Resoconto seduta n. 36 del 28/03/2001
RESOCONTO INTEGRALE

SEDUTA DI MERCOLEDI' 28 MARZO 2001
PRESIDENZA DELPRESIDENTE LUIGI MINARDI
INDI DEL VICEPRESIDENTE GIUSEPPE RICCI

La seduta riprende alle 16,30

Proposta di atto amministrativo (Discussione e votazione): «Piano Leader regionale 2000-2006. Comunicazioni agli Stati membri 2000/C 139/05» Giunta (31)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la proposta di atto amministrativo n. 31, ad iniziativa della Giunta.
Ha la parola il relatore, consigliere Avenali.

FERDINANDO AVENALI. Questo piano è stato approvato dalla Giunta regionale ed inviato a Bruxelles perché vi erano delle scadenze ed è arrivato in Consiglio regionale un po' in ritardo. Mi risulta che a Bruxelles è stato considerato ricevibile e che la trattativa nel merito dovrebbe iniziare nei prossimi giorni, quindi l'elaborato è accettabile e si può cominciare un confronto.
Questo piano è rimasto per un certo periodo in Commissione — una prima riunione l'abbiamo fatta l'1.12.2000 — per il semplice fatto che avevamo cercato di avere documentazione e riflettere su che cosa era accaduto circa l'utilizzo delle risorse del Leader I e II. Per quanto riguarda il Leader II abbiamo avuto la documentazione che era possibile, anche se c'è da dire che non tutte le risorse sono state utilizzate, in quanto ai sensi del regolamento la rendicontazione deve essere fatta entro il 31.12.2001. Invece per quanto riguarda il Leader I non siamo riusciti ad avere grandi notizie, anche perché allora la competenza non era tanto dell'assessorato all'agricoltura ma delle politiche comunitarie.
Credo che l'esperienza dei Leader sia positiva, in primo luogo per il fatto che si è attivato un meccanismo sperimentale di rapporto gestionale pubblico-privato, visto che sono delle società che gestiscono i progetti dei Leader, i cosiddetti Gal. Sappiamo benissimo che se vogliamo ottenere dei risultati più incisivi è importante che ci sia questo rapporto tra pubblico e privato, quindi ci sia un co-finanziamento. In questa ottica credo che sia positiva l'esperienza dei Gal che abbiamo fatto nel passato, poi nel merito dei progetti, alcuni dei quali condivido relativamente, si potrebbe discutere.
Attualmente i Gal costituiti con le risorse del Leader II sono sei.
Per quanto riguarda il piano Leader che andiamo ad approvare, intanto questo elaborato è il frutto anche di una concertazione che c'è stata con la Conferenza regionale delle autonomie, il "Tavolo verde", l'Uncem, i Gal esistenti, quindi c'è stata una determinata concertazione.
Per quanto riguarda il territorio si prevedono tutte le aree dell'ex Obiettivo 5b, quindi 158 comuni sui quali si possono attivare dei Gal. Gli abitanti sono molto pochi rispetto alla quantità complessiva, perché sono 426.000, e si punta tutto sulle zone interne dove c'è stato un forte spopolamento, quindi è giusto prevedere interventi in particolare in queste zone.
La proposta si articola in tre sezioni, a loro volta articolate in misure. I punti fondamentali su cui si interviene prevedono la promozione, l'innovazione di processo e di prodotto, politiche di marketing, la salvaguardia dell'ambiente, quindi una serie di provvedimenti che nelle misure sono molto specificati nell'elaborato, la valorizzazione e la tutela del patrimonio artistico, architettonico, culturale, quindi interventi nel settore della cultura in senso generale, la prevenzione e la lotta alla disoccupazione. E' possibile intervenire per incentivare l'assunzione dei giovani laddove non sono possibili altri interventi di carattere comunitario. Inoltre il miglioramento della qualità della vita che riguarda fondamentalmente il discorso dei servizi, in particolare nelle zone interne e montane. Sono quattro filoni che nelle misure vengono fortemente articolati.
In Commissione c'è stata una discussione sul fatto che forse erano troppe le possibilità d'intervento per una entità di risorse abbastanza contenute, perché le risorse a disposizione sono attorno ai 50 miliardi di investimenti complessivamente fra pubblico e privato: 40 di risorse pubbliche e 10 di risorse private. Questa vastità di possibili interventi rischia di disperdere le risorse. Da qui un dibattito che c'è stato in Commissione, ma va detto che intanto non verranno utilizzati più di 6 Gal, anche se il piano lascia aperte delle possibilità. Inoltre è ovvio che ogni Gal non è detto debba intervenire su tutte le misure, anzi l'input è a fare delle scelte. Se si tiene conto di questo credo che il piano possa essere considerato positivamente.
Per attivare un Gal, quindi un nuovo soggetto, oppure i soggetti che attualmente sono in essere, si debbono prevedere un territorio con non meno di 45.000 abitanti e non più di 100.000.
Questo, in estrema sintesi, prevede il Leader Plus. Sono comunque risorse importanti, anche se modeste, quindi invito il Consiglio ad approvare, in modo che nel momento in cui verrà definito a livello di trattativa comunitaria gli si possa dare rapidamente attuazione.
Nel piano si prevede che gli investimenti partiranno dal 2002, ma mi dicevano che nell'ambito della trattativa, se si accelerano i tempi di attuazione è molto probabile che possiamo anticipare qualcosa fin dal 2001.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. Vorrei alcuni chiarimenti su come si è arrivati ad adottare i criteri per l'individuazione delle zone di applicazione.
Nella breve relazione introduttiva si dice che uno degli obiettivi fondamentali della politica dell'Unione europea a cui l'iniziativa Leader Plus dovrà fare riferimento, è il rafforzamento del tessuto socio-economico delle aree rurali, finalizzato ad uno sviluppo equilibrato e sostenibile del territorio che riduca il rischio sia di un ulteriore congestionamento delle aree urbanizzate che di un progressivo deterioramento ambientale e paesaggistico delle aree marginali.
Come Silenzi ben sa, nella zona Castelletta della nostra provincia, ad esempio, anziché potenziare le zone rurali viene inserita una discarica. Se l'obiettivo e lo scopo era anche quello della difesa dell'ambiente, certo questo scempio poteva essere anche evitato.
Quello che ci preoccupa è che si dice, nei criteri individuati, "In particolare vengono considerate aree ad elevato indice di ruralità le aree già individuate ai sensi dell'Obiettivo 5b del precedente periodo della programmazione. Sono invece definite aree montane tutte le aree ricadenti all'interno delle Comunità montane delle Marche". Un dubbio a questo punto viene quando si vede l'elenco della provincia di Macerata: perché una zona corposa e agricola quale quella di Civitanova, Montecosaro, Morrovalle, Monte San Giusto, Montelupone e Potenza Picena, perché queste belle vallate che sono ancora oggi di elevata importanza sia sotto l'aspetto ambientale che rurale non sono state tenute nella dovuta considerazione? Ci si viene poi a dire che l'obiettivo è quello di bloccare lo spopolamento di queste zone, di fermare la popolazione e di incentivarla. Vorrei capire come si è arrivati a questa soluzione.
Inoltre, un'altra riflessione più politica che di carattere tecnico la possiamo vedere nella contraddizione di questa maggioranza quando fa degli interventi più che altro basati sulla volontà — si dice testualmente — "di consegnare all'operatore agricolo una precisa identità sociale ed economica", oppure per il fatto che per troppi anni l'Italia ha relegato ai margini del dibattito politico, economico e culturale la questione agraria. In una mozione presentata si esaltano i cinque anni dei Governi nazionali di sinistra e i sei anni di Governo regionale. Se il dibattito non c'è stato, c'è da chiedere anche agli amici che magari militavano nelle fila della Democrazia cristiana, impegnati nella Coldiretti e nelle varie associazioni, se non siano stati per tanti anni con la testa sotto il sacco, senza — mi riferisco anche a Luchetti — aver fatto mai niente per la Coldiretti, per queste categorie. Oggi, d'incanto il Governo delle sinistre, con una bacchetta magica ha portato innovazione e progresso.
Troviamo quindi delle forti contraddizioni, fra lo sviluppo e l'attenzione che ci sono stati nel dopoguerra su impulso della categoria della Coldiretti, che molto ha dato e molto sta dando all'Italia e il poco che attualmente questo Governo sta dando, a differenza del passato. Basti vedere la sofferenza di chi si trova a gestire e portare avanti quotidianamente il lavoro di campagna rispetto al passato.
Noi non condividiamo quanto avete affermato in questa nebulosa, ambigua mozione che è stata presentata, demagogica e strumentale.

FERDINANDO AVENALI. Ma leggila...

OTTAVIO BRINI. Non so leggere? Leggo: "dal fatto che per troppi anni l'Italia ha relegato ai margini del dibattito politico, economico e culturale la questione agraria". Voi l'avete relegata, perché c'è chi ha fatto le battaglie, dal dopoguerra ad oggi, sulle questioni della Coldiretti. C'è chi, anche oggi, fa le battaglie sulla questione della Coldiretti. Siete strumentali e demagogici, tanto è vero che le vostre associazioni di categoria hanno chiesto degli incontri perché non siete stati e non siete in grado di dare delle risposte. Ho partecipato anch'io a degli incontri, e non eravamo stati nemmeno invitati ai tavoli di discussione. Quindi la propaganda la fate voi. Se il capogruppo qui presente, che ha partecipato, vuol intervenire per dire che quello che affermo non è vero, può farlo.
Quindi, se anche le associazioni che vi stanno vicino si lamentano che...

UGO ASCOLI. Fremo un giurì d'onore per vedere chi dice la verità. Qualcuno le bugie le dice...

OTTAVIO BRINI. Nessuno di noi è portatore di un'unica verità, però chi governa ha il diritto-dovere di dare delle risposte serie e concrete, non tornando sempre al passato. Io non so il tuo passato politico...

UGO ASCOLI. E' perfetto...

OTTAVIO BRINI. Non lo so, però penso che tutti noi abbiamo un nostro passato, io ne vado orgoglioso e me ne vanto, e mi dispiace quando qualcuno prepara delle mozioni cercando di delegittimare quanti in passato hanno dato tanto e hanno fatto tanto per queste categorie e per queste associazioni. Quando si fanno simili affermazione, c'è strumentalità e demagogia. Se tu condividi questa impostazione, che in passato non condividevi... (Interruzione). I bravi siete solo voi, questo l'abbiamo appreso da diverso tempo: avete cambiato tre Governi nazionali e siete bravi.

UGO ASCOLI. Abbiamo fatto sempre meglio...

OTTAVIO BRINI. Vado a concludere, perché parlare fra sordi diventa difficile. Quando uno fa finta di non capire, bisogna prenderne atto e andare avanti.
Vorrei capire chi è stato il promotore dei criteri del Leader Plus. Come mai tutta la parte del piceno e una parte del maceratese sono state tolte? Invito chiunque a venire nelle nostre zone — anche il presidente Silenzi che abita lì — per cercare di capire quanto è ancora ricca e fertile la zona agricola delle nostre parti. E' un peccato non intervenire e mettere delle discariche proprio in queste zone che sono ancora non contaminate. E' quindi un invito che facciamo a cercare di capire, in modo che anche i coltivatori diretti della nostra zona possano capire come mai non sono stati tenuti in considerazione da questi criteri.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Viventi.

