzionale, sul matrimonio.
Quindi il richiamo contenuto nell'art. 4 dello Statuto è elusivo rispetto al dettato costituzionale: la mancanza di chiarezza rischia di generare confusione sul ruolo che la famiglia deve avere nella società a garanzia del buon funzionamento di tutte le istituzioni, sociali, politiche ed economiche.
Il modello di famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ha diritto di essere riconosciuto sostenuto e valorizzato.
Il testo statutario evitando di definire il concetto di famiglia equipara di fatto la famiglia fondata sul matrimonio a tutte le altre forme di convivenza.
Siamo convinti che così facendo ci siano grossi rischi di confusione. Noi non possiamo accettare che le convivenze siamo messe sullo stesso piano della famiglia fondata sul matrimonio per noi questa è una assimilazione inaccettabile.
Lo sviluppo della Regione deve essere fondato sulla libertà di intraprendere. L'art. 4 della bozza di Statuto sullo sviluppo economico della regione Marche, pur in parte condivisibile, ci sembra abbia sottovalutato il ruolo dell'impresa, intesa nella sua più vasta accezione, di produzione, trasformazione, distribuzione, turistica e di servizi.
Le imprese marchigiane, in larghissima parte di piccole dimensioni, hanno dato un contributo determinante alla crescita sociale ed economica della regione, costituendo un modello di sviluppo guardato con attenzione in Italia e nel mondo.
Ma, i grandi mutamenti in atto economici e tecnici, (globalizzazione, informatizzazione, innovazione tecnologica e comunicazione), richiedono un profondo cambiamento d'approccio culturale, prima che politico, nel rafforzamento del sistema imprenditoriale marchigiano, a livello dimensionale, imprenditoriale, manageriale e professionale.
Ciò significa che dobbiamo creare nelle Marche un ambiente aperto e favorevole all'impresa, un sistema infrastrutturale rinnovato e moderno; un nuovo rapporto banca-impresa; un contributo concreto e di alta qualità delle università marchigiane per favorire la ricerca, l'innovazione tecnologica e l'informazione, un adeguato sostegno economico alle nuove generazioni imprenditoriali ed alla crescita dimensionale, nonché allo sviluppo di un management a livello internazionale.
Ma se questi sono i fattori che vanno perseguiti al massimo della coesione sociale e della capacità di intraprendere, è indispensabile per realizzare un progetto globale di sviluppo, una organizzazione del territorio, anzi dei tanti territori di cui le Marche si compongono.
Per realizzare un progetto così complesso e moderno, come già affermato, si richiede un approccio culturale diverso dal passato che implichi il contributo di tutti i soggetti pubblici e privati interessati allo sviluppo, guidati da una visione accorta delle loro diversità.
La Regione, quindi, in primis, deve rispondere alle esigenze territoriali globalmente intese ed in particolare a quelle dell'impresa dando il massimo possibile delle sue risorse e delle sue disponibilità, rinunciando ad assumere tradizionali posizioni di controllo mascherato, per divenire, al contrario, strumento di accrescimento competitivo dell'intero sistema produttivo collegato fortemente a politiche di rilievo internazionale: perché ciò è in definitiva il fine ultimo del federalismo.
Lo Statuto richiama in più punti il principio di sussidiarietà, senza darne un'esplicita definizione.
Noi riteniamo che la sussidiarietà sia uno strumento di coesione sociale fra istituzioni pubbliche, formazioni sociali, e singoli cittadini tutti ugualmente chiamati, secondo le loro specificità, a collaborare per la valorizzazione della persona e lo sviluppo solidale della società.
Proprio per attuare la piena valorizzazione del territorio e dei governi locali, (obiettivo del federalismo in aderenza al nuovo art. 118 Cost.)., è necessario che il principio di sussidiarietà trovi attuazione, sia a livello verticale (le funzioni amministrative, devono essere svolte al livello più vicino al cittadino, Comuni e Province, dietro trasferimento delle risorse necessarie riservando alla Regione solo le funzioni che richiedono l'unitario esercizio) che a livello orizzontale (alla Regione deve essere riservato solo il Governo delle risorse strategiche e dei servizi di interesse generale, mentre per la gestione dei beni e servizi pubblici come di tutte le altre attività, devono essere favoriti i soggetti privati e le formazioni sociali).
In particolare è proprio la "sussidiarietà orizzontale" che permette di valorizzare la ricchezza della "società civile marchigiana" nelle sue diverse articolazioni (imprese, cooperazione, associazionismo, volontariato).
In questo senso lo Statuto deve contenere esplicitare questa distinzione affinché non si rischi di identificare il principio di sussidiarietà solo con la sussidiarietà "verticale".
Inoltre, il principio di sussidiarietà deve essere fortemente correlato al principio dell'efficienza: ciò significa devolvere le competenze al livello istituzionale più vicino al cittadino ma anche a quello maggiormente efficiente.
Caratteristica della regione Marche è quella di avere al suo interno una realtà fatta di province profondamente diverse tra loro: province che hanno la pianura e la montagna, il mare, differenti modelli di agricoltura; province fatte di una diversità che si fa coesione perché unisce le diversità e le fa diventare una ricchezza.
L'articolazione policentrica è una ricchezza naturale della nostra Regione, ogni tentativo di incidere su questa specie di memoria genetica, alterandone gli equilibri di governo e di conseguenza quelli economici sottostanti, potrebbe ostacolare la crescita complessiva del sistema e la sua evoluzione politico amministrativa.
Non c'è dubbio che un sistema policentrico presenti delle enormi opportunità in termini di partecipazione e di auto legittimazione complessiva e per questo lo statuto deve contenere l'impegno di salvaguardare e valorizzare il policentrismo
E' indubbio che un sistema policentrico presenti in teoria costi superiori di un sistema accentrato.
E' quindi indispensabile che il Governo regionale rispettando ;l pluralismo e l'autonomia operi in modo da combattere gli sprechi che tale sistema potrebbe produrre disciplinando secondo razionalità e strategie più coerenti, un sistema di norme informato a un nuovo modello di sviluppo.
Il sistema politico italiano dopo il crollo della prima Repubblica si è mosso secondo alcune linee direttrici: il bipolarismo; l'alternanza fra gli schieramenti; la stabilita dei governi; il principio della responsabilità verso gli elettori.
Le leggi cost. n. I del 1999 e n. 3 del 2001 hanno imposto alle Regioni di adeguare il loro ordinamento in conformità a queste linee guida.
Per quanto riguarda il sistema elettorale, la riforma del Titolo V della Cost. ha lasciato alle Regioni aperte due possibilità: la possibilità di scegliere l'elezione diretta del Presidente della Regione; la possibilità di riportare l'elezione del Presidente tra i compiti del Consiglio regionale.
Nella Commissione Statuto a larghissima maggioranza è stata scelta l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale. Per quanto ci riguarda e indubbio che l'elezione del Presidente della Giunta regionale risponda meglio ai principi sopra enunciati.
Noi condividiamo appieno la scelta dell'elezione diretta del Presidente della Regione che riteniamo fondamentale all'esigenza di rafforzare la stabilità dei governi regionali.
Questo significa che la legge elettorale deve essere costruita in maniera che i cittadini elettori possano scegliere il Presidente della Regione, sulla base del programma che egli intende realizzare con il concorso dei partiti della coalizione che lo sostiene.
Naturalmente il Presidente della Regione deve poter scegliere i componenti della Giunta che lo debbono coadiuvare nell'attività di governo.
E' evidente, che l'elezione diretta rafforza il "patto" tra elettori e Presidente il quale rappresenta il perno del sistema ed è il garante del patto con gli elettori.
Inoltre, la scelta diretta da parte degli elettori del Presidente, nel dare una maggiore responsabilità al Presidente della Regione permette allo stesso, a differenza del passato, di rispondere in modo più efficiente e dinamico ad una società più complessa e in rapida trasformazione, evitando i tempi sempre più lunghi della politica. Tale sistema ha dimostrato di funzionare bene in questi dieci anni e sono in molti a ritenerlo modello di riferimento anche per la riforma del sistema politico nazionale.
Credo che questo sistema garantisce all'esecutivo la possibilità di avere tutti gli strumenti per esercitare la funzione di governo e per portare a compimento il programma di chi legittimamente risulta vincitore delle elezioni.
Anche il Consiglio regionale, essendo eletto direttamente, contestualmente e congiuntamente con il Presidente della Regione è un organo di grande importanza al quale è affidato il potere legislativo e della rappresentanza democratica della Regione.
Nello Statuto mancano però quelle norme necessarie a garantire al Consiglio regionale di poter svolgere incisivamente, in piena autonomia, tutte le funzioni di collaborazione, controllo, verifica, ispezione, indirizzo nei confronti dell'Esecutivo.
Contrariamente a quanto previsto in altre Regioni nel nostro Statuto manca la definizione del ruolo e dei diritti dell'opposizione.
Nella nostra Regione l'opposizione vive un forte disagio, ma anche i consiglieri di maggioranza questo disagio: per questo lo statuto deve prevedere un diverso rapporto Giunta/Consiglio attraverso un informazione più puntuale, più attenta, più capillare sull'attività che l'Esecutivo porta avanti.
Il Consiglio deve organizzarsi meglio, deve in primo luogo avere una sistemazione logistica più dignitosa. Nessun altro consigliere regionale si trova in una situazione così precaria e mortificante come quella che vivono i consiglieri regionali delle Marche.
E' necessaria una riorganizzazione e riqualificazione delle strutture e dei servizi del Consiglio non finalizzata esclusivamente a favorire un po' di amici, ai quali affidare responsabilità e stipendi maggiori e penalizzare altri magari professionalmente più preparati ma scomodi, nell'ottica di poter mettere i consiglieri in condizione di svolgere la funzione per cui sono stati eletti.
La Commissione, nella seduta del 19 maggio 2004 ha assunto alcune linee di orientamento generale in ordine alla elaborazione della legge elettorale.
Noi abbiamo firmato questo impegno e lo condividiamo appieno: 1) Conferma del sistema proporzionale di confronto tra coalizione con premio di maggioranza (60% dei seggi alla coalizione vincente); 27 attribuzione dei seggi a ciascun partito in proporzione del totale dei voti ottenuti su scala regionale in base al metodo D'Hondt; 3) assegnazione degli eletti alle circoscrizioni provinciali sulla base della popolazione, onde evitare che nessuna provincia abbia meno eletti rispetti a quelli assegnati; 4) superamento della lista regionale - c.d. "listino" - con l'assegnazione del premio di maggioranza di cui al precedente punto 1; 5) verifica dell'opportunità del mantenimento del voto disgiunto; 6) orientamento di massima per il mantenimento degli attuali meccanismi relativi alle soglie di sbarramento 7. attuazione dei principi costituzionali (art. 51-117, comma; 7) sulle pari opportunità mediante inserimento di norme cogenti a garanzia della rappresentanza di entrambi i sessi nelle liste.
Linee che noi condividiamo appieno salvo la riserva per quanto riguarda il punto 5 circa il voto disgiunto che appartiene più ad un modo spregiudicato di intendere la politica che alla volontà di garantire un ulteriore libertà di scelta per il cittadino.
Non abbiamo difficoltà a prevedere la possibilità di nominare assessori esterni anche senza limiti perché il sistema è in grado di autoregolamentarsi.
Nella Giunta regionale in carica nonostante questa possibilità non ne è presente alcuno.
Sul numero dei consiglieri regionali certamente questo non è il periodo migliore per affrontare questo argomento.
Non si può dimenticare: che il rapporto elettori-consiglieri regionali nelle Marche già esiguo; che l'aumento dei consiglieri favorisce la frammentazione del sistema politico (24 partiti hanno partecipato alle elezioni europee); che determina l'aumento dei costi del sistema in una fase di grave crisi economica.
Forza Italia comunque ha lasciato i propri consiglieri ampia libertà di voto, anche perché ritengo che questo fatto attenga profondamente all'etica politica di ciascuno di noi e alla nostra coscienza.
Non ci possiamo nascondere che nel prendere questa decisione viviamo all'interno di ciascuno di noi un profondo travaglio e disagio che deriva da un evidente conflitto di interessi.
Sul piano personale ritengo che non ci siano i presupposti nelle necessità di aumentare il numero dei consiglieri .
Ritengo che una scelta di questo tipo non sarebbe assolutamente compresa dalla collettività marchigiana e contribuirebbe ad approfondire quel solco che sempre più divide la politica dalla gente.
Noi siamo fiduciosi circa le riflessioni, i contributi e le soluzioni che al termine dei lavori renderanno il nostro Statuto più aderente alla realtà delle Marche.
Ci auguriamo di poter esprimere un voto finale favorevole anche al prezzo di rinunciare ad una parte delle nostre convinzioni vi chiediamo almeno in questa occasione di fare a meno dell'atteggiamento che avete tenuto costantemente in questa aula nel corso di questa legislatura, rifiutando a priori il contributo dell'opposizione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Procaccini.

CESARE PROCACCINI. Nella concezione dei Comunisti italiani gli statuti regionali non sono piccole Costituzioni, perché le Regioni non sono e non debbono essere dei piccoli "staterelli" ma articolazioni istituzionali che concorrono a realizzare quella Repubblica delle autonomie prevista dalla Costituzione.
In questo senso, in questa fase in cui è stato modificato il titolo V della Costituzione dobbiamo parlare della necessità di adeguare gli Statuti regionali in vigore e non di nuovi Statuti. Ciò non significa che la cosa sia di poco conto. Nelle Marche siamo ad una fase decisiva. Attraverso le modifiche lo Statuto si può migliorare od anche peggiorare. A questo punto il nodo principale da sciogliere riguarda la forma di governo regionale e di conseguenza la legge elettorale che non è norma statutaria.
Come noto i Comunisti italiani sono contrari all'attuale sistema di nomina del Presidente della Regione attraverso l'elezione diretta. Ormai il presidenzialismo regionale equipara il Presidente della Giunta ad un governatore e la modalità di nomina e revoca della Giunta stessa, fatta in piena autonomia dal "Presidente-governatore" separa la Giunta dal Consiglio che è la massima espressione di rappresentanza. Questa formula personalistica svilisce il ruolo del Consiglio regionale e l'abbiamo visto anche alcune settimane fa, quando è stato sostituito l'assessore Silenzi. Il Presidente della Giunta, in piena legalità, ha relazionato al Consiglio, in via del tutto residuale, solo dopo, solo in forma, appunto, del tutto residuale.
Ma la nostra contrarietà all'elezione diretta del Presidente della Giunta ha anche un valore politico più generale contro il presidenzialismo propugnato dalla destra e non solo.
Sbagliano alcuni partiti dell'Ulivo a sposare l'elezione diretta del Presidente della Giunta. Se ciò fosse anche nel voto finale, questo indebolirebbe in maniera grave una battaglia più complessiva. Come si fa a dire di sì al presidenzialismo regionale e al tempo stesso essere contrari all'elezione diretta del Governo centrale, attraverso il suo Presidente? E' una forte contraddizione sulla quale, compagni ed amici, vi invito a riflettere.
Nello Statuto regionale in corso di revisione, sulla forma di governo i Comunisti italiani propongono, dopo la sentenza della Corte costituzionale sullo Statuto della Regione Calabria, che il Presidente della Regione sia indicato politicamente dal corpo elettorale, ma la sua nomina sia deliberata senza vincoli, quindi nella massima libertà e nella propria responsabile autonomia, dal Consiglio regionale.
Al tempo stesso, proprio nel rispetto della funzione del Consiglio come organo rappresentativo e legislativo, il Consiglio medesimo non può e non deve essere concepito come un elemento di autoriproduzione, di autogaranzia che si disinteressa delle eventuali crisi.
In tal senso noi proponiamo che il Consiglio regionale possa sostituire solo una volta il Presidente della Regione, dopodiché esso sarà sciolto e solo a quel punto si torni al corpo elettorale con nuove elezioni. La declinazione legislativa ed elettorale di questa necessità democratica deve tenere insieme la rappresentanza di tutti i partiti e al tempo stesso la stabilità della Giunta regionale attraverso un premio di maggioranza che può essere definito in molteplici forme, che tuttavia tengano conto dell'apporto delle forze politiche, grandi e piccole, perché anch'esse sono decisive per vincere le elezioni.
Non si può, in una società divisa in classi, abolire per legge, attraverso sbarramenti, la rappresentanza del conflitto sociale. come alcune forze di centro-sinistra, ancora una volta sbagliando, in alleanza con il centro-destra propongono, come in Sicilia dove esiste addirittura una proposta firmata da Ds e An che prevede la cosiddetta "semplificazione" attraverso uno sbarramento del 5%.
Intendiamoci, noi Comunisti non vogliamo essere "garantiti per legge", senza avere una rappresentanza, anzi ci candidiamo a superare qualsiasi forma di sbarramento, ma già oggi i Comunisti italiani sono una forza di tutta dignità, a livello nazionale e a livello regionale.
Ma, ripeto, il problema prescinde dall'attuale realtà, anzi i Comunisti italiani, nelle Marche sono al 3,5% alle europee, al 3,7% alle provinciali. Sono andati avanti più di tutti: rispetto al 2001, +12.400 voti, quando altri partiti del centro-sinistra, o hanno perso quasi 70.000 voti come il "listone", o altri a sinistra sono andati avanti ma in maniera più contenuta.
Ma il problema non è della consistenza, il problema è della rappresentanza, proprio perché, è ovvio, essendo noi un partito ancora troppo piccolo, tuttavia siamo parte di un sistema democratico al quale non vogliamo rinunciare.
Perché parliamo della necessità di riqualificare la rappresentanza politica, il ruolo dei partiti politici? Il contesto esterno in cui avviene questa discussione sulla riforma dello Statuto dimostra la crisi profonda della politica. Si stanno rideterminando le forme e i luoghi della rappresentanza: organismi ecclesiastici ed organismi economici dettano il dibattito, impongono scelte e decisioni. I partiti, alcuni partiti del centro-sinistra e del centro-destra, ma soprattutto del centro-sinistra, anziché affrontare i temi veri per dare un migliore ruolo al Consiglio regionale abolendo il presidenzialismo o attenuandolo, hanno parlato, esaltato la discussione sul numero dei consiglieri, numero che tuttavia non può prescindere dalla forma di governo. Inoltre questa discussione, se così staccata dai temi che interessano i popolo, genera qualunquismo e demagogia. Il tema vero non è il numero, il cuore è invece quello di evitare che il Consiglio regionale venga legato al destino di una persona, del "Presidente-governatore".
Gran parte dei partiti del centro-sinistra, anziché orientare una discussione forte contro i presidenzialismi, si fanno orientare da posizioni conservatrici che rimettono in discussione i principi generali, formali e sostanziali, già in pericolo a causa dell'attacco alla Costituzione portato dalla destra. Ciò è il segnale di una crisi, anche di prospettiva culturale e politica, è la crisi di chi ha sostituito l'ideologia con un eclettismo tutto programmatico. Siamo in una fase di attacco ai principi costituzionali, in primo luogo a quelli del lavoro ma anche ai valori della Resistenza e abbiamo sentito qui, nell'indifferenza dell'aula, una grande offesa nel dire che comunismo e nazismo sono la stessa cosa, da persone e personaggi che dovrebbero vergognarsi, perché il comunismo, soprattutto in Italia, è sinonimo di libertà, di democrazia e di progresso.
Quindi non bisogna in alcun modo agevolare tale disegno ma, al contrario, bisogna dare più forza ai luoghi della rappresentanza, primo fra tutti il Consiglio ed i Consigli. Il Presidente della Giunta non deve essere il direttore generale, la Giunta regionale non deve essere un consiglio di amministrazione nominato o revocato, il Consiglio regionale, a questo punto della discussione deve dire esso stesso se vorrà avere un ruolo di rappresentanza popolare e di organo legislativo e non di mero organismo subalterno al "Presidente-governatore". Questo ruolo lo potrà avere solo se si abolirà l'elezione diretta prevista dall'art. 7 della proposta.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Grandinetti.

FABRIZIO GRANDINETTI. Signor Presidente del Consiglio, signor Presidente della Giunta, colleghi, ritengo che per quanto riguarda la settima legislatura questo dovrebbe essere il momento largamente più qualificante. Facendo una comparazione tra la VI e la VII legislatura, dobbiamo dire che abbiamo assistito a una VI legislatura in cui vi sono stati attenzione, rispetto reciproco, una battaglia durata magari ore e ore, fino a notte, che ha comunque qualificato sia l'opposizione che la maggioranza. Quella attuale è una legislatura più scialba, con una attenzione che spesso non è degna di questo consesso e anche in un momento così solenne regna una certa confusione che vorrei si evitasse, almeno nel momento che dovrebbe sublimare e riportare questa legislatura a un'altezza a lei consona.
Per me la questione dello Statuto rappresenta una grande passione ed è stata grande passione, perché come vicepresidente ho fatto parte della Commissione straordinaria per la riforma nella precedente legislatura, di cui era presidente Pacetti. Poi crollò la Bicamerale e ciò portò alla fine di questa Commissione straordinaria.
Non so nemmeno se oggi era opportuno trattare lo Statuto, quando ci sono ancora in discussione, a livello nazionale, tante cose che sono connesse, per cui non mi meraviglierei che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi dovessimo ritornare sopra questa materia, però abbiamo fretta di farlo, facciamolo.
In questo momento vorrei anche ricordare che ci sono ,e rappresentanti al Congresso delle Regioni, due di maggioranza e uno di minoranza, di questo Consiglio, e anche lì si è dibattuto e si sono vissuti momenti importanti che poi sono stati riportati, in qualche modo, nelle battaglie istituzionali che hanno riguardato anche lo Statuto delle Marche, una grande esperienza, un'esperienza qualificante.
Le Marche, per prime in Italia hanno dibattuto e approvato in due letture anche il Parlamento regionale, che sarebbe stato il primo a livello nazionale, proposta bocciata dal Governo, dalla Corte costituzionale, quindi oggi non è legge statutaria, quindi siamo "Consiglio regionale delle Marche". Questo dimostra la mia teoria — che espressi ancor prima — che tutti i governi, siano essi di centro-sinistra o di centro-destra diventano centralisti una volta al potere e affossano sempre tutto quello che è devoluzione, federalismo, cercare di dare i poteri alle persone più a contatto con la gente.
Quindi bocciato dal Governo di centro-destra il "Parlamento delle Marche". Sarebbe stato il primo. Questo lo fece notare il ministro Bossi al Congresso delle Regioni e rimase un po' imbarazzato del fatto, ma bisogna essere coerenti fino alla fine: se fosse stata per prima a proporlo la Regione Lombardia forse sarebbe passato. Forse le Marche l'hanno pensato prima, sono state coerenti con questo sentire, fino in fondo, e non hanno avuto soddisfazione.
Non farò una lunga relazione come hanno fatto, giustamente e in modo qualificante i due relatori, di maggioranza e di minoranza, però voglio fare alcune riflessioni scendendo subito nel merito.
La prima riguarda il preambolo. Ho letto "matrice religiosa". Mi domando: vogliamo essere chiari o ancora parliamo in "politichese", anche negli statuti? Quale matrice religiosa? La matrice religiosa che c'è nelle Marche per storia, per sentire dei marchigiani è la matrice religiosa cristiana e cattolica. Perché vogliamo copiare i vecchi personaggi che parlavano senza dire nulla e lo mettiamo anche per iscritto su una legge così importante, questo "politichese"? Quando citiamo la lotta partigiana tanto di cappello, gli eroi del Risorgimento tanto di cappello, tanto di cappello anche al sentire dei marchigiani che nella stragrande maggioranza, anche i signori laici presenti nell'aula, hanno frequentato gli oratori, hanno giocato a pallone nelle parrocchie, hanno avuto sempre un rispetto per questa loro educazione, che poi ritroveranno in punto di morte un po' più in là negli anni, perché molti la ritrovano, nel corso della vita, questa fede. Comunque i marchigiani nella loro stragrande maggioranza pensano quello, dunque una cosa è il partigiano — tanto di cappello — una cosa l'eroe del Risorgimento, ma Dio ha una priorità assoluta nel nostro sentire e nelle nostre coscienze. Questo non è nemmeno da trattare con compromessi, è una cosa da mettere o non si vota lo Statuto. A me è difficile, per il rispetto che ho per i miei corregionali, votare una cosa che non è nel loro sentire.
L'Europa. Ci definiamo tutti europeisti, chi più e chi meno, c'è la cosa a chi è più europeista, poi si parla di Europa in modo sfumato e non si parla della difesa della cultura occidentale ed europea che deve essere ben citata in questo Statuto. La nostra Regione, che vuole i rapporti internazionali, che vuole affrancarsi anche per quanto riguarda i rapporti con le altre Regioni europee è giusto che citi la propria cultura, che oggi va difesa più che mai con orgoglio, per un passato di grande tradizione, di grande cultura, in special modo — non voglio nemmeno approfondire, perché non ce n'è bisogno in quest'aula e su questo argomento — va difesa la cultura occidentale.
Un accenno farei alla riaffermazione della centralità della persona, che è citata, ma va citata la sua centralità, di cui tanti si riempiono la bocca, specialmente chi parla di sociale. Ho sentito in quest'aula riempirsene la bocca, in modo giusto, credendoci, in buona fede, legittimamente, anche qualche persona di centro-sinistra.
Togliamo la gabbia alla donna. Cosa significa questa Commissione pari opportunità che ingabbia le donne, magari fa fare loro qualche viaggetto, qualche convegno? Prevediamo allora sullo Statuto — ed è oggetto di un mio emendamento — che il 50% di coloro che sono posti in lista per le elezioni regionali, ma anche il 50% delle proposte che i consiglieri regionali devono fare per quanto riguarda le cariche regionali, siano nominativi di donne. Diamo opportunità vere e non una gabbia per far fare loro convegni e viaggetti di piacere.
Passando alla famiglia, che è il nucleo fondante della nostra società, un collante della nostra comunità umana, ritengo che sia una cosa da ben specificare e riaffermare con determinazione e forza. Nonostante la mia appartenenza di cattolico liberale, credente, praticante e militante in quel mondo, ho grande rispetto — perché non ho idee bigotte — per le persone che fanno scelte diverse per quanto riguarda la propria vita. A volte bisogna rispettare più chi fa coerentemente certe scelte che chi le fa con incoerenza, però dobbiamo andare anche secondo la legge, secondo la Costituzione di cui voi parlate sempre tanto bene. L'art. 29 della Costituzione dice cos'è la famiglia. Le altre unioni restino delle unioni, ma non sono famiglia. Vanno rispettate, perché il rispetto del mondo laico fa parte della democraticità di una persona liberale, però non può chiamarsi, tutto ciò, famiglia. E' nel sentire, nella tradizione, in quello che abbiamo vissuto fino adesso, tutto ciò.
L'impresa che tanto decantiamo tutti, quel congegno che arricchisce tutti e crea per tutti benessere all'interno della società, che viene ripresa sempre di più da ali della sinistra che le è stata ostile per tanto tempo, per motivi ideologici che vengono piano piano a cessare per una questione di buon senso e di evoluzione delle menti, deve essere bene onorata e ben citata, perché nelle Marche è stata anche protagonista di un modello economico che ha fatto scuola a livello internazionale. Direi che la comunità marchigiana deve dare all'impresa questo tributo all'interno del proprio Statuto.
Gli assessori esterni vanno limitati, non possiamo arricchire quest'aula di persone che non hanno nemmeno il consenso della gente. Possono essere dei tecnici, lo siano due persone, lo siano tre persone, ma devono essere dei tecnici d'alto livello e di alto profilo che vadano ad arricchire, con la loro personalità, con il loro livello alto quest'aula, ma non possono essere dieci politici "da sistemare", perché di persone da sistemare nella classe politica ce ne sono tante e le vedremo non solo negli "assessori tecnici", ma anche nel Consiglio delle autonomie.
Per quanto riguarda il mondo economico, sarebbe opportuno specificare, nello Statuto, che il Cnel regionale, o Crel, è sicuramente necessario, perché porta un contributo di competenze enorme, che noi non abbiamo o abbiamo in modo superficiale. Il mondo dell'economia è un mondo molto importante, quindi sono favorevole a che questa cosa sia specificata.
Il Consiglio delle autonomie, previsto oggi dalla Costituzione, ritengo che sia un altro modo per sistemare personale politico. IN primis la Costituzione non è stata sempre applicata, perché ci sono articoli importanti che non hanno mai avuto seguito nella loro applicazione, inoltre abbiamo delle organizzazioni, come l'Anci, che già servono per consultare, dunque doppioni, ma retribuiti, perché ci sarà una legge applicativa. Servono per sistemare altri politici. Ma il politico si crei un proprio lavoro prima di fare il politico, altrimenti non apporta nulla nei consessi a cui partecipa se non ha già un bagaglio, perché qui c'è sempre la paura che il politico rimanga senza un posto importante e debba quindi tornare a fare nulla, se non ha un lavoro, o il funzionario di partito, senza che i partiti abbiano più quegli strani finanziamenti che avevano prima per accontentarli. Si creino dei lavori, in modo che, dopo la loro esperienza politica, possano tornare tranquillamente al loro lavoro.
Sono quindi per l'abrogazione dei tre commi che prevedono il Consiglio delle autonomie.
Arrivo, dulcis in fundo, al numero dei consiglieri regionali, che fa parte di una battaglia solitaria portata avanti per tanti mesi. Vedo che qualche piccolo consenso in aula comincia ad esserci, ormai da qualche settimana e penso che questo debba essere oggetto anche di un voto palese, se troverò due persone che chiedono il voto palese e nominativo su questo argomento. Non sono d'accordo nemmeno con i 40+2, ma non ho presentato emendamenti in aula, perché capivo che i 40 potevano essere la stura per arrivare a 50. Al limite c'è un testo della Commissione Statuto. Quindi no ai 50. Qualche consigliere ha detto che diminuirà il numero dei parlamentari. Il Parlamento ha deciso di diminuire in modo ingiusto, che io non condivido, dal 2011. Il presidente del Consiglio ha detto "non possiamo chiedere ai tacchini di anticipare il Natale". Che i deputati e senatori debbano fare il ragionamento che hanno fatto, dicendo "proroghiamoci per un'altra legislatura", mille posti alla Camera e al Senato, è una cosa veramente non bella, comunque hanno deciso così, quindi perché noi dobbiamo anticipare di cinque anni? Quando aumenterà la devolution, potremo aumentare il numero dei consiglieri. Questo mio concetto è anche quello dei Comunisti italiani, come letto su dichiarazioni di stampa.
In un documento che penso i colleghi avranno letto, si era parlato di "moderato aumento". Non può però essere un aumento del 25% dei consiglieri. Se l'aumento sarà non moderato, rimanendo la mia opinione che si può andare avanti con i 40 fino al 2010, sarò costretto a chiamare a raccolta, data la libertà che ha dato il partito di Forza Italia sul numero, le associazioni, i cittadini per chiedere il referendum confermativo che la Costituzione, art. 123, regolato dalla legge 28 del 2000, consente.
Queste sono brevi riflessioni, perché io vorrei uno Statuto votato dal più largo numero possibile di consiglieri, ma vorrei che fosse soprattutto in sintonia con i marchigiani. Non mi è piaciuto quello che qualche collega ha affermato sulla stampa parlando di demagogia, di farisei ecc. Io rispetto le opinioni degli altri. Ritengo che per essere veramente rispettosi della democrazia e liberali nel comportamento, bisogna rispettare le opinioni degli altri. Quando qualcuno viene a dirmi, nelle segrete stanze, "attento, perché rischi tu", io dico che mi sono creato un lavoro prima, non voglio rimanere qui tutta la vita. Questi sono ragionamenti preoccupanti che si fanno nella classe politica. C'è gente che ancora lotta per i principi. Se nel 1994 c'è stata una grande scossa, che è stata anche definita "rivoluzione dei cuori e dell'intelligenza", io sono ancora in sintonia con quella scossa che partorì i partiti da una parte e dall'altra, nel centro-sinistra e nel centro-destra, entusiasmi che adesso si sono sopiti, ma questo non riguarda la mia persona che continua ad andare nella linea retta verso le proprie opinioni, verso i propri partiti, senza guardare il bene di se stesso. Purtroppo i vecchi vizi si riaprono nel ragionamento e non solo. Stiano attente le istituzioni che si devono occupare del "non solo". Facciano questo controllo, specialmente sui politici, sui burocrati, altrimenti iniziamo una brutta epoca che a me non piace, che a molti cittadini non è piaciuta, verso cui c'è stata una reazione, che deve rimanere con i propri valori e deve rimanere premiante per il nostro comportamento in quest'aula e fuori di quest'aula.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Moruzzi.

MARCO MORUZZI. Signor Presidente, colleghi consiglieri, questo atto arriva in aula dopo un lungo lavoro preparatorio, che non è stato esperito soltanto in Commissione ma che si è avvalso, prima della partenza della stessa Commissione Statuto, di un'analisi dell'evoluzione della società marchigiana. Questa scadenza della verifica e riforma dello Statuto sarebbe stata male interpretata se non avessimo in qualche modo fatto lo sforzo di analisi sulle modifiche della nostra società, un'analisi condotta scientificamente da soggetti indipendenti che ci hanno dato degli elementi importanti per giungere alle decisioni che poi hanno trovato un riflesso nelle scelte svolte dalla proposta che arriva in aula e che oggi ci vede impegnati a trovare una proposta finale.
MI auguro che questa discussione porti a una soluzione largamente condivisa da questo Consiglio regionale e che non prevalgano i toni della strumentalizzazione o le valutazioni elettoralistiche, anche se questo è dietro l'angolo. Penso alla strumentalizzazione del tema della famiglia: addirittura ho letto sui giornali che qualcuno dice che sono a rischio addirittura i valori del cattolicesimo. A me non sembra che la situazione sia così drammatica e portare nel dibattito sulla riforma dello Statuto argomenti di questo genere, sulla base dei contenuti mi sembra assolutamente esagerato. Il grande tema è la forma di governo. Dopo la sentenza della Corte costituzionale sullo Statuto della Calabria, ai Consigli è chiesto di fare una scelta in direzione presidenzialista o una scelta che vada in direzioni assolutamente opposte. Forme di mitigazione del presidenzialismo non sono consentite dalle norme attualmente in vigore e devo dire che la mia forza politica non condivide questa impostazione presidenzialista, sulla scorta anche dell'esperienza di questi anni, che abbiamo fatto con le attuali norme, sulla realtà che il presidenzialismo porta a una maggiore separazione tra Giunta e Consiglio, porta il Consiglio ad avere difficoltà ad individuare con efficacia il proprio ruolo, porta a una situazione in cui, nella nostra Regione, decreti dei dirigenti dei servizi sono di entità finanziaria addirittura superiori alle decisioni che vengono assunte in un'intera seduta di Consiglio. Quindi andiamo verso questo meccanismo, dove sempre più il governo della cosa pubblica viene spostato dalla sede consiliare all'interno della Giunta, ma certe volte agli uffici della Giunta, quindi spesso il Consiglio non svolge alcune funzioni che i cittadini pensano vengano svolte dall'Assemblea elettiva, mentre queste sono ormai completamente o in gran parte in mano alle strutture di governo.
Questo porta al presidenzialismo, ma porta anche a una scarsa necessità della Giunta regionale di confrontarsi con il Consiglio su alcune scelte e questo l'abbiamo sotto gli occhi.
Al Consiglio che cosa rimane? Rimangono alcune funzioni di indirizzo che certe volte vengono assolutamente non applicate, e noi siamo in una Regione in cui la Giunta regionale ha comunque manifestato una sensibilità nei riguardi del Consiglio, un'attenzione, perché non siamo in una delle situazioni più esasperate in questa divaricazione tra Giunta e Consiglio, ma questo dipende più dalle persone, più dalle forze politiche, più dalle maggioranze che governano nelle Marche rispetto alle norme che invece comportano situazioni come quella che denunciavo, non solo nelle Marche ma anche altrove. Quindi la forma di governo è un passaggio importante e su questa forma di governo noni non condividiamo l'impostazione dello Statuto.
Questo non è certamente l'unico elemento su cui dare un giudizio, una valutazione dello Statuto, perché ci sono altri elementi importanti, come il preambolo, che abbiamo condiviso e che riteniamo adeguato alla riforma dello Statuto. C'è un riferimento chiaro, nel -preambolo, alla Carta dei diritti dell'Unione europea, alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, c'è un richiamo alla pace, c'è un richiamo ai diritti umani. Il centro-destra diceva che i temi dei diritti umani non sono toccati: sono citati addirittura nel preambolo e sono richiamati fondamentali atti che a livello mondiale sono un punto di riferimento importante per tutti i governi democratici del pianeta.
Ci sono riferimenti importanti all'Europa, all'autonomia, alle formazioni sociali quindi c'è un'apertura importante anche alla società multietnica che si va affermando anche nella nostra regione, ci sono elementi importanti relativi alla convivenza pacifica, alla coesistenza, alla cooperazione. Non mancano, in questa proposta di Statuto, riferimenti importanti anche alle specificità della nostra regione, una regione in cui l'economia si è sviluppata a partire da un territorio e da una organizzazione sociale molto particolare: non ci sono grandi metropoli, i nuclei abitati sono di dimensioni contenute e c'è ancora una distribuzione della popolazione abbastanza diffusa nel territorio, anche se, da noi come altrove, sentiamo la differenza di sviluppo tra costa e montagna. Ma anche nelle zone interne poli di sviluppo si sono potuti accrescere velocemente e in maniera innovativa anche in aree interne, a dimostrazione che lo sviluppo può essere una realtà non soltanto delle aree costiere ma anche delle aree interne, a condizione che ci sia una politica e un'azione conseguente di forte attenzione.
E' uno Statuto che vuol cogliere anche le peculiarità, oltre che economiche sociali, ma anche ambientali e per questo motivo una migliore puntualizzazione di quella che è una risorsa importante, in parte rinnovabile ma in parte non rinnovabile, credo che vada inserita rispetto alla proposta che è arrivata in aula. Faccio riferimento ai grandi temi del paesaggio e dell'ambiente come valore naturalistico, come valore culturale, come valore economico, come valore ambientale, come valore per le generazioni future. Credo che questo territorio, che è la chiave di lettura dello sviluppo della nostra regione, di tante caratteristiche della nostra regione, meriti un articolo a se stante, un riferimento a se stante e questa è una risorsa che stiamo riscontrando essere importante per le stesse attività economiche che una volta pensavamo potessero svilupparsi in qualsiasi parte del territorio, perché le attività economiche producevano beni, producevano servizi, ma in realtà il valore aggiunto del territorio sta dando importanti impulsi allo sviluppo della nostra regione e nel nostro paese c'è una grande enfasi e preoccupazione sullo sviluppo del "made in Italy", sulle interazioni tra produzioni di beni e servizi e territori. Quindi il grande tema dell'ambiente è diventato non un tema legato puramente alla conservazione del territorio, dell'ambiente, degli ecosistemi, ma è diventato anche un grande tema per coloro che parlano di economia. Questo matrimonio tra ambiente ed economia c'è sempre stato, ma ce se ne sta rendendo conto soltanto da alcuni anni, soltanto a partire dai danni provocati dal deterioramento ambientale, dal deterioramento della qualità della vita. Quindi uno Statuto che contenga questi principi di riconoscimento del valore, della conservazione dell'ambiente, del paesaggio, dei loro benefici effetti sull'economia, sulle relazioni sociali, sulla qualità del vivere nella nostra regione, è un aspetto particolarmente importante.
Credo che in un processo di questo genere la partecipazione delle forze sociali e degli enti locali sia rilevante. LO Statuto prevede l'istituzione di un Consiglio delle autonomie locali che certamente non esaurisce tutto il processo di partecipazione che va sviluppato con le autonomie locali ma è un punto importante, così come la partecipazione di tutte quelle forze sociali che operano nel nostro territorio è un altro elemento che debba essere inserito ed è giusto che sia presente in questo Statuto, ma va certamente rafforzato con altre norme, altre decisioni che sono certamente atti che prescindono dallo Statuto ma che ne traggono spunto.
Per quello che riguarda la riforma elettorale, in questo Consiglio e anche fuori se ne è discusso. La riforma elettorale sarà un atto che verrà successivamente con una proposta di legge, ma è chiaro che in base agli indirizzi che verranno dati con lo Statuto, in particolare in relazione alla consistenza numerica del Consiglio, la riforma elettorale potrà andare in una direzione o in un'altra.
I verdi si sono già dichiarati contrari a un incremento dei consiglieri che non fosse quello legato a un riequilibrio territoriale tra province che hanno il diritto di avere un numero di consiglieri proporzionale alla loro popolazione. Queste storture derivanti dal sistema elettorale attuale è giusto che siano riviste, ma un meccanismo di indiscriminato aumento del numero dei consiglieri, come quello teorizzato con un numero portato a 50, a noi sembra assolutamente ingiustificato, legato più a un'esigenza di vedere confermati i consiglieri anche a una situazione di riduzione di numero dei voti e delle preferenze, piuttosto che legato a un meccanismo di funzionalità del Consiglio. Ricordo che a questo proposito avevamo chiesto di ridurre anche il numero delle Commissioni consiliari, che sono sei e la sesta è una Commissione della quale non si vede alcuna utilità, tanto è vero che si riunisce 3-4 volte l'anno. Quindi pensare ad aumentare il numero dei consiglieri, quando già c'è difficoltà di fornire a tutti i consiglieri gli strumenti per poter lavorare e quando si mantengono duplicazioni come quella della VI Commissione, credo che dimostri l'assoluta infondatezza di chi chiede più consiglieri perché il Consiglio lavori di più.
Credo che noi oggi ci dobbiamo chiedere che cosa il Consiglio fa e nello Statuto ancora le riposte non ci sono. Ci chiediamo ancora come poter funzionare al meglio, come esercitare la funzione di consiglieri in un rapporto con la Giunta che è profondamente modificato rispetto al passato e devo dire che oggi la gran parte del lavoro del consigliere è legato alla capacità dello stesso ad organizzarlo, più che alla mancanza di un maggior numero di consiglieri. Quindi intervenga una proposta che eviti lo squilibrio attuale, che determina la guerra tra la provincia che ha qualche consigliere in meno e quella che ha qualche consigliere in più, quindi ben venga una forma di riequilibrio, ma l'aumento di 10 consiglieri finirebbe per dare più consiglieri a tutte le province. Questo è un argomento opportunistico: affiancare l'incremento del numero dei consiglieri al riequilibrio tra l'elezione dei consiglieri in una provincia con l'elezione dei consiglieri in un'altra provincia.
Le nostre perplessità rimangono tutte su una eventuale soluzione che prevedesse un aumento a 50 consiglieri, rimangono sulla forma di governo, sul presidenzialismo e ciononostante cogliamo non pochi elementi importanti che nello Statuto vengono recepiti e trovano una corretta articolazione. Sarebbe un grave errore dare una valutazione negativa dello Statuto a partire soltanto da alcuni elementi, per quanto importanti siano, che peraltro dovranno esplicitarsi meglio. Faccio riferimento in particolare al numero dei consiglieri e alla legge elettorale. Quindi grande attenzione dei verdi alla discussione che avverrà in questi giorni, grande attenzione agli emendamenti che verranno formulati e saranno presentati per la votazione. Pensiamo, in questo, di essere interpreti della volontà dei cittadini che sono disponibili a pagare i costi della politica, ma nella politica, come in altre cose, i costi devono essere equi, giusti, proporzionati ai risultati che si ottengono, altrimenti rischiamo una forte delegittimazione, da cui nessuno si salva, comprese le forze politiche o i consiglieri che sono contrari a questo aumento. Non vogliamo fare una lista dei "buoni" e "cattivi", vogliamo però fare in modo che da questo Consiglio esca una soluzione equilibrata e che soprattutto ci si rimetta, ancora una volta, alla volontà degli elettori. Se la volontà degli elettori è quella di non riconfermarci, non ci sono aumenti di consiglieri, meccanismi elettorali e leggi di riforma che permettano di riportare in quest'aula consiglieri, assessori e presidenti. Credo che questi escamotages alla lunga non pagano, deteriorano il rapporto tra cittadini e istituzioni. Il cittadino è disponibile ad ascoltare le nostre ragioni, anche a cambiare opinione, credo che così dobbiamo rapportarci anche noi con i cittadini, essere disponibili e ascoltare chi ci vota e chi non ci vota, disponibili anche a cambiare opinione sulla base di ragionamenti che non facciano leva soltanto sulle aspettative delle forze politiche o di coloro che rappresentano le forze politiche in questo Consiglio.
Rinnovo l'invito al Consiglio regionale a giungere alla fine di questo Statuto, a non arenarsi su alcun punto, ancorché si sviluppassero frizioni forti e a fare in modo che alla chiusura di questa maratona sullo Statuto si possa approvare in prima lettura un testo che sappia cogliere tutte quelle sollecitazioni che sono venute dall’esterno. Voglio anche ringraziare tutti coloro che in questi giorni e anche in passato hanno mandato al Consiglio regionale suggerimenti, indicazioni, ci hanno chiamato ad incontri e hanno fatto in modo che questa discussione non avvenisse nel chiuso dell'aula. C'è anche il rischio che un tema come quello dello Statuto fosse discusso soltanto fra addetti ai lavori, in realtà abbiamo visto una partecipazione forte, interessante, incoraggiante non solo da parte degli enti locali, della politica, degli addetti ai lavori ma anche delle forze sociali.
In sede di discussione generale mi sento di ringraziare tutti coloro che hanno svolto questa attività, tutti gli uffici e tutti i funzionari che ci hanno dato anche la possibilità di comprendere meglio quello che stavamo facendo e cogliere nel migliore dei modi, me lo auguro, le sollecitazioni che ci sono giunte.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Cecchini.

CRISTINA CECCHINI. Voglio preliminarmente ringraziare Silvana Amati per il lavoro che la Commissione Statuto ha compiuto e per la pazienza e il lavoro di tessitura che in questi anni ha portato avanti. Questa proposta di legge, un compromesso firmato Ds-Forza Italia-Margherita, non trova l'accordo di Sinistra democratica. Mi limiterò in questo momento a ragionare sui punti dolenti di questa ipotesi di Statuto, sapendo che la strada è stata tracciata largamente dalla sentenza della Corte costituzionale, quindi il punto sul quale si doveva lavorare era quello di consentire o meno l'autonomia statutaria della Regione, che dalla sentenza 2/2004, l'ultima di una serie di sentenze che definiscono con nettezza il rapporto Stato-Regione veniva fortemente svilita.
La proposta che ci viene sottoposta alla discussione, che conferma il presidenzialismo, non risolve il problema della debolezza del Consiglio regionale ed è per questo che trova difficoltà ad avere il nostro appoggio. D'altronde il filone della discussione è ben presto tracciato: da una parte la Costituzione europea che è stata approvata qualche giorno fa e che forse rende più facile la discussione sul tema delle eredità culturali, religiose ed umanistiche europee, e dall'altra, dopo la pronuncia della Corte costituzionale, un ragionamento molto esplicito sul presidenzialismo o sulla forma di governo rispetto al sistema che vogliamo inserire nel nostro Statuto.
La Costituzione italiana riserva agli istituti regionali, infatti, la disciplina della forma di governo e dei principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento delle Regioni. L'esercizio del diritto di iniziativa è del referendum, nient'altro. Di questo si tratta e questo dobbiamo declinare in modo chiaro. Del resto, sullo sfondo c'è la devoluzione "prima maniera" del centro sinistra, devoluzione che ha già messo in difficoltà le Regioni, perché non possiamo non dare un giudizio storicizzato sulle esperienze che abbiamo fatto, non possiamo parlare del carattere del Presidente della Giunta o di un'altra Regione, dobbiamo parlare delle difficoltà di governo rispetto al primo federalismo deciso dal centro-sinistra nel nostro paese. Le Regioni italiane sono tutte in difficoltà ad assolvere le prime funzioni, saranno ancora più in difficoltà ad assolvere quelle funzioni, qualora passasse quella devoluzione di potere in cui, in questo momento, si sta dividendo il potere, rispetto alla quale una struttura efficace, efficiente, adeguata a queste eventuali competenze, è sicuramente non in campo a livello regionale, non nelle Marche ma a livello delle Regioni italiane. Né una classe amministrativa è in grado, a livello regionale, di guidare le nuove competenze.
Di questo si tratta, si tratta di capire se vogliamo guidare in qualche modo questo processo, oppure se vogliamo affidarlo a un "presidente-governatore" che con la sua Giunta, tecnica o non tecnica, interna o esterna, poco cambia, guidi questo processo con un Consiglio regionale che, se va bene, ha il potere regolamentare. Non so qual è il modo giusto, perché non vedo un Consiglio regionale che metta una Giunta in difficoltà rispetto all’esecuzione delle leggi: una Giunta regionale non può aspettare dal Consiglio un regolamento per applicare la legge, si deve gestire la legge: una volta che l'indirizzo politico è stato dato, le disposizioni legislative definite, sarà poi la Giunta a gestirsela nel modo più efficiente.
Tutto quanto abbiamo scritto in questo Consiglio regionale relativamente al potere dello stesso Consiglio regionale, mi sembra una discussione fuori luogo, che non coglie il margine di manovra che avevamo. La sentenza 2/2004 definisce in modo molto netto — perché la Corte assume un ruolo di garanzia rispetto al sistema costituzionale — i paletti: l'accezione sostanziale dell'elezione diretta, la parziale bocciatura del "ticket" presidente-vicepresidente, la tenuta della diminutio capitis del presidente, la disciplina della materia elettorale.
Rispetto a queste questioni l'unica strada che si doveva tracciare e che avevamo di fronte, era l'elezione consiliare del presidente, lo sbocco possibile, quello che avrebbe messo in campo una struttura legislativa che poteva aiutare il livello regionale di governo delle nuove possibilità, delle nuove competenze, cioè un'Assemblea legislativa fortemente in grado di vivere con la Giunta questo passaggio. Quindi l'elezione consiliare del Presidente. Ho presentato, da questo punto di vista, degli emendamenti che sono molto chiari su questa questione, che dicono che "il capo della coalizione di liste o della lista non collegata ad altre, che ottiene la maggioranza dei seggi in Consiglio regionale, ha il candidato alla carica di Presidente della Giunta. Nella prima seduta il Consiglio regionale elegge il Presidente della Regione e il suo programma e approva il suo programma di Governo. Il Presidente della Regione nomina e revoca i componenti della Giunta, assegna le deleghe..." ecc. Poi, "Il Consiglio può revocare la fiducia al Presidente della Regione con mozione votata per appello nominale. L'approvazione della mozione di sfiducia non comporta lo scioglimento del Consiglio regionale".
Questa elezione consiliare del Presidente era la strada possibile che avevamo, perché la sentenza 2/2004 la dice lunga su quello che non si può fare, ma dice anche che cosa si vuol fare, qualora lo si voglia, quindi questa è l'altra strada, una strada già discussa in Commissione Statuto, già rifiutata, ma era obbligatorio che anche l'aula potesse valutarla e discuterla. D’altronde la questione sulla quale interrogare è: c'è o no un malessere politico delle Assemblee regionali dopo un decennio di democrazia maggioritaria? E al di là del colore di centro-sinistra o di centro-destra, questo malessere c'è o non c'è? La produzione legislativa, la qualità della classe amministrativa, sono positive oppure no? Quello che si è garantito è sicuramente la stabilità del governo, la sua coesione, questa norma presidenzialista ha questo potere, ma questa è la cura più adatta rispetto alle diverse Regioni italiane, rispetto alla diversa storia politica, economica e sociale delle Regioni italiane? Ancora i partiti sono lontani dal pensare che il problema sia grave e lo si vede dalla discussione in Commissione Statuto ma lo si vede anche leggendo la dottrina, la giurisprudenza, che nel commentare la sentenza 2/2004 in pochissimi hanno avanzato un ragionamento sulla elezione consiliare come soluzione al problema che abbiamo di fronte. Quindi, se questo fosse un obiettivo condiviso non mancherebbero modelli elettorali da utilizzare, ovviamente. Potrebbe essere il doppio turno accompagnato da una opzione di presentazione al primo turno in tutte le forze politiche e un vincolo coalizionale nel secondo turno, ripartendo i seggi in modo inversamente proporzionale e comunque si potrebbero trovare delle soluzioni tecniche.
Quello che non vedo, in questa nostra discussione, è il ragionare sulle soluzioni tecniche legate a questa forma di governo, perché quale discussione stiamo facendo sul numero dei consiglieri regionali? Una discussione assurda, perché un conto è se decidiamo che la forma di governo sia quella dove il Consiglio regionale conta, cioè quella con l'elezione consiliare del Presidente della Giunta e la possibilità di mozione di revoca dello stesso, e allora forse servirebbero anche più consiglieri, perché il lavoro da fare per gestire le competenze che lo Stato ci manda è davvero tanto. Ma se invece si sposa — Forza Italia, i Ds, la Margherita, perché così avete votato in Commissione Statuto — questo sistema presidenziale, per quale ragione aumentare il numero dei consiglieri? Non si spiega, se non con un meccanismo molto lontano da un ragionamento che guardi direttamente le difficoltà di questa fase politica, che guardi ragionamenti interni ai partiti.
Io privilegio un ragionamento sulla rappresentanza politica e penso che il "modello britannico" che ormai abbiamo assunto nel nostro paese e del quale non siamo ancora pentiti, in verità non persegue credibilità e rappresentanza dei partiti e nemmeno delle Giunte. Per questa ragione ho cercato di presentare emendamenti che, oltre alla forma di governo regionale, potessero incidere anche sulla capacità di partecipazione. Quindi troverete emendamenti sul rafforzamento dell'indirizzo politico dell'Assemblea, che ci si era dimenticati di inserire, ma questa è una questione importante come quella del controllo ed è necessario sottolinearla in modo esplicito; quella di dare competenze precise al Consiglio delle autonomie e non demandarlo ad una legge futura; quella di definire la partecipazione in modo più netto con l’istruttoria pubblica quando ci sono leggi importanti, con la consultazione pubblica, dando poteri veri al difensore civico e non soltanto formali, e costruendo il Comitato regionale per l’economia e il territorio, come altre Regioni italiane stanno facendo, costruendo la Consulta di garanzia statutaria, che potrebbe essere sede che decide l’ammissibilità del referendum. Noi abbiamo avuto una spiacevole discussione sul referendum sanitario e tra l'altro la Giunta aveva mandato questo messaggio al Consiglio regionale: troviamo una sede. Costruiamola, questa sede. Potrebbe essere questa Consulta di garanzia statutaria, il luogo per l'ammissibilità del referendum, potrebbe essere una sede alla quale ci si possa appellare, qualora si vedano non risolte le questioni statutarie dal punto di vista dei cittadini o dei consiglieri regionali. Un organismo al di sopra delle parti, imparziale, che sia appunto un luogo utile per ulteriore partecipazione. Quindi gli emendamenti che abbiamo presentato tendono a definire meglio la questione della partecipazione.
Ultima questione riguarda il patto fiscale. Noi siamo una Regione che ha messo le tasse in modo molto evidente, per far restare pubblica la sanità delle Marche, però questa è una questione non trasparente. Si propone allora, con un emendamento, di definire un "patto fiscale", ad inizio legislatura, fra le risorse che ci sono, le entrate che ci sono dai cittadini marchigiani, le entrate dallo Stato, definendo su questa base i bilanci, gli eventuali rendiconto e tutto il resto, decidendolo in modo preciso come una sorta di impegno politico-istituzionale di primo piano. Da qui la rilevanza statutaria di questa questione che riguarda il "patto fiscale".

PRESIDENTE. Pongo in votazione la prosecuzione della seduta.

Il Consiglio approva

Ha la parola il consigliere Viventi.