LUIGI VIVENTI. Come vicepresidente della terza Commissione ho partecipato alla discussione di questo atto. Non rifaccio la storia del Leader, perché il presidente Avenali ha spiegato di che cosa si tratta e quali sono gli obiettivi, quindi non essendo per natura prolisso, evito di ripeterli. Però vi dico perché non ho votato a favore di questo progetto in Commissione, andando sul concreto.
Non ho votato a favore sostanzialmente per un fatto che non è assolutamente demagogico ma concreto. Il piano Leader regionale prevede finanziamenti per un totale di 40 miliardi di lire per il periodo 2000-2006. Considerate che questi 40 miliardi di lire nel quinquennio vanno spalmati su 158 comuni. Prendendo carta, penna e calamaio e facendo due "conti della serva" vediamo chiaramente che c'è una polverizzazione dell'utilizzo di queste risorse, che probabilmente non produrrà alcunché, quindi avevo invitato la terza Commissione, al di là del ruolo maggioranza-opposizione, come persona che vuol essere concreta e che vuole rendere un servizio ai cittadini che amministra, a concentrare questi 40 miliardi su alcune questioni ben precise, in maniera tale da realizzare qualcosa di concreto. Provate voi a fare una divisione e poi ditemi che cosa si può realizzare con cifre così minime. Mi auguro di sbagliare, ma la mia previsione è che andando avanti in questa previsione si possa arrivare a un fallimento sostanziale del piano stesso, per cui mi sono astenuto in Commissione, perché rispetto un atto che deve essere comunque portato avanti da chi governa, ma con questo tipo di impostazione, al di là delle logiche maggioranza-opposizione, sono d'accordo, credo che farebbe più bella figura proprio la stessa maggioranza che governa concentrando queste disponibilità finanziarie su questioni ben precise, realizzandole nel quinquennio. Questo era il mio suggerimento e questo ripeto in aula.

PRESIDENTE. Ha la parola l'assessore Agostini.

LUCIANO AGOSTINI. Non vorrei ripercorrere tutte le questioni che ho cercato di tracciare e, per quanto mi è stato possibile, chiarire nella relazione introduttiva che ho cercato di allargare il più possibile proprio per rispondere alle varie questioni che oggi abbiamo trattato nel campo dell'agricoltura e della ruralità. La questione dei programmi Leader è senz'altro uno degli strumenti più importanti che abbiamo a disposizione. E' anche vero che le risorse, rispetto al passato sono di molto diminuite, sono più limitate: passiamo dai circa 75 miliardi del Leader II a 36-37 miliardi del Leader Plus. Per quello abbiamo compiuto delle scelte. Consigliere Viventi, io rispetto come sempre il suo elegantissimo intervento, ma se lei va vedere dentro la programmazione che abbiamo fatto, alcune scelte ci sono, proprio per la limitatezza delle risorse. Questa mattina cercavo infatti di dire che quelle risorse saranno utilizzate soprattutto per creare le condizioni di vivacità, di informazione, per collegare alcuni territori meno fortunati — noi li chiamiamo "territori delle aree interne", che forse non sono i meno fortunati ma i più fortunati — che hanno più bisogno di essere incentivati, aiutati a capire le opportunità, quindi alcune misure sono proprio informazione per riportare in equilibrio le aree interne e più in difficoltà.
Conseguentemente a questa idea, abbiamo noi fatto la scelta politica di intervenire con il Leader Plus su alcune aree piuttosto che su altre. A differenza del Leader I e Leader II, con il Leader Plus noi potevamo agire su tutto il territorio regionale, ma in carenza di risorse e rispetto al principio politico che cercavo di dire prima, abbiamo tentato di operare anche delle scelte territoriali, per cui abbiamo ri-zonizzato il programma Leader Plus con le ex aree dell'Obiettivo 5b che sostanzialmente corrispondono alle Comunità montane, con pochi comuni nell'ascolano e nell'anconetano fuori dalla perimetrazione delle Comunità montane. Quindi, sostanzialmente corrispondono alle aree montane che, rispetto al principio di cui dicevo prima, abbiamo cercato di concentrare per aiutare a riportare in equilibrio le aree interne.
Tra l'altro, rispetto al programma Leader possiamo dire con soddisfazione che siamo la seconda o terza Regione che ha avuto l'accettabilità da parte della Commissione europea. La prima istruttoria si è conclusa e noi siamo tra le due o tre Regioni che hanno avuto accettato questo programma, fermo restando che ci sono state alcune osservazioni alle quali dobbiamo rispondere, ma è stata simpatica l'affermazione di un funzionario di Bruxelles che ci diceva "siete stati bravi perché avete passato le forche caudine della Commissione ambiente", che in genere è quella più severa e rigorosa nell'esame dei programmi.
Credo quindi che alcune scelte di carattere politico che hanno portato ad alcune conseguenze ci sono. Poi, si può condividere o meno, ma alcune scelte ci sono, non ci vogliamo occupare, come è ovvio che sia e come il consigliere Viventi ribadiva, dell'universo mondo con 36 miliardi in tre anni, alcune scelte le abbiamo fatte, le abbiamo fatte nella direzione delle aree interne, in particolare di quelle montane.

PRESIDENTE. Ha la parola, per dichiarazione di voto, il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. Ci troviamo, in margine a questo dibattito, all'approvazione di questa proposta di atto amministrativo che è estremamente importante per l'impatto ma rispetto alla quale la Regione stessa ha scarsa capacità di poter intervenire. In questo Consiglio regionale siamo di fronte a un atto che è una specie di pacchetto confezionato per cui, quando entrassimo nel merito saremmo comunque inefficaci, perché l'atto è questo e modificarlo comporterebbe gravi responsabilità da parte nostra, perché potremmo veramente mettere una specie di fiecca, un freno alla possibilità di finanziamento di un settore che è molto sensibile alla possibilità d'intervento. Non tutto quello che c'è scritto in questo atto ci piace. Giustamente, prima, due consiglieri della Casa delle Libertà, Viventi e Brini, hanno criticato alcuni aspetti. Brini per quanto riguarda l'aspetto particolare dell'area che più rappresenta, Civitanova, Viventi in merito ad altri contenuti. Condivido queste critiche. Quale componente della Commissione bilancio io ero stato convocato per dare un parere in merito a questo atto rispetto al quale è referente la Commissione attività produttive e quando ci siamo posti il problema di intervenire, al di là di una valutazione puramente tecnica, di fatto l'atto non era modificabile.
Questo atto, prima arriva alla possibilità di essere operativo e non un documento complesso e concertato a più livelli tecnici e politici, meglio è. Nel momento in cui diventerà efficace darà un certo tipo di respiro al settore, ma detto questo noi non siamo completamente soddisfatti, perché non abbiamo avuto possibilità di intervenire. In più occasioni ci è stato detto che questo atto passato attraverso alcune fasi complesse — lo scioglimento del precedente Consiglio regionale, la nomina del nuovo assessore — che erano indipendenti dalla stessa volontà politica, però è un dato che questo atto non dà risposte complessive. Non ci sentiamo ovviamente di votare a favore, ma ogni nostra opposizione od ostacolo all'iter procedurale di questo atto avrebbe una valenza negativa per la società marchigiana.
Con queste motivazioni, annuncio che avremo un atteggiamento di comprensione, che si può tradurre solo in un'astensione tecnica, perché non ce la sentiamo di votare contro — questo è quanto concordato con il componente della Commissione Gasperi ed è la nostra valutazione interna — ma vorremmo essere più soddisfatti, vorremmo che su alcune parti fosse più completa la capacità d'intervento. Interverrò in altra sede, nel dibattito sull'agricoltura, per dire quali potrebbero essere, secondo noi, le indicazioni di una politica strategica per un settore che sta ritornando ad essere vitale e che è anche il futuro della sicurezza e della salute della nostra comunità.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Gasperi.

GILBERTO GASPERI. In Commissione ci siamo astenuti. Il documento non poteva subire variazioni o avere delle controindicazioni, perciò è sulla filosofia del tipo di intervento che si discute, perché non si possono fare modifiche che comporterebbero allungamenti presso l'Unione europea.
Nell'intervento che c'è stato in audizione da parte di Giardini della Cia, si diceva "La misura 10 — riguarda l'animazione — ai soggetti pubblici riconosce il contributo del 100%, ai privati il 70%". Se lo dice il presidente di un'organizzazione di categoria, ancora maggiormente ce lo siamo chiesti noi consiglieri della terza Commissione e noi consiglieri regionali di opposizione. La filosofia dell'atto deve il più possibile estrinsecare certe linee che vengono prese, altrimenti, con la scusa che il piano è indispensabile venga approvato nel minor tempo possibile per dare un contributo concreto a coloro che risiedono nelle zone dove interviene il Leader stesso, spesso si va ad approvare un atto senza nemmeno che vi sia stata la possibilità di approfondirlo per dare un giudizio più definitivo e più completo.
Per questo motivo in Commissione c'è stata l'astensione e ci sarà anche in aula, anche se per alcune parti la linea è di accordo con quanto è stato scritto. Ma sono parti marginali e non concrete rispetto alla filosofia dell'atto.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Avenali.

FERDINANDO AVENALI. Relativamente alle cose che diceva Brini non c'è un pregiudizio. Essendo già le aree del 5b avanti — 158 comuni su 246 — e tenendo conto che le risorse non sono insignificanti, perché 50 miliardi di investimenti e 40 miliardi di intervento pubblico non sono insignificanti, ma non tali da allargare l'area, non era possibile pensare a ridurre l'area 5b, perché bisognava stabilire dei criteri, non si capiva bene quali e sicuramente non era possibile allargare ad altri. Il fatto stesso che sono stati previsti i comuni del 5b, significa che è già un'area estremamente ampia e non era possibile prevedere ulteriori ampliamenti. Non c'era un problema di pregiudizi, di volontà politiche, ma un dato oggettivo con il quale bisogna fare i conti.
Relativamente al fatto che questo atto arriva in Consiglio quando è già a Bruxelles l'ho detto nella mia relazione. Questo è vero, è uno degli atti arrivati in ritardo in quest'aula, ma non per questo il contenuto non è positivo. E' ovvio che emendamenti non ne abbiamo fatti, sia perché significava rischiare di ritardare l'iter a livello comunitario, sia perché si prevede un'ampia sfera di possibilità di interventi, talché c'è addirittura l'imbarazzo della scelta. Lo sforzo che bisogna compiere da parte dei Gal è quello di fare interventi selettivi per evitare che ci sia una polverizzazione delle risorse. Faccio appello alla Giunta di raccomandare dei progetti che siano capaci di incidere, quindi non una serie di piccoli e piccolissimi interventi, ma interventi incisivi e che mirino fondamentalmente a favorire la permanenza nelle zone interne e montane.
Per queste ragioni invito il Consiglio ad approvare l'atto. Il gruppo Ds vota favorevolmente.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. Noi ci asterremo. Ringraziamo l'assessore Agostini per la chiarezza con cui ha risposto alla nostra richiesta. Quindi non è stata una scelta tecnica bensì una scelta politica. Invito nuovamente il presidente del gruppo Ds a prendere atto di quello che in quest'aula è stato detto. Mentre si parlava di una scelta tecnica, si è invece chiaramente detto che è stata una scelta politica di questa maggioranza, penalizzando alcune zone del maceratese. Prendiamo atto di questo, perché non abbiamo avuto altre spiegazioni, anzi l'assessore, lo ripeto, ha ribadito chiaramente che è stata una scelta politica.
Per questi motivi ci asteniamo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giannotti.

ROBERTO GIANNOTTI. Ha detto bene il collega Brini quando ha ripreso la contraddizione fra i riferimenti del relatore di maggioranza consigliere Avenali e la posizione espressa dall'assessore. Credo che questo abbia fatto chiarezza rispetto anche alle polemiche che hanno accompagnato l'intervento del consigliere Brini prima.
Così come a me sembra che questo richiamo continuo da parte del relatore, comunque degli esponenti di maggioranza, ai rischi connessi ai tempi di approvazione di alcuni strumenti importanti come questi, sia diventato un alibi che fa difficoltà a tenere. Vorremmo e ci augureremmo che per il futuro le modalità di discussione di strumenti importanti siano tali da consentire un approccio diverso da parte del Consiglio regionale.
A me sembra che il programma colga l'essenza del regolamento. Credo che non si possa dire altro rispetto all'impalcatura generale. Il problema vero è la sua attuazione, cioè l'azione esecutiva che deve declinarsi rispetto a quello che oggi il Consiglio approva.
Rispetto a questo il dato di fondo è l'esiguità delle risorse finanziarie che sono sul tavolo; esiguità che non può non indurci a fare delle scelte di priorità. Il rischio è la polverizzazione, la dispersione, rendendo questo intervento decidente, questo è il dato di fatto. Abbiamo uno strumento per realizzare questa azione correttiva, che è lo strumento del bando e dei criteri, cioè la possibilità di limitare la diffusione dei Gal, perché se arrivassimo all'ipotesi dei sei Gal come avanzata, questa divisione rappresenterebbe un dato negativo.
La scelta dei quattro Gal, uno per provincia e comunque di limitare l'impatto potrebbe rendere più efficace questo obiettivo del riequilibrio e del mantenimento nelle zone interne nella regione.
I limiti che sono stati sottolineati anche dal consigliere Brini, ci inducono a mantenere anche in Consiglio la posizione di astensione che abbiamo assunto in Commissione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Silenzi.

GIULIO SILENZI. La dichiarazione di voto è legata soprattutto ad alcune considerazioni che il gruppo di Forza Italia ha sviluppato in quest'aula, sostenendo, in definitiva, che rispetto a risorse finanziarie definite, rispetto ad una debolezza e a un intervento mirato nelle zone della montagna marchigiana, si dovevano ridurre i finanziamenti, togliere aree dalla montagna per inserire le aree della costa.

ROBERTO GIANNOTTI. Questa è la tua interpretazione.

GIULIO SILENZI. No, questo è quello che porta il ragionamento del consigliere... di Castelletta... mi scusi, del consigliere Brini, a nome e per conto di Forza Italia.

OTTAVIO BRINI. Ancora una volta non ti hanno informato.

GIULIO SILENZI. E' assente Grandinetti, ma posso chiamare Viventi, posso chiamare Massi che sono più sensibili ai problemi dell'interno della nostra comunità, per dire che il ragionamento che qui è stato sviluppato è un ragionamento che non tiene conto, primo dello spopolamento e della fragilità del sistema agricolo della montagna, che non può essere equiparato alle attività economiche e allo sviluppo economico delle aree della costa, per cui qui non è che ognuno di noi deve essere portatore della bandierina del proprio comune. Forza Italia si assume una responsabilità grave nel momento in cui motiva un'astensione come è stata motivata dal consigliere Brini.

ROBERTO GIANNOTTI. Io l'ho motivato.

GIULIO SILENZI. Lei non ha preso nessuna distanza e non ha chiarito nulla, consigliere Giannotti.
Dire che le zone della montagna della provincia di Ascoli, di Macerata, di Ancona e di Pesaro dovevano vedere spalmato l'intervento ad esse destinato per supportare l'attività economica prevalente di quelle zone, che è l'attività agricola, è un po' come sostenere che dovevamo prevedere, nelle misure dello Sfop, un intervento nella montagna. E' lo stesso identico esempi: prevedere lo Sfop per la montagna. Per cui, ogni misura è finalizzata all'economia e allo stato dell'economia; stato fragile nella montagna per quanto riguarda l'agricoltura, situazione di crisi nella costa per quanto riguarda la pesca. Lì intervengono le misure europee. Quindi, non si deve agitare un campanilismo anche su questioni che attengono all'economia e che debbono vedere il Consiglio e le forze politiche impegnati su scelte di coerenza e non vedere chi mette la bandierina sul proprio comune. Io a questa logica non ci sto, per cui condivido quello che la Giunta regionale ci ha proposto e gli interventi che sono stati fatti e mi meraviglio delle contraddizioni che si aprono all'interno del Polo, di Forza Italia e delle altre forze politiche che assecondano, con il loro silenzio, una posizione di questo tipo. (Interruzione del consigliere Giannotti). Tu non hai detto nulla, Giannotti, non scherziamo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Viventi.

LUIGI VIVENTI. Silenzi mi ha chiamato in causa, quindi debbo semplicemente rispondere.
Riconfermo tutto quello che ho detto sul piano. L'assessore Agostini ha capito benissimo qual è la mia posizione che sarà una posizione di astensione attenta, perché condivido alcune parti. Avrei preferito che ci fosse stata una maggiore concentrazione di finanziamenti proprio per dare più concretezza al piano, anche se mi rendo conto, come sempre, che chi amministra ha un ruolo difficile da svolgere, quindi non mi piace fare demagogia in nessun modo, quindi se Brini per il gruppo di Forza Italia ha fatto delle dichiarazioni a favore della costa contro la montagna, questo non inficia...

OTTAVIO BRINI. Non della costa, ma dei 13 comuni: mancano Mogliano, Corridonia, non la costa.

LUIGI VIVENTI. Brini, questa è un'affermazione che ha fatto Silenzi, non io. Se il consigliere Brini ha fatto nelle dichiarazioni e nome suo e a nome del gruppo di Forza Italia, questo non significa assolutamente che i consiglieri Viventi e Massi del Cdu-Ccd federati insieme, siano coinvolti da queste dichiarazioni in alcun modo. Noi condividiamo, al di là del fatto che siamo consiglieri eletti in zone di montagna, che quando si parla in un'aula consiliare, quando si amministra non si può fare solo campanilismo ma bisogna svolgere il ruolo di amministratori in maniera seria, dicendo quello che uno pensa e quello che si deve fare. Ognuno, per le proprie dichiarazioni, si assume la responsabilità.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Tontini.

ROBERTO TONTINI. La dichiarazione di voto nasce dall'esigenza di sottolineare un aspetto che mi sembra nel dibattito non sia emerso appieno: lo spirito che ha mosso la Comunità economica europea relativamente alla filosofia che sta dietro i progetti Leader ed anche il perché, nella definizione del piano da parte della Giunta, ci sia stata una scelta che non è quella di definire in modo preciso e dettagliato restringendo gli ambiti d'intervento per quanto riguarda le possibilità territoriali. Questo attiene a un principio che credo sia emerso poco e con il quale dovremo fare, soprattutto in futuro, ancora di più i conti, cioè la competitività dei territori, della diversità anche delle situazioni economiche territoriali e delle diverse vocazioni territoriali. Il che significa che rispetto alle possibilità, così come i piani Leader prevedono, che si costituiscano dei Gal e dei Pal, cioè dei comitati locali che hanno il compito di definire le modalità di utilizzazione di questi finanziamenti, partendo dal principio che le forze sociali, economiche ed istituzionali che operano su quel territorio devono avere la possibilità di selezionare loro le vocazioni, le opportunità che vanno meglio valorizzate e sulle quali è opportuno intervenire.
Questo attiene al principio della competitività territoriale, sulla quale sempre di più bisogna fare attenzione e verso la quale bisogna spingere. E' chiaro che rispetto a questo nostro compito, come istituzione-Regione e ancora di più come forze politiche, individualmente prese, è di fare in modo che in quei territori si sviluppi un dibattito affinché, attraverso l'utilizzazione dei bandi, i Gal costituiscano delle forme di utilizzazione delle opportunità che il Leader prevede, che non siano generaliste e uguali per tutti, ma vada individuato lì uno sforzo per utilizzare al meglio, rispetto ai capitoli più opportuni per questo o quel territorio, che sono diversi l'uno dall'altro, i fondi.
Questo concetto, nella predisposizione da parte della Giunta del piano, c'è, lo ritrovo e ritenevo opportuno sottolinearlo in termini rafforzativi, come voto positivo a questo programma.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di atto amministrativo.

(Il Consiglio approva)



Comunicazioni della Giunta regionale
Interrogazione (Svolgimento): Problemi relativi ai prodotti agricoli» Viventi (155)
Interpellanza (Svolgimento): «Situazione degli interventi relativi al miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie» Giannotti, Brini, Ceroni, Cesaroni, Favia, Grandinetti e Trenta (14)
Mozioni (Seguito della discussione e votazione):
«Piano di sviluppo rurale 2000-2006» Viventi (16)
«Riduzione del costo dei carburanti per l'agricoltura» Cesaroni (33)
«Sostegno dell'agricoltura regionale» Ciccioli, Castelli, Gasperi, Novelli, Pistarelli e Romagnoli (72)
«Sostegno piattaforma Coldiretti» Giuseppe Ricci (73)
«Problematiche dell'agricoltura marchigiana» Avenali (78)