LUIGI VIVENTI. Direi con molta concretezza alcune cose senza ripeterne inutilmente altre.
L'Udc ha partecipato ai lavori di questa Commissione concludendo il proprio atteggiamento con un voto di astensione, apprezzando una parte di questo lavoro e non essendo d'accordo su alcune questioni, o meglio avendo chiesto di specificare in maniera più precisa certi compiti e certe funzioni da attribuire a determinati organismi. Non avendo trovato accoglimento su queste cose abbiamo espresso un voto di astensione.
Ma il ragionamento politico-generale che va fatto a monte di tutto ciò è che noi approveremo il nuovo Statuto regionale in un contesto generale che, complessivamente, non è tale da consentire, secondo me, un'approvazione definitiva, duratura, in quanto il riferimento nazionale lascia aperte le porte anche a interpretazioni differenti. Oggi come oggi sappiamo che il ministro per le riforme Bossi opterà, se non l'ha già fatto, per il Parlamento europeo, lascerà libero il posto di ministro per le riforme e non sappiamo che fine farà la modifica federalista dello Stato approvata al Senato e che ora deve arrivare alla Camera. La stessa Udc ha chiesto delle correzioni in questa direzione.
Quindi il quadro di riferimento nazionale non è dei più chiari, dei più fluidi e questo è un elemento di certezza.
Il federalismo è un treno che una volta che si è messo in corsa, poi non si ferma. Ci vuole quindi tanta ponderazione nel prendere le decisioni, perché nel rapporto fra Stato e Regioni si gioca poi, veramente, il livello non dico di partecipazione politica dei cittadini ma anche di tutte le associazioni economiche, si gioca anche il livello di democrazia interna del paese, sulla funzionalità ecc.
L'altro elemento di non chiarezza rispetto al quale andiamo ad approvare questo strumento, è rappresentato dal fatto che, così come da me richiesto, oggi non viene in aula anche la legge elettorale. Non va bene approvare lo Statuto in un momento distinto dalla legge elettorale. Voi avete ascoltato gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, e tutti hanno trattato di questa questione: la forma di governo d'accordo, ma anche, collegata ad essa, la legge elettorale. Sono due argomenti che vanno obbligatoriamente di pari passo, che non possono essere distinti. Come faccio a stabilire la forma di governo se prima no ho stabilito come eleggo i rappresentanti di questo governo? Quindi ci sono due momenti che creano obiettivamente dei problemi. Non per questo oggi non approviamo lo Statuto, ormai il lavoro è stato anche lunghissimo, forse si poteva fare in tempi più brevi, ma la presidente ha voluto dare prova di estrema democrazia ascoltando tutti e ridiscutendo tutti, quindi non ce la possiamo sicuramente prendere con la presidente che è stata a disposizione di tutti. Probabilmente, sia da parte nostra come commissari che da parte delle associazioni esterne, ad ogni riunione avevamo un argomento per rilanciare e questo ha provocato lungaggini. Avrei preferito una formulazione più snella, per il mio carattere, per le mie abitudini professionali, però mi rendo conto che quando si mette mano ad argomenti così difficili, non è semplice bypassare alcune situazioni.
Le due cose che ho detto prima sono però di fondamentale importanza, perché dobbiamo sapere, dal Governo centrale, quale tipo di Stato federalista avremo e in quale tipo di Stato andremo ad inserire la Regione Marche con le sue autonomie, con le sue competenze, con la sua capacità di azione, e questo è fondamentale.
Al tempo stesso per noi dell'Udc va bene l'elezione diretta del Presidente, come va bene il sistema proporzionale con la correzione, lo sbarramento e il premio di maggioranza su base regionale, che ripartisce poi i seggi a livello provinciale, al posto del "listino". Questa ci sembra la forma più democratica e corretta.
Si è parlato quasi esclusivamente del tema del numero di consiglieri, che ha appassionato la stampa. Per il resto, qualche accenno alle radici cristiane, alla famiglia ecc., per alcuni versi definito anche discorso demagogico, ma due-tre dichiarazioni non sono demagogiche.
Al di là di questo il dibattito è stato incentrato tutto sul numero dei consiglieri regionali. Voi sapete che in quest'aula io ho sempre sostenuto battaglie per la riduzione della spesa, quindi sotto questo profilo credo di avere dato prova di coerenza continua in questi anni di presenza, facendo anche proposte concrete per ridurre, dagli affitti ad altre questioni. Dire che l'aumento del numero dei consiglieri rappresenta un incremento della spesa pubblica non è un argomento sostenibile, onestamente, sgombriamo il tavolo, anche qui, dalla demagogia. Dobbiamo dire invece che tipo di Regione vogliamo e come la vogliamo far funzionare, quante Commissioni legislative, se in sede referente. Ecco perché è importante sapere tutto, quando si vota, perché 40 consiglieri possono essere giusti, 50 possono essere necessari, 30 potrebbero essere sufficienti. Perché dobbiamo dire 42 va bene, 45 è scandaloso? Vediamo quello che devono fare questi consiglieri.
Io ho detto in quest'aula che 110 dirigenti sono un'enormità. E' una valutazione personale fatta in relazione al lavoro che deve svolgere la Regione, a come sono organizzati gli uffici. A me sembrano tantissimi. Se competenze saranno in materia esclusiva — sanità, scuola, trasporti, polizia locale ecc. — avere queste competenze in materia esclusiva ci porterà in una condizione estremamente diversa da quella che abbiamo vissuto in questa legislatura, quindi bisogna essere pronti ad affrontarla in un modo o nell'altro. Al di là del numero vediamo le competenze, poi decidiamo. Se sono sufficienti i 42 va bene, se sono troppi li riduciamo a 30. Non può essere questo l'elemento centrale del dibattito sul nuovo Statuto regionale.
Quando si dice di rafforzare il ruolo del Consiglio e quindi delle Commissioni in seduta permanente, che svolgono azione referente, di studi ecc. sulle proposte di legge, bisogna vedere se a questo crediamo e vogliamo far lavorare le Commissioni in un certo modo o no, perché credo che un Esecutivo ha tutto l'interesse ad avere il campo sgombro e a non avere troppi impicci, così come vorrei spiegare quanto demagogico sia il discorso "ne lascio 40 e ne metto 10 come assessori esterni". Questo è un costo addirittura superiore, perché gli assessori costano più dei consiglieri. Facciamo ragionamenti seri in quest'aula. Non è che io sono più bravo perché ho detto "rimangano 40", ma addirittura "portiamoli a 30", quindi sono più bravo di tutti... Perché, con 30 non si può fare lo stesso? Vorrei trovare qualcuno, qui, carta e penna in mano, che mi spieghi dove sbaglio. Sgombriamo il terreno dalla demagogia e affrontiamo i problemi reali. Di sicuro in me c'è una preoccupazione, come consigliere regionale che voterà questo atto, vedremo come. Quando ho fatto una battaglia in Commissione presentando per due volte un emendamento sul riconoscimento delle radici cristiane, non volevo dire che sono un cristiano più bravo degli altri, forse sono il peggiore, che ha bisogno quotidianamente della misericordia divina, però è il riconoscimento di una realtà storica che non ha un rapporto fideistico, non è che dicendo questo siamo tutti credenti, cattolici, cristiani ma la verità è questa. Se fossimo stati in un paese islamico avremmo detto un'altra cosa, se fossimo stati nello stato d'Israele avremmo parlato di radici ebraiche. Non riesco a capire perché tutti questi problemi nel centro-sinistra, questi contorcimenti per evitare l'aggettivo "cristiano", da parte anche dei cristiani battezzati e da parte di quelli che vanno a bussare sempre, in campagna elettorale, alle porte dei preti per avere il loro sostegno in politica, avendo poi problemi a utilizzare il termine "cristiano" nello Statuto.
La centralità della famiglia. Non dobbiamo essere demagogici nemmeno su questo. Io ho detto che il testo dello Statuto su questi argomenti fa dei passi in avanti, tratta queste questioni. Forse le dobbiamo meglio specificare, così come è vero che molto difficilmente si può definire la famiglia così come pensata nell'art. 29 della Costituzione repubblicana, cioè fondata sul matrimonio, oggi. Sappiamo tutti qual è la situazione della società italiana, dove coesistono situazioni e, ormai, anche culture diverse. Da parte nostra c'è una dichiarazione di coerenza, ma sappiamo benissimo che questo non sarà l'elemento dirimente, che crea la divisione fra la maggioranza e la minoranza. Prevedere il Crel credo che sia un fatto serio per una Regione che parla di autonomia decisionale su certi argomenti, sono fatti importanti. Diciamo che alla fine il testo che uscirà fuori, emendato, se verranno accolti alcuni emendamenti da noi presentati, avrà un giudizio libero e sereno da parte nostra, privo di presupposti o vincoli ideologici, pregiudiziali ideologiche. Non ci devono essere nell'approvazione dello Statuto.
Rimane ferma la preoccupazione che dicevo prima, che noi lo affrontiamo, da una parte, senza affrontare contestualmente la legge elettorale, perché obiettivamente le due cose dovevano andare di pari passo, non è possibile fare Statuto e forma di governo da una parte, poi la legge elettorale vedremo come possiamo sistemarla. E' un problema, questo, che doveva andare di pari passo, così come è un problema la situazione a livello nazionale, in cui non c'è ancora un modello di federalismo approvato, preciso, condiviso da tutti. Direi proprio che con le dimissioni del ministro per le riforme siamo nel momento di maggiore perplessità su questo argomento, anche se, secondo noi, con alcuni accorgimenti logici, il testo potrebbe andare avanti.
Con questa disponibilità al confronto, io e il collega Massi saremo presenti in quest'aula, per questa discussione, e valuteremo alla fine, insieme, come comportarci.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Favia.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, signori consiglieri, poiché non ne ho avuto prima la possibilità, consentitemi in questa occasione, avendo svolto il ruolo di vicepresidente della Commissione Statuto per tre anni e mezzo, nel periodo in cui è stato effettivamente impostato lo Statuto, di salutare e ringraziare i colleghi componenti della Commissione fino alla mia uscita e soprattutto la presidente Amati, con la quale la collaborazione è stata produttiva e leale pur nella distanza su alcuni argomenti. Un grazie di cuore anche ai funzionari che ci hanno assistito, dal dott. Fioravanti al dott. Misiti e ai preziosi consulenti prof. D'Andrea e dott. Luigi Mercuri al quale va un mio pensiero particolare. Grazie soprattutto a loro l'impianto dello Statuto è di buon livello tecnico e in buona parte condivisibile.
Un grazie va anche riservato a tutto coloro che hanno partecipato alle audizioni che la Commissione ha fatto e che hanno consentito un miglioramento dello Statuto fino a portarlo alla stesura attuale che, come diceva la Presidente Amati, è la migliore possibile nella mediazione data, ma sicuramente non è la migliore possibile secondo le varie sensibilità.
La proposta di Statuto si compone di un preambolo e di dieci titoli. Le parti fondamentali sono il preambolo, i principi fondamentali, la forma di governo, i rapporti con le autonomie locali e gli istituti regionali di garanzia, quindi parlerò delle questioni sulle quali ritengo che si possano effettuare dei miglioramenti, pur credendo che quando si parla di principi e di idee bisogna rimanere svincolati da vincoli partitici di maggioranza e di minoranza, ma agire con la massima possibile libertà di giudizio.
Va premesso che questo è uno Statuto che si accinge ad entrare in vigore in una situazione legislativo-costituzionale estremamente precaria, in quanto siamo in una situazione di attuazione di modifiche della Costituzione ancora non certe e di ulteriori modifiche in arrivo assolutamente a loro volta incerte, così come non sappiamo bene quali saranno le incidenza della nuova Costituzione europea e quali saranno i livelli di cessione di potere dallo Stato verso l’Europa e verso le Regioni.
Per quanto riguarda il preambolo, che nella sua sostanza è condivisibile, credo che bisognerà fare uno sforzo sul riconoscimento della specificazione della matrice religiosa, che è la massima mediazione che è stata possibile in Commissione: speriamo che in sede di emendamenti sia possibile un avanzamento su questo fronte e che quindi sia possibile, in qualche modo, riconoscere come tutti sanno e com’è nella ovvietà delle cose, che la matrice religiosa che connota la tradizione marchigiana è quella cristiana e cattolica.
Io credo che nel preambolo andrebbe anche riconosciuta l’importanza storica dell’ebraismo nella nostra regione e ovviamente, com’è costituzionalmente previsto, l’importanza e la libertà di radicamento di nuovi culti, come quello islamico che sta prendendo molto piede tra gli immigrati, di cui tantissimi ce ne sono nella nostra regione.
Nell’ambito dei principi fondamentali credo che al comma 6 dell’art. 2 sia stato bene impostato il principio di sussidiarietà anche per quanto riguarda quella orizzontale, tuttavia credo che degli approfondimenti, così come sono anche stati richiesti da movimenti della società civile, specificativi del concetto di sussidiarietà, potrebbero essere introdotti.
Per quanto riguarda invece l’art. 4 so che è stato presentato un emendamento per il riconoscimento del ruolo sociale dell’impresa e del lavoro e per la responsabilizzazione del ruolo dell’impresa, quindi posso dire fin d’ora che questo è un emendamento che soddisfa pienamente l’esigenza che avevo in questo settore. Per quanto riguarda invece la definizione della famiglia, credo che se non un richiamo alla famiglia fondata sul matrimonio come sarebbe doveroso, almeno un richiamo all’art. 29 della Costituzione, che comunque vadano a finire le cose è sicuramente l’architrave portante al quale anche il concetto di famiglia previsto dal nostro Statuto deve rifarsi. Credo che questo richiamo andrebbe senz’altro fatto, pur non dovendoci assolutamente nascondere che un riferimento, un aiuto, una assoluta dignità sia alle famiglie monoparentali che ad altre forme di stabile convivenza tra soggetti appartenenti a sessi diversi va in qualche modo considerata nell’ambito del sistema dei servizi della nostra regione.
Ho anche depositato un emendamento che coniughi e specifichi meglio il principio di sussidiarietà con il concetto di favor familiae di cui ho parlato, come famiglia intesa come ex art. 29, basato sul matrimonio, ma anche altre forme di stabile convivenza.
Un punto che ritengo, al di là dei principi fondamentali, importantissimo è quello della forma di governo. Purtroppo la modifica costituzionale che è stata recentemente introdotta è una brutta modifica, una modifica non condivisibile, in quanto impedisce di impostare gli statuti agendo sull’elezione diretta del Presidente della Regione, in quanto non è possibile, per contrasto con la Costituzione, prevedere la sfiducia costruttiva nei confronti del presidente direttamente eletto. Poiché peraltro è stata dichiarata incostituzionale anche la forma del presidente indicato — Statuto della Calabria — credo che non ci sia altra alternativa rispetto a quella della elezione del presidente all’interno del Consiglio regionale eletto.
Impostare tutta la forma di governo su un presidente eletto, dicendo falsamente che costui rappresenterebbe il popolo e limiterebbe l’influenza dei partiti, credo che sia un’assoluta falsità, in quanto anche il presidente direttamente eletto dal popolo viene messo lì dal sistema dei partiti. Credo allora che sia molto più opportuno dare il potere di scelta del Presidente ai 40 consiglieri che, anch’essi, sono, uno alla volta, indicati dal popolo.
Si dirà poi che questa forma dell’elezione diretta garantisce la stabilità, perché c’è la formula del “simul stabunt simul cadent”. Anche questa è una eccezione ampiamente superabile in quanto potrebbe, come ho previsto in emendamenti che ho depositato, benissimo prevedersi che il presidente che in prima seduta del nuovo Consiglio regionale viene eletto dallo stesso Consiglio regionale, ha una sua stabilità, come era previsto nel 1995, per almeno metà legislatura, dopodiché il Consiglio, con sfiducia costruttiva può modificare una sola volta, cadendo se questa sfiducia si verifichi per una seconda volta.
Credo che questo porterebbe a un riequilibrio di poteri tra il legislativo e l’esecutivo, così come andrebbero previsti peggiori poteri, maggiori mezzi per i singoli consiglieri regionali e non solo per i gruppi. Inoltre credo che sarebbe opportuno, proprio per l’importanza del distacco tra il potere legislativo e quello esecutivo, che gli assessori non fossero consiglieri ma con l’istituto della sospensione, nel senso che, se un assessore venisse prescelto all’interno dei consiglieri regionali e poi decadesse da questa funzione, dovrebbe tornare a fare il consigliere proprio per ossequio alla volontà degli elettori.
Credo che ci sia una sorta di disparità di trattamento tra la previsione dell’ente di rappresentanza delle autonomie locali — il Cal che è previsto dallo Statuto, perché è la Costituzione che prevede che sia previsto negli statuti — e per una sorta di par condicio con le rappresentanze della società civile credo che sarebbe opportuno introdurre specificamente anche la previsione del cosiddetto Crel e prevedere che entrambi questi organismi abbiano il loro livello di dialogo, soprattutto con il Consiglio regionale, oltre che con la Giunta.
Mi sono poi permesso di prevedere una commissione di garanzia statutaria, una sorta di Corte costituzionale delle Marche la quale venga eletta in parte dal Consiglio regionale, in parte dal presidente della corte d’appello, la quale abbia la facoltà di indicare al Consiglio, preventivamente ma anche per le leggi già vigenti, degli eventuali contrasti con lo Statuto regionale, dopodiché, non potendo questo organismo avere il potere paragiudiziario di cassare le leggi, queste leggi potrebbero essere approvate o confermate con una maggioranza qualificata dei due terzi.
Quindi credo che un impianto tecnicamente e nella sostanza ampiamente condivisibile, possa avere ancora dei margini di miglioramento.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. Ringrazio il Presidente e ringrazio Ciccioli che mi ha dato l’opportunità di intervenire posticipando il suo intervento, perché purtroppo ho degli impegni a cui non posso rinunciare.
Quello che mi preme sottolineare in questo dibattito sono le funzioni di controllo delle opposizioni, che molto spesso in quest’aula non solo non vengono rispettate ma vengono anche bistrattate. Dobbiamo quindi fare una modifica.
Parto da una riflessione fatta in un dibattito un po’ acceso con il Presidente D'Ambrosio, insieme al collega Giannotti. Parlavamo di alcuni casi scottanti tra cui quello della Cecchini che viene sempre rinviato, ma anche interrogazioni e mozioni relative a tematiche molto importanti. Il Presidente in quell’occasione, oltre che bollarci affermando che le nostre erano azioni folcloristiche, nel suo intervento disse anche al sottoscritto “se lei vuole arricchire la sua casistica così ricca, le porto anche i casi in cui la Regione è stata condannata perché la selvaggina ha danneggiato le automobili che passavano da quella parte: anche questa è mancanza di controllo da parte nostra” e ci invitava ad essere molto seri. Invito oggi il Presidente della Giunta, in quanto noi non abbiamo né gli strumenti né la possibilità di replicare a quanto da lui detto, a verificare — nell’interrogazione che abbiamo fatto risulta un dislivello, per una recente gara fatta, di 500.000 euro — se dovete essere chiamati in causa voi per non avere riparato quel danno o se c’è stato un errore, oppure se tutto è stato fatto alla luce del sole, quindi fatto bene, ma allora come mai l’ente ha perso un miliardo di lire?
La invito, la prossima volta, a non bollarci con “folcloristici”, noi stiamo facendo il nostro lavoro con serietà e caparbietà, tanto è ero che con questa nostra interrogazione abbiamo fatto risparmiare più di un miliardo alla Asl di Civitanova Marche. Non si tratta di “selvaggina”, né di “cacciagione”, quindi noi non eravamo folcloristici in quell’occasione: cercavamo di evidenziare e di far presente a lei e al suo assessore alla sanità che non stavate facendo funzioni di controllo, quindi se risponde a verità quanto diciamo noi, bisogna che oggi qualcuno paghi quello che si è perso.
Abbiamo già inoltrato tutto alla Corte dei conti, unica cosa che rientra nelle nostre competenze, andremo di persona alla Corte dei conti, alla ripresa dell’attività, a verificare se la stessa si sarà attivata. Non attiveremo procedure personali, anche se qui se ne ravvisano gli strumenti, vista la leggerezza con cui ci è stata data risposta.
Da questo Statuto cosa ci aspettiamo? Che vengano rispettate veramente, con serietà e dignità, le opposizioni quando fanno un controllo serio, perché oggi, Presidente D'Ambrosio, abbiamo altre difficoltà nelle varie aziende: non ci sono più i revisori dei conti, abbiamo creato, nelle varie aziende, dei direttori che oggi hanno la facoltà, fino a un certo budget — grazie all’opposizione che abbiamo fatto certe gare vengono fatte ad Ancona, con un controllo superiore — di operare liberamente, senza più il controllo da parte dei revisori dei conti. Non si può pretendere che un’Asur unica controlli tutto a livello regionale. Quindi bisogna che nello Statuto si trovino tutte quelle soluzioni che aumentino le facoltà dei consiglieri rispetto agli atti della Giunta e del Consiglio, in modo tale che si possa essere più incisivi nella verifica. Bisogna poi dare più efficacia all’attività delle opposizioni.
Cito due casi che sono scandalosi. Primo, le rivalse ospedaliere: ancora non siamo riusciti a capire se le aziende marchigiane hanno recuperato tutte quelle somme che si spendono per il pronto soccorso per assistere le persone che sono protagoniste di risse o incidenti stradali. Posso fare un esempio per quanto riguarda la Asl di Macerata: dal 1998 al 2002 ha introitato circa 400.000 euro. Pensate se tutte le aziende — la nostra non ha introitato nessuna lira, lo posso dire fin da adesso, anche se non ho avuto risposta — facessero queste azioni di rivalsa. Quando c’è una segnalazione, l’assessorato o chi per lui dia le risposte. Siccome chiediamo risposte scritte, non è possibile che dopo due anni siamo costretti a presentare un’altra interrogazione per chiedere come mai la Regione Marche non ha fatto il controllo e come mai l’azienda non ha fatto il recupero dei crediti.
Presidente, non si deve infastidire se le dico queste cose, sono cose normali, naturali, perché in qualsiasi ente, quando un amministratore... (Interruzione). Nello Statuto lei faccia prevedere che, fatta un’interrogazione, dopo dieci giorni si dia una risposta, non dopo dieci anni. Non solo non lo mettete nello Statuto ma non date nemmeno le risposte. E’ un invito alla maggioranza. Oggi non può nemmeno dire che sto facendo folclore, però noi possiamo dire che lei non ha fatto funzioni di controllo. Però sappiamo tutti che sarà carta straccia. Un “povero cristo” come noi certamente sarebbe già stato chiamato a rispondere.
Per quanto riguarda le leggi, è possibile che in quattro anni le opposizioni non hanno mai avuto approvata una legge? Siamo così somari? Per lo meno portatele in aula, abbiate il coraggio di bocciarle: quelle sulla famiglia, sulla scuola. Come mai in quattro anni non siamo riusciti a fare questo? Diamo una corsia preferenziale, dicendo che una o due leggi è opportuno che vengano esaminate. Per esempio, sulla legge 13 in teoria siamo tutti d’accordo, ma in pratica nessuno la porta in Consiglio regionale. Poi, quando si arriva alla campagna elettorale, tutti pronti a parlare con la Coldiretti perché è importante fare la legge 13, perché non bisogna spopolare le campagne, perché è giusto che i figli rimangano sul territorio, però noi siamo dell’opposizione e non abbiamo né numeri né strumenti per poter portare in Consiglio questa legge. Facciamo un emendamento che dica “bastano dieci firme di consiglieri regionali per far discutere una legge in aula”, salvaguardando così le opposizioni. C’è un nostro emendamento, ma sarà sicuramente respinto. Noi la volontà di confrontarci e di andare avanti ce la mettiamo.
E’ vero che da tanti anni state al governo, quindi siete convinti che sarete riconfermati, vista anche l’euforia delle ultime elezioni, ma bisognerebbe dare una garanzia anche alle opposizioni per quanto riguarda qualche presidenza. A livello nazionale la vigilanza, l’antimafia, presidenze importanti vengono date all’opposizione per un fatto di democrazia. Vogliamo instaurarla anche in quest’aula, per questo organismo di garanzia e di controllo?
Non abbiamo alcuna preoccupazione, perché sappiamo che in un regime di democrazia queste cose vengono puntualmente respinte...
Non so cosa si inventerà il presidente del gruppo Ds Franceschetti, il quale di solito si arrampica sempre sugli specchi e scivola, però è una persona talmente di stile e tatto, che riesce a stare sempre nei limiti della correttezza. Non so questa volta cosa si inventerà per quanto riguarda le proposte di legge, le mancate risposte alle interrogazioni, il mancato recupero. E’ bello aumentare le tasse quando non si recuperano certi crediti, perché il povero cittadino che magari tribola per le liste d’attesa, che ha sofferenze per quanto riguarda i ricoveri, difficoltà a pagare i tickets, poi legge “per una sanità migliore”. E non fate nemmeno i referendum per confrontarvi con i cittadini. Voi dite che è una sanità migliore, ma sentite cosa ne pensano i marchigiani. Facciamo questo referendum. Siccome voi avete più contatti di noi con la società civile e con le categorie, le associazioni, è possibile che abbiate ragione voi, però noi chiediamo un confronto sul referendum.
Assessori esterni. Può essere giusto, in panchina... Valutiamolo. Non si tratta tanto del numero, 40, 50, ma mettiamo i consiglieri regionali in condizioni di poter dire la loro, di poter portare avanti le loro proposte.
Si sta parlando anche di una legge per quanto riguarda i precari. Ci scandalizziamo per i 50 consiglieri, però nessuno si scandalizza per il fatto che viene fatta una legge speciale, ad hoc per sistemare 30-35 persone. Siamo seri. Parliamo di cose serie. A livello personale non pongo il problema di 40 o 50, però 40 consiglieri, tolti gli assessori, sono pochi. La nostra è la percentuale pro-capite più bassa a livello nazionale, fra consiglieri e abitanti. Bisogna allora essere seri: mentre da una parte si preparano leggine “salvadipendente”, dall’altra non si fa fare la legge per far lavorare meglio un consigliere regionale. Dobbiamo essere fino in fondo sinceri e leali quando si parla di queste cose e questo è uno Statuto che riguarderà tutti, quindi facciamo sì che rispecchi la volontà della stragrande maggioranza dei consiglieri regionali.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Franceschetti.

FAUSTO FRANCESCHETTI. Signor Presidente, intanto diciamo che oggi approda in aula un punto sicuramente importante per i lavori di questo Consiglio, un lavoro iniziato quattro anni fa con la costituzione della Commissione speciale per lo Statuto e la legge elettorale.
Come prima cosa dobbiamo dare atto all’impegno e al lavoro costruttivo che in questi quattro anni, e soprattutto negli ultimi mesi, hanno svolto tutte le forze presenti in Consiglio regionale, della maggioranza e della minoranza. Dobbiamo dare atto al buon lavoro svolto dalla collega Silvana Amati, presidente della Commissione. E’ stato fatto uno sforzo reale per arrivare alla elaborazione di uno Statuto che fosse il più largamente condiviso, perché è sicuramente un punto importante che quando si discutono le regole, le stesse regole debbano trovare la condivisione più ampia dello schieramento istituzionale.
All’inizio di questo lavoro avevamo soprattutto l’obiettivo di rendere attuale lo Statuto delle Marche rispetto ai cambiamenti sociali, economici, istituzionali che abbiamo registrato negli oltre 30 anni che ci separano dall’approvazione del primo Statuto, ma anche alla luce delle modifiche introdotte dal titolo V della Costituzione e da un processo di decentramento, di federalismo che è andato avanti nel corso di questi anni, che ha attribuito nuovi poteri, nuove funzioni alle Regioni e agli enti locali, in un quadro di unitarietà dello Stato nazionale, una unitarietà che va mantenuta, salvaguardata — il centro-sinistra, i Ds sono impegnati in questo — contro il tentativo che viene portato avanti nella fase attuale dal Governo di centro-destra, di snaturare questa unitarietà dello Stato nazionale con la devoluzione, la separazione di importanti settori dell’attività e della vita sociale del nostro paese, come quelli della scuola e della sanità.
Credo quindi che è stato fatto un buon lavoro, a partire anche dalle questioni che riguardano più direttamente i valori costitutivi della nostra Regione, quindi il preambolo e il titolo I che riguardano i principi fondamentali, ma anche relativamente alle questioni dei valori. Mi riferisco alla valorizzazione delle radici che vengono dal Risorgimento, dalla Repubblica nata dalla Resistenza, dal voler perseguire il mantenimento e il rafforzamento dei diritti della persona, a cominciare da quelli delle lavoratrici e dei lavoratori, a un forte elemento di principio che riguarda il valore della sussidiarietà che abbiamo introdotto con l’art. 2, sia in relazione al rapporto con gli altri livelli istituzionali, sia in relazione al rapporto con i cittadini singoli e associati, che poi ha trovato una conferma e una esplicitazione concreta in alcuni articoli del nostro Statuto, ad esempio l’art. 36, con la previsione della nascita del Consiglio delle autonomie locali che, al di là della obbligatorietà che ci derivava dalla norma costituzionale, comunque è una scelta che questo Statuto compie in maniera convinta e attribuendo a tale Consiglio delle autonomie locali anche poteri importanti, competenze importanti nel rapporto con la politica regionale, come all’art. 40 di fatto individuiamo già la nascita di un nuovo organismo di partecipazione delle formazioni economiche e sociali della nostra regione, che è stato chiamato Crel regionale.
Credo che sulle questioni più delicate sono stati trovati anche dei punti di sintesi avanzata, la più avanzata possibile, oggi, anche sui temi che in questi giorni sono stati al centro dell’attenzione, del dibattito politico regionale, come i problemi che sono stati sollevati anche dalla Commissione Episcopale Marchigiana, in particolare sulla questione delle radici religiose, sulle questioni della famiglia. Credo che il preambolo e i principi fondamentali diano una risposta avanzata rispetto anche a certe sensibilità a certi valori di natura anche culturale, che ci sono nella nostra regione e in qualche modo credo che lo stesso documento della CEI dia un riconoscimento che va in questa direzione, pur dal loro punto di vista non ritenendolo ancora sufficiente.
Vorrei venire ad altre due questioni di fondo che sono state affrontate dallo Statuto e che sono strettamente legate tra di loro. Da una parte la forma di governo, in modo particolare l’art. 7 che riguarda l’elezione del Giunta e l’organizzazione e il ruolo del Consiglio.
Credo che sulla forma di governo non c’è dubbio che la sentenza della Corte costituzionale che ha decretato l’incostituzionalità dello Statuto della Calabria ha rappresentato un punto non secondario nella riflessione, non solo al nostro interno, all’interno del centro-sinistra ma più in generale nella riflessione delle forze politiche. Certamente la sentenza ha aiutato l’accelerazione nella elaborazione degli statuti, ma ancora di più la sentenza è stata importante nel merito. L’elemento più significativo di quella sentenza, a mio giudizio, sta nel fatto che la Corte delinea due possibili strade riguardo all’elezione del Presidente della Giunta. Una è quella che pone in capo all’elettore questa facoltà, quindi elezione diretta; l’altra pone questa possibilità in capo al Consiglio regionale. Mentre vengono bocciate strade intermedie, un po’ pasticciate, o comunque che nascondono una forma di elezione diretta mascherata. Rispetto a quelle due opzioni che la Corte indica, noi crediamo che l’elezione diretta rappresenta oggi la scelta che dà più garanzie dal punto di vista della stabilità e della governabilità delle Regioni, dà una coerenza politica e programmatica sicuramente più elevata, nella sostanza esprime la chiarezza politica più elevata nel rapporto con gli elettori e con i cittadini di una regione, seppure anche noi vediamo che questo tipo di elezione presenta dei limiti, dei rischi che dobbiamo cercare in qualche modo di affrontare e di superare. Limiti e rischi che riguardano un eccessivo potere in capo ai presidenti delle Giunte e agli esecutivi più in generale e, di conseguenza, il rischio di uno svuotamento del ruolo e dei compiti dei Consigli regionali. Non possiamo tuttavia non vedere come il ritorno alle elezioni in capo al Consiglio comporterebbe rischi ben maggiori di un ritorno, soprattutto, a pratiche del passato che invece vanno definitivamente superate.
L’altra questione è che non possiamo, poi, non tener conto di un altro elemento che ha segnato un cambiamento profondo nel governo delle istituzioni locali, rappresentato dalle elezioni dirette dei sindaci e dei presidenti delle Province, anche se ci sono limiti in quelle esperienze e c’è una diversità evidente tra il ruolo di una Regione e quello degli enti locali. Su questo punto dell’elezione diretta sappiamo tutti che vi sono posizioni, valutazioni differenti tra le forze politiche, anche tra le forze politiche del centro-sinistra, che nascono da orientamenti politici ormai maturati da tempo a livello nazionale e quindi, su queste questioni ci sono elementi anche di trasversalità che nascono da quelle ragioni e che certamente sono trasversalità non ricercate e sicuramente non strumentali.
Penso che non dobbiamo drammatizzare queste differenze e che comunque queste differenze non possano inficiare un giudizio sul complesso dello Statuto, perché su questo c’è stato un lavoro approfondito che ha coinvolto tutti e una condivisione ampia del risultato che discutiamo oggi. Collegato a questo c’è il problema del ruolo del Consiglio. A me pare che lo Statuto ponga alcuni presupposti importanti per disegnare un ruolo attivo e primario del Consiglio, lo fa stabilendo con chiarezza ciò che spetta al Consiglio, che è soprattutto una politica di indirizzo e di controllo. Il controllo — mi aggancio a quanto diceva prima Brini — è anche sugli atti e questa è una prerogativa che spetta a tutti i consiglieri, a cominciare da quelli dell’opposizione. Credo però che pensare al controllo solo da questo punto di vista sia limitativo. Lo Statuto fa una scelta più innovativa, che finora non è stata perseguita, cioè l’impegno nostro come Consiglio regionale deve essere anche quello di un controllo sugli effetti delle leggi e degli atti che noi produciamo e degli effetti che questi atti producono concretamente nella società marchigiana, così come vengono introdotti altri fattori ugualmente importanti, come la possibilità di proporre la sfiducia verso il singolo o più assessori e così via.
Sta poi alla pratica concreta, quotidiana, nel lavoro di tutti i giorni rendere reali queste possibilità che oggi lo Statuto attribuisce al Consiglio.
Chiudo non volendo eludere un problema come quello relativo al numero dei consiglieri, che è stato oggetto di attenzione da parte dell’opinione pubblica. L’attenzione e il peso che alcuni organi di informazione hanno attribuito a questo problema sono stati eccessivi, spropositati rispetto al dibattito reale che abbiamo condotto nella Commissione e nel dibattito più generale tra le forze politiche della Regione. Come gruppo Ds noi abbiamo sempre ritenuto che questo non è, non è mai stato il problema in assoluto, né uno dei problemi prioritari e la questione va valutata dentro un ragionamento più complessivo che riguarda la funzionalità del Consiglio, la capacità di lavoro e di dare risposte da parte del Consiglio stesso e delle Commissioni. Va valutato in relazione ad un altro problema che ritengo essere serio: quello di dare una garanzia, anche e soprattutto attraverso la legge elettorale che saremo chiamati a discutere non appena approvato lo Statuto e rispetto alla quale la Commissione stessa ha elaborato un ordine del giorno importante che detta alcuni indirizzi di fondo, in modo che la futura legge elettorale garantisca una giusta ed equa rappresentanza di tutti i territori provinciali, così come oggi non è, perché un Consiglio che vede territori sottorappresentati rispetto al numero dei consiglieri attribuito in base alla propria popolazione, diventa esso stesso meno rappresentativo e meno capace di dare delle risposte omogenee a tutto il territorio regionale, quindi questo è un problema che ci dobbiamo porre, tenendo conto che nella proposta di Statuto abbiamo raggiunto una sintesi sul numero, che di 40+2, quindi la cosa va valutata in relazione a questo punto che è ormai diventato un punto fermo nel ragionamento del Consiglio regionale, introducendo nella legge elettorale dei meccanismi che portino quelle Province che oggi sono sottorappresentate, ad avere questa rappresentanza equa, che è quella che il numero di abitanti deve consentire di avere in seno al Consiglio regionale.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. E’ evidente che si parla per la storia, ma anche la memoria storica ha la sua importanza, perché la memoria storica, alla fine, dirà chi aveva un orientamento giusto e chi invece, in quell’occasione, commise qualche errore.
Se dovessi affrontare complessivamente questa proposta di legge statutaria non sarei ultimativo, nel senso che non è un’ultima frontiera, è un lavoro di Commissione largamente condiviso, dove però esistono alcuni passaggi in cui è più difficile riconoscersi.
Come tutti i testi elaborati dalla Commissione è perfettibile e ovviamente può essere migliorato. Lo Statuto è la carta fondante di una istituzione, quindi un documento che si ispira a dei principi e su alcune cose possiamo largamente riconoscerci. Ne cito una: il presidenzialismo. Questa Commissione ha riconfermato la necessità di avere un referente eletto, che è centrale rispetto al sistema e questo referente risponde a un Consiglio che ha un ruolo, perché l’introduzione della sfiducia, sia all’assessore che al Presidente, contempera un presidenzialismo che, se fosse estremo ed esasperato, talvolta tiranneggerebbe i Consigli. Succede per i sindaci che talvolta tiranneggiano i Consigli comunali, succede anche per i presidenti delle Giunte regionali. Questo passaggio quindi ci piace. Ce ne sono altri che ci piacciono meno, per esempio il discorso sulle strutture fondanti della società marchigiana. Voglio sottolineare un dato politico: abbiamo presentato degli emendamenti unitari come Casa delle libertà. Il grosso degli emendamenti presentati dall’opposizione in questa aula sono unitari, la Casa delle libertà si è riconosciuta su principi ispiratori comuni, per cui Forza Italia, An e Udc hanno insieme valutato che su alcune cose importantissime non c’è divisione, quindi questa è una cosa importante in vista di quella che sarà la scadenza importante per la Regione, cioè la verifica elettorale che si svolgerà tra un anno. Quindi, su alcuni punti fondamentali comuni, la Casa delle libertà si trova unita. Questo voglio sottolinearlo e valorizzarlo.
Quali sono questi punti? Uno è quello che discende dal principio della sussidiarietà come autogoverno della società, che è stato accettato ma solo in maniera informale, mentre c’è una maniera sostanziale.
Innanzitutto qual è il cardine della società in occidente, ma direi nel mondo? Quello della famiglia. La famiglia è architrave naturale della comunità. Secondo me l’occidente, in questa fase della sua storia, pecca di un fortissimo indebolimento dell’istituzione familiare rispetto ad altre aree geografiche, ad altri passaggi della storia. La famiglia che c’è deve quindi essere valorizzata e rinforzata.
L’altro aspetto particolarmente importante. Sempre di più il sostegno sociale costa e le strutture pubbliche non hanno le risorse economico-finanziarie per sopportare gli interventi, quindi in questo senso, soprattutto in occidente, soprattutto in regioni come la nostra, dove la sanità e i servizi sociali arrivano all’88% della spesa di questa istituzione regionali, volontariato e non profit devono trovare un posto forte, perché sempre di più, per dare un livello adeguato di sostegno sociale e sanitario, ci dovrà essere l’inserimento della società autoorganizzata, quindi volontariato e non profit. E’ evidente che questo deve trovare un riscontro anche nella Carta fondante, anche se leggi buone si possono fare pure se non vengono citate nello Statuto, però citarle è un segnale forte.
Va bene il discorso sulla partecipazione, il Consiglio delle autonomie, anche se non ci possono essere doppioni: ciò che è consultivo è consultivo, ciò che è istituzionale ha potere. E’ chiaro che ciò che è collaterale, di partecipazione è molto importante, però la centralità appartiene al Consiglio, al governo regionale.
L’altro discorso è sulla fede cattolica. Battaglie di religione non hanno senso, però assistiamo a una progressiva laicizzazione estrema dell’occidente, che quasi rinuncia spontaneamente ad avere dei simboli di riferimento, che valgono non solo per i credenti ma anche per i non credenti, come elemento fondante della storia di una civiltà. Quindi, anche per chi non crede, c’è l’aspetto che, comunque, quella storia ha fondato questo tipi civiltà.
Questa estrema neutralizzazione corrisponde alle manifestazioni estreme di fondamentalismo di altre radici. Bisogna riflettere su questo: mentre si ammainano le bandiere, altre bandiere vengono issate in maniera estrema, addirittura il taglio della testa, il disprezzo della vita umana che è un valore in assoluto, non solo di chi crede, dei credenti ma un valore della nostra civiltà. La vita umana merita rispetto, mentre per altri la vita umana è un passaggio di cui talvolta è meglio liberarsi, per altre aspirazioni. Abbassare una bandiera su questo aspetto, secondo me è estremamente negativo, perché le radici sono fondamentali per tutto quello che emerge dal livello del terreno.
Il preambolo. Tutte le carte fondanti di una istituzione, generalmente devono valere per tutti, sono i principi. Tirare sulla politica, su un preambolo è sempre un errore, un errore storico. Che si debba dare un taglio particolare a uno Statuto è errato. L’Italia ha degli esempi di statuti comunali. Gli statuti comunali elaborati in Italia 600 anni fa, hanno poi girato nella storia del diritto del mondo. Nessuno Statuto comunale aveva il preambolo. Lo Statuto era la carta dei diritti, dei principi fondamentali, gli elementi costitutivi. A mio parere questo preambolo è un grande errore, è cercare di dare una deriva a una Carta che è per tutti, al di là della fede e del colore e su questo io ho da ridire, anche se, come sempre, in un preambolo ci sono cose che si condividono e cose che si condividono meno. Il richiamo alla Carta dei diritti dell’Ue, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sono tutti richiami a cui possiamo tranquillamente ricondurci, anzi a cui gli articoli stessi si riconducono, ma a mio parere i preamboli ricordano storie vecchie, congressi vecchi di grandi partiti, però cessati, su cui alcuni esponenti autorevoli di questo Consiglio potrebbero dissertare.
Uno dei preamboli storici nacque in questa regione, a San Ginesio. Nel 1968 a San Ginesio ci fu un grande preambolo, un preambolo importante, però un conto è la Carta dei diritti, un conto i preamboli e quant’altro che sono materia congressuale, anche di dibattito politico, di documenti, di ordini del giorno, ma non materia di diritti fondamentali.
Concludo con la questione, tuttora aperta, dei consiglieri regionali. La storia del Consiglio regionale si riduce a quella dei Comuni. Il Comune più importante della regione, Ancona, ha 40 consiglieri comunali. I Comuni maggiori ne hanno 30 e rappresentano città intorno ai 50-60 mila abitanti. Credo che una regione di un milione e mezzo di abitanti, con il nome al plurale, “Marche”, con i famosi 100 campanili, debba avere una larga rappresentanza delle territorialità, che si sentono talvolta escluse, come la montagna. Qualche giorno fa c’è stata ad Arquata del Tronto la manifestazione sulla montagna e tuttora dicono che si sentono esclusi. Poi ci sono i distretti economici, che talvolta hanno dei contenuti socio-economici molto importanti. Secondo me, il numero dei consiglieri regionali deve essere adeguato all’amministrazione che si fa. Noi amministriamo oltre 7.000 miliardi di vecchie lire, decidiamo su temi molto importanti con le deleghe dello Stato. Senza demagogia e senza retropensieri — non penso cioè né al mio seggio, né a quello del mio partito nella mia provincia — guardando alla necessità che amministrare, partecipare alle Commissioni... Noi, oggi abbiamo sei Commissioni. Per fu un errore istituire la sesta, quella delle politiche comunitarie, che è occasionale. Però cinque Commissioni che lavorano veramente, obbligano alla partecipazione, all’informazione, il consigliere regionale deve essere agganciato al territorio, deve seguire le cose. Se uno si dà da fare, segue, si informa, legge, è presente alle manifestazioni, ci vuole una presenza sul territorio più larga. Se poi uno viene alle sedute e sta un’ora e firma, se alle Commissioni non ci va mai, mette la firma e basta, se non presenta mai una proposta di legge, se non fa mai un’interrogazione, se non si sa neanche che c’è (spesso è un fantasma), se sta un’ora solo alle riunioni, allora perché no 30 consiglieri regionali? Io sono un teorico di dire 30, perché 50, perché 40? Se si deve fare poco, meglio 30. Io sono per 30, perché se uno fa il ragionamento tipico di se stesso, con 30 consiglieri regionali, “se io decido di esserci credo che ci sarò lo stesso”, quindi il mio partito il suo seggio lo dà nella mia provincia e io sicuramente ce la farò”. Se uno guarda con questo spirito, perché non 30? Anzi, riducendo il numero si aumenta il potere, quindi addirittura 20+2, che è il top.
Quando all’imbecille insegni con il dito indice una stella, l’imbecille guarda il dito, non la stella. Se uno non guarda così bisogna che pensi ad altre cose, sia che sia maggioranza che minoranza, sia che sia all’opposizione che al governo. Come può essere la presenza e la partecipazione sul territorio. Quindi non un tema di grande demagogia ma un tema di riflessione. Se noi amministriamo oltre 7.000 miliardi, se prendiamo decisioni importantissime, perché ci devono essere intere zone del territorio non rappresentate? E’ più importante non avere un rivale di partito nella propria provincia o no? Se da soli si sta meglio, forse tutte le politiche hanno una logica, anche questa. Io sono dell’idea che la provincia debba essere rappresentata, poi ci vuole un criterio di rappresentanza, secondo me gli attuali 40 consiglieri regionali sono pochi e lo dico anche andando contro corrente. Questo per chi lavora, per chi non lavora 40 sono troppi. Se uno è serio bisogna che utilizzi dei criteri di serietà, io a questi mi ispiro, addirittura la Commissione può produrre una ulteriore riformulazione, però credo che le Marche, al plurale, debbano essere adeguatamente rappresentate, le Commissioni non devono non potersi tenere perché manca il numero legale e gli organi istituzionali devono lavorare.
Penso di poter dire questo in buona fede, perché al di là delle valutazioni che si sono fatte, credo di avere partecipato il più possibile, per lo meno nei tempi che mi consentiva la vita quotidiana, la sopravvivenza quotidiana, alle Commissioni, all’Ufficio di presidenza quando ne facevo parte, al Consiglio regionale e a quant’altro succede nella società. Questo penso e questo mi sento di sottolineare, credendoci personalmente.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ricci.

ANDREA RICCI. Nell’ultimo decennio nel nostro paese abbiamo assistito ad un processo di profonda trasformazione degli assetti istituzionali che erano sanciti nella Costituzione della Repubblica, così come essa era uscita dalla Resistenza. I principi attraverso i quali questo processo di profonda trasformazione degli assetti istituzionali è maturato, sono stati sostanzialmente tre: l’introduzione del sistema elettorale maggioritario, che ha comportato un forzoso bipolarismo nella competizione politica del nostro paese; l’introduzione del principio presidenzialista, prima nei Comuni e nelle Province e poi anche a livello regionale e infine il principio del federalismo.
Questo insieme di principi hanno prodotto conseguenze profondamente negative sull’assetto della nostra democrazia, in primo luogo hanno ristretto gli spazi di rappresentanza e di partecipazione democratica, allontanando invece di avvicinare, i cittadini dalla politica e dalle istituzioni, e soprattutto allontanando quella parte di cittadini che, in termini di potere reale e sociale gode di meno diritti, di meno privilegi, di meno tutele. In secondo luogo questo insieme di processi ha condotto ad una forte personalizzazione della politica, attraverso la distruzione o il forte indebolimento delle strutture consolidate di partecipazione che nella storia della nostra Repubblica sono stati i partiti politici di massa, i quali hanno sì avuto un processo di degenerazione, in modo particolare negli anni ‘80, ma dobbiamo ricordare che essi sono stati protagonisti della costruzione della Repubblica italiana e della sua vita civile.
Questo processo di personalizzazione della politica e di ridimensionamento profondo della partecipazione organizzata dei cittadini, ha prodotto un aumento forte e a volte anche molto pericoloso, dell’influsso delle lobbies, spesso corporative e affaristiche, che oggi riescono a condizionare in questo quadro di frammentazione personalistica dell’attività politica, l’attività dei governi e dei pubblici poteri.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
SANDRO DONATI

In terzo luogo, in modo particolare l’esasperazione del principio federalista ha comportato uno stato di vera e propria crisi dell’unità nazionale, non in termini retorici, dell’unità statuale e patriottica, ma in termini concreti e reali che riguardano la vita quotidiana dei cittadini, cioè l’esasperazione del principio federalista ha portato e rischia ancor più in futuro di portare, ad una differenziazione dei diritti politici, civili e sociali che i cittadini godono all’interno del territorio italiano, per cui vi è già una situazione in cui chi è fortunato e vive in una regione, in un comune, in una provincia dove i suoi amministratori sono più attenti alla tutela dei diritti dei più bisognosi, allora può avere un livello di protezione sociale da parte dell’amministrazione pubblica, maggiore di chi, per sua sfortuna, si trova a vivere in altre regioni che non hanno la stessa sensibilità.
La proposta di riforma istituzionale presentata dal Governo accentua questa deriva autoritaria e dovrà essere contrastata non soltanto dalle forze politiche di opposizione, ma, mi auguro e auspico, anche dalle istituzioni locali.
Per questa ragione credo che oggettivamente, a oltre dieci anni dall’avvio di questo processo di riforme istituzionali bisogna concludere che il bilancio complessivo di questa stagione è negativo, tanto è vero che oggi anche coloro che sono stati i principali fautori di questo processo di trasformazione, su alcuni punti essenziali cominciano ad avere dei ripensamenti.
Qui si inserisce la questione della formazione dello Statuto regionale. Noi riteniamo che lo Statuto così come uscito dalla Commissione, che conferma l’esistente dal punto di vista della forma di governo, rappresenti un’occasione mancata, perché credo che avremmo potuto, come Regione Marche, tentare un’altra strada, facendo tesoro dell’esperienza di questi anni di riforme istituzionali e svoltando rispetto al percorso che invece è stato scelto e preso.
Noi abbiamo ritenuto e continuiamo a ritenere che la nostra Regione possa essere la prima Regione che ripensa alle scelte presidenzialistiche che sono state fatte e che assume una forma di governo che riporta all’interno dell’Assemblea popolare la scelta del Presidente della Giunta, naturalmente garantendo la stabilità delle maggioranze, principio sul quale non siamo pregiudizialmente contrari, a patto che vi sia una piena, integrale tutela, o la maggiore tutela possibile nell’ambito del rispetto del criterio della proporzionalità della rappresentanza.
La nostra contrarietà allo Statuto deriva quindi da questo aspetto fondamentale, dopodiché noi riconosciamo gli sforzi che la Commissione Statuto ha compiuto per inserire all’interno della forma di governo presidenzialista tutti i possibili contrappesi, attraverso il rafforzamento del ruolo del Consiglio in primo luogo, che possono essere messi all’interno di questa formula. Tuttavia, oltre un certo limite, se si sceglie l’elezione diretta del Presidente della Regione, anche a seguito del pronunciamento della Corte costituzionale, non era possibile andare, quindi è stata la strada scelta, quella presidenzialista, che ha vincolato la possibilità di rafforzamento democratico del ruolo del Consiglio.
Noi quindi, voteremo contro, come abbiamo fatto in Commissione, allo Statuto nel suo complesso. Il nostro voto contrari, se volete, oggi rappresenta un voto di testimonianza, perché riteniamo che questo problema debba rimanere aperto in futuro, e riteniamo che in futuro possa essere possibile un ripensamento, per cui non vi può essere un’approvazione unanime di questo Consiglio regionale rispetto a una questione che invece è aperta oggi e noi riteniamo lo sarà ancor di più nel futuro.
Concludo con alcuni accenni rispetto a questioni importanti, ma che tuttavia sono, dal nostro punto di vista, ed anche oggettivamente, per quello che è lo Statuto di una Regione, che non è una Costituzione, secondari.
La questione dei principi. Molti interventi che mi hanno preceduto dei colleghi dell’opposizione, così come il dibattito che c’è stato in questi giorni sulla stampa, hanno fatto emergere la necessità di introdurre nello Statuto, nella parte che riguarda i principi, due nuovi concetti. Il primo riguarda il richiamo ai valori cristiani della nostra regione, il secondo la tutela e la valorizzazione del ruolo dell’impresa e della libera attività economica.
Sul primo, noi siamo profondamente convinti che lo Stato e le sue articolazioni debbano ispirarsi a un principio di laicità. Di conseguenza riteniamo contrario a questo principio richiamare all’interno di atti come lo Statuto regionale, l’affermazione di valori religiosi, siano essi cristiani o di altro tipo.
Non dobbiamo scrivere un libro di storia; tutti noi sappiamo che la storia delle Marche, così come del nostro paese, così come dell’Europa, è segnata dalla storia del cristianesimo. E’ una verità ovvia, indiscussa e indiscutibile, ma non stiamo scrivendo un libro di storia, stiamo scrivendo i principi a cui deve ispirarsi una pubblica istruzione e una pubblica istituzione deve essere per principio laica. La Francia è un paese cristiano, dalle profonde radici cristiane altrettanto come l’Italia? Senz’altro. Penso che dal punto di vista storico e culturale nessuno possa negare questo. Eppure in Francia il principio della laicità dello Stato, anche a seguito dell’eredità della rivoluzione francese, è un principio sacrosanto e nessuno in Francia si azzarda ad urlare contro l’anticristianità di chi quel principio di laicità difende. Sottolineo che in Francia lo difendo praticamente tutti, oggi, anche le forze politiche che hanno al loro interno forti componenti cattoliche.
Credo che da questo punto di vista, quindi, nella nostra regione non occorrono forzature tese a introdurre principi di carattere religioso come principi ispiratori, di fatto, dell’attività della Regione stessa, anche perché bisogna riconoscere che accanto alle radici e ai valori cristiani, nella nostra regione, così come nel nostro paese e nella civiltà europea, vi sono anche altre radici e altri valori che hanno avuto un carattere nettamente minoritario, ma che tuttavia devono essere considerati come parte integrante di una comunità nel momento in cui vengono fissati i principi universali, quand’anche fossero estremamente minoritari. Ci vuole una garanzia, soprattutto quando si parla di questioni identitarie, di universalità dell’istituzione che tutti rappresenta.
In terzo luogo stiamo andando verso una società multiculturale, volenti o nolenti: per necessità o per volere questo è il destino e il futuro anche di una regione come le Marche e quindi dobbiamo essere capaci fin d’ora di saper convivere con un principio pluralistico, sia in campo etnico che religioso.
Queste sono le motivazioni per cui noi riteniamo una forzatura ideologica e strumentale quella che viene fatta anche dall’esterno di questo Consiglio regionale con dichiarazioni sulla stampa, che non rispettano, provenendo da alte gerarchie ecclesiastiche, il principio di distinzione tra le istituzioni e le chiese.
Seconda questione, quella relativa all’impresa. Noi riteniamo che già nella formulazione dello Statuto vi sia un ampio riconoscimento del ruolo, delle capacità imprenditoriali della popolazione marchigiana. Introdurre un principio che affermi la tutela e la vaporizzazione del ruolo della libera attività economica privata e dell’impresa è anch’essa una forzatura di carattere ideologico. Da questo punto di vista abbiamo già la Costituzione della Repubblica, che tutela sì la libera attività economica privata, quindi l’impresa, ma la condiziona al rispetto e alle esigenze derivanti dal principio dell’utilità pubblica e del benessere collettivo. Quindi non esiste una libertà economica come principio universale e indissolubile, è un principio condizionato dalla pubblica utilità e dal benessere collettivo.
Andare oltre quanto è scritto nella Costituzione repubblicana vorrebbe dire fare della Regione Marche uno degli alfieri del neoliberismo, proprio nel momento in cui il neoliberismo mostra un suo completo fallimento. Quindi da questo punto di vista noi riteniamo che questa parte dello Statuto non debba essere toccata, anche perché entra su questioni, in modo particolare quelle relative al ruolo dell’impresa e del libero mercato, che attengono molto alla dialettica politica di governo, perché ispirano poi un orientamento complessivo, quindi sono questioni politiche e non riteniamo che esse possano essere inserite nello Statuto attraverso una maggioranza in qualche modo anomala che si dovesse formare in questo Consiglio regionale anche con i voti dell’opposizione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Castelli.