PRESIDENTE. Riprendiamo il dibattito sospeso questa mattina, dando la parola al consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. Il mondo agricolo si muove generalmente in maniera molto lineare, perché se non si comporta bene, la terra non dà buoni frutti, quindi il riscontro c'è subito.
Nell'industria si può fare un prodotto di cattiva qualità e si vende, si commercializza. Nell'agricoltura, se uno fa male ha cattive cose, quindi il mondo agricolo è un mondo in cui la demagogia delle chiacchiere che in qualche intervento questa mattina ho sentito, dei trionfalismi che in altri interventi questa mattina ho ascoltato, non passa molto bene. Secondo me bisogna essere concreti e dire delle cose serie, corrette e semplici, come semplice è il comportamento di coloro che operano nel mondo dell'agricoltura.
La prima affermazione che vorrei fare è che sta tornando prepotente il problema dell’alimentazione, che per molto tempo nei Paesi dell'economia del benessere era un problema di serie B o C, cioè l'ubriacatura dell'industria e della tecnologia sta arrivando al capolinea. E' stato il problema più importante, l'ubriacatura principale del secolo scorso. In questo secolo ritorna il problema dell'alimentazione e nell'alimentazione è prioritario il problema dell'agricoltura e dell'allevamento che deve essere di qualità. E' stato già detto, mi piace risottolinearlo. Di fronte a problemi che stanno diventando internazionali, quali quello della "mucca pazza" e di tante altre malattie di intolleranza alimentare, credo non ci si renda conto quanta intolleranza alimentare c'è che passa attraverso i nostri ospedali, problemi di intolleranza alimentare dovuta, ovviamente, a diversità biologica nelle coltivazioni. Una volta l'intolleranza alimentare era ristretta a piccolissimi casi, oggi le cosiddette allergie agli alimenti sono diventate un fatto molto diffuso, proprio per coltivazioni che sono diverse, altre rispetto al passato. L'altro problema fondamentale che l'agricoltura mette a nudo è l'abbandono della terra e l'abbandono del territorio, che stanno provocando frane, alluvioni, incendi, tante altre cose perché l'uomo ha abbandonato la cura, la manutenzione di cose forse estremamente modeste, che non erano appaltate ad aziende o ad attività slegate dal territorio ma erano la continuità della presenza dell'uomo sul territorio. l'agricoltore non andava a sbandierare al mondo che lui, ogni qualvolta ce ne fosse bisogno, andava a ripulire il fosse se era intasato, o la sponda del fiume; lo faceva e basta, per tradizione. Il non fare, il lasciare che la vegetazione cresca in maniera incolta e poi produca, nei mesi estivi incendi, è una cosa che prima non era all'attenzione, perché il fieno andava raccolto, l'erba andava tagliata, il territorio andava custodito.
Cosa significa tutto questo, cioè il ritorno all'attenzione all'alimentazione e l'obbligo, con grandi costi, alla cura del territorio? Che il sogno industriale e consumistico sta sfumando e che torna la cultura della terra che era stata soppiantata per decenni dalla cosiddetta "cultura operaista".
Leggo nella mozione presentata dal centro-sinistra, dalla sinistra, dalla sinistra-centro, affermazioni che sono totalmente in antitesi con decenni di cultura politica. Mi sono riletto un paio di volte il documento di un certo rilievo presentato dalla maggioranza. Ci sono affermazioni che fanno a pugni con tante cose dette per anni, per esempio, nel mondo sindacale. Il mondo sindacale, per anni ha sostenuto la marginalità dell'agricoltura, addirittura i valori dell'agricoltura erano contestati. Il mondo agricolo veniva guardato male perché era conservatore di valori in antitesi con la cultura operaista. Oggi, per fortuna, si compie un'azione riparatoria, non è vero che il mondo agricolo è un mondo da disprezzare, ma anzi è foriero di custodia del territorio, di attaccamento ai valori della famiglia, quindi della cura della terra non solo come coltivazione ma come radici dell'uomo. Tutto questo mi piace e sono contento che altri in qualche modo lo recuperino.
Per quanto riguarda l'aspetto più propriamente tecnico, queste sono le cose da sottolineare: anzitutto che il sostegno all'agricoltura deve essere fatto attraverso una semplificazione burocratica, e vado alle cose che ha detto l'assessore. La Regione Lombardia ha già fatto i bandi di settore tra settembre e ottobre dello scorso anno e noi ancora non li abbiamo pubblicati. C'è un ritardo, poi c'è una diversità: i bandi della Regione Lombardia sono semplici, contro il meccanismo farraginoso dei bandi in corso di adozione da parte della Regione Marche. In agricoltura la difficoltà e la complessità di accedere alle risorse è un fatto grave, perché può far scartare aziende che invece sono meritorie, mentre può far finanziare aziende che hanno semplicemente l'uomo giusto, il funzionario giusto che segue le pratiche.
Secondo aspetto, il sostegno alla zootecnia locale. Ricordo le dichiarazioni, oggi un po' presuntuose, del Presidente D'Ambrosio quando ha detto "nelle Marche, per quanto riguarda la zootecnia e l'allevamento non ci sono problemi" e poi, come uno schiaffo è arrivato il problema della stalla di San Severino e chissà quante altre aziende marchigiane saranno in difficoltà nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Occorre invece un sostegno preciso alla zootecnia locale. Ricordo gli appelli in favore della razza marchigiana che era curata in un particolare modo che oggi si è perso. Anche questo è un aspetto a cui va data una risposta. Qualche giorno fa in Commissione bilancio ho avuto contestazioni da parte dei commissari della maggioranza perché volevo aumentare la quota di indennizzo, di risarcimento alle aziende colpite da "mucca pazza". Mi è stato detto "ci sono già 400 milioni". Non basteranno, purtroppo. E allora, i dibattiti sono importanti, oggi è una giornata utile. Quando mi è stato detto che si voleva rimandare questo Consiglio, con senso di responsabilità, dall'opposizione ho detto no, questa seduta va fatta. Però devo dire che non bastano i documenti, le mozioni di buona intenzione come la risoluzione conclusiva della maggioranza, ma occorrono gli atti, e gli atti concreti sono i soldi da mettere per il settore.
Altro aspetto il sostegno all'industria agroalimentare che utilizza prodotti nostri. So che ci sono aziende, per esempio nel settore dei salumifici, che introitano qualche miliardo e lavorano prodotti non marchigiani. E' molto importante che si privilegino, nel sostegno all'agroalimentare, contributi ad aziende che utilizzano i nostri prodotti, mettendo delle apposite norme. Inoltre, i tempi di erogazione. Le ristrutturazioni aziendali, che sono uno degli aspetti principali della politica agricola regionale finanziata con i fondi europei, devono dare ai Comuni precise indicazioni per quanto riguarda lo svolgimento delle pratiche, perché se i Comuni non danno le autorizzazioni per le pratiche, molte aziende sono tagliate fuori. Qualcuno mi segnalava, per esempio, che il Comune di Ancona, avendo una lentezza esasperante nel rilascio delle autorizzazioni, mette in difficoltà le aziende e a quel punto diventano inaccessibili le previdenze a cui si avrebbe diritto.
Non spendo molto tempo sul discorso europeo. Nel 2006 ci sarà un grande cambio di indirizzo, nel senso che i fondi europei che rappresentano l'intero sostegno al comparto agricolo, se verranno a cadere provocheranno seri problemi, quindi dobbiamo fin da adesso preparare un tipo di politica di sostegno all'agricoltura, che a mio parere non va assistita ma sostenuta, che è cosa diversa. Assistere l'agricoltura creando norme per cui conviene non lavorare la terra piuttosto che coltivarla è un errore. Deve essere conveniente produrre, ma produrre bene, produrre qualità, questo deve essere il sostegno giusto. Cioè, tu lavori in senso corretto e pertinente e io ti sostengo. Il non lavoro è un errore e quando per anni conveniva distruggere, non coltivare, non allevare piuttosto che fare si è fatta una politica distruttiva, di devastazione di questo settore.
C'è un ritorno all'agricoltura. Personalmente conosco un architetto, a Castelraimondo, che ha smesso di fare tale professione e ha un'azienda agricola. Lo stesso vale a Urbino per un laureato in legge che ha fatto la stessa cosa.
Questo meccanismo di ritorno di persone che potrebbero fare altre cose e invece si convertono all'imprenditoria nel settore è giusto, ma contemporaneamente occorre sottolineare le norme affinché la persona che opera nel settore sia un operatore agricolo a titolo principale. Non deve essere consentito che vi siano dei furbi che possano prendere i soldi di sostegno al settore pur svolgendo altre attività e invece persone meritorie, che operano solo nell'agricoltura, che puntano tutte le loro aspettative, i loro investimenti nell'agricoltura non prendano i fondi perché altri che hanno attività di altro tipo riescono ad arrivare prima, perché avendo un altro tipo di mentalità, muovendosi bene nelle leggi, nelle norme, nei bandi, riescono a far ciò. I bandi complessi non sono per l’agricoltura, le cose devono essere semplici. I bandi complessi servono a far prendere soldi a coloro che non sono a titolo principale nell'agricoltura ma si muovono bene con le leggi di contributo.

STEFANIA BENATTI. E' arrivata anche la laurea in agricoltura...

CARLO CICCIOLI. Certo, però questo spostamento d'interesse è importante. Non solo è arrivata la laurea in agricoltura ma dobbiamo dire che l'università di Ancona ha, solo da alcuni anni, più corsi di laurea nell'ambito della facoltà di agraria, che servono a qualificare il settore e sono un supporto forte per il settore. Tanti docenti universitari fanno progettualità in questo settore con buoni risultati.
Faccio osservare che l'agricoltura deve tornare motivo di richiamo e di interesse. Questa è una modificazione culturale rispetto al passato, dalla fuga, dall'abbandono, da quella cultura che diceva "smetti di lavorare sulla terra perché non vale la pena, vai in fabbrica", con figli che se ne andavano, con persone che andavano a prendere lo stipendio sicuro e abbandonavano il territorio, si è passati al meccanismo di ritorno che è estremamente interessante.
Occorre anche un altro discorso: vedere quale può essere la competitività con le nuove agricolture con cui confrontarsi, se pensiamo alla California, alla Nuova Zelanda, all'Australia, zone dove stanno immettendo produzioni agricole che possono essere assai simili alle nostre e che hanno costi inferiori, che possono essere fortemente concorrenziali nei nostri confronti. Il settore paradigmatico è quello del vino: i vini dell'Australia, della California, della Nuova Zelanda iniziano ad essere concorrenziali nella grandi catene commerciali di distribuzione. Dobbiamo quindi cercare di sostenere la commercializzazione dei nostri prodotti. E' molto importante riuscire a far veicolare i nostri prodotti, che poi tengono bene al confronto, ma se costano molto di più non stanno sul mercato. Il problema della commercializzazione del prodotto agricolo, così come del prodotto della pesca è un problema importante di cui si deve occupare la struttura regionale. Il costo del prodotto deve essere quello, ma il sostegno alla commercializzazione e alla distribuzione dobbiamo valutarlo noi e farcene carico noi.
Aspetti complessi, nessuno pensa che con un intervento in Consiglio regionale si possa risolvere il problema, ma va affrontato, è importantissimo affrontarlo anche con interventi tematici. Dal 2006 probabilmente non avremo più quel tipo di sostegno, ma sul piano degli interventi tematici, dei progetti speciali ci sarà la possibilità di essere sostenuti, quindi dovremo fin da adesso occuparci di questo percorso, perché sui progetti tematici l'agricoltura potrà avere dei sostegni.
Concludo con un richiamo all'intervento del consigliere Gasperi che si è occupato dal passato. In effetti ci sono molte cose da dire e ridire sul passato, in agricoltura. Nessuno vuol fare processi, però non ricadere negli errori del passato credo sia utile. Troppe volte si sono dati soldi ad iniziative che finivano con l'interruzione del denaro proveniente dall'Unione europea, dalla Regione o altro. Questo non deve più assolutamente accadere. Il sostegno a cooperative create ad hoc per prendere soldi non può più accadere. Viceversa va dato il sostegno a quelle forme consorziate, cooperative di persone che hanno aziende valide che stanno sul mercato e che devono essere sostenute a vendere buoni prodotti.
Concludo, ritenendo che, così come ho cominciato, il problema dell'alimentazione tornerà di grande attualità in questo secolo. Alimentazione, salute della persona, sicurezza alimentare, quindi sicurezza sanitaria e qualità. Sarà uno dei temi forti dei prossimi anni, dei prossimi decenni e secondo me sul discorso enogastronomico noi possiamo essere fortemente competitivi sia nel mercato interno che nel mercato internazionale. Questa carta dobbiamo giocarcela bene e su questa carta dobbiamo cogliere degli indirizzi importanti anche in materia di occupazione e di lotta alla disoccupazione che per troppi anni non è stata indirizzata anche a coprire i vuoti in questo settore, che possono dare benessere, ottime forme di investimento. Alcuni amici giovani hanno costruito serre in questo settore e hanno sviluppato delle fortune incredibili. E allora perché non incoraggiare i giovani verso la produzione di particolari coltivazioni che sono richieste dal mercato, avrebbero una commercializzazione quasi inesauribile e hanno grande redditività?