GUIDO CASTELLI. In questo mio intervento non voglio formulare commenti sulle parole appena ascoltate da parte del capogruppo di Rifondazione comunista, che effettivamente, con la consueta lucidità ha sviluppato un discorso che vedremo come evolverà nel corso di questa sessione. Certo da un punto di vista politico, se è vero che proprio la forma di governo è uno degli elementi costitutivi e fondanti delle ragioni che ci inducono oggi ad approvare il nuovo Statuto, da un punto di vista politico credo che sia le valutazioni di Procaccini che di Ricci vadano valutate con molta attenzione.
Detto questo e rimandando al prosieguo della discussione questo genere di valutazioni, volevo semplicemente considerare come in questi anni di lavoro, come membro della Commissione Statuto, soprattutto per quanto riguarda gli ultimi mesi, ho colto un senso di diffusa frustrazione che ha colpito progressivamente i membri della Commissione, come anche tanti autorevoli colleghi di altri Consigli regionali che, al pari di quello delle Marche, avevano sostanzialmente riannesso allo Statuto una funzione salvifica, una grossa attesa fin dal primissimo insediamento della Commissione, fin dai rimi passi mossi da questa legislatura.
Credo che da subito l’Assemblea elettiva fu colta da una forte speranza, da una forte aspettativa, che era quella di cercare di risolvere, proprio in virtù e grazie allo Statuto, uno dei problemi più evidenti che colpiscono i Consigli regionali, provinciali e comunali e, in genere, le Assemblee elettive, ovvero la frustrazione da poco peso, da marginalizzazione per effetto dello strapotere degli esecutivi. Questa sindrome dell’inutilità, che poi ha delle cause su cui cercherò solo brevissimamente di intrattenermi, e che in qualche modo pervadeva i consiglieri regionali i quali vedevano nello Statuto l’occasione per “fargliela vedere”, alla Giunta.
Che la frustrazione, quella fondamentale, quella che viviamo si vive un po’ dappertutto circa l’inutilità e la marginalizzazione delle Assemblee elettive, credo che sia un dato acquisito inutile da spiegare e ribadire. E’ così, è un dato: le Assemblee elettive contano sempre di meno, le cause vanno ricollegate, rintracciate nelle riforme che hanno introdotto i sistemi di elezione diretta dei capi degli esecutivi, siano essi presidenti delle giunte regionali, che sindaci, che presidenti di Provincia. A questo si aggiunge, sempre per parlare di frustrazione, il fatto che si è verificata, dopo la fine della “prima Repubblica”, la cosiddetta crisi della rappresentatività dei partiti. Da questa macedonia di frustrazioni si era generata una speranza nel 2000, nel 2001, di cercare, attraverso lo Statuto, di riequilibrare questi poteri, questi rapporti, almeno per quanto poteva concernere la Regione Marche.
Secondo me questo tipo di aspettativa non poteva che andare delusa, questa speranza, a mio modo di vedere partiva dal vizio di fondo di ricollegare allo Statuto una funzione rimediatrice che in realtà non poteva avere.
E’ evidente che la crisi dei partiti, le modifiche istituzionali alle norme organizzative degli enti e delle istituzioni hanno spostato il peso delle decisioni dai partiti, dalle Assemblee verso i decisori, ovvero coloro i quali sommano così tante funzioni e prerogative come i capi degli esecutivi eletti direttamente dal popolo. Ma quello che è mancato e che è all’origine della frustrazione, è stata una valutazione diversa da quella che aveva ispirato molto i consiglieri, che nello Statuto vedevano l’occasione per riacquisire peso, per riprendere capacità di deterrenza nei confronti della Giunta. Ecco perché tanta attenzione, al di là dei modelli teorici e teoretici sulle riforme istituzionali, è stata ricollegata alla forma di governo. Al di là, infatti, di una valutazione serena sul carattere più adeguato e più appropriato alla Regione Marche, del presidente eletto direttamente dai cittadini che non dal Consiglio regionale, si voleva introdurre — qualcuno propone ancora di introdurlo — un meccanismo di condizionamento, cioè si parla della forma istituzionale in riferimento alla “capacità di condizionamento”, che altrimenti non ha, per via fisiologica, l’Assemblea elettiva e con una forma sostanzialmente parlamentare, che consente al Consiglio regionale di dare la fiducia al presidente, al capo dell’esecutivo, si sarebbe appesantita la funzione, la “capacità intimidatrice” dell’Assemblea elettiva rispetto al Presidente della Giunta. Così come, altro meccanismo sul quale abbiamo riflettuto a lungo, ma sempre colti da questa sindrome di tentativo di accrescere la “capacità intimidatrice”, si è a lungo parlato del potere di produrre regolamenti. Ne abbiamo parlato a lungo. Tentativo, anche in questo caso, di condizionare, per via patologica, il capo dell’esecutivo e l’esecutivo, dicendo “noi ci teniamo i regolamenti”. Secondo me, questo tentativo di “riacquisire peso” attraverso forme improprie di condizionamento, di possibilità di intimidazione, non poteva che scontrarsi con la realtà dei fatti che, a mio modo di vedere, non può passare dall’istituzionalizzazione di questo rapporto di odio-amore della forma di governo per via del regolamento. Attribuire ai Consigli regionali la potestà regolamentare indiscriminata è un non senso, perché evidentemente non potremmo legittimamente, seriamente pensare che un corpo elettivo, un’Assemblea elettiva, un Consiglio regionale da 40, 50 o 30, possa andare a disciplinare l’ampiezza, in termini di metri quadri, delle strutture assistenziali, che inevitabilmente devono essere in qualche modo configurate, organizzate secondo valutazioni che attengono all’esecuzione della legge e non possono riguardare l’Amministrazione elettiva. A mio modo di vedere la frustrazione di cui dicevo poc’anzi, di cui dicevo all’inizio deriva dal fatto che si è cercato, si è pensato di fornire rimedi impropri a quello che è invece un problema che esiste: il problema del ruolo delle assemblee elettive, nella democrazia in cui la decisione è appannaggio degli esecutivi, con forme e competenze sicuramente maggiori di quelle che storicamente avevano contraddistinto le assemblee elettive dal 1948 ad oggi, in Italia.
E allora qual è il vero problema per non rimanere frustrati? Qual è e quale potrebbe essere la strada per poter risolvere questo problema che esiste? Che l’Assemblea elettiva sia svuotata; che l’Assemblea elettiva sia, come Godeau alla ricerca di qualcosa, è vero. Però a mio modo di vedere non è lo Statuto che può risolvere questo problema, non è fissando gli archetipi generalissimi dell’organizzazione istituzionale che si può dare una risposta che deve partire non tanto dalla Costituzione formale ma dalla Costituzione materiale, dai comportamenti dei partiti e dei consiglieri, dall’affermazione di una prassi diversa rispetto a quella che nei comportamenti concreti ha contraddistinto l’Assemblea elettiva, che si è resa succube dell’esecutivo molto più di quanto non richiedesse quel sistema che dal punto di vista formale sbilancia il potere verso la Giunta. Anche questo Consiglio regionale è stato nemico e avversario di se stesso e non può oggi legittimamente invocare dallo Statuto una protezione, una capacità di deterrenza che non ha riguardato e che non ha ispirato i consiglieri regionali, questo copro elettorale nei comportamenti concreti, perché quando io invocato, l’anno scorso, la sostanziale illegittimità di una norma organizzativa inserita nel corpo dell’articolato dell’assestamento di bilancio, e quando tutti i consiglieri regionali, almeno quelli della maggioranza, senza colpo ferire hanno accettato, come hanno accettato in mille altre occasioni, che fosse inferto un vulnus alle norme che ci siamo dati, in quel caso abbiamo dato noi esempio di essere succubi o sudditanti in maniera impropria rispetto ai poteri della Giunta regionale. Inutile reclamare la potestà regolamentare, che a mio modo di vedere è improprio che sia esercitata dai Consigli regionali, inutile munirci tutti di Smith & Wesson da inserire nella fondina perché D’Ambrosio è il presidente eletto. Io dico che, invece, il problema dei problemi nasce da una filosofia di comportamento, da un atteggiamento mentale e politico che deve in qualche modo cambiare, nel senso che è auspicato da tutti noi quando diciamo “vogliamo più potere, più incidenza, più incisività”, ma siamo noi stessi ad essere appunto nemici di noi stessi, nel momento in cui non difendiamo neanche le norme che ci siamo dati.
Questo atteggiamento va a sottolineare lo strapotere della Giunta ben oltre il limite, già ampio, che è concesso alla Giunta e all’Esecutivo.
Questo Statuto rischia di essere un’occasione mancata, soprattutto per quel che riguarda la vera grande funzione che qualsiasi camera elettiva deve esercitare in un sistema di governo presidenziale. Guardiamo al Senato americano, uno degli organismi più potenti del mondo, di tutto il pensabile, politicamente: un’assemblea che addirittura non ha neanche poteri legislativi, ma che ha una capacità di interferire, di intervenire nelle dinamiche istituzionali potentissima, perché esercita, anche da un punto di vista culturale, non solo formale, un micidiale potere di controllo politico. Il ruolo dell’Assemblea elettiva nelle democrazie presidenziali è questo, il controllo politico. Però — ed è questa l’occasione mancata da questo Consiglio e da questo Statuto, ma probabilmente non è lo Statuto a dover mettere mano a certi atti, a certi provvedimenti, a certe riforme — è bene che il controllo politico sia assicurato da forme diverse da quelle che ci provengono come eredità dei regolamenti sabaudi che introdussero, due secoli fa, l’interrogazione e l’interpellanza. Questo è il problema reale: la garanzia del controllo politico viene data all’Assemblea elettiva non da quegli atti ispettivi che stancamente soddisfano, al più, il narcisismo di ciascuno di noi e il bisogno di comunicare all’esterno la nostra esistenza, ma qualcosa di più, perché il problema della rappresentatività deve affrontare due nodi gordiani. Innanzitutto all’Assemblea elettiva è necessario garantire meccanismi per conoscere le dinamiche interne, amministrative e burocratiche della Regione, perché è un dato che la nostra capacità di capire, di leggere, di percepire, di recepire le indicazioni che ci vengono dall’interno della macchina è minore. Quando noi diciamo che il consuntivo è illeggibile, quando diciamo che non ci vengono dati gli strumenti per capire, non vogliamo solamente accampare la solita, cavillosa affermazione, che pure è vera, che è ormai scontato che si voglia perseguire una politica di opacizzazione di tante cose che accadono nella nostra regione, ma è un dato reale che se noi non capiamo, se non abbiamo il polso e il termometro reale di quello che accade, delle dinamiche burocratiche nella efficacia delle politiche di spesa non possiamo esercitare controllo politico. Quindi munire il Consiglio regionale di una organizzazione seria, effettivamente dipendenti dai singoli rappresentanti del Consiglio regionale stesso è vita, perché ciascuno di noi consiglieri di maggioranza — ma il problema è anche per voi della maggioranza — deve munirsi delle attrezzature e delle conoscenze di Sherlock Holmes per capire cosa succede, perché già dalla riforma dell’ordinamento contabile si è perseguita questa volontà di sottrarre chiarezza ai sistemi conoscitivi del Consiglio regionale con le Upb, con il sempre maggiore restringimento della capacità di lettura e di conoscenza. Questo è un problema che non so se con lo Statuto bisognava affrontare, probabilmente no, ma questo è uno dei problemi: garantire al Consiglio regionale una organizzazione che consenta i meccanismi di auditing, di verifica, di controllo reale. Io ci sto alla sfida del presidenzialismo: Esecutivo, fai tutto quello che il corpo elettorale ti ha delegato a fare su tutto, anche sulle nomine, ma io voglio avere gli strumenti per fare “il pelo e il contropelo” a tutto ciò che il Presidente della Giunta regionale fa. Questa è la sfida. Non si può accettare, invece, una Assemblea elettiva svilita delle funzioni e delle competenze e soprattutto non munita degli strumenti per capire, conoscere ciò che succede.
Allora il vero meccanismo della cosiddetta “anatra zoppa” — termine riferito da altri fenomeni patologici delle dinamiche elettorali — è questo. Fintanto che il Consiglio regionale non reclamerà e non otterrà la possibilità di verificare e controllare ciò che succede, virtualmente sarebbe possibile e forse anche utile, che i consiglieri regionali davvero non fossero 30 ma fossero 10, un consiglio di amministrazione che è, pari pari, quello che, di fatto, sta dominando ed esercitando le funzioni nella nostra Regione. Ecco quindi che il primo problema è quello di conoscere, poter conoscere, poter verificare, con strumenti, personale, dotazioni reali, meccanismi che consentano in tempo reale di verificare ciò che succede. Questo aspetto consentirebbe anche di risolvere il secondo problema delle Assemblee elettive, che è quello di essere terminale di tutti i portatori di interessi legittimi, di tutte le associazioni, degli stack holders, chiamateli come volete: coloro i quali dovrebbero vedere nella Assemblea elettiva il terminale, il punto di ricezione di proteste, esigenze e proposte.
Un modello di questo genere, a mio modo di vedere non passa solo per una riorganizzazione formale, ma passa anche e soprattutto per una acquisizione nuova di mentalità, di cultura, che mai c’è stata, probabilmente, così come è necessario che anche il problema della comunicazione riguardi fortemente le Assemblee elettive, perché quando io scherzando dicevo che attraverso l’interrogazione appaghiamo il nostro bisogno di narcisismo, chiaramente ironizzavo e lo dico, perché sono intellettualmente onesto, ma il problema della comunicazione esiste, nel senso che è giusto e doveroso che quello che accade in questa aula si conosca e si sappia, altrimenti li meccanismo di frustrazione e mortificazione aumenta e il senso di uno svilimento cresce esponenzialmente.
Cominciamo allora a pensare a forme come quella del question-time, che hanno, per certi versi, impostato il problema in altre aule, in altre assise; diamo la possibilità reale ai cittadini marchigiani di conoscere ciò che succede, perché la chiusura, il contenimento, la perimetrazione eccessiva del nostro dire e del nostro fare in quest’aula va a discapito di noi consiglieri regionali. Il problema della comunicazione istituzionale è un problema serio, che non può essere risolto solo attraverso spazi a pagamento per assecondare il proprio esibizionismo istituzionale, è un argomento che in una democrazia moderna, basata sul criterio, sulla forma di governo presidenziale e sul rischio di svilimento dell’Assemblea elettiva, è fondamentale.
I media ormai sono meccanismo regolatore della democrazia e delle decisioni e quindi, di fronte a questo dato, o lo si subisce o lo si affronta in maniera nuova e moderna. Ecco perché io ritengo che sia un altro argomento fondamentale quello che ci deve porre, in qualche modo, nella condizione di permeare la società marchigiana dei nostri ragionamenti, altrimenti, continuando così creeremo il Consiglio regionale afono, perché ormai chi parla, lo sappiamo bene, lo fa spesso a discapito del senso del ridicolo, cercando in qualche modo di animare sedute che sono sempre più dirette, in maniera monotona, alla consapevolezza dell’insipienza. Quindi lo sguardo rammaricato, di umana solidarietà che mi porge Marco Luchetti, è esattamente la conferma di quello che dico, ovvero la consapevolezza dell’inutilità del Consiglio regionale. Questo è veramente il rischio di autodistruzione di un Consiglio che, ripeto, a questo punto potrebbe essere tranquillamente ridotto ai dieci della Giunta, salvo poi il divisamento degli elettori, magari non ogni cinque anni, ogni anno, ogni anno e mezzo. Pensiamoci bene e capiamo soprattutto che in questo grande caos tutte le forze politiche hanno qualcosa da rischiare.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Luchetti.

MARCO LUCHETTI. Mi corre l’obbligo, in apertura di questo mio intervento, di dare atto alla presidente della Commissione della tenacia con la quale ha portato avanti i lavori di questa Commissione, che in qualche momento, probabilmente, ha risentito di una certa stanchezza di buona parte della Commissione, che per la verità è incappata, nell’ambito dei suoi lavori, in incertezze dovute all’aspettativa di notizie di sentenze della Corte costituzionale, a incertezze dovute anche ad un quadro istituzionale generale che, nonostante il referendum del 2001, anche oggi ritroviamo in una situazione di incertezza, nel senso che tutti sappiamo che uno dei dibattiti più rilevanti che in queste ore si stanno tenendo a livello centrale, sta proprio nella decisione di proseguire o meno nella modificazione ulteriore del titolo V della Costituzione e io spero che questo dibattito approdi ad una saggia decisione che dovrebbe essere quella di non modificare, sostanzialmente, quanto già avvenuto.
Una delle problematiche che ci pone questo bipolarismo, questa nuova Repubblica, così come viene definita, è che purtroppo non siamo riusciti a trovare ancora quei minimi comuni denominatori che ci consentono di poter agire almeno a livello istituzionale su dei dati condivisi, tant’è che ad ogni legislatura, chi subentra, nel caso di un’alternanza, si appresta a modificare istituzionalmente le leggi varate in precedenza. Questo non ci porterà nulla di buono, anche perché le nuove istituzioni hanno bisogno di un tempo che sedimenti il portato stesso delle norme e consenta anche alla società politica di adeguarsi a norme che tutto sommato qualche volta tentano di risolvere i problema che stanno sul tappeto, piuttosto che evitarli.
Un’altra cosa che ho potuto sottolineare — e di cui credo vada dato atto ai lavori della Commissione Statuto — è un clima di collaborazione che si è trovata, cercando di portare ad analisi razionale, piuttosto che di contrapposizione politica, problematiche e nodi abbastanza complicati. Questo clima, secondo me ha giovato alla possibilità di trovare un testo che, se fosse stato abbandonato unicamente ad una dialettica di maggioranza-minoranza, probabilmente non avrebbe condotto alla discussione del testo che abbiamo sotto gli occhi. Inoltre credo che vada sottolineato l’ulteriore sforzo della Commissione Statuto che, oltre ad avere approvato la bozza di Statuto, ha anche proceduto a varare un documento sulla legge elettorale che costituirà sicuramente un altro passo decisivo verso quello che dovrebbe essere il rilancio, il rinnovamento dell’attività della Regione Marche.
Ho sentito fare commenti i più disparati in quest’aula sui contenuti dello Corte costituzionale, sulle modalità con cui questo è cresciuto ed è stato elaborato, sul clima politico che lo ha sostenuto, ho sentito parlare di frustrazione, di altri elementi. Secondo me dobbiamo tutti renderci conto che questo Statuto è nato in un momento in cui la partecipazione dei cittadini alla vita politica e alle istituzioni e così anche il dibattito e la dialettica politica nel nostro paese sono ad un livello di forte preoccupazione. Anche perché le audizioni che si sono fatte sulla proposta di Statuto, i confronti con la società civile, con gli studenti, con gli amministratori locali in rima battuta, hanno dato una rilevanza piuttosto negativa ad una partecipazione che avrebbe dovuto essere più intensa, più efficace, una partecipazione che poteva arricchire questo nostro lavoro.
In effetti viviamo tempi molto delicati, tempi complicati soprattutto, che determinano una disattenzione troppo colpevole rispetto ai sentimenti che la nostra comunità dovrebbe avere per le istituzioni, ma credo che dobbiamo prendere atto di questo e lavorare perché questo si superi.
Il problema fondamentale è che momenti partecipativi, o riprendono la loro vivacità e la loro adesione, oppure le istituzioni saranno sempre più relegate ad un ruolo di secondaria rilevanza.
Per quanto riguarda il perché siamo qui a discutere un nuovo Statuto, tutto è derivato dalla riforma del titolo V che secondo me costituisce, da un punto di vista democratico, la più grande trasformazione istituzionale nel dopoguerra e questa mia valutazione impatta proprio con quello che dicevo prima: con la disattenzione molto marcata di un evento come quello che, addirittura, segna il cambiamento dei connotati della democrazia partecipata della nostra comunità. Il fatto che il 117 abbia assegnato alle comunità regionali, alle comunità locali una competenza mai avuta prima, una rilevanza di autogoverno sostanzialmente primaria rispetto ad una legislazione concorrente che affida un’azione di coordinamento a livello centrale su tantissime materie, ma di legislazione sostanziale alle Regioni, la dice lunga rispetto al fatto che era necessaria, da parte delle Regioni, una propria rivitalizzazione e un’attrezzatura più adeguata rispetto a queste nuove competenze. Da qui il discorso dello Statuto, che secondo me è stato confuso in larga parte, se volete anche in termini culturali, con un senso di cambiamento profondo del sistema istituzionale, talché il federalismo, così come era stato enunciato e così come poi è stato verificato dal titolo V, cioè un federalismo che comunque si manteneva attraverso un regionalismo forte entro un ambito di coesione istituzionale, qualcuno pensava che lo Statuto potesse essere impiantato come una Costituzione collaterale a quella nazionale, per dar vita, probabilmente, a un governo diverso da quanto invece il titolo V prevede. Io invece ritengo che quel disegno è corretto, nonostante sbavature che siamo tutti consapevoli di dover superare, perché tutto il 117, se non viene attuato l’art. 119 della Costituzione, se non si collega l’autonomia finanziaria, se non si fa chiarezza sulle risorse, sulla detenzione della potestà, è un progetto che rischia la non applicabilità. Questa novità ha consentito un nuovo Statuto che ha dato anche adito ad un dibattito iniziale sul fatto che dovesse essere una modifica del vecchio Statuto oppure una nuova Carta statutaria regionale. Perché si è scelta questa seconda strada e il dibattito da questo punto di vista è stato di corto respiro? Proprio perché le novità che si profilavano all’orizzonte erano tali da poter suggerire questa strada.
Dobbiamo comunque tener presente che le grandi novità portate dal nuovo titolo V non consentivano una rifondazione della modalità di sussistenza dell’impianto regionalista, ma dovevano prendere atto soprattutto della necessità di rendere coeso l’aspetto istituzionale nuovo, che aveva determinato, con la legge 142, un nuovo governo locale, con la sistemazione della nuova impostazione del 117.
E’ chiaro che questo aspetto della omogeneizzazione istituzionale è uno degli aspetti che è stato concepito primariamente, tanto è vero che la forma di governo era ovviamente il clou del nuovo Statuto regionale, e ha dovuto tener conto di un impianto a livello decentrato che era quello dato dalla legge 142 e poi dal testo unico 267.
Credo che le istituzioni non possano essere “istituzioni-arlecchino”, nel senso che devono avere una coerenza interna. Ecco perché la forma presidenzialista ha avuto una attenuazione secondo me opportuna dal punto di vista istituzionale, e non concordo con quanto dice Castelli, che ci sia stata quasi una rivincita rispetto ad un presidenzialismo esasperato. E’ stata una inquadratura corretta di una funzione che, secondo me, di per sé mantiene i connotati essenziali così come il nuovo titolo V individua, per quanto riguarda le competenze del Presidente e della Giunta. E’ chiaro che questa forma presidenzialista doveva consolidare un governo locale che prevedeva l’elezione diretta del sindaco e del presidente della Provincia. Dal punto di vista politico tutti ci rendiamo conto che una legittimazione diretta da parte dei cittadini di una carica come quella del Presidente della Regione, sarebbe stata, se non attuata, uno svilimento di un aspetto istituzionale fondamentale, di riferimento istituzionale fondamentale per i cittadini, talché il sindaco del Comune capoluogo avrebbe avuto più visibilità dello stesso Presidente della Giunta regionale. Di per sé è questa una discussione che deve essere recepita, non tanto perché si corra dietro un impianto che, di per sé, qualcuno potrebbe porre in discussione. Personalmente, come tradizione e come cultura sono più vicino ad un’idea parlamentarista dei governi locali e centrali, però dobbiamo dare coerenza a questo nostro disegno istituzionale, altrimenti non faremo un buon lavoro.
Ecco perché le scelte che sono state fatte in questi anni, vanno tenute sotto controllo, vanno criticate, vanno sviscerate, vanno analizzate, però dobbiamo tener conto che sono state dovute ad una modificazione della politica che è intervenuta in questi anni e che, secondo me, troppo semplicemente si liquida in quattro e quattr’otto con la battuta “era meglio il governo parlamentarista”, trascurando un dato: che il nostro sistema politico era arrivato a un punto di ingovernabilità, soprattutto dei governi locali, proprio perché non c’era chiarezza e non c’era capacità delle forze politiche di arrivare ad una sintesi che desse alle istituzioni un quadro di riferimento chiaro.
Pensiamo alle Giunte regionali che per anni on sono state costituite in passato, alle continue crisi di Giunta, alle continue incapacità, da parte dei Consigli, ad elaborare propri governi. Dobbiamo prendere atto di questo dato. Io credo che la situazione politica non si sia ancora risolta. Sicuramente le norme che ci siamo dati hanno aiutato, in qualche modo, a venir fuori; non hanno risolto i problemi fondamentali. Ma questi problemi fondamentali li ricondurrei essenzialmente alle condizioni in cui oggi la politica si trova e al dibattito e alla dialettica che anima attualmente la nostra politica.
Ecco perché il problema della governabilità è importante, è fondamentale, perché se la comunità non avesse avuto un riferimento di governabilità certa, probabilmente sarebbe caduta ancora più nel caos. Però sono esperienze che stiamo facendo, dobbiamo ulteriormente maturarle, dobbiamo affinarle, ma soprattutto credo potranno trovare verifica e anche trasformazioni ulteriori solo se riusciremo, come rappresentanti della politica, ad elaborare progetti che siano in sintonia con i tempi che si attraversano, ma soprattutto per dare ai cittadini le forme più corrette di governo.
I temi dello Statuto. Ho già parlato della forma di governo. Abbiamo lavorato per tentare di temperare uno spirito presidenzialista che sotto certi versi poteva anche trovare dei riscontri di non eccessiva possibilità di compenetrarsi in un sistema istituzionale locale in termini adeguati. Abbiamo trovato delle modalità che secondo me vanno bene, per quanto discutibili anche queste. Però sono modi per trovare risposte a dei quesiti che questa esperienza presidenziale che abbiamo sperimentato ci ha posto di fronte. Pertanto non sono proprio d’accordo con quanto dice Castelli, ma si è tentato — a parte la sentenza della Corte costituzionale, che ha riassegnato la competenza ai Consigli, cercando di interpretare anche una disposizione che era stata capita male, originariamente, sulla regolamentazione — di darci una struttura istituzionale più adeguata.
Il problema del numero dei consiglieri. Vorrei fare una sottolineatura, perché penso che tutti sentano questo come un dato molto presente per i significati che il numero dei consiglieri regionali ha avuto in questo nostro dibattito. Tutte le altre Regioni hanno aumentato i consiglieri, questo Consiglio non è riuscito a farlo. Credo che sia una valutazione da tener presente, perché siamo stati molto attenti, tutti quanti, a non cadere nella trappola di essere i primi a fare proposte diverse da quelle che l’opinione pubblica marchigiana ha espresso in maniera molto netta e molto chiara e forse abbiamo fatto bene, in questo momento, a seguire i richiami che venivano dall’esterno del Consiglio regionale su questa partita, non perché da un punto di vista organizzativo non fosse plausibile, basterebbe pensare solamente in termini di finanze che la spesa sarebbe analoga a quella che comporta lo Statuto così come è stato definito dalla bozza della Commissione. Il problema fondamentale è che, secondo me, il fatto che ci sia una opinione pubblica molto attenta a questo dato piuttosto che ad altri, a me fa impressione rispetto al dato politico che rappresenta questa attenzione su un atto come questo. Non vorrei che questo celasse un rapporto ,a cittadini e Regione, che non sia positivo nonostante i dati statistici che per certi versi danno ragione ad un consenso che i cittadini hanno su molti servizi, come quello sanitario.
Per quanto riguarda i valori che qui sono stati evocati, vorrei rispondere molto pacatamente a quanto è stato qui espresso dai colleghi, soprattutto dal collega Ricci, circa la difesa della laicità delle istituzioni regionali e pubbliche. Credo che nessuno in questo paese abbia avuto l’ardire di mettere in discussione questo concetto e vorrei dire a Ricci che proprio in un momento come questo, anche le autorità religiose hanno dato un grosso contributo, perché il documento pervenuto dalla CEI alla Commissione Statuto è stato uno dei documenti più articolati e meglio costruiti nell’ambito della partecipazione allo Statuto stesso. Pertanto il concetto della laicità non è in discussione, tanto meno da parte dei cattolici che hanno contribuito non solo alla costruzione della Costituzione così come essa è, ma nella difesa più strenua della laicità dello Stato. Dire altre cose è essere antistorici e non conoscere profondamente il valore e l’apporto dei cattolici nella costruzione della nostra Repubblica. Pertanto non è questo il problema. Siccome il problema del riferimento ai valori cristiani è stato profondamente dibattuto in Commissione, la Commissione stessa aveva trovato un approdo che io ritenevo abbastanza coerente e oggi, da parte di alcuni si vuol rimarcare la matrice cristiana. Dal mio punto di vista personale non c’è discussione, perché lo prendo come un dato storico, non normativo né altro. Pertanto non vedo come, da un punto di vista laico, non si possa non riconoscere la storia della nostra comunità. Non capisco coloro che si offendono se si riconoscono determinate matrici. Perché devono fare queste operazioni anticultura? Non lo capisco. Però ne capisco le esigenze. Ecco perché in sede di Commissione Statuto abbiamo raggiunto un compromesso che era un buon punto di riferimento per una mediazione che poteva soddisfare tutti.
Pertanto, al di là di quello che è stato detto ribadiamo la nostra posizione di conferma della mediazione, ma anche di non appiattimento storico, di valutazione storica della nostra realtà comunitaria.
Per quanto riguarda il ragionamento sull’impresa, mi sembra che la definizione data dalla Commissione era buona. Ritengo che sia opportuno migliorarla, se possibile. Così come è importante assumere in questo Statuto, oltre la Conferenza delle autonomie locali, la scelta, definitivamente, del Consiglio delle autonomia locali. Per questo abbiamo presentato un emendamento che speriamo sia accettato.
Non ritengo che questo Statuto sia un’occasione mancata. Abbiamo fatto un certo lavoro, potevamo fare di più, probabilmente potevamo rendere più aderente la Carta statutaria alle tipicità della nostra comunità, ma siamo più nella sfera dei principi e dei valori. Il nostro compito era quello di adeguare lo Statuto per adeguare la Regione alle nuove competenze, tenendo conto che la nostra Costituzione copre abbondantemente valori, etica e quant’altro da questo punto di vista. Sarebbe stato meglio che avessimo portato questo dibattito unicamente sul dato normativo che ci compete.
Pertanto noi siamo per votare questa bozza di Statuto con gli emendamenti che saranno presentati e che vanno nel senso del suo miglioramento. Credo che l’impegno che la Commissione Statuto ha assunto anche in termini di legge elettorale possa chiudere un lavoro che fin qui è stato fatto bene. Ritengo che poteva essere fatto meglio, ma apprezzo il lavoro che si è realizzato fino a questo punto e credo che la nuova legislatura non possa non avere un nuovo Statuto all’altezza delle competenze che la Regione Marche dovrà avere in futuro.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere D’Angelo.