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIUSEPPE RICCI

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ceroni.

REMIGIO CERONI. Mi rendo conto che dopo tutti questi interventi è difficile non essere ripetitivi, comunque proverò a fare una sintesi. L'agricoltura italiana è una realtà a livello europeo e internazionale, come dice la Coldiretti. Genera, con i settori ad essa collegati, un valore di oltre 330.000 miliardi, con una percentuale del 16% sul pil. L'agricoltura italiana è prima in Europa per valore aggiunto agricolo e seconda per valore della produzione finale. L'agricoltura dunque non è un settore marginale della vita italiana, è un settore che va tenuto in considerazione. Essa deve ritrovare un ruolo di primo piano nelle politiche di governo nazionale e regionale, perché produce reddito, impiega addetti e tutela il territorio. Qui dobbiamo essere schietti. Negli ultimi dieci anni l'agricoltura non ha avuto alcuna considerazione, anzi i suoi interessi sono stati svenduti per tutelare quelli della grande industria. Certamente non sono state adottate politiche in suo favore, o meglio le politiche dei governi di sinistra sono state fallimentari, ed è il contrario di quanto viene detto nel documento che ci avete proposto all'approvazione.
Mi potete dire che questa è un'opinione e le opinioni sono confutabili, ma quando ci sono i dati che dimostrano tutto questo, diventa difficile essere smentiti. Vi voglio fornire alcuni dati che possono rappresentare elementi di riflessione.
Per esempio, il settore commercio con l'estero nell'agroalimentare, presenta un saldo negativo per oltre 18.000 miliardi e questa situazione si è aggravata negli ultimi anni di circa il 30-40%. Quali interventi sono stati messi in atto per recuperare questa situazione da parte del Governo nazionale e del Governo regionale?
E' in fase di ultimazione il censimento generale dell'agricoltura, ma già sono stati diffusi i dati preliminari. Mi dispiace che lei non ne sia a conoscenza assessore, oppure ha preferito non citarli: nel 1990 in Italia vi erano 3 milioni di aziende agricole, nel 2000 le aziende agricole si sono ridotte a 2.600.000, con una diminuzione del 13,4%. Nell'Italia centrale, comprese le Marche, le aziende erano 527.000, nel 2000 sono diventate 488.000, con una perdita del 7,4%. Nelle Marche, da 80.000 aziende nel 1990 siamo passati a 65.000 aziende, con una perdita del 20%. E' un record rispetto al resto dell'Italia centrale. Possibile che nessuno si interroghi sulla fine fatta da 15.000 aziende agricole? Perché hanno chiuso 15.000 aziende agricole nelle Marche? Siamo consapevoli che il 40% di queste 65.000 aziende sono condotte da ultrasessantacinquenni? Queste persone quale futuro possono dare all'agricoltura marchigiana? Sono piccole risposte che avremmo voluto trovare nella sua relazione, assessore. Mi rendo conto che le colpe probabilmente non sono sue, ma sono cose alle quali dovrà prestare attenzione. Indubbiamente c'è qualcosa che non ha funzionato, perché, per esempio, l'Umbria e la Toscana hanno perso, rispettivamente, solo il 2 e il 3,6% di aziende. Perché le Marche hanno perso dieci volte tanto? La Toscana ha perso 5.000 aziende, l'Umbria 1.000, le Marche 15.000.
Guardiamo anche la situazione degli addetti. Le Marche sono passate da 57.000 addetti del 1991 a 34.000 del 1998, con una perdita del 40% di addetti rispetto al 26% della media nazionale. Mi domando infine perché nelle Marche ci sono solo il 4% di aziende agricole contro il 16% della Toscana. Sono interrogativi ai quali sarebbe importante rispondere. Probabilmente la mancanza di un piano agricolo regionale, l'impossibilità a capire come i piani vengono recepiti dai bilanci annuali e triennali ci mettono in seria difficoltà.
Mi chiedo se il piano di sviluppo rurale, il piano Leader sono indirizzati secondo le esigenze delle imprese agricole, oppure sono una distribuzione a pioggia di risorse che non produrranno alcun benefico effetto strutturale all'agricoltura marchigiana.
Ho sentito i colleghi parlare del problema della BSE. Ma i 400 miliardi che sono stati poi portati a 600, sono sufficienti a far fronte alla grave situazione marchigiana?
Si sa che il Governo nazionale non ha molta attenzione all'agricoltura marchigiana, ma non mi pare di vedere maggiore attenzione da parte del Governo regionale. Guardavo i dati — sempre vostra fonte, perché noi non siamo in grado di elaborarli — e notavo che la spesa per l'agricoltura marchigiana è passata dai 93 miliardi del 1997 ai 90 del 1999, ai 91 del 2000, ai 68 del 2001. Questo minore impiego di risorse di 22 miliardi tra spesa corrente e investimenti, come lo giustifichiamo agli agricoltori marchigiani? Che cosa è successo? Che cosa ha fatto l'agricoltura per meritare una così scarsa attenzione?
Per concludere, ritengo che le proposte fatte dalla Coldiretti possano rappresentare un importante punto di partenza per risolvere i gravi problemi che attanagliano l’agricoltura marchigiana. Nella nostra risoluzione in parte queste proposte sono state raccolte. Mi auguro che il Consiglio regionale sappia far proprio il meglio di quanto noi abbiamo proposto.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Andrea Ricci.

ANDREA RICCI. Nel corso di questo Consiglio regionale, che credo opportunamente sia stato dedicato interamente alle questioni dell'agricoltura, ho ascoltato delle posizioni condivisibili da diverse parti politiche, rispetto agli obiettivi che una politica agricola nell'attuale fase storica dovrebbe perseguire. Gli obiettivi di qualità, di sicurezza alimentare, di tutela e manutenzione del territorio, per sintetizzare. Tuttavia credo che il perseguimento di questi obiettivi di politica agricola può rimanere una pia illusione se non si inserisce la predisposizione degli strumenti politici in questo settore, all'interno dello scenario complessivo che ha caratterizzato l'evoluzione del sistema agricolo non solo italiano ma internazionale negli ultimi anni.
Infatti il settore agricolo è forse quello che più di tutti risente delle conseguenze della globalizzazione neo-liberista in corso. Se prima poteva essere vero che agricoltura era sinonimo di arretratezza, di produzione locale, oggi certamente questo non è più vero. Mentre prima un Paese a prevalente vocazione agricola poteva essere considerato come un Paese arretrato sul piano degli stadi dello sviluppo economico — e così era nelle teorie della crescita economica e anche nella considerazione del Paese stesso — oggi questo non è più vero. Il settore agricolo è quello che più di tutti gli altri è al centro dei processi di globalizzazione in corso. E' un settore che ha subito importanti, profonde, decisive innovazioni, innanzitutto sul piano tecnologico, attraverso l'esplosione delle biotecnologie. L'agricoltura è diventata un settore in cui l'artificialità della produzione è ormai arrivata sino alla produzione artificiale delle materie prime. Un settore che ha subito profonde trasformazioni sul lato dell'organizzazione del lavoro e dei processi produttivi, tanto che oggi possiamo dire che tende a scomparire, si attenua la differenza concettuale fra ciò che è agricoltura e ciò che è industria. Mentre prima era possibile delineare con nettezza una demarcazione tra i due settori, oggi la commistione all'interno dei processi produttivi e, più in generale, nel mercato economico tra questi due settori, tende a scomparire.
Le conseguenze di questi processi sono state positive o negative? Questa è una domanda che non ho sentito porre in questo dibattito. Io penso che le conseguenze di questo processo siano state innanzitutto negative. E' chiaro che ci sono sfumature, che bisognerebbe fare un'analisi approfondita, però se bisogna indicare una tendenza prevalente, l'inserimento pieno del settore agricolo all'interno dei processi di globalizzazione in atto ha prodotto prevalentemente conseguenze negative, in particolare tre tipi di conseguenze. La prima, più volte riecheggiata in questo dibattito, riguarda le pesanti ripercussioni che le trasformazioni della produzione agricola hanno avuto sull'ambiente in primo luogo, attraverso la produzione di inquinamento ambientale e attraverso la desertificazione del territorio derivante dalle tipologie dominanti di produzione agricola che hanno fatto venir meno quella funzione tradizionale di manutenzione della natura, del territorio e dell’ambiente che gli agricoltori hanno avuto per secoli e per millenni. In secondo luogo, conseguenze negative sulla salute, e le tematiche che in queste settimane siamo stati costretti a vivere, da quella della BSE a quella dell'afta lo dimostrano. La scomparsa, infine, della più grande ricchezza di questo pianeta, cioè la biodiversità.
Un secondo asse di conseguenze negative di questi processi riguarda la gerarchizzazione dei poteri che la globalizzazione neo-liberista ha comportato. Vi è infatti all'interno del settore agricolo una concentrazione enorme, più forte addirittura di quanto non avvenga nel settore industriale e terziario, delle funzioni strategiche nelle mani di poche, grandi, enormi imprese multinazionali che, attraverso il monopolio degli strumenti strategici nella produzione agricola — quelli della ricerca, quelli della distribuzione, quelli del controllo privatistico delle ricchezze naturali, fino ad arrivare al copyright per le diversità biologiche — determinano nuovi rapporti di dominio, escludono, emarginano i piccoli produttori, escludono, emarginano intere fette enormi di popolazione e di territorio del pianeta. Non va dimenticato che se nel nord del mondo esiste un problema di sovraproduzione agricola e alimentare, esiste sul piano della salute un problema di obesità, per due terzi dell'umanità i problemi sono inversi: esiste il problema della fame, della scarsità di alimenti, esiste il problema della miseria alimentare e nel corso degli ultimi dieci anni questi problemi, questo iato, questa divaricazione sono clamorosamente aumentati.
Un terzo asse di conseguenze negative dei fenomeni in corso riguarda la gerarchizzazione dei territori, perché non vi è soltanto una riproduzione di rapporti di dominio dal punto di vista sociale, con le grandi imprese multinazionali al vertice di una piramide che ha per base una miriade enorme di piccoli produttori agricoli, vi è anche una gerarchizzazione dei territori, quindi la riproduzione di meccanismi di dominio territoriale che portano all'emarginazione, all'esclusione di quelle aree del territorio che non sono adatte, per motivazioni geografiche, per la morfologia territoriale, o per motivazioni di tipo sociale e culturale, alle nuove forme di produzione intensive e dominanti.
Penso che dal punto di vista delle istituzioni, se si condivide un'analisi di questo tipo, critica rispetto ai processi in corso, è necessaria una politica pubblica che innanzitutto si ponga l'obiettivo di contrastare queste tendenze negative. Dal punto di vista generale non riguarda immediatamente questa Regione, ma le Regioni possono svolgere un ruolo, data la loro competenza nel settore agricolo, per orientare le politiche pubbliche degli Stati nazionali e della comunità europea. Sarebbe un disastro l'inserimento dell’agricoltura all'interno dell'organizzazione mondiale del commercio, come pure viene richiesto dagli Stati Uniti e dai principali Paesi occidentali produttori agricoli. Un disastro perché queste tendenze negative in atto, conseguenze della globalizzazione, verrebbero drammaticamente accentuate.
Una politica pubblica, quindi — e qui concordo con quanto emerso dal dibattito e anche con la mozione che è stata presentata — che si basi sulla qualità, sulla varietà, sul riequilibrio economico e di potere di mercato all'interno del settore agricolo. Ma allora dobbiamo avanzare una critica pesante rispetto alla politica agricola comunitaria che ancora oggi continua a basarsi prevalentemente sul criterio quantitativo, che ancora oggi, attraverso il meccanismo dei contributi agricoli, produce un rafforzamento dell'agricoltura industriale e tende a spostare fuori dall'Europa le produzioni mediterranee, per concentrare invece e rafforzare sempre di più le produzioni agricole dell'Europa continentale. Queste tendenze sono ancora in atto e si stanno accentuando, se è vero che la Comunità europea prevede la scomparsa, nei prossimi anni, di 1.200.000 imprese agricole nell'Europa del sud.
Credo che la riforma delle politiche agricole, in primo luogo delle politiche comunitarie, debba procedere attraverso una completa rivisitazione del meccanismo dei contributi agricoli, attraverso una redistribuzione della spesa, che dovrebbe essere indirizzata, in primo luogo, a favorire le produzioni che impiegano lavoro nell'agricoltura. Oggi si favoriscono le produzioni che impiegano capitale e terra, mentre vengono fortemente penalizzate le produzioni a forte intensità di lavoro. E' invece assolutamente necessario, per motivi occupazionali, per motivi di tutela del territorio ma anche per garantire una maggiore qualità delle produzioni, favorire le produzioni ad alta intensità di lavoro.
Gli altri due criteri che dovrebbero essere alla base di una politica agricola comunitaria diversa da quella in corso, riguardano l'incentivazione delle produzioni di qualità. L'altro è un criterio territoriale basato sulla necessità di salvaguardare la produzione agricola anche nei territori marginali rispetto ai modelli produttivi dominanti segnati dall'intensività.
Nelle Marche il dato più preoccupante, se si guardano le statistiche mi pare essere il forte calo della superficie coltivata. Non tanto il calo del numero di imprese agricole da 80.000 a 65.000 negli ultimi dieci anni, perché se a questo avesse corrisposto una forma di razionalizzazione, di aggregazione anche attraverso forma cooperative o pubbliche poteva essere un dato positivo, ma in realtà il dato negativo è il fatto che una parte sempre maggiore del territorio marchigiano cessa di essere coltivata e il dato rispetto al calo della superficie coltivata è ancora maggiore, nelle Marche, rispetto a quello medio nazionale.
Credo che per le Marche — qui condivido interamente l'impostazione della Giunta regionale degli ultimi sei anni — la scelta strategica debba essere quella della qualità e della tipicità. Tuttavia occorre qui notare che, proprio perché la Regione Marche comunque opera all'interno di un quadro di politica agricola comunitaria fissato a Bruxelles secondo altri diversi criteri, può esistere una schizofrenia nella politica agricola fra ciò che la Regione fa e intende fare attraverso gli strumenti che direttamente controlla, come ad esempio quello che oggi è stato approvato o come il piano di sviluppo rurale precedentemente approvato da questo Consiglio regionale e, dall'altra parte, gli strumenti di politica agricola comunitaria che invece privilegiano produzioni non di qualità, che invece privilegiano il tipo di produzione intensiva e industriale.
Anche perché, dal punto di vista delle risorse a disposizione del sistema agricolo marchigiano, sono indubitabilmente molto più consistenti le risorse che vengono immesse a livello comunitario attraverso gli strumenti della Pac piuttosto che quelli direttamente indirizzati e programmati dalla Regione, miranti alla produzione di qualità e tipica: 250 miliardi di contributi che ogni anno vengono erogati agli agricoltori marchigiani, contro 120 miliardi di risorse direttamente indirizzate e programmate dalla Regione, prevalentemente indirizzate alle produzioni di qualità.
Esiste quindi una divaricazione profonda che se non trova un coordinamento all'interno di un quadro di programmazione concertato non potrà produrre gli effetti che noi qui dichiariamo di desiderare. A questo proposito occorre quindi impegnare fortemente, in una logica vera di concertazione, in primo luogo le associazioni agricole di categoria, che debbono collaborare con le istituzioni pubbliche, se ne condividono gli obiettivi, affinché anche le risorse comunitarie gestite direttamente da Bruxelles, possano essere indirizzate alle produzioni di qualità e tipiche. Questo fino ad oggi non avviene per una serie di ragioni, anche perché all'interno delle organizzazioni agricole prevalgono interessi particolari, prevalgono interessi che puntano alla continuità rispetto ad assetti consolidati, piuttosto che all'innovazione di fronte ad una sfida che è quella della qualità e della tipicità.
Penso che questa Regione, questa Giunta regionale debba porsi in primo luogo l'obiettivo del coordinamento all'interno di un quadro di programmazione e di pianificazione concordato con gli operatori e con le loro associazioni, che però non sia schizofrenico, che guardi univocamente verso l'obiettivo che tutti dichiariamo di perseguire. Se questo non avviene temo che, nonostante gli sforzi positivi e brillanti che questa Regione sta facendo e ha fatto negli ultimi anni, non riusciremo a vincere la sfida che abbiamo di fronte per trasformare l’agricoltura e farne il centro di un nuovo modello di sviluppo alternativo a quello della globalizzazione neoliberista in atto.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Moruzzi.