PIETRO D'ANGELO. Siamo qui a discutere un atto importantissimo come la proposta di legge statutaria, che risulta essere strumento di garanzia, di democrazia e partecipazione per la vita amministrativa e politica di questa Regione. Quindi un atto di estrema importanza, che deve raccogliere, oltre a delle regole fondamentali di funzionamento di questa Assemblea elettiva, anche principi che vanno a salvaguardare gli interessi dell’intera collettività, al di là delle singole caratterizzazioni di minoranze, di gruppi di imprese e quant’altro. La legge statutaria deve garantire l’intera collettività. Ecco perché è stato molto importante il riferimento, nel preambolo, alla figura dell’uomo, checché ne dica il collega Ceroni, quindi dei diritti umani, quindi della salvaguardia ambientale, dei rapporti con gli altri organismi. Fondamentale è il ruolo dello Statuto, che deve andare al di là delle etnie, delle religioni. Questo Statuto deve garantire tutti. E’ chiaro che nessuno può disconoscere le radici cristiane della nostra società, ma è altrettanto chiaro che uno Statuto deve andare nella direzione di garanzia di tutti, anche di coloro che cristiani non sono. Deve andare a garanzia di tutti i cittadini, anche di coloro che non hanno una libera impresa. E’ chiaro che in uno stato democratico ogni cittadino si organizza come meglio crede per portare prosperità, sviluppo e benessere alla collettività, ma ritengo estremamente riduttivo, come è emerso da qualche intervento, voler circoscrivere, puntualizzare. Ecco quindi il riferimento alla libera impresa, alle radici cristiane, alla famiglia, che è fondamentale. Io ritengo al famiglia un nucleo fondamentale di questa società, ma ritengo altrettanto importante che uno Statuto regionale debba fare riferimento a quell’altro strumento importantissimo e garante di democrazia che è garante in Italia, cioè la Costituzione italiana. Ultimamente, per la verità, presa di mira con tentativi di “miglioramenti”. Per quanto mi riguarda alcuni tentativi sono di peggioramento. Io ritengo che la Costituzione italiana ancora oggi sia un modello di coerenza e di democrazia, quindi lo Statuto regionale dovrebbe fare riferimento proprio alla Costituzione italiana.
Uno Statuto garante della pluralità, della partecipazione, della democrazia. Andiamo ad affrontare uno dei nodi critici di questa proposta di legge statuaria, che è quello della forma di governo. Noi verdi, a livello nazionale abbiamo sempre riconosciuto alle Assemblee elettive un ruolo di garanzia della democrazia. Purtroppo, come già emerso da altri interventi, negli ultimi anni c’è stato un tentativo di riduzione del ruolo delle Assemblee elettive, ruolo che ritengo fondamentale per garantire democrazia e partecipazione.
Voglio dire ai colleghi che hanno sposato una forma di elezione diretta del Presidente della Giunta, quindi una forma presidenzialista: non abbiamo visto ciò che di negativo ha portato questa scelta a livello di Comuni e di Province? Io ritengo che siano stati più gli effetti negativi che quelli positivi e guardate che qui parliamo di organismi come quelli comunali e provinciali, che non sono organismi legislativi e nonostante tutto abbiamo visto che questa scelta non è stata, per molti di noi, una scelta illuminata.
Ritengo che l’Assemblea elettiva debba avere un ruolo fondamentale; non appartiene al mio vocabolario la parola “governatore”, non mi piace. Ritengo che un Presidente della Giunta, in collaborazione con la stessa Giunta e con un ruolo attivo del Consiglio riesca, con un’azione sinergica, a garantire gli interessi di tutti i cittadini, marchigiani in questo caso.
Non possiamo essere d’accordo, come non lo siamo, a livello nazionale, con un’elezione diretta del Presidente della Giunta. non siamo neanche d’accordo ad un’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Riteniamo che questa sia una spinta neoliberista che non ci appartiene. Ripetiamo, come già è stato detto, che in una politica sempre più influenzata dalle lobbies e dalla personalizzazione, sia indispensabile rafforzare il ruolo dell’Assemblea elettiva.
Per questo, come verdi a livello nazionale auspicavamo una indicazione del Presidente della Giunta, ma sempre sotto un controllo diretto del Consiglio. Questa è ancora la mia idea, nonostante la recente sentenza della Corte costituzionale sullo Statuto della Regione Calabria, che ha messo in discussione questa forma di governo, ma ritengo che la Corte costituzionale, visto anche gli sviluppi del dibattito al suo interno, che ha portato alle dimissioni del relatore, ad una polemica notevole, sia stata troppo influenzata da aspetti politici, più che da aspetti costituzionali.
Nonostante la sentenza della Corte costituzionale ritengo che la via più equilibrata per una forma di governo efficace sia quella del semipresidenzialismo, cioè dell’indicazione del presidente all’elettorato e del controllo diretto del Consiglio sul presidente.
La scelta presidenzialista, che secondo me nulla ha a che vedere con una cultura di centro-sinistra, ma sappiamo che le contraddizioni in questa società sono immense, quindi faccio appello affinché questo aspetto sia rivisto. Devo dare atto del grande lavoro fatto dalla collega Amati e dai colleghi della Commissione Statuto, del tentativo di bilanciare la forma presidenzialista con un controllo del Consiglio, ma ritengo che è impossibile seguire una qualsivoglia maggioranza di centro-sinistra o trasversale su un argomento così importante e così vitale per una vita democratica delle istituzioni.
Per quanto riguarda gli altri aspetti, mi rifaccio al grande dibattito che c’è stato relativo al numero dei consiglieri regionali. Non mi sarei scandalizzato se si fosse tentato di aumentare il numero dei consiglieri regionali, nell’ambito di un ruolo fortissimo del Consiglio regionale. Invece questo non mi sembra che sia avvenuto, anzi direi che mentre da un lato c’è stato una progressiva espropriazione delle competenze del Consiglio regionale ridotte sempre di più all’osso, che hanno portato a una frattura sempre più drammatica, a una voragine tra Giunta e Consiglio, appunto per questa riduzione del ruolo del Consiglio... Vorrei richiamare questo Consiglio ad un fatto eclatante per tutti. L’anno scorso si è presentato un atto come quello del programma triennale della viabilità. Noi sappiamo che gli atti di programmazione sono di competenza del Consiglio regionale e nonostante diversi solleciti di più presidenti di Commissione — io ero presidente della IV Commissione e ricordo bene la lettera fatta alla Giunta e al Presidente D'Ambrosio in cui dicevo che gli atti di programmazione sono atti del Consiglio — il piano triennale sulla viabilità, in Consiglio non è arrivato.
In questo contesto come si fa — in un contesto di riduzione, di frattura fra Giunta e Consiglio e di riduzione delle capacità del Consiglio di interferire nella vita amministrativa di questa Regione — a chiedere, dopo avere inasprito con il prelievo fiscale i cittadini di questa regione, di portare il numero dei consiglieri da 40 a 50? Mi si dice da qualcuno che sono populista, che sono un demagogo? Se sono populista e demagogo perché dico che un ulteriore aggravio finanziario sulle casse della Regione non può in questo momento essere effettuato, sarà stato populista e demagoga anche la Giunta regionale quando, dopo l’inasprimento fiscale, decise di ridursi le indennità di funzione, peraltro poi riaggiornate.
Ebbene non voglio essere né demagogo né populista, ma ritengo, dopo quello che ho già affermato, che non è opportuno in questo momento inasprire, pesare ancora di più sul bilancio regionale e voglio dire anche che questa Regione, da calcoli da me fatti, risulta già essere, nel rapporto consiglieri regionali-abitanti a una percentuale molto bassa. La Lombardia, con 80 consiglieri regionali ha un rapporto di 1 consigliere ogni 112.000 abitanti. Il Piemonte con 60 consiglieri ha un consigliere regionale ogni 70.000 abitanti. L’Emilia Romagna con 50 consiglieri regionali ha un consigliere regionale ogni 79.000 abitanti. La Toscana con 50> consiglieri regionali ha un consigliere regionale ogni 68.000 abitanti. Il Lazio con 60 consiglieri regionali ha un consigliere regionale ogni 87.000 abitanti, la Campania con 60 consiglieri regionali ha un consigliere regionale ogni 95.000 abitanti. La Regione Marche con 40 consiglieri regionali ha un consigliere regionale ogni 36.000 abitanti. Questi sono dati di fatto.
Ritengo pertanto, senza voler mettere delle ipoteche sul futuro, perché tutto è possibile, che in questo momento non si possa essere d’accordo ad un aumento dei consiglieri regionali.
Per quanto riguarda le radici cristiane, la famiglia, il ruolo dell’impresa, ho già detto che è fondamentale il riferimento alla Costituzione italiana, è giusto che ci sia un riferimento al nucleo della famiglia, che è il nucleo che supporta questa società. Ritengo che le radici cristiane siano un valore importante, ma ritengo che uno Statuto che deve garantire tutti quanti possa fare a meno di fare questi riferimenti specifici, perché le radici cristiane sono importanti ma non vedo perché si debba disconoscere l’importanza anche di altre radici, anche se nella nostra società questo è un concetto fondamentale.
Quindi non è che pregiudizialmente si vuole, in qualche modo, essere contro questo riferimento. Certo il riferimento contro la libera impresa in uno Statuto penso sia estremamente superfluo e una forzatura di troppo.
Faccio appello al centro-sinistra che oggi ha un’opportunità di distinguersi dal centro-destra, appunto nell’approvazione dello Statuto. Qui il centro-sinistra può distinguersi bene dal centro-destra, ma è chiaro che se ci sarà una trasversalità su concetti e fondamenti che poco hanno a che fare con la cultura di centro-sinistra, ognuno poi si prenderà le proprie responsabilità.
Ritengo di fare un appello al centro-sinistra in questo senso, dicendo che il voto di Pietro D’Angelo, appartenente ai verdi, sarà vincolato alle eventuali modifiche di questa proposta statutaria. D’altra parte, colleghi di maggioranza, i verdi sono all’opposizione, la maggioranza dice sempre che deve recuperare i verdi in maggioranza, e questo mi sembra anche giusto, visto che la radice verde è appartenente al centro-sinistra. Ma ritengo altrettanto importante — lo dico senza ombra di smentita — dire che i verdi in maggioranza si recuperano solo ed esclusivamente attraverso convergenze programmatiche. Quindi se c’è la volontà di recuperare i verdi nell’ambito di questa maggioranza, si diano segnali di natura programmatica. Se non ci sono questi segnali, la natura di recupero dei verdi in maggioranza è di altro genere ma non interessa il sottoscritto.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Gasperi.

GILBERTO GASPERI. Voglio anzitutto ringraziare la presidente della Commissione Statuto per l’impegno che ha profuso e per il lavoro svolto, anche se poi dissentirò su alcune questioni.
Ho ascoltato con grande interesse e in modo concreto gli interventi di tutti i colleghi. Non volevo fare un intervento a mia volta, perché prima di me l’hanno fatto il mio capogruppo e il consigliere Castelli, però avevo bisogno di fare alcune considerazioni.
Lo Statuto ha una importanza fondamentale nell’ambito di un Consiglio regionale, cioè nell’ambito di un’Assemblea che è stata eletta dai cittadini. Però quando si è in prossimità di una campagna elettorale — perché noi lo discutiamo oggi ma in seconda battuta lo dovremo andare a discutere a tre mesi dallo scioglimento di questa istituzione, sempre che non succeda qualcosa prima — viene da pensare — questo è trapelato negli interventi di alcuni — che questo modo di interpretare o apportare modifiche nasconde delle volontà, dei desideri, degli interessi di mantenere qualcosa o di voler avere opportune garanzie, od opportunità per la rielezione.
Difatti con questo testo non vengono affrontati i problemi che devono essere risolti ma spesso si intravede che il tutto viene rimandato a successivi regolamenti, per poi vedere come ci si può comportare. Questo mi ricorda le due precedenti leggi che erano state fatte sulla sanità. Sembrava che tutto venisse rivoluzionato, poi si è visto che tutto è stato rimandato, è rimasto quasi al 90% allo status quo e non si è andati alla risoluzione dei problemi. Non ritengo che questa carenza derivi da non buona gestione della Commissione Statuto da parte della presidente Amati, proprio perché, conoscendola da dieci anni, posso imputarle tante problematiche ma non posso assolutamente imputarle carenza di ideali, di volontà o di determinazione nel voler risolvere i problemi. Però quello che devo imputare a tutta la Commissione riguarda la legge elettorale. Come verrà fatta, come verrà istituita, come verrà discussa questa legge elettorale? Nelle discussioni che ci sono state c’è una situazione in cui si percepisce immediatamente la paura di qualcuno che appartiene a qualche corrente non vincente nell’ambito del suo partito, voler garantirsi la rielezione. Ecco che allora affronto quello che diceva prima il consigliere D’Angelo, quando asseriva che nel numero dei consiglieri il tutto deve essere visto in funzione della garanzia che deve essere data ai lavori stessi di questa Assemblea.
Io sono stato sempre apertamente a favore, per far meglio registrare efficienza. Molte volte, visto l’aumento di competenze era indispensabile questo tipo di apertura, però oggi, dopo tante ipocrisie che ho ascoltato negli interventi, non mi sento più così equilibrato nell’asserire in modo concreto che la via dell’aumento è quella migliore, per un motivo molto semplice. Perché non può scaturire, questo aumento, in funzione del 40+2, del 40+4, del 50 o 42+4, 42+5, perché questi non sono numeri al lotto ma numeri che provengono da uno studio dettagliato fatto in ogni singola circoscrizione, per vedere come vengono garantite le poltrone o la presenza del partito a cui ognuno di noi appartiene. In questo caso dissento, perché questo non è più uno Statuto, questa è un’associazione che deve garantire ciò che si è acquistato e non ciò che si è vissuto attraverso una elezione.
Noi tutti, con orgoglio asseriamo di appartenere e apparteniamo a dei partiti. Poi c’è quello che li cambia con tanta facilità e non ho mai sentito che qualcuno ha cambiato dicendo che c’è stata una crisi interna, tutti dicono che l’hanno fatto per motivi di idealità, ma onestamente sono pochi quelli che dalla maggioranza passano all’opposizione, quasi tutti dall’opposizione passano alla maggioranza. E allora un dubbio mi prende. E’ come quando c’è il divorzio: non ho mai visto che uno divorzi dalla moglie per sposare una più vecchia, di solito è per sposare una più carina e più giovane, o per lo meno più ricca. E’ una battuta, visto che siamo in pochi, così suscito anche un po’ di ilarità.
Questi dubbi li ho sempre avuti, così come ho dubbi quando nel preambolo viene ribadito — non lo sconfesso, perché sarebbe sciocco e ridicolo — che questo scaturisce da una lotta partigiana, da un Risorgimento, e sono pienamente d’accordo. Ma perché nel preambolo non viene anche citato che finalmente questo Consiglio scaturisce anche dopo un “tintinnar di manette” del 1992, 1993, 1993, quando molti personaggi qui presenti citano con orgoglio di appartenere a quei partiti che sono stati messi fuori dal consenso dell’elettorato? Quando molti personaggi che vengono qui oggi richiamati, ricitati — basta andare a rivedere gli interventi che ci sono stati in questi anni — avevano avuto una presenza in senso totalmente negativo per quanto riguarda la dignità che ognuno di noi deve avere quando siede su questi scranni del Consiglio regionale?
Se realmente lo Statuto è la carta fondante di questa istituzione, noi dobbiamo fare tesoro di tutto ciò che è avvenuto prima, se non altro perché non succedano nuovamente tutti quei fatti estremamente negativi che sono avvenuti.
Ritengo che in modo particolare i partiti dell’opposizione debbano pretendere una maggiore chiarezza, debbano pretendere piena dignità a livello provinciale, in modo tale da non dare supremazia e vantaggio come è avvenuto oggi alla provincia di Ancona, pur riconoscendo che la provincia di Ancona, in funzione del suo numero di abitati deve avere la maggioranza, a livello proporzionale, di rappresentanti, ma non può avvenire, in uno Statuto regionale, che la provincia di Macerata elegge due consiglieri in meno, la provincia di Pesaro un consigliere in meno, tutto a vantaggio dei consiglieri della provincia di Ancona. Così come una carenza di questo Statuto è che non prende atto di ciò che è già avvenuto nell’ambito di un territorio con la costituzione di due province. Anche lì dobbiamo fare una scelta concreta, ma deve essere chiara. Non possiamo scrivere una cosa per il domani, quando oggi non riconosciamo ciò che è avvenuto. Non può essere che se uno va a chiedere l’iscrizione di chi è nato tre giorni fa nella città di Fermo, vi sia scritto “nato a Fermo, provincia di Fermo” e nello Statuto regionale non viene riportato assolutamente niente, anche perché se questa è stata la volontà ed è stata riconosciuta a livello nazionale, dobbiamo prevedere quello che c’è, concretamente. Però già ci sono delle operazioni e degli smarcamenti che vengono fatti.
Queste considerazioni mi sembrava logico fare. Voglio entrare su altri due argomenti. Primo, la matrice religiosa. Capisco che dobbiamo riconoscere il senso di libertà e di appartenenza a coloro che non sono né cristiani né cattolici, ma non possiamo farlo detraendo qualcosa ai cristiani e ai cattolici che sono la struttura fondante, portante di questa nostra regione. Non possiamo asserire, Luchetti, che le carte arrivate dai rappresentanti del mondo cattolico potevano lasciare adito a che questa determinazione non fosse ben presente nella Carta. Ribadisco che questo Statuto deve riconoscere che questa regione ha una realtà storica fondata sul mondo cristiano e cattolico. Questo non significa che non dobbiamo dare riconoscimento alla cultura di altre etnie o di altre confessioni, perché è insito nella Costituzione italiana. Così come per la famiglia. E’ stato detto di fare riferimento alla Costituzione. Alleanza nazionale ha presentato emendamenti nei quali si richiama l’art. 29 della Costituzione e la famiglia on è qualcosa di astratto ma di concreto. Eventualmente dovremmo richiedere ai nostri rappresentanti al Governo, di dare garanzie anche ad altre realtà che sono simili alla famiglia ma non sono la famiglia, proprio perché, per famiglia si intende l’unione di un uomo e di una donna. La famiglia è la struttura fondante che dà educazione ai figli, è il primo nucleo di società che tutti abbiamo visto, da cui abbiamo attinto nel momento in cui siamo venuti al mondo.
E allora lo dobbiamo ribadire, in questo Statuto, che il riconoscimento che dobbiamo dare è all’art. 29 della nostra Costituzione.
Mi auguro che certi giochi o certe posizioni subdole, come spesso si hanno nelle connivenze tra i gruppi di maggioranza e di minoranza, non ci siano, anche se è giusto che non ci siano gruppi di maggioranza e minoranza nel momento in cui si viene a fare uno Statuto per la nostra istituzione regionale, però non può essere che i giochi vengano fatti in funzione dei vantaggi, prima di qualche partito, poi di qualche capataz di partito, a scapito dell’efficienza e della realtà vera, cioè l’idealità che ognuno di noi deve riversare nello Statuto, per poi andare ad attingere come principio istituzionale, come principio di libertà e come principio-richiamo che ognuno di noi deve avere nel momento in cui si trova di fronte a delle situazioni anomale, difficili o quando si devono fare certe scelte.
Io ho sempre creduto nelle istituzioni. Credo soprattutto in questa istituzione. Ne ho conosciute altre, perché sono stato consigliere, ma essendo qui quasi da dieci anni ho conosciuto tanti consiglieri, anche nella precedente legislatura e con molti, sia di maggioranza che di minoranza, ho diviso tante cose, ma erano tutte racchiuse in una parentesi, quella della idealità. Ho conosciuto tanti consiglieri che appartenevano anche a dei partiti all’opposizione, ma in molti di questi ho ammirato e invidiato il senso di lealtà e di coraggio nell’esprimere le proprie idee. Questo avviene perché sediamo in una istituzione dove aleggia nell’aria una specie di Carta istituzionale, che è lo Statuto a cui ognuno di noi si deve richiamare. Cerchiamo allora di togliere tutta quella parte di interesse personale che si è sentita da parte di tanti nei loro interventi e cerchiamo di portare avanti solamente un discorso, il discorso per le Marche. Non accetto nemmeno quegli interventi, che molte volte sono demagogici, quando si viene ad affrontare il discorso sul numero dei consiglieri. Se non dobbiamo essere demagogici, i primi a non esserlo devono essere coloro che appartengono ad una maggioranza, perché la maggioranza avrà la minoranza vicina nel momento in cui il tutto avviene entro la parentesi della legalità, del rispetto delle istituzioni. Quando avviene qualcosa al di fuori di questa legalità e della parentesi delle istituzioni, mi sembra logico e normale che questa realtà non sia riconoscibile. Questi interventi li faccio in piena scienza e coscienza, anche se vedo — mi dispiace — che qualcuno ha dei dubbi. I dubbi sono ammissibili, anzi li rispetto, però mi sembra logico che non possano essere espressi facendo vedere che negli interventi che vengono fatti, ci sono altre mire, altri interessi ed altre realtà. Io ho sempre chiesto — e mi piacerebbe che fosse previsto nello Statuto — che ad ogni consigliere che viene eletto in Consiglio regionale fosse richiesto un curriculum, in modo tale che se non viene chiesto prima, quando viene indicato dai partiti nelle liste, la Regione lo possa pubblicare dopo che è stato eletto, così che, con questo curriculum, ognuno di noi possa raggiungere un equilibrio nel lavoro che fa all’interno di questa istituzione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Mollaroli.

ADRIANA MOLLAROLI. Signor Presidente, consigliere, consiglieri, ritengo che quello di oggi sia uno dei momenti più importanti di questa legislatura, la discussione che stiamo facendo sullo Statuto, che speriamo di votare nei prossimi giorni, è sicuramente tale. Anch’io voglio aggiungere il mio ringraziamento a quello che tante consigliere e consiglieri hanno fatto alla presidente della Commissione Silvana Amati, che con grande tenacia, convinzione e impegno ha condotto i lavori della Commissione e oggi ha relazionato in aula sui contenuti del nuovo Statuto.
Limiterò il mio intervento ad un aspetto importante di questo nostro Statuto che riguarda il riequilibrio della rappresentanza e la presenza delle donne nella politica. Prima di questo vorrei fare una brevissima considerazione generale sul preambolo, che io ritengo rappresenti una positiva sintesi delle culture politiche moderne che hanno fatto vivere la nostra regione. Se proviamo ad affrontare con radicalità la questione delle nostre radici, delle radici culturali, religiose, artistiche che hanno dato vita alla nostra regione credo che andremmo troppo avanti: non sarà mai possibile definire quante e quali e, soprattutto, quale livello di profondità, quindi a questo voglio aggiungere qual è il momento storico a cui noi vogliamo fissare le nostre origini.
Voglio ricordare a tutti noi che la nostra è una regione nella quale una provincia si chiama ancora Ascoli Piceno, ricordando appunto i Piceni, una popolazione italica che è stata all’origine della nostra regione e voglio ricordare a tutti noi, ancora, che Ancona è città fondata dai Dori, quindi se andiamo alla ricerca delle nostre radici, delle nostre origini credo che sarà molto difficile fissare la data di origine e dimenticare anche queste culture pre-cristiane.
Mi pare quindi che la sintesi del preambolo possa essere accettata.
Voglio poi fare una brevissima considerazione sul fatto che, per quanto riguarda le forme di governo, avrei preferito una formula che non prevedesse l’elezione diretta ma l’indicazione, perché, benché io mi riconosca nel maggioritario come formula che oggi consente ai cittadini e alle cittadine marchigiane di scegliere tra due opzioni — credo che sia assolutamente più dalla parte dei cittadini, questa formula — l’elezione diretta, quindi il presidenzialismo, lascia in me ancora alcune perplessità, ma vista la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato lo Statuto della Regione Calabria per queste ragioni, vedrò come agire rispetto al singolo articolo che riguarda l’elezione diretta.
Il merito del mio intervento riguarda la questione del riequilibrio e della rappresentanza. Credo che il nostro Statuto possa vantare in positivo alcuni aspetti. Nel nostro Statuto facciamo nostri due principi: più donne nella politica e più politica per le donne. Più donne nella politica mi pare abbastanza chiaro e anche una necessità. Vorrei ricordare a tutti noi che viviamo oggi un omento storico nel quale, ormai, la presenza nel sociale delle donne è notevolmente affermata. Voglio ricordare a tutti noi cosa è avvenuto nella nostra regione anche nei giorni scorsi, dove per la prima volta la Confindustria delle Marche avrà una figura femminile alla dirigenza, dove per la prima volta nella storia della nostra regione la presidente di una fondazione bancaria è una donna e io credo che la politica non possa più essere da meno. Ricordo inoltre che l’Italia è uno dei paesi dove più ridotta è la presenza delle donne nelle istituzioni: tra i paesi dell’Ue noi siamo al penultimo posto, dopo di noi c’è soltanto la Grecia, con l’11,5% nel 2003, di fronte ad una media europea del 25% di presenza femminile e con un arretramento delle posizioni italiane tra il 1995 e il 2003. Lo voglio ricordare a tutti noi, perché questa questione delle regole, quindi degli strumenti che la politica mette a disposizione per ridurre questa distanza è fondamentale. I paesi del nord Europa non sono arrivati a percentuali più alte delle nostre attraverso soltanto una riforma della politica e un aggiornamento delle culture politiche ma anche prendendo sul serio la questione delle regole, in particolare quella delle quote di rappresentanza.
A me pare che oggi noi affrontiamo in maniera molto seria, nello Statuto, queste questioni e ovviamente lo Statuto è il frutto anche di una serie di aggiornamenti normativi che oggi possiamo richiamare: la legge costituzionale 2, la riforma del titolo V della Costituzione, l’art. 117, la modifica dell’art. 51, la Carta di Nizza del 7 dicembre 2000, che all’art. 23 pone proprio le premesse per questi obiettivi. Oggi noi, nel nostro Statuto, all’art. 3 assumiamo il principio della parità di accesso come un principio a cui ispirare le nostre leggi elettorali, così come all’art. 7 interrompiamo quel percorso negativo che oggi non vede nella nostra Regione la presenza delle donne nel governo. Dopo l’approvazione di questo Statuto questo non sarà più possibile.
Ma mi riferisco anche alla polemica che è stata portata avanti, sia oggi in aula che nei giorni scorsi nella discussione sui giornali da parte di alcuni consiglieri, in particolare del consigliere Grandinetti, che ritiene inopportuna la presenza di una Commissione per le pari opportunità. Noi abbiamo scelto di conservare la Commissione pari opportunità all’art. 54 del nostro Statuto, tra gli istituti di garanzia. Tra l’altro voglio ricordare al consigliere Grandinetti che tutti gli Statuto in discussione nelle altre Regioni, alcuni già approvati, prevedono questo strumento in forme diverse, qualcuno la chiamano Commissione, altri Comitato, altri Consulta, altri Conferenza, ma tutti gli Statuti mantengono questo strumento e questo strumento serve per quell’altro titolo a cui facevo riferimento: più politica per le donne. Ciò perché la Commissione pari opportunità deve avere questa funzione, quella di vigilare sulle politiche della Regione, in maniera tale che non soltanto la presenza delle donne ma anche le politiche che la Regione fa possano e debbano essere ispirate a questo, perché permane ancora, anche nella nostra regione, che pure ha dei dati avanzatissimi dal punto di vista della presenza, dell’occupazione femminile, grandi problemi dal punto di vista della qualità dell’occupazione femminile, non solo ma permangono ancora — e questi dati di fonte sindacale ce lo dicono — grandi differenza di retribuzione. Tra l’altro anche sui giornali di oggi si diceva come in Italia ci sia una promozione femminile straordinaria negli studi: molte più donne studiano e con maggiore successo, ma non c’è un’altrettanta valorizzazione e un altrettanto riconoscimento nelle professioni e nella occupazione di questi dati. Quindi resta ancora da fare molta strada da questo punto di vista, ma a me pare che con gli strumenti che stiamo mettendo a disposizione, che potrebbero non essere sufficienti, ma che aiutano, così come dicevo all’inizio, è successo in tante altre parti d’Europa dove, anche grazie alle regole, quindi a nuovi strumenti che la politica mette a disposizione per il riequilibrio della rappresentanza, si possono raggiungere risultati significativi. Starà poi a noi valutare se nel regolamento, che dovrà prevedere anche la struttura delle Commissioni del Consiglio, è opportuno valutare una Commissione specifica o assegnare ad una Commissione specifica la valutazione dell’impatto di genere sulle politiche che complessivamente la Regione porta avanti.
Quindi saluto positivamente questo risultato che lo Statuto ci consegna dal punto di vista di queste necessità, per avere una democrazia vera, una democrazia paritaria, visto che anche nella nostra regione le donne sono numericamente e socialmente presenti. Credo quindi che un ulteriore ritardo della politica rispetto a questo sarebbe mal visto dalla società femminile marchigiana e dalla società marchigiana nel suo complesso.
Augurandomi che lo Statuto possa essere approvato e che ognuno di noi possa, nelle sedi in cui sarà presente, vigilare e verificare che questi strumenti vengano adeguatamente usati, concludo il mio intervento.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Massi.