MARCO MORUZZI. Signor Presidente, colleghi consiglieri, penso che potremmo rinviare questo dibattito sulla zonizzazione delle aree-obiettivo ad altro momento, anche se certamente la questione del Leader è appassionante e le zonizzazioni hanno visto in questo Consiglio una lunga discussione. Credo che l'argomento di questo momento sia il ruolo dell'agricoltura di questa regione in un'economia moderna che noi vogliamo garantire al nostro territorio.
Al di là delle tante dichiarazioni che questa mattina abbiamo sentito, c'è ancora chi pensa alla marginalità dell'agricoltura. Io non sono di questo avviso, da parecchio tempo e da tempo non sospetto. Credo che nella capacità di comprensione dell'evoluzione dell'agricoltura a tutti sia più chiaro, oggi che in passato, che questa attività economica presenta la caratteristica di più spiccato legame con il territorio e anche una spiccata caratteristica di compatibilità ambientale, soprattutto se le forme più intensive vengono riconvertite verso le produzioni di qualità, dove producendo meno si può avere un prodotto che spesso e volentieri è più facile da collocare sul mercato e in questo momento risponde di più alle esigenze dei consumatori.
A proposito di questa scelta della conversione dell'agricoltura da intensiva ad estensiva, da intensiva verso la qualità, proprio in questi giorni la commissaria europea sul bilancio Schoreder ha evidenziato che l'Unione europea spende 6 miliardi di euro per gli allevamenti bovini e un miliardo è stato già speso per la distruzione della carne bovina. Queste sono le cosiddette diseconomie esterne di un'agricoltura intensiva, diseconomie che in passato osservavamo con le eccedenze. Tante manifestazioni oggi evidenziano che occorre rapidamente cambiare rotta, e peraltro seguire quella strada che già le imprese agricole hanno adottato, spesso indipendentemente dai provvedimenti delle amministrazioni sovranazionali, nazionali o anche locali.
Credo che questo Consiglio oggi voglia riconoscere il ruolo centrale dell'agricoltura e voglia ribadire che lo sviluppo rurale è certo uno slogan impegnativo che va perseguito con atti concreti.
Credo che oggi sia fuori luogo contendersi il ruolo di chi è più vicino alle esigenze degli agricoltori, ma ritengo che vada detto con chiarezza in questa sede e anche in tutte le altre scadenze che ci saranno successivamente, che questo Consiglio si impegna con atti concreti e con azioni direttamente volte allo sviluppo e al sostegno delle iniziative imprenditoriali in questo settore.
Ho sentito qui da parte della minoranza anche una serie di dichiarazioni pesanti nei riguardi della maggioranza e del documento che abbiamo presentato. Ricordo che anche coloro che hanno fatto queste affermazioni, spesso, nelle amministrazioni locali da cui provengono, hanno condiviso atti che pure in questo momento criticano attraverso queste dichiarazioni generali: penso alle varianti ai piani regolatori in cui, sistematicamente, la classe politica di questo Paese ha votato la sottrazione dei migliori terreni agricoli all'agricoltura. Dico allora a tutti i consiglieri di pensare un attimo, prima di salire in cattedra e condannare gli altri. Lo dico in particolare alla minoranza che oggi accusa gli estensori di un documento che cerca di fare una sintesi di questo dibattito. Purtroppo, da parte della minoranza non c'è un documento altrettanto approfondito, altrettanto curato. Mi sembra che la proposta presentata dalla minoranza, che vuole contrapporsi al documento che abbiamo preparato, sia ben poca cosa rispetto allo sforzo di elaborazione, che comunque da parte nostra è stato fatto. Questo contributo mi sembra quindi non rispondente a quello che si è detto negli interventi. Negli interventi sono state dette cose anche condivisibili da parte della minoranza, però poi non trovo lo sforzo, nel momento in cui si devono concretizzare queste cose in un documento, in un atto votato dal Consiglio, per tradurre quelle indicazioni in un documento sufficientemente articolato, approfondito e argomentato. Sono preoccupato quando dovremo andare sui singoli atti a trasformare queste dichiarazioni di principio in scelte politiche, in emendamento, in leggi, in atti amministrativi. E' quindi facile salire in cattedra in un dibattito che rimane molto generale, e poi sugli atti concreti continuare a fare tutto quello che si è fatto fino a una settimana fa, un anno fa, dieci anni fa. Richiamo quindi tutto il Consiglio anche alla difficoltà che le amministrazioni devono affrontare quando vogliono difendere l'agricoltura non soltanto a parole, non soltanto sulle dichiarazioni di voto ma anche sugli atti concreti. Penso al grosso problema che sorge per tutte le aziende agricole, i piccoli produttori che qui tutti hanno detto di voler difendere, quando questi hanno una loro iniziativa imprenditoriale che va in direzione della qualità, che si confrontano, poi, con le Asl, con le norme o, peggio ancora, con le interpretazioni delle norme, o con coloro che sul territorio devono interpretare le norme. Spesso, in quella sede troviamo il più grosso ostacolo burocratico alla realizzazione dell'iniziativa imprenditoriale, alla diffusione dell'innovazione in agricoltura.
Se non c'è uno sforzo di elaborazione forte in tutte le sedi, dal Consiglio alle sedi amministrative, dalla maggioranza alla minoranza e se una seduta come questa diventa soltanto una kermesse per uno scontro in cui la minoranza cerca soltanto di screditare gli sforzi, le azioni che vengono fatte da chi governa questa Regione e questo Paese, credo che non facciamo un buon servizio all'agricoltura; forse facciamo un buon servizio alle operazioni demagogiche che in campagna elettorale si moltiplicano come funghi.
Voglio a questo proposito citare la legge finanziaria, perché è stato chiamato in causa il Governo denunciandolo come un soggetto incapace di intervenire, di portare dei contributi concreti in agricoltura. Faccio soltanto un elenco degli interventi in agricoltura nell'ultima legge finanziaria. Forse non abbiamo avuto mai tanti articoli della legge finanziaria che riguardassero direttamente l'agricoltura e che non fossero soltanto in termini di erogazione di contributi e di risorse. Sono azioni precise, dirette all'innovazione, sicuramente non sufficienti, e noi del centro-sinistra siamo i primi a riconoscere questo, però sono un punto di svolta rispetto al passato. Art. 1, comma 3, "Estensione al 2001 delle agevolazioni per l'imprenditoria giovanile in agricoltura"; art. 2, commi 8, 9, 10, 11 e 12: "Estensione delle agevolazioni fiscali a favore delle imprese giovanili in agricoltura e delle società agricole a regime Irap agevolato per l'agricoltura"; art. 14, "Regime di fiscalità delle attività marginali"; art. 15, "Assunzione in appalto dei lavori di sistemazione montana da parte dei coltivatori diretti fino a 50 milioni"; art. 21, commi 1, 2 e 3, "Incentivazione dei carburanti di origine vegetale e degli additivi naturali e disposizioni a favore del biodiesel"; art. 72, "Possibilità di cumulo tra pensione e reddito da lavoro autonomo"; art. 92, comma 15, "Finanziamento del programma di tutela sanitaria per i consumatori in relazione ai residui fito-sanitari"; art. 100, "Provvedimenti a favore degli allevamenti bovini e avicoli"; art. 103, commi 5 e 6, "Credito di imposta per lo sviluppo del commercio elettronico"; art. 122, comma 1, "Possibilità di utilizzare parenti e affini fino al 5° grado per la raccolta dei prodotti agricoli"; art. 123, "Istituzione di un fondo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica, estensione delle deroghe, delle agevolazioni consentite alle aziende agricole per la vendita diretta in azienda anche alla vendita per via telematica", un'innovazione che è una grande svolta; art. 24, "Patti territoriali specializzati nei settori dell’agricoltura e della pesca"; art. 129, "Interventi per le emergenze del settore ovino, bovino, avicolo e selvatico, vitivinicolo, frutticolo, agricolo".
Questi sono solo alcuni articoli specificatamente diretti all'agricoltura che si sommano, ovviamente, a tutte quelle norme che intervengono orizzontalmente sul settore economico. Credo allora che quando promuoviamo delle critiche è bene essere puntuali, precisi, perché poi quella stessa capacità e precisione ce la ritroviamo nella capacità di proporre qualcosa che all'agricoltura serva, e non soltanto scopiazzare o ripetere più o meno a pappagallo documenti che ci possono venire dall'esterno, dalle organizzazioni vicine al mondo agricolo.
Nel nostro documento abbiamo citato la Carta di Fonte Avellana, perché riteniamo che quel documento sia particolarmente importante, significativo, riassume un dibattito, contiene dei valori, ci riporta a un processo di concertazione e di discussione che nessuno in questo Consiglio può disconoscere e nel documento facciamo un riferimento molto chiaro al grande tema che oggi ha legato i consumatori al mondo agricolo, quello della sicurezza alimentare. Siamo convinti che il tema della sicurezza alimentare è una grande occasione per rafforzare il rapporto tra agricoltura e consumatori, su quella strada si deve insistere con grande determinazione, al di là dell'attualità politica o giornalistica dell'argomento. Lo stesso tema degli organismi geneticamente manipolati è un tema importantissimo, perché su di esso si gioca anche la fiducia del consumatore nei riguardi delle produzioni del nostro Paese. E' di oggi la notizia che alla Monsanto sono state sequestrate quantità ingenti di sementi di soia geneticamente manipolata che veniva commercializzata come soia non geneticamente manipolata. Queste operazioni, al di là dell'irresponsabilità dei soggetti che le conducono, mettono a grave rischio la fiducia del consumatore nei riguardi del prodotto agroalimentare che va a comperare tutti i giorni e noi questo non possiamo assolutamente permettercelo. Un prodotto che è certificato a denominazione d'origine deve rispettare quel disciplinare, un prodotto che è certificato esente da organismi geneticamente manipolati deve essere effettivamente esente. Qualsiasi operazione di aggiramento crea degli effetti devastanti sull'economia agroalimentare del nostro Paese, del nostro sistema: abbiamo avuto "mucca pazza" e gli esempi si ripetono. Quindi bisogna intervenire con rigore e soprattutto dare al consumatore quella certezza che spesso oggi non viene garantita e verso cui una logica di deregulation e di liberalizzazione incontrollata sulla quale il centro-destra purtroppo, anche se in maniera non omogenea, spinge.
Penso quindi che ci sia materia su cui discutere, come gli stessi organismi geneticamente manipolati. Ciccioli ha parlato dell'intolleranza alimentare, forse in forza della sua preparazione, della sua provenienza. Gli organismi geneticamente manipolati sono i prodotti a più forte vocazione, a più forte rischio di intolleranza alimentare, anzi sono i prodotti addirittura a più forte rischio per la creazione di resistenza agli antibiotici, perché tutti gli OGM in commercio sono "marcati" con antibiotici, quindi contengono antibiotici a bassissime dosi e possono creare nella popolazione umana e animale delle resistenze agli antibiotici. Su quel tipo di prodotto che oggi qualcuno cerca di difendere o definire come la frontiera del futuro dell'agricoltura, io dico con grande convinzione, confortato anche dall'orientamento che questo Consiglio mi sembra condivide, occorre grande attenzione, perché lì noi rischiamo di avere non soltanto problemi di carattere sanitario ma problemi anche di carattere economico, perché le implicazioni non sono soltanto di carattere sanitario.
L'agricoltura ha spazi infiniti di sviluppo, e quindi, anche se noi ci limitiamo su questo campo possiamo allargarci dappertutto. Penso all'agricoltura no-food, al tema dell'agricoltura ed energia. In Danimarca ormai gli agricoltori sono parte essenziale del sistema di produzione di energia elettrica in quel Paese, con un contributo superiore al 10%, con l'insediamento nelle aziende di sistemi di produzione di energia elettrica attraverso l'uso del vento, quindi l'energia eolica, con iniziative imprenditoriali autofinanziate che hanno permesso di creare un grande polo di produzione di energia elettrica, a partire proprio dalle aziende agricole. Penso, nel nostro territorio, alle zone montane, dove operazioni di questo genere dovrebbero trovare più spazio di quello che già trovano. Il tema dell'agricoltura no-food. Gli oli utilizzati oggi nel nostro Paese per la produzione di biodiesel vengono dalla Germania, per ammissione dei produttori che abbiamo nel nostro Paese. Sono sette aziende autorizzate dal Governo a produrre questo gasolio di origine vegetale che può sostituire senza nessuna modifica il gasolio di origine petrolifera nei motori oggi in circolazione. Questo è un terreno su cui le aziende possono, con un'azione congiunta pubblico-privato sviluppare contratti di coltivazione e aprire la strada a nuovi sbocchi di mercato per aziende come le nostre nella regione Marche, che sono orientate e legate alla produzione dei seminativi.
In questo dibattito si è parlato molto dell'attuazione del piano di sviluppo rurale. Voglio raccomandare all'assessore che sia attuato nella sua interezza, con un'attenzione particolare alle azioni innovative. E' vero quello che dice Ciccioli, che più semplici sono i bandi e più agevole è l'utilizzo delle risorse comunitarie, però è altrettanto vero che se vogliamo fare quello che lo stesso Ciccioli diceva — cioè "finanziamo le aziende che trasformano prodotti agroalimentari nel nostro territorio" — i fondi comunitari ce lo impediscono. Noi non possiamo dire "questo oleificio serve per l'oliva di provenienza marchigiana o italiana e non per l'oliva di provenienza greca", però possiamo, attraverso sistemi che certamente complicano i bandi, certamente complicano la procedura amministrativa, fare in modo che questi impianti privilegino la trasformazione dei prodotti a denominazione d'origine o che in quei bandi si finanzi un sistema che favorisca la produzione d'oliva delle Marche piuttosto che in Grecia. Questo è un prezzo che dobbiamo pagare. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.
Insisto quindi sul fatto che il piano di sviluppo rurale va attuato nella sua interezza anche nelle azioni innovative, anche quelle che in questa fase non sono state tradotte in un bando. Questo è uno strumento indispensabile per contrastare quel fenomeno che l'assessore Agostini ha definito "la coltivazione del contributo", che effettivamente è un grosso problema. Oggi l'agricoltore è più attratto dal valore del contributo piuttosto che dal valore del prodotto.
Questo processo di trasformazione di un'agricoltura come la nostra, fondamentalmente orientata ai seminativi, significa scelte di investimenti, sviluppo della filiera, una conversione che potrà coinvolgere solo gradualmente una parte delle aziende. Però se vediamo altri dati che qui non sono stati citati, sul valore delle produzioni, ci accorgiamo che alcune produzioni che percentualmente coprono una parte ridotta del nostro territorio, hanno un valore paragonabile a produzioni che invece coprono quote anche superiori della superficie agricola utile della nostra regione. Questa è la differenza tra un sistema in cui esiste una filiera, esiste una valorizzazione, esiste una scelta che ovviamente può essere fatta solo da alcune aziende, e un sistema in cui si vuol cercare di inseguire tutti. C'è una selezione in atto in agricoltura e ne è il segnale la forte riduzione del numero delle aziende agricole, la forte riduzione del numero di occupati, ma questo può essere letto anche in senso positivo. Nella stessa industria c'è stata una riduzione del numero degli occupati perché le macchine hanno sostituito alcuni tipi di lavoro.
Credo che noi dobbiamo misurare tutti i parametri e probabilmente il piano agricolo regionale è la sede per analizzare e focalizzare meglio questo tipo di ragionamento.
La politica agricola regionale dovrà quindi passare attraverso un piano agricolo regionale che sappia toccare tutti i temi e in questo senso voglio rispondere alle domande che sono state qui fatte — "non c'è un piano agricolo" — che non è vero. Nella scorsa legislatura è stata fatta una elaborazione di piano agricolo regionale e un documento di questa dimensione, tutt’altro che disprezzabile, anche per il percorso che ha seguito, che non è stato trasformato in un atto definitivo perché è arrivato alla fine legislatura, ma esiste una proposta di piano agricolo regionale scaturita dalla consultazione di tutti quei soggetti che hanno sottoscritto il patto per lo sviluppo, di tutte quelle parti sociali, di tutte quelle realtà che hanno anche richiesto alla Regione di partecipare alla formazione di questo atto.
Dobbiamo pensare all'agricoltura anche in senso globale e in questo senso i problemi posti da un'agricoltura che coltiva nel terzo e nel quarto mondo per i consumi delle zone più ricche deve essere un punto meritevole di essere affrontato, negli atti amministrativi, da una Regione come una nostra. Credo che questa analisi non possa mancare, credo che questo sia un valore, un patrimonio dell'aggregazione politica che io cerco di rappresentare. Spesso si impedisce in questi Paesi, che chiamavano "in via di sviluppo" — ma non vediamo neanche più questi segnali di sviluppo, perché il reddito pro-capite scende paurosamente in alcuni di questi Paesi — di coltivare per i mercati interni, si impone un modello agricolo che trasferisce gran parte del valore aggiunto di tali produzioni all'interno dei Paesi che sono già ricchi, e spesso in questi Paesi si aggirano le regole che già vigono all'interno dei nostri Paesi. Penso all'uso della chimica, dei pesticidi, dei veleni proibiti da tanti anni nel nostro territorio ma che nel nostro territorio continuiamo a produrre, ad esportare e a utilizzare su quei prodotti che poi importiamo da questi Paesi.
Prendo atto della difficoltà di rapporto con l'Unione europea che emerge anche da questo dibattito. Ancorché la nostra Regione ha anticipato in sede comunitaria, con le proposte del piano di sviluppo rurale una serie di iniziative che l'Unione europea ha limitato, ha ridotto il raggio d'azione dei nostri strumenti e ha negato, per esempio, la possibilità di finanziare il ventura capital in agricoltura, cosa che invece non ha impedito in altri settori. Quindi dobbiamo essere consapevoli che i nostri interlocutori sovranazionali, spesso predicano bene ma razzolano male. E credo che anche l'assessore lo possa testimoniare con la sua esperienza di questi mesi.
Altro punto importante, sempre relativo al rapporto con l'Unione europea riguarda i dati citati da Andrea Ricci sul peso dei contributi Pac. I dati che io ho sono ancora più pesanti: sono più di due terzi le risorse che arrivano ogni anno nella nostra regione dalla Pac rispetto a tutte le altre che vengono orientate dalle Regioni e dallo Stato. Certamente quei contributi non producono nessuna innovazione, anzi producono una stagnazione, una immobilizzazione dell'agricoltura verso il vecchio modello, quindi sono un processo di rallentamento dell'innovazione.
Dichiaro fin d'ora il voto favorevole del gruppo Verdi alla risoluzione che la maggioranza ha presentato.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Massi.