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Presidente, colleghi, anch’io rinnovo con stima e gratitudine il ringraziamento alla Commissione Statuto, alla presidente collega Amati, ai vicepresidenti che si sono succeduti, Favia e Ceroni, ai colleghi, ai funzionari che ci hanno seguito nel lavoro ai consulenti che ringrazio anche per la pazienza, perché essere consulenti di coalizione significa, spesso, avere molta pazienza.
Credo che il dibattito che si è sviluppato finora abbia molto risentito del quadro generale che attualmente caratterizza la politica italiana: le influenze dei giudizi sulla situazione politica, il quadro federalista che è venuto maturando da quando la stessa coalizione di centro-sinistra, sul finire della propria legislatura intese procedere all’approvazione, per la prima volta nel panorama costituzionale italiano, della norma sul federalismo e intese farlo non in maniera bipartisan ma andando alla votazione finale a maggioranza.

MARCO LUCHETTI. Ma sai perché...

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Prendo atto. Io non l’avrei fatto con il centro-destra, né con il centro-sinistra. Ci fu una votazione a maggioranza, continuo a dire che le coalizioni seguitano scioccamente ad inseguirsi su piani spettacolari, io non condivido questo tipo di impostazione e lo dico apertamente, sia che la forzatura delle prove la faccia il centro-destra, sia che la faccia il centro-sinistra. Quindi avviene che quando andiamo a parlare di Statuto, in qualche modo si cerca, ognuno per la sua parte, di rilanciare, di riequilibrare le posizioni nazionali, forse di rivendicare posizioni nazionali. Ma questo non mi scandalizza, è del tutto naturale. Quello che mi fa riflettere è un’altra cosa. Prima ancora di parlare in questo Consiglio dei 50 consiglieri, di diritti, di garanzie, di pesi e contrappesi tra i due poteri, esecutivo e legislativo, avrei voluto sentire un po’ di più da parte di tutti i colleghi consiglieri un orgoglio nel rivendicare la forza, il valore, la stima di fronte alla comunità marchigiana, del ruolo nostro di rappresentanti e soprattutto del Consiglio regionale.
Ho detto una volta al Presidente Minardi — poi c’è stata una mia carenza, perché avrei voluto preparare una mozione da sottoporre a tutti i colleghi, comunque lo farò nei prossimi giorni, lavorandoci, magari, questa estate — che sarebbe opportuno approvare, per la parte nostra, un nuovo cerimoniale da distribuire a tutte le autorità della regione. Quale imbarazzo, non dico quale umiliazione, mia come consigliere regionale — ma non per me — quando, di fronte a manifestazioni, celebrazioni, promosse da sindaci anche autorevoli, da amministratori locali, da associazioni, da sindacati, da istituzioni, qualche volta, mi dispiace dirlo, anche in prefettura, per aver sentito citare, nell’ordine dei saluti prima il comandante maresciallo della stazione dei carabinieri che non l’assessore regionale? Prima il maresciallo della finanza e poi il consigliere regionale? Prefetti che si sono dimenticati di citare i consiglieri e gli assessori regionali, citando solo i parlamentari; sindaci che salutano l’assessore provinciale, il presidente della Comunità montana e si scordano dei consiglieri regionali, anche quelli del centro-sinistra, gente che ah “fatto la gavetta” nell’Amministrazione. Non parliamo delle associazioni e delle istituzioni: spesso l’assessore e il consigliere regionale non esistono.
Cito questo che è un fatto di costume, di folclore se volete, per dire che qui o ci si propone tutti insieme di fare uno scatto d’orgoglio nel proporsi nella veste, nella funzione, nelle competenze che ci ha dato l’ordinamento, che non dipende dalla nostra vanità o dal nostro narcisismo ma da come ci sappiamo porre come istituzioni nei confronti della comunità marchigiana, oppure l’occasione è persa, perché se in questi 3-4 giorni diamo soltanto l’impressione di parlare di 50 consiglieri o meno, o di parlare, a favore o contro, “soltanto” su questioni che riguardano radici religiose o famiglia, anche questa sarà un’occasione persa.
Io non ho la soluzione in termini di meccanismo, di provvedimento cartaceo da riempire, dico soltanto che dobbiamo fare uno scatto d’orgoglio per dare alla comunità marchigiana — che questa mattina, quando venivo qui, vedevo per una parte intenta ad andare in vacanza, per una parte intenta ad andare al lavoro e mi sono chiesto, venendo in auto, a quanti di questi interesserà quello che oggi andiamo a discutere qui — uno strumento fondamentale. Quindi, o sappiamo porci in qualche modo con forza, con uno spirito credibile, oppure, purtroppo, avremo perso il treno dell’interessamento giusto del cittadino, perché non dobbiamo né sopravalutarci né sottovalutarci, ma dire al cittadino quello che siamo e quali garanzie, diritti, meccanismi diamo alla comunità marchigiana per autogovernarsi, attraverso noi, ovviamente.
Debbo fare dei chiarimenti ideologici e sento di doverli fare, perché siamo a fine legislatura, dato che si sa che, dopo le ferie, stiamo imboccando l’ultima curva prima del rettilineo verso il traguardo. Siccome tra noi i rapporti sono stati sempre ottimi, tra tutti, veramente di stima reciproca, sento il bisogno di fare un chiarimento politico, perché ho ascoltato quello che hanno detto Ricci, Procaccini e altri colleghi, prendendo spunto da una frase su nazismo, fascismo, comunismo. Questo lo devo alla sinistra, con cui ho interloquito in questi anni.
Sia chiaro che il comunismo in Italia non è mai andato al potere con la violenza, con alcun colpo di stato. Stimo profondamente le persone che hanno militato nel comunismo italiano, ieri e oggi e ve lo dico con totale onestà. La mia accusa storica è al comunismo che ha governato fuori dall’Italia e in tante parti del mondo che voi avete conosciuto, purtroppo non con un processo democratico. Hanno tenuto il potere non con un processo democratico e quando in Italia la sinistra, il comunismo italiano ha creduto che quella fosse la soluzione rispetto alle diseguaglianze, alle sperequazioni, alle ingiustizie, al capitalismo italiano ed europeo — chiamatelo come volete —... Non ce l’ho con le persone che ci hanno creduto, e le ho stimate perché era anche facile credere che quelle “Internazionali” che si erano sviluppate in Russia, in Cina, a Cuba fossero le soluzioni, anche legittime, per risolvere le ingiustizie. Quindi sia chiaro che quando si parla di fascismo, comunismo si parla di sistemi dittatoriali, a mio avviso, che hanno non risolto il problema delle ingiustizie ma le hanno acuite e hanno governato in maniera purtroppo liberticida. Questo non può essere rivolto a chi ha militato nel comunismo italiano, oggi e allora. Posso solo rimproverare che qualche dirigente nazionale italiano aveva, per motivi storici — perché la storia non fa giustizia ma giustifica — proposto quei modelli come migliori. Certo, a qualche grande dirigente mi sento di fare questo rimprovero e dico che quella non era la strada, ma sicuramente nei tanti militanti nel sindacato, nel partito che sono stati miei avversari, non ho mai visto il nemico da combattere perché era sovietico. Credeva, probabilmente, in un modello che non ha funzionato e che alla prova della storia si è liquefatto.
Perché mi sento di fare questa apertura culturale? Perché dico anche a chi oggi, anche con i propri simboli, i partiti, gli inni crede ancora in quel tipo di modello e dice — mi riferisco soprattutto a Ricci, che ci ha richiamato al senso laico dell’istituzione — che “qui si tratta di costruire un’istituzione laica”, che io sono d’accordo, perché nella citazione della radice cristiana che in alcuni emendamenti la minoranza è stata riprodotta, era soltanto per riconoscere il percorso socio-culturale che c’è stato nelle Marche. Non è l’ipoteca sul futuro e vi prego anche di non metterci — questo dico sia a Procaccini che a Ricci — nella situazione psicologica dell’assedio da deserto dei Tartari. Che qui ci sia stato un attacco delle associazioni del mondo cattolico o delle associazioni del mondo economico, per ingerenze eccessive sulle nostre coscienze o su questo Consiglio regionale mi pare assolutamente fuori luogo. Con la stessa semplicità con cui prima ho fatto quel ragionamento sulla storia, vi prego e vi chiedo di superare questo complesso. I vescovi hanno parlato e hanno detto che cosa ne pensano e tra l’altro non hanno parlato solo della radice cristiana. Fra l’altro noi siamo rimasti sorpresi quel pomeriggio, nell’aula ove lavoravamo, quando i vescovi ci hanno detto “piantatela di parlare ancora dell’elezione diretta o meno, noi siamo per l’elezione diretta”. Noi ci siamo guardati, perché nel mondo cattolico l’elezione diretta ha sempre provocato i brividi. (Interruzione). Tu hai detto che ormai, nel comune sentire del cittadino l’elezione diretta dal capo del quartiere ai livelli superiori è ormai entrata, questo è il problema. Questo volevano dire. Ma quando hanno parlato di sussidiarietà — ho qui il documento della CEI — hanno parlato di un meccanismo di governo che era stato ripreso anche dal centro-sinistra, perché la sussidiarietà è un termine che lo stesso Bassanini ha introdotto e non fa parte della Chiesa. Con la sussidiarietà chiedono un meccanismo di governo con cui la pubblica amministrazione riconosca che anche altre associazioni e formazioni sociali possano perseguire, attraverso la loro opera, gli stessi obiettivi che sono della pubblica amministrazione, senza impegnare il suo intervento diretto. Su questo ci dividiamo? L’intervento del mondo cattolico è molto diretto anche a chiedere una pubblica amministrazione efficiente, perché dare una pubblica amministrazione efficiente ed efficace significa dare anche risposte sociali.
Quindi vi pregherei di non chiudervi in questa blindatura, come nei confronti del mondo dell’economia. Noi abbiamo rimproverato al centro-sinistra il fatto, all’inizio per lo meno, di non avere previsto già il Crel con le sue funzioni, io sono andato anche in una posizione più estremista, rischio di essere accusato di prendere posizioni di amicizia nei confronti del mondo economico ecc. Se il Crel ci deve essere, in analogia con il Cnel la proposta di legge la può presentare. Noi diamo la possibilità dell’iniziativa di legge a cinque Comuni, alle Province, a tot cittadini e il Crel non la può avere. Secondo me il Crel la può avere. Ci vogliamo ingelosire come consiglieri regionali? Nella mia proposta io ho messo anche le unioni dei Comuni, le Comunità montane. Mi pare che non sia uno scandalo. Si spoglia il consigliere regionale della sua funzione? Non mi pare.
Credo che in questo momento — e questo rientra nel criterio dell’apertura di cui parlavo prima — o riusciamo ad aprirci in maniera credibile a questa società, che per atavico costume, tradizione, ispirazione è abbastanza pronta alla solidarietà, all’amicizia, a quello che volete ma diffidente nei confronti delle istituzioni, o riusciamo a superare questa barriera, questo gelo che c’è, oppure abbiamo fallito.
Questo, cari colleghi, è il momento dell’apertura. Solo dopo questo ragionamento, per me viene la questione del numero dei consiglieri regionali. Vedo le ipotesi che circolano e quando noto che l’istituenda provincia di Fermo e quella di Ascoli avranno solo quattro consiglieri, sei consiglieri, per favore... Hanno tre parlamentari nazionali e avranno quattro consiglieri regionali questi territori? Andiamo nelle piazze a spiegare perché occorre un aumento dei consiglieri regionali e non ci trinceriamo dietro la demagogia. L’amico Grandinetti dice “solleciteremo i cittadini e le associazioni”. Questo, caro capogruppo Giannotti, lo dobbiamo fare sempre, anche quando si calano le candidature, non solo quando c’è da parlare del numero dei consiglieri. Le associazioni, i cittadini chiamiamoli anche quando c’è da fare le candidature. Se ci mettiamo su questo piano ci squalifichiamo da soli.
Per me non va bene che dei territori siano sottodimensionati a livello di rappresentanza. Mi prendo tutte le responsabilità nel dirlo, dobbiamo avere il coraggio di spiegarlo ai cittadini, la nostra funzione è anche questa. Quindi inutile fuggire di fronte a chi dice queste cose, altrimenti si ribalta la situazione e si dice “ne bastano 30”, come qualcuno provocatoriamente ha detto.
Sono d’accordo con quanto Procaccini diceva, il ruolo dei partiti lo dobbiamo ricostruire da soli, con convinzione, è un ruolo molto paziente, è difficile per la situazione che attraversiamo a tutti i livelli. Quando le coalizioni si inseguono sul piano spettacolare questo nuoce al ruolo dei partiti.
Ultima cosa. Io sono orgoglioso di avere partecipato alla Commissione Statuto nei miei 30 anni di politica che ho festeggiato quest’anno. Sono entrato in politica a 16 anni con i decreti delegati del ministro Malfatti nel 1974. Per me sono stati i momenti migliori quelli passati nella Commissione Statuto a capire come si poteva costruire questo strumento, quindi sono contento di avervi partecipato. Adesso vorrei capire se con lo spirito con cui abbiamo lavorato in questi quattro anni è possibile, tra maggioranza e opposizione, mettere da parte tecniche, tattiche, strategie di convenienza per domani e comunque per un’attenzione che non c’è fuori da qui, per ora, almeno nel limite che vorremmo, se è possibile venirsi incontro sui reciproci emendamenti. Io sarei orgoglioso, come consigliere Udc, di votare questo Statuto se ci sarà la giusta apertura e se riusciremo a dare ai marchigiani un messaggio un po’ meno fazioso e un po’ più vicino a quelli che vogliono bene all’istituzione e anche alla comunità marchigiana.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Romagnoli.

FRANCA ROMAGNOLI. Non voglio ripetere quanto è stato già detto sia dai miei colleghi di partito, sia da Massi, sia dal collega vicepresidente della Commissione Ceroni, però è necessario “lasciare la propria firma” in questa che ritengo una giornata importante. Lo Statuto è l’atto normativo primario di questa Regione, per la prima volta approvato ed emanato dalle Regioni, quindi siamo partecipi di una svolta storica. Chi crede nelle istituzioni questo lo avverte.
All’altezza di questo compito è stata sicuramente la Commissione Statuto ed è stata la presidente della Commissione Statuto alla quale sento di dover fare sia i ringraziamenti sia i compimenti per come ha gestito i lavori di questa Commissione, con grande equilibrio, competenza, professionalità, signorilità, nonché informandoci sempre di tutto. Mi sono trovata ieri e questa mattina, rivedendo le cose, una marea di carte, gli statuti di tutta Italia, perché appunto la presidente Amati ci ha puntualmente fornito di documentazione e di indicazioni e di questo la ringrazio. E’ vero che il lavoro si è svolto in un clima collaborativo, di cordialità, tutti abbiamo cercato di dare il nostro apporto credendoci, sapendo anche che non poteva uscire uno Statuto sensazionale. Sentendo prima D’Angelo che lo chiamava liberista, sapendo quello che dirò io e che hanno detto i miei colleghi che addirittura vedono cenni ideologici di tutt’altro aspetto in questo Statuto, credo che sia una sorta di ibrido, qualcosa di non fortemente caratterizzato, insomma non è sensazionale come dicevo prima, ma lo sapevamo, perché effettivamente si è mosso in un magma di norme avanti e indietro, di sentenze della Corte, di riforme incompiute, quindi una forte caratterizzazione nello stile della nostra Commissione, non era nostra intenzione darla e probabilmente non poteva venire.
E’ vero però che forse qualcosa in più si poteva fare e pur essendo chiare le linee direttrici, i binari nei quali questo Statuto ha cercato di muoversi, più coraggio per alcuni aspetti potevamo comunque dimostrarlo. E’ però vero che si è preferita la sintesi, si è preferita la essenzialità del testo, si è preferito prediligere la snellezza anziché fare forti caratterizzazioni o forti attualizzazioni. Leggendomi lo stesso Statuto del 19709-71, ho visto che in effetti questa attualizzazione non si nota d’acchito, perché ci siamo davvero limitati a gestire la situazione normativa più in riferimento all’organizzazione, alla enunciazione di funzioni e di compiti dei vari organi, evitando scelte estreme. Questo per trovare una sintesi ma anche perché ci stiamo muovendo in un terreno che può essere minato da un momento all’altro con le incertezze costituzionali che sappiamo.
Ciò non toglie che io non definisco un ibrido questo Statuto e non lo definisco neanche uno strumento insufficiente, lo definisco uno strumento sostanzialmente equilibrato. E’ chiaro che si poteva fare di più. Anche noi di Alleanza nazionale stiamo però cercando spunti per poterlo votare o per poter svolgere una astensione motivata che non si risolva invece in una chiusura tale, su alcuni punti, da parte della maggioranza, da indurci addirittura ad una contrarietà. Non lo vorremmo, proprio per questo alto senso istituzionale che affidiamo a questa giornata e che riteniamo di nutrire.
Su certe direttive lo Statuto si è mosso con un certo coraggio, anche se non ha poi affondato su alcuni punti come si doveva. Per esempi, la vaporizzazione del Consiglio regionale c’è a mio avviso tata ed è stata un’attenzione, in certi momenti, quasi ossessiva della presidente Amati e quindi anche di noi consiglieri nonché del Presidente Minardi. Non nascondo come abbiano partecipato i componenti l’Ufficio di presidenza con la dott.ssa Santoncini, con un apporto normativo veramente utile e a tratti indispensabile. La valorizzazione del Consiglio nelle intenzioni c’è stata, abbiamo voluto dare un giusto correttivo, una giusta compensazione a quelle funzioni forti che con l’elezione diretta del Presidente della Regione, inevitabilmente venivano in capo all’Esecutivo, scegliendo quella forma di governo. Per noi è difficile dissentire e forse motivare un’astensione su questo punto, in particolare per la forma di governo che è stata scelta che, non nascondiamocelo, è la forma di governo per noi principe, quella della elezione diretta del Presidente della Regione, così come lo è stato per i sindaci, così come ci auguriamo possa diventare per il Presidente del Consiglio. Questo ci induce a dare un parere fortemente positivo di questa Carta costituzionale, di questo nostro Statuto, perché è un punto che condividiamo appieno. Siamo consapevoli di quali rischi un presidenzialismo puro, diretto possa comportare e ritengo che le preoccupazioni della Commissione riguardo i giusti correttivi e la giusta valorizzazione da individuare in capo al Consiglio regionale siano state legittime e su quella strada ci siamo mossi. Per esempio, tutta una sorta di autonomia organizzativa, funzionale e finanziaria che si è voluto individuare, grazie anche allo sforzo dello stesso Ufficio di presidenza che ci ha aiutato in questo senso, in capo al Consiglio con la dotazione, con l’autonomia contabile, su cui abbiamo discusso anche varie sedute, va nella direzione della valorizzazione dello stesso Consiglio. Così come nella funzione delle Commissione, così come tutta una serie di questioni anche nei compiti e nelle funzioni. Sappiamo che oltre alla funzione legislativa, l’approvazione dei regolamenti, la potestà regolamentare sono state oggetto di discussione e di forte appropriazione da parte del Consiglio regionale.
Non sempre si è affondato dove si poteva affondare. Ad esempio noi abbiamo fatto degli emendamenti sulle Commissioni. Potevamo parlarne anche in sede di Commissione Statuto, ma abbiamo preferito farlo ora. La valorizzazione del Consiglio e le nuove funzioni che le Regioni hanno in forza del federalismo, dovevano, a nostro avviso, anche indurre una sorta di ripensamento delle funzioni e dei compiti delle Commissioni consiliari permanenti. E’ uno dei pochi Statuti il nostro — da quanto ho scorto presumo l’unico — che non preveda nelle Commissioni permanenti la funzione redigente o addirittura la funzione deliberante, legislativa. Era anche questo uno sforzo che si poteva fare e noi ci permettiamo di segnalarlo perché su questo abbiamo fatto degli emendamenti. Sappiamo che con la Commissione redigente il voto finale avviene soltanto in aula, mentre la Commissione legislativa o deliberante può licenziare l’atto in Commissione stessa. Abbiamo inserito un secondo comma, dove espressamente diciamo che per poter procedere alla “deliberante” occorre l’unanimità del consenso della Commissione o della Conferenza dei capigruppo e la possibilità di stop e di veto in qualunque momento sia arrivato l’iter, qualora un gruppo non presente nella Commissione intenda fare questo o la Giunta stoppi il procedimento, cosicché si rimetta all’aula. Quindi le garanzie ci sono per la maggioranza e per la minoranza, però riteniamo che questa sia una lacuna. Visto che bisognava valorizzare il Consiglio, bisognava valorizzare la funzione dei consiglieri e probabilmente aumentare il numero dei consiglieri, proprio sulla scia della considerazione che le funzioni sono aumentate, che il compito il federalismo li ha accresciuti, facciamo in modo che questi compiti vengano svolti anche con maggiore snellezza e funzionalità da parte di Commissioni che non si limitino alla semplice funzione consultiva, alla semplice funzione di fornire pareri.
Diciamo che non ha affondato su altri temi. Si è parlato d’impresa ma non si è avuto il coraggio di spingersi fino all’istituzione del Crel. Si è parlato di tante cose alle quali, poi, non sono seguite decisioni forti, decisioni pregnanti, cosicché non dico che il contenuto dello Statuto sia ibrido, non dico che tenda a vivacchiare, però effettivamente è cauto e frenato sotto vari punti di vista.
A fronte di questo, ci sono state inaspettatamente, visto il clima di grande collaborazione e anche aperto a ricevere nostre segnalazioni che si era creato, delle decisioni pseudo-ideologiche forti, che non mi fanno concordare con quanto dice D’Angelo, che addirittura lo definisce uno strumento di liberismo. Noi diciamo invece che ci sono stati degli accenni stonati, per lo meno non in tema con la sostanza che questo Statuto si era voluto dare. Ad esempio la scelta forte del preambolo. Penso che il preambolo siamo l’unica Regione ad averlo mantenuto e già questo la dice lunga su quanto possa essere sorpassata una simile abitudine normativa. Il contenuto del preambolo, poi, a mio avviso è limitante, limitato e riduttivo. Non ho problemi ad accennare a quello che accennammo in Commissione, in riferimento, parlando di storia e di cultura, esclusivamente alla Resistenza e anche al Risorgimento, o alle radici semplicemente religiose e non cristiane. Limitante e sicuramente riduttivo. Non voglio fare delle osservazioni puramente ideologiche, come penso siano invece state fatte da coloro che strenuamente hanno difeso questo riferimento alla Resistenza nel preambolo, giustificato nello Statuto del 1970 che però non ritengo tout-court debba essere riportato, perché di poco si è modificato, in uno Statuto che ha visto il passaggio di 30 anni. Se di storia, se di passaggi storici, di radici storico-culturali dobbiamo parlare, sicuramente ne dobbiamo accennare tante. Parlare soltanto di due momenti storici, quali il Risorgimento e la Resistenza e parlarne soprattutto in assenza di un altro riferimento forte come quello delle radici cristiana... Qui apro una parentesi: qualora le radici cristiane vengano inserite, nulla quaestio sul resto, ma qualora ciò non avvenga significherebbe dare un’immagine sicuramente insufficiente delle origini, delle radici storiche e culturali di questa regione, una immagine insufficiente che poteva essere giustificata nel 1970 perché c’era, giustamente, una sorta di necessità, anche ossessiva in certi casi, ma una necessità storica, data anche la vicinanza con la fine della guerra, ed era giusto, anche se in certi casi ossessivamente, ribadire quello che era avvenuto e che la Resistenza era un valore che bisognasse ricordare da tutti e a noi stessi, perché rischi in senso antidemocratico potevano ancora ravvisarsi. Poi abbiamo visto il terrorismo e tutto il resto... Ma farlo oggi senza menzionare tutta una serie di altri totalitarismi e altre aberrazioni storiche, limitandoci soltanto a questo, farlo dopo tanti anni e farlo, soprattutto, senza quell’altro giusto riferimento alle radici cristiane, significa a mio avviso mettere un anacronismo, voler dare una coloritura ideologica ad uno Statuto che per il resto questa coloritura non ce l’ha e non era nostra intenzione dargliela.
Così come è rilevante il discorso della famiglia, che va affermata senza mezzi termini nella sua consistenza di famiglia-istituzione giuridica e sociale fondata sul matrimonio. Non credo che su questo possiamo andare contro quello che un dettato laico della Costituzione dice, perché parliamo di matrimonio, sappiamo che è la Costituzione a dircelo.
Credo che in mancanza — faccio un appello affinché non venga meno lo spirito con il quale abbiamo lavorato — di un atto di buona volontà da parte di questa maggioranza, che riporti questo Statuto nei termini e nei paletti che ci eravamo prefissi di dargli, cioè di una possibile condivisione culturale da parte di tutti, in mancanza quindi dell’accoglimento di alcune nostre indicazioni forti, quali quella della soppressione dell’intero preambolo — che potrebbe risolvere molti problemi, così non si metterebbe mano ai vari emendamenti che peraltro coinvolgono il preambolo — che nulla toglie al valore dello Statuto, oppure una modificazione del preambolo nella direzione che abbiamo auspicato, quanto meno, dell’inserimento delle radici cristiane, nonché di altre questioni di cui ho parlato in riferimento alla famiglia, potremmo avere problemi non solo nell’approvazione ma anche in un voto di astensione nei confronti di questo Statuto, seppure, lo ribadisco, in presenza di una scelta forte come quella della forma di governo che sicuramente ci appaga di altre scelte che vanno nella direzione da noi indicata anche in Commissione, scelte che hanno avuto poi una sterzata ideologica, in alcuni casi suggerita dallo stesso Procaccini in Commissione, che su alcuni punti tipo il mantenimento del preambolo e tipo il riferimento alla Resistenza, non ha accettato contraddittorio. Mi va bene anche questo, perché in molti casi, ad eccezione della forma di governo, quelle che autorevolmente dice Procaccini la Commissione ha accettato e determinate inversioni nella direzione che prima dicevo, sono avvenute anche su suggerimento dello stesso, però poi non capisco a cosa questo sia servito quando sento che i Comunisti italiani probabilmente non voteranno lo Statuto. Allora è già esplosa la contraddizione che comunque, nel centro-sinistra, è abbastanza comune tra chi interpreta certi valori e chi, anche nell’ambito degli stessi Ds, o della Margherita diceva “ben vengano le radici cristiane, l’inserimento di questa dizione”. Potrei allora dire banalmente, “non è servito a nulla neanche accontentare Cesare Procaccini”. Magari accontentate, a questo punto, chi può essere determinante nel voto di questo Statuto, perché effettivamente, per poterlo votare o per astenerci — perché non escludiamo nulla — vorremmo che si eliminassero certe caratterizzazioni. Non chiediamo una caratterizzazione nel senso nostro politico-culturale, però determinate sbavature che non era nei patti mettere, quali il mantenimento del preambolo, quali le radici cristiane che sono diventate poi puramente religiose — non parlo neanche del riferimento alla Resistenza, che contemperato con il discorso cristiano può anche essere assorbito, né del riferimento alla famiglia — fate in modo che siano eliminate, in modo che siamo noi ad essere convinti e compiaciuti nel potervi votare questo Statuto, visto che, da come ho sentito, da parte di questa sinistra estrema una mano non vi verrà, nonostante abbiate cercato, ad eccezione della forma di governo, di compiacerla in tutti i modi.
Quindi, nel grande rispetto che abbiamo di questa giornata, di questo atto di questo momento di approvazione dello Statuto, siamo anche contenti di viverlo, perché io, alla mia prima legislatura, sono contenta di essere capitata in un momento del genere e spero anche di aver potuto dare, in questo senso, un apporto e comunque manterrò un ricordo di questa legislatura anche in funzione di questa stagione statutaria. Siamo aperti a qualunque ipotesi che venga incontro a questa minoranza, che mi pare sia determinante nei suoi voti e nelle sue decisioni per l’approvazione di questo Statuto. Che sia votato a più larga maggioranza possibile credo che non possa che fare onore allo Statuto stesso e a questo Consiglio regionale.

PRESIDENTE. Ha la parola il Presidente Minardi.

LUIGI MINARDI, Presidente del Consiglio. E’ il mio primo intervento che faccio come consigliere regionale e credo che sarà anche l’ultimo, ma ho sentito questo come un compito necessario, proprio per l’importanza del momento. Vorrei portare il mio contributo a partire da un ringraziamento esplicito, diretto alla presidente Amati e al vicepresidente Ceroni, a tutti i membri della Commissione Statuto, ai consulenti che con la Commissione hanno lavorato per la qualità del lavoro che hanno svolto, per avere condotto a termine un lavoro assolutamente impegnativo, anche per i risultati raggiunti, perché in fin dei conti la proposta della Commissione Statuto ottiene una votazione a larga maggioranza, prescindendo dalle collocazioni di coalizione, ovviamente rifuggendo da un trasversalismo di bassa lega, ma evitando che tra le forze politiche presenti in Commissione ci fossero steccati costruiti e mantenuti ad arte.
Credo che il lavoro non sia stato facile e lo si comprende anche dallo stato dell’arte a livello nazionale, perché l’unica Regione che ha approvato definitivamente lo Statuto è la Puglia, il che testimonia della difficoltà a fare questo atto, a portare a termine questo percorso. Ci sono difficoltà oggettive delle quali dobbiamo prendere atto e regolarci, come forze politiche e come consiglieri singoli, per fare in modo che questo atto ultimo che stiamo per compiere sia legato all’interesse generale del dare alla Regione Marche una nuova veste istituzionale, utile ad accompagnare lo sviluppo.
C’è un fatto che a me pare assolutamente simbolico: le culture politiche non sono oggi ancora mature al punto da poter giungere ad una sintesi facile. Contemporaneamente stiamo discutendo a tre livelli: a livello europeo una nuova Costituzione-trattato; a livello nazionale una riforma della Costituzione; a livello regionale uno Statuto, a dimostrazione che è successo qualche cosa di profondo nel mondo, è cambiato il mondo, non soltanto dal punto di vista geopolitico — questo può valere per il primo livello, quello europeo — ma anche a livello periferico, lo sviluppo locale è stato assolutamente impetuoso in questi trent’anni e ha cambiato non soltanto l’economia ma anche la società e la cultura della società marchigiana. Per la prima volta nella storia di questa regione, non siamo più una regione che esporta manodopera ma una regione che la manodopera la importa, a significare che la sua collocazione nella divisione internazionale del lavoro è assolutamente cambiata. Esporta, caso mai, capitali ed imprese, ed è un fatto assolutamente nuovo. Questa accresciuta ricchezza, questa maggiore quota di reddito individuale disponibile per ogni marchigiano cambia anche la cultura politica, non soltanto quella delle persone, perché per la prima volta nelle Marche la maggior parte dei marchigiani, la maggioranza dei marchigiani pone, prima ancora che i problemi dello sviluppo quantitativo, quelli dello sviluppo qualitativo e questo significa che le culture politiche devono adeguarsi a questa nuova tematica che si presenta assolutamente inedita.
Tutto sommato a me pare che la politica, ancora, faccia fatica a raggiungere un punto di equilibrio, perché nelle Marche come a livello nazionale, noi scontiamo una costante presenza di alcuni fenomeni che complicano la sintesi politica e la vita delle istituzioni. Il primo fenomeno è quello della frammentazione. Non è soltanto un problema di frammentazione politica, è un problema anche di frammentazione del mondo economico, del mondo della rappresentanza in generale: riguarda la politica, la rappresentanza economica, quella sociale. Questo mondo, proprio perché si è segmentato produce una frammentazione difficile da portare a sintesi e questo è comunque un tema che ci sfida, perché potremmo prendere atto della frammentazione, adeguarci ad essa e rendere le istituzioni ingovernabili, mentre invece potremmo anche porre un argine ed io credo che noi dovremmo porre argine alla frammentazione. Frammentazione e crisi della rappresentanza sono comunque una sfida assolutamente inedita.
Seconda questione che presentiamo nella nostra regione come a livello nazionale, come a livello europeo: il ruolo maggiore della personalizzazione della politica. Credo che la nuova politica che sta emergendo ancora non riesce a far sì che personalizzazione faccia rima con organizzazione della politica nel territorio. Il problema non è di contrapporre la personalizzazione con l’organizzazione, ma tenerle insieme in una forma inedita che non si è mai presentata finora.
L’altra questione è la comunicazione. La comunicazione non riesce ad arricchire la relazione, anzi qualcuno ha pensato in questo decennio, che la comunicazione potesse sostituire la relazione, potesse sostituire la partecipazione. Se guardiamo bene i risultati delle ultime elezioni, pare che questo ciclo sia ormai a conclusione: si sta concludendo un ciclo politico nel quale si pensava di sostituire all’organizzazione, ai partiti nel territorio, alla relazione la personalizzazione, la comunicazione e che questo potesse rappresentare la nuova politica. Le elezioni del 12-13 giugno hanno dimostrato che questo ciclo politico si sta spegnendo. Siamo allora di fronte ad una scelta: o si ritorna indietro o si produce la seconda fase della riforma anche del sistema politico-istituzionale.
Pur con i suoi limiti, l’elezione diretta del presidente è una risposta, una delle risposte possibili a due-tre questioni fondamentali. La prima è come si governa un sistema politico frammentato; la seconda come si fa innovazione istituzionale e innovazione amministrativa in un momento in cui la frammentazione tende a far prevalere l’interesse particolarismo. L’elezione diretta del presidente ci può dare una mano, anche se può farci cadere in una interpretazione sbagliata delle riforme fin qui avute. Elezione diretta del presidente come sostituto dell’organizzazione della politica nel territorio. Dobbiamo trovare tutte le forme perché, all’elezione diretta del presidente si associ uno stretto raccordo tra Esecutivo — anche se ormai, a livello mondiale si va nella direzione del rafforzamento degli esecutivi — in modo però che possa raccordarsi meglio con il Consiglio, con il sistema dei partiti che sta nel territorio, con l’associazionismo. Mettere insieme, non separare, elezione diretta e partecipazione, comunicazione e relazione, frammentazione e composizione. Credo che questa sia la sfida.
Capisco anche che elezione diretta ha dei limiti, quindi sono anche convinto e ho compreso perfettamente l’idea di coloro che sono contrari all’elezione diretta, però in questo momento credo che l’elezione diretta sia il rischio minore rispetto all’esplodere della frammentazione e alla difficoltà, se non impossibilità, di fare la sintesi, proprio perché a prevalere sarebbero gli interessi particolarissimi.
I punti più importanti che abbiamo da affrontare. Abbiamo raggiunto la stabilità, con le riforme del primo decennio e tutti riconosciamo che la questione della stabilità non è la questione decisiva, è però la condizione senza la quale una società frammentata, mobile, multiforme non si governa. Perché una società delle autonomie, per essere governata ha bisogno della programmazione, della capacità di guardare nel medio periodo, non a domani mattina. Solo con la programmazione gestiamo la complessità e la società mobile. La programmazione è possibile se diamo stabilità. Quindi la premessa c’è; adesso dobbiamo rafforzare la stabilità con la governabilità, che è di programma, di raccordo più intenso tra Esecutivo e sua coalizione. Credo che questo sia l’elemento fondamentale della seconda fase della riforma che dobbiamo portare a compimento.
C’è tutto intero il tema della riorganizzazione del sistema della rappresentanza. A me pare che lo Statuto abbia fatto un buon lavoro, perché bisogna che noi riconosciamo che il Consiglio è la sede massima della rappresentanza e del sistema della rappresentanza, ma dobbiamo abbandonare la paura di venire espropriati, come Consiglio, da quei soggetti che sono cresciuti nella società. Nella società in questi trent’anni sono cresciuti soggetti istituzionali in forme inedite rispetto al passato. Oggi la personalità, l’autonomia, il ruolo delle città è ben superiore a quello di trent’anni fa. Ormai non c’è un sindaco che non pensi allo sviluppo del proprio territorio, della propria città: pensa sistematicamente con un’idea che travalica le mura della sua città, non è più come trent’anni fa quando la politica economica era una delle competenze assolutamente riservate al Governo nazionale. Ormai le dinamiche dello sviluppo locale hanno reso protagoniste le città, ben al di là delle proprie mura. Non è difficile, addirittura, promuovere i propri attori economici e i propri territori a livello nazionale. Trent’anni fa era impensabile. Prendere atto del nuovo ruolo delle città significa anche dover dare una risposta a come il Consiglio e la Regione si relazionano, nella nuova fase, al sistema delle autonomie locali e io credo che il Consiglio delle autonomie locali, che per no era un obbligo, è una scelta giusta, ma aggiungo che dobbiamo fare in modo che queste nuove autonomie vengano assorbite dentro il Consiglio, non dobbiamo avere paura. La loro maggiore personalità conferirà personale al Consiglio, non dobbiamo temere, dobbiamo abbassare la guardia, non dobbiamo sentirci espropriati.
Vale anche per il Consiglio regionale dell’economia e del lavoro. Anche in questo caso l’associazionismo è enormemente cresciuto in questi trent’anni è esploso. Una volta l’associazionismo era ricco ma era un associazionismo tradizionale, quasi limitato alla componente, alla partecipazione politica nel versante della categoria, del segmento sociale. Oggi l’associazionismo è una delle tante forme con le quali i marchigiani e non solo esprimono passione politica, virtù civica. E allora è bene che noi, come Consiglio ci relazioniamo in modo migliore con il sistema dell’associazionismo economico e sociale, il quale è assolutamente insoddisfatto del rapporto riservato e limitato alla questione della audizione. E’ un modo poco partecipativo con il quale l’associazionismo economico e sociale sente di essere coinvolto in questo sistema dell’audizione. Se è vero che noi, come Consiglio dobbiamo inventarci nuovi modo di assecondare il governo della Regione, non possiamo pensare di recuperare il ruolo del Consiglio che significhi strattonare l’Esecutivo su ogni decisione, dobbiamo rafforzare la posizione del Consiglio e sperimentare modi nuovi di fare indirizzo, controllo e monitoraggio. E’ chiaro, saremo tanto più forti quanto, con noi, indirizzo, controllo e monitoraggio lo faranno i soggetti che sono cresciuti fortemente in questi trent’anni nella società marchigiana.
Credo che su questo ci possa essere un modo per andare oltre.
Sono state trattate, nella parte finale della discussione sull’approvazione dello Statuto questioni relative al numero e anche ai principi. Dirò, prima di concludere, due-tre cose sia sulla prima che sulla seconda questione.
Sul numero credo che sia un modo sbagliato misurare il rapporto tra i consiglieri e i cittadini marchigiani. Se vogliamo ragionare sul numero — e io privilegio un’altra formula — devo dirvi che il dibattito ha dimostrato, almeno a me che sono stato orecchio attento, che c’è una concordanza di punti di vista: il ragionamento sul numero si fa sulla funzionalità del Consiglio e solo sulla funzionalità, dopo averla valutata attentamente, possiamo stabilire il numero. Al momento attuale 12 consiglieri di maggioranza non rendono funzionale la vita del Consiglio così come è oggi organizzata. Si vuol mantenere a 12 il numero dei consiglieri di maggioranza? Si riducano le Commissioni, si studino tutte le formule per rendere assolutamente possibile e gestibile il Consiglio. Se si vuol mantenere l’attuale numero delle Commissioni e quant’altro, il numero dei consiglieri è assolutamente inadeguato, e questo vale per la maggioranza e per la minoranza. Dopodiché io privilegio un’altra formula, quella che gli assessori devono essere esterni ma presi dal Consiglio, incompatibili con la funzione dell’assessorato. Siccome non mi pare che questa sia una formula prevalente che non ha avuto grande sbocco, anche se ha impegnato i ragionamenti dei membri della Commissione, credo che dobbiamo fare un ragionamento serio sul numero che garantisce la funzionalità.
La questione dei principi presuppone che si sciolga il nodo del rapporto maggioranza-minoranza. Le regole si costruiscono insieme, non si costruiscono le condizioni per far dire a una parte del Consiglio pregiudizialmente no rispetto alle regole che si disegnano. Io sono convinto che le forze politiche principali debbano trovare la ragione comune di approvare Statuto, legge elettorale, regolamento interno, CAL, CREL, per chiudere definitivamente una stagione di riforme della periferia. Guai a lasciare aperta questa stagione di riforme, guai a perdere altri cinque anni a ridiscutere e a ruminare continuamente formule su formule che nessun marchigiano comprende e che non ci permette di adeguare le istituzioni.
E’ compito della maggioranza e della minoranza, in particolare delle forze politiche principali, darsi un punto di incontro che non può essere sui principi, ma un punto d’incontro va trovato.
Non voglio intervenire sulle questioni dei principi, ho già detto qualcosa, e anche in questo caso voglio ringraziare la presidente Amati e il vicepresidente Ceroni che sui principi hanno trovato una mediazione. E’ possibile un ulteriore passaggio che non comprometta l’equilibrio raggiunto? Facciamolo. Ma non impicchiamoci ad una targa da mettere, che può anche assumere, agli occhi di chi ci guarda, l’idea che si vuol fare un passaggio anche strumentale. Per esempio nessuno nega la questione delle radici cristiane, in Europa e in Italia in particolare; meno ancora si giustifica, però, dopo che non c’è nella Costituzione europea e in quella nazionale, a livello regionale. Quello che conta è che i valori cui si ispira quella tradizione trovino occhio e orecchio attento in questa nostra riforma dello Statuto e mi pare che l’avere cercato di costruire lo Statuto insieme alla Conferenza Episcopale Marchigiana e avere anche accolto molte di quelle sollecitazioni, significa che non c’è un orecchio disattento, chiuso, una pregiudiziale chiusura. Quindi attenzione a non cadere nella trappola del principio.
A livello nazionale a me pare che sia più difficile, per l’attuale coalizione di maggioranza, trovare la sintesi sul federalismo che sta ai principi, ai modelli e all’ideologia, piuttosto che sul riequilibrio della situazione economico-finanziaria. I principi diventano qualche cosa di difficilmente digeribile, qualche cosa che crea più distinzione, proprio perché sono principi e non sintesi, e se vogliamo fare lo Statuto cerchiamo la sintesi, non i motivi per i quali ci distinguiamo.
Credo che questo possa essere un atteggiamento utile per tutti.
Esistono dei terreni tra maggioranza e minoranza che possono essere esplorati anche in queste ultime ore? A me pare di sì e a me pare che possano essere, nell’obiettivo di completare le riforme, Statuto, legge elettorale, regolamento interno, CAL e CREL. Ma anche sullo Statuto attenzione, perché credo che noi possiamo ragionare su uno Statuto delle minoranze che sia adeguato, in quanto ritengo che sia una necessità di entrambe le coalizioni avere uno Statuto delle minoranze adeguato. Come sulla legge elettorale: credo che sulla legge elettorale stabilire i principi che ogni forza politica, ogni gruppo abbia secondo il suo peso ed ogni provincia secondo la sua popolazione, sia condivisibile. Ma guai pensare di introdurre all’interno della coalizione delle soglie di sbarramento che agirebbero forzatamente sulle culture politiche, sulle loro organizzazioni, sul modo con il quale la politica si è organizzata finora. Cosa diversa è la soglia dello sbarramento fuori della coalizione, cosa diversa è lo sbarramento all’interno della coalizione.
Credo che ancora, in queste ultime ore sia possibile fare un lavoro comune e le forze politiche principali possano dare prova di comprendere il fatto, assolutamente indispensabile. E’ tutto il mondo economico che ce lo chiede, ma non soltanto il mondo economico, perché come riusciremo a fare la grande coalizione, il patto con le forze produttive o il patto con le forze sociali se nel punto critico del passaggio, per distinguerci creiamo dei principi di distinzione che fanno affossare la possibilità di un riequilibrio della “istituzione Marche” che riguarda tutti, che non può riguardare la maggioranza e basta, ma che riguarda maggioranza e minoranza.
Concludo ringraziando di nuovo tutti coloro che ci hanno lavorato e ringraziando anche per il clima che si è creato, perché a me pare che già il fatto che un’importante forza della minoranza abbia votato lo Statuto sia un bel passo nella direzione che indico; a me pare che è possibile recuperare, perfezionando ancora la nostra proposta, un’importante forza di minoranza che deve riconoscersi nelle nuove leggi. Credo che ci sono le condizioni. Noto, anche con soddisfazione, l’apertura e la disponibilità data dal consigliere Massi e mi pare di poter dire, alla fine di questa giornata importante, che stiamo lentamente mettendo insieme le forze necessarie per fare del percorso di riforma del nostro ente un percorso il più largamente condiviso possibile, perché non si percepisce in quest’aula il desiderio e la voglia di escludere qualcuno, ma anzi la voglia di integrare, in un ragionamento complessivo il maggior numero delle forze politiche e dei gruppi presenti in quest’aula.

PRESIDENTE. Ha ora la parola il Presidente D’Ambrosio.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della Giunta. Parlo da qui semplicemente perché non c’è ancora un posto per il gruppo di Marche democratiche, nel senso che non parlo come Presidente della Giunta, ma come consigliere. Anche perché non c’è una posizione della Giunta.
Vorrei fare alcune piccole osservazioni, sottovoce. Una cosa che mi pare sia stata oscillantemente richiamata, è per me fondamentale. Noi stiamo facendo un esercizio che sarebbe un esercizio difficilissimo di facoltà e di potestà normativa, se non avessimo una rete di sicurezza gigantesca. La rete di sicurezza è la Costituzione della Repubblica. Se non si parte dal presupposto che è la Costituzione della Repubblica quella che illumina necessariamente le norme dello Statuto, quella che c’è necessariamente, al di là, intorno, sopra, sotto le norme dello Statuto, se non partissimo dal presupposto che è la Costituzione la vera legge fondamentale di tutta la Repubblica. Potremmo allora avere delle difficoltà e delle tentazioni non più di contrapposizioni, a volte anche strumentali o che, se andiamo a riflettere, sono minore momento di quello che si pensi. E potremmo arrivare anche a conclusioni che mi sembrerebbero bizzarre. Io non mi sento di dire che chi approva lo Statuto è Regione di serie A e chi non approva lo Statuto è Regione di serie B, perché la verità è che abbiamo la Costituzione tutti. Se una Regione come la Lombardia — un esempio a caso — ha deciso di non fare lo Statuto, non vuol dire che non ha norme, vuol dire semplicemente che le norme rimangono, per quello che riguarda l’ambito strettamente statutario, quelle previste dall’art. 123, nuova versione della Costituzione, in base alla legge 1 e alla legge 3 del 2001 e per il resto ci sono i principi della Costituzione.
Questo mi lascia molto tranquillo e sotto certi punti di vista mi fa anche sdrammatizzare alcune contrapposizioni o alcune valutazioni che mi sembrerebbero fondate, preoccupanti e meritevoli di contestazione o di appoggi molto più convincenti di quelli che invece farò, se fossero prive non solo della cornice costituzionale, ma dell’anima della Costituzione.
La presidente Amati all’inizio ha detto che lo Statuto ha un cuore. Io non so se lo Statuto ha un cuore o meno: se ce l’ha è derivante da quello della Costituzione, su questo non c’è alcun dubbio.
Questo mi sembra che sia il dato fondamentale, altrimenti dovremmo dire che quello che non c’è nello Statuto di per sé vuol dire che la Regione Marche lo ignora, lo disconosce, lo cancella, lo annulla, lo demanda ad altro? E viceversa. E’ chiaro che una tecnica legislativa tranquilla presuppone che non si iscriva nello Statuto un articolo 1, perché l’articolo 1 di qualunque norma di questa Repubblica è sempre tale da prevedere un articolo 1 meno 1, che è “vista la Costituzione della Repubblica italiana”. Poi tutto il resto. Questo non c’è scritto ma è chiaro, non si scrive ma è pacifico, non si scrive ma è così.
Non c’è allora bisogno, per assumere un dato a caso — ma non tanto — che noi scriviamo un richiamo formale alla indicazione, alla definizione della famiglia dell’art. 29 della Costituzione. Questo Statuto non può dire altro. Tutte le volte che si parla di un certo tipo, di un certo contesto, di famiglia l’art. 29 rimane. Nei servizi che si rendono ai nuclei che sono fatti in maniera diversa e in cui non c’entra l’art. 29, la cosa diventa diversa. Ma noi l’abbiamo già fatto nella legge che ha approvato i criteri per gli alloggi popolari senza lo Statuto, perché abbiamo deciso, quella volta, che quello era un dato che non entrava nell’ambito previsto e coperto, necessariamente previsto e coperto dall’art. 29 della Costituzione. Possiamo dire che c’è bisogno di ripetere le differenze di genere, tutto questo, che la Regione si fa carico di diminuire, di eliminare le diversità, quando abbiamo un articolo 3 della Costituzione, primo e secondo comma?
Alla luce di questo dobbiamo discutere quello che c’è qua dentro.
Se prendiamo questo tipo di strada, allora dobbiamo leggere lo Statuto come una proposta, un progetto che, al di là dei limiti strettamente necessari per uno Statuto regionale previsti dall’art. 123 della Costituzione, nuova stesura, che dà un quadro più piccolo, dice quello che deve esserci negli statuti, se si vuol parlare di statuti, c’è qualcosa di più. Non è vietato, sicuramente, ma ci serve se lo leggiamo sempre alla luce delle norme costituzionali. Questo è il dato che volevo sottolineare.
Non è una sottolineatura superflua. Si potrebbe dire “lo fa per sfuggire al tema”. No, in questo momento assistiamo ad una riflessione nazionale che, impostata in un certo modo, punta a delegittimare la Costituzione. Dobbiamo stare bene attenti: la modifica del titolo V della seconda parte della Costituzione non significa affatto che si è invecchiato tutto l’impianto della Costituzione e men che meno significa che la Costituzione in sé va rinnovata. Mentre io, sul preambolo del nostro Statuto, tutto sommato non assumo posizioni di stracciamento di vesti, avrei dei dubbi enormi se mettessimo in discussione i principi fondamentali della nostra Costituzione, i primi 11 articoli. Lì sì che avrei dei grandissimi dubbi e delle grandissime preoccupazioni, se si discutesse di quelli. Il preambolo del nostro Statuto cerca di individuare le radici, le piste, i percorsi che la cultura politica di questa Regione, espressa in questo Consiglio regionale, ritiene essere quelli fondamentali.
Ci mancano le radici cristiane, cattoliche? Mi rivolgo ai colleghi che sul tema sono particolarmente sensibili: perché, il mio essere credente cambia a seconda di quello che c’è scritto nello Statuto? Il mio modo di agire cambia a seconda di quello che c’è scritto nello Statuto? Il mio modo di agire cambia se c’è scritta una cosa e la valutazione cambia se non c’è scritta? Ma allora andiamo nel concreto, vediamo concretamente quali sono i principi che eventualmente, nel concreto dei servizi resi negano questa radice cristiana. Se ci sono quelli io incido su quelli, non ho necessità di dire che c’è una radice cristiana se poi ci sono i principi e viceversa.
Vediamo allora, non di sdrammatizzare ma di porre nel giusto succedersi, nel giusto sfondo prospettico i dati che abbiamo nell’ambito di questo Statuto. E’ uno Statuto liberista? Direi di no. Poi, gli Statuti non vivono di vita propria, ma o si concretizzano in istituti o sono semplicemente delle cose scritte.
Qualcuno pensa che sia possibile interpretare lo Statuto in modo tale che la Regione si organizzi, funzioni, punti a mete e faccia percorsi diversi da quelli che sono costituzionalmente gli unici possibili, sia pure con tutta l’elasticità di quello che significa? Direi di no, risolutamente.
E’ alla luce di ciò che noi dobbiamo interpretare questo, non viceversa. E’ alla luce di ciò che dobbiamo vedere se qui ci sono tutte e sole le cose previste qui, sia pure in una giusta opera di contestualizzazione. Se lo approvassimo dopo l’approvazione di una eventuale Costituzione europea, richiamiamo nello Statuto anche la Costituzione europea, che qui non c’è. Ma la verità è che qui dentro c’è già il richiamo alla Costituzione europea, nell’articolo 10. Cominciamo allora dire che la concreta vita dell’istituzione Regione marche non può che essere indirizzata nelle norme organizzative, nella forma di governo, perché la forma di governo è fuori dalla Costituzione, la legge elettorale, che non c’è nello Statuto è fuori dalla Costituzione ed è bene che stia fuori dallo Statuto. Per me è bene che stia fuori dallo Statuto per un dato molto semplice. Le leggi elettorali sono strumenti che possono essere cambiati a seconda delle finalità che si vogliono raggiungere. Per cambiarle quando serve è meglio che non siano nello Statuto, perché c’è una rigidità di procedimento, di modifica che è bene che non sia applicata a uno strumento che può cambiare con maggiore elasticità di quanto sia possibile utilizzando norme statutarie.
Queste sono quelle cose che, se le abbiamo tutti ben presenti, ci fanno superare eventuali possibili, da domani, tipi di schermaglie dietro le quali c’è molto più un tentativo di divisione strumentale all’interno delle coalizioni, anziché una cosa molto diversa, che è quella di indicare alcuni principi relativi a quello che è materia statutaria. L’elezione del presidente è un dato che con la Costituzione non c’entra nulla, si poteva scrivere elezione diretta o si poteva scrivere elezione del Consiglio, si poteva scrivere qualunque cosa. Perché? Perché non c’è nell’ambito della Costituzione, quindi era specificamente demandato a questo. Io condivido questa scelta, non perché sia stato eletto così che è una sciocchezza, ma semplicemente — pur non essendo una cosa per la quale mi batterei alla morte — per una ragione banalissima di simmetria di posizioni, soprattutto nel momento in cui ormai, in uno Stato che si avvia ad essere federale, i rapporti fra i livelli istituzionali sono sempre più forti, numerosi, intrecciantisi ed era estremamente anomalo e bizzarro che una figura fosse quella meno legittimata delle tre che necessariamente si confrontano, concertano, si intrecciano giorno dopo giorno per costruire la difficile strada di uno Stato federale. Questo va bene.
Così come sono convinto che la scelta elettorale, di cui non si parla qui, ma che tutti noi abbiamo qui, oggi risente in maniera estremamente significativa di quello che è stato un handicap della nostra democrazia, che sembrava essere diventata la democrazia indecidente e allora il pendolo è oscillato dalla proporzionale al maggioritario non solo e non tanto dal punto di vista tecnico quanto dal punto di vista di assicurare una capacità, possibilità di funzionamento a meccanismi che altrimenti, troppo attenti alla rappresentanza, correvano il rischio di inchiodarsi in una paralisi che indubbiamente esasperava l’opinione pubblica. Il pendolo che prima era di là è sceso di qua. Dobbiamo stare attenti che non vada troppo in là, .
In questi campi sono ritornanti i pensieri, le riforme e le modifiche, perché volta a volta, a seconda di come si presenta la situazione, si cerca di aggiustare lo strumento, che non è un fine, è uno strumento.
Fatte queste riflessioni, che come vedete sono minime ma vanno fatte con tutta la forza di chi si sente, nel suo piccolo — qui sì che torna il Presidente della Giunta — di rispettare i principi della Costituzione, nell’agire concreto, allora tutto il resto diventa più facile, più semplice. Certo che lo Statuto è meglio approvarlo in più che in meno, ma dobbiamo dire anche che se qualcuno non lo vota non vuol dire che respinge quelli che sono i principi della Costituzione, respinge solo quei dati che sono concreti, contestuali e quindi contingenti che sono nello Statuto. A parte il discorso di ulteriore riflessione politica, che era completamente fuori dall’ambito dei patti di maggioranza e quindi, da questo punto di vista non è chiuso verso la minoranza, perché non c’era, ma il punto è un altro: lo vota chi è d’accordo con questa cosa, no lo vota chi non è d’accordo, ma credo che qui dentro tutti quanti, che lo votiamo o che non lo votiamo, siamo sicuramente impegnati — almeno io lo sono e credo che tutti lo siamo — ad accertarci che sia la Costituzione ad essere applicata e che quindi lo Statuto venga ad essere una traduzione, un riflesso, una assunzione di responsabilità per dare risposta ad alcune domande che altrimenti in Costituzione non si troverebbero. Per il resto il discorso è se ci sentiamo tutti quanti, nelle vesti diverse di maggioranza e di opposizione, comunque tenuti al rispetto dei principi costituzionali.
Se questa è la linea, tutto il resto può diventare oggetto di dibattito politico, di divisione, anche di tentativi di strumentalizzazione, ma che terrei su un piano che non è il piano dei massimi principi.

PRESIDENTE. Ha la parola la presidente della Commissione, consigliere Silvana Amati.

SILVANA AMATI, Presidente della Commissione speciale per la riforma dello Statuto regionale. Prima che i colleghi tornino alle loro dimore, vorrei ricordare che domani mattina, alle 9 dobbiamo riunire la Commissione per esaminare gli emendamenti. Siccome sono già oltre 100, se domani vogliamo completare il lavoro in aula almeno degli emendamenti, è evidente che una lettura della Commissione prima dell’inizio del Consiglio è utile. Mi sono permessa di dare questo riferimento all’aula, in modo che i colleghi della Commissione siano informati, sì da poter iniziare in tempi utili il Consiglio.

PRESIDENTE. La seduta è tolta.


La seduta termina alle 18,05