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Tre riflessioni rapidissime e una sostanziale.
Intanto ribadisco davanti a tutti che spero che il periodo elettorale finisca alla svelta e spero di trovarmi velocemente al 15 maggio, perché questo darà un aiuto a tutti per essere più realistici, più congrui e obiettivi. Non suoni a rimprovero per nessuno, perché in politica ci siamo tutti e non ci scandalizziamo di niente, ma oggi abbiamo avuto tutti un'enfasi eccessiva su tanti aspetti rispetto ai quali l'interpretazione avrebbe potuto essere un po' più pacata. Ma questa è una cosa normale, non è assolutamente una patologia.
La seconda riflessione è che capisco questo momento, capisco anche l'elencazione molto attinente che ha fatto Moruzzi come consuntivo dell'attività di fine legislatura del centro-sinistra a livello nazionale, ma non voglio pensare — questo valga per tutti — che in questo Paese a ogni legislatura che cambia, a ogni momento elettorale si debba sempre pensare al day after come qualcosa che sconvolge tutto e ricomincia tutto da capo. E' sbagliato dire che dal 1995 si è aperto un periodo rivoluzionario, è sbagliato pensare che il 15 maggio chiunque vinca chissà di fronte a quali nuovi scenari si troverà di fronte così sconvolgenti rispetto a prima. Preferisco pensare a una continuità complessiva che in questo Paese, anche in uno sviluppo democratico incessante anche in momenti difficili e di tensione, c'è stato dall’immmediato dopoguerra ad oggi. Quindi non condivido qualche tono forzato del documento che è stato qui presentato, anche perché voglio far riflettere sul fatto — ma questo lo sanno tutti — che in questo Paese si è assistito, credo senza nostalgie, senza apologie del passato, ad un passaggio eccezionale del capitale concentrato sui latifondi, alla distribuzione della piccola proprietà a tanti soggetti che in periodi precedenti erano poco più che proletari. Credo che di questo vada dato atto, e questo sviluppo c'è stato incessantemente, quindi lo dobbiamo depurare, nell'interpretazione, da anche legittime faziosità. Ma è salutare lasciar da parte interpretazioni politiche forzate su questo periodo, su questi elementi.
La terza riflessione prima dell'aspetto sostanziale, è che ho condiviso molti aspetti di quelli enunciati dalla collega Benatti. Credo che si cada spesso — forse è una nostra comodità di pensiero — ogni volta che parliamo di commercio, di pesca, di agricoltura, di artigianato, nella settorializzazione della nostra visione e della nostra programmazione. E' stato detto bene, dal più piccolo Comune alla Regione, ma allo Stato, all'Unione europea, quando parliamo di cultura, di sociale, di urbanistica, di lavori pubblici, di ambiente, di agricoltura, la sfida che la società civile ci manda è quella di pensare a queste materie, a questi argomenti, programmi, settori d'intervento in maniera omogenea e non eccessivamente settorializzata. Voglio pensare agli aiuti alla famiglia, alla donna imprenditrice, alla donna nella famiglia, alla donna casalinga in agricoltura come nell'artigianato, come nelle altre attività. La Regione deve pensare in maniera globale a questi soggetti, a queste imprese e non in maniera così distinta, che spesso settori rimangono indietro trascurati per spinte diverse.
Vengo all'aspetto sostanziale, e qui mi rivolgo al presidente della nostra Regione. Noi approviamo questo documento, approviamo i documenti di maggioranza e minoranza, abbiamo fatto sicuramente dichiarazioni molto complete e molto compiute per quanto riguarda l'agricoltura e gli aspetti collegati e connessi, ma per quanto riguarda la domanda degli operatori, dei consumatori, degli stakeholders, come li chiamano gli americani cosa succede a livello amministrativo? Questa sussidiarietà, il decentramento... Quando daremo le risposte adatte e tempestive? In poche parole, sussidiarietà orizzontale significa coinvolgimento delle categorie, delle associazioni nella gestione, anche. Non abbiamo mai affrontato questo problema. Lo so che il momento non è questo, lo dovremo fare con animo sereno dopo le elezioni. Quando parleremo della distribuzione dei poteri sulla sussidiarietà verticale, parlando tra noi di quelli che sono i soggetti che i soggetti che governano ambiti ottimali per la gestione delle funzioni amministrative? E' quello provinciale? E' quello comunale? Qual è il destino dei servizi decentrati dell'agricoltura e foreste della Regione? Mi pare che siano risposte che gli uffici stanno attendendo, il personale sta attendendo, ma soprattutto gli utenti stanno attendendo. Quindi mi sembra che in questo momento la nostra risposta come ente Regione sia abbastanza in un limbo, in una nebbia che va assolutamente dissolta, dissipata per dare le risposte giuste. In tutti i documenti di associazioni di categoria che si rivolgono ai soggetti di governo, ormai fino alla noia c'è scritto "snellimento", "accelerazione", "razionalità delle procedure", "risposte dell'apparato burocratico in termini di efficienza e di efficacia". Inviterei a prendere atto, ma soltanto per una critica costruttiva l'urgenza di dare risposte in termini di apparato burocratico-amministrativo, di organizzazione, perché in fondo quello che si rimprovera sempre ai soggetti pubblici è la mancanza di organizzazione e capacità di dare le risposte in termini giusti e più congrui per chi lavora, per chi opera, per chi investe e per chi rischia.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Luchetti.

MARCO LUCHETTI. Consegnerò il mio intervento scritto. Faccio solamente delle aggiunte, che tra l'altro prendono lo spunto dalle ultime considerazioni che l'amico Massi ha fatto nel suo intervento.
Premetto che oltre il discorso della sussidiarietà che sottolineo — penso che Massi abbia posto correttamente questa problematica e penso che, per l'esperienza fatta soprattutto in agricoltura, questo sia possibile — occorra aggiungere la definizione più esatta e più compiuta, che potrà essere sicuramente materia di programmazione, degli interventi a sostegno dell'agricoltura rispetto agli enti strumentali che la Regione viene ad avere a sostegno della sua azione, vedi prima di tutti l'Assam che deve vedere più chiara la sua azione rispetto alla definizione del suo scopo. Non ritorno pertanto a discutere delle proposte che ha fatto il collega Massi in termini di sussidiareità verticale e sussidiarietà orizzontale, che sicuramente, per l'esperienza che si è fatta anche in questa regione potrà trovare nuove frontiere di applicazione — parlo soprattutto di quella orizzontale — per un coinvolgimento diretto delle associazioni, dell'associazionismo proprio sulla frontiera della nuova agricoltura. Vorrei puntualizzare solamente un aspetto in aggiunta a questo discorso della sussidiarietà, quello della programmazione. Sia il documento sia l'intervento fatto da Moruzzi puntualizzano la validità, l'importanza di andare entro il febbraio del prossimo anno a questo programma, a questo piano di settore.
Secondo me dobbiamo fare una riflessione che si pone per l'agricoltura e per le altre materie: come interpretare un nuovo modello di programmazione? Il piano di settore verticale dobbiamo assolutamente integrarlo nel modo migliore possibile con gli indirizzi del Prs che è stato delineato nella scorsa legislatura e che deve interrelarsi con il piano di settore. Ecco perché parlavo di sussidiarietà: non è possibile non tenerne conto da questo punto di vista, perché se è vero che la programmazione deve ripartire dalle esigenze del territorio è vero che i poteri locali, insieme ai soggetti che stanno sul territorio dovranno essere i protagonisti, così come in altri settori anche in agricoltura, dello sviluppo integrato che il territorio viene ad avere.
Se prescindiamo da un'azione programmata in termini formativi anche in agricoltura, sicuramente non riusciremo nei nostri intendimenti. I giovani che rimangono in agricoltura devono poter avere un supporto decisivo dal punto di vista formativo, e io credo che da oggi in avanti anche questo settore dovrà avere le stesse attenzioni che anche altri settori hanno proprio in materia di formazione.

PRESIDENTE. Grazie, Luchetti. Aspettiamo di avere il suo intervento scritto, che naturalmente farà parte degli atti.
Ha la parola il consigliere Procaccini.

CESARE PROCACCINI. Il gruppo dei Comunisti italiani dà un giudizio positivo sull'indizione di questo Consiglio regionale straordinario, anche se purtroppo la ribalta dell'agricoltura torna oggi in virtù dell'emergenza. E' sbagliato che ciò accada, vuol dire che il settore non è stato valutato nel modo giusto, non nel corso degli ultimi anni ma nei decenni.
Vorrei ricordare, anche e soprattutto a chi citava i dati del calo delle imprese agricole, che proprio il modello marchigiano, così come era nato, era basato sullo sterminio, sulla fine dell'agricoltura. Tuttavia non partiamo da zero, perché l'indizione della prima conferenza agricola regionale dell'anno scorso poneva all'attenzione alcune questioni in tempi che non erano sospetti: l'innovazione, il basso impatto, la qualità. Forse non c'è stato un seguito né culturale né di informazione. Oggi il morbo della BSE riporta la centralità dell'agricoltura. La centralità dell'agricoltura come primo elemento della filiera del ciclo della vita umana e degli esseri anche non umani, delle piante, dell'ecosistema.
Le politiche agricole nazionali ed anche europee basate quasi esclusivamente sulle quote di prodotto mostrano ormai i propri limiti, creano selezioni, modificano, se estremizzate, la caratteristica stessa delle aree vaste. La politica fin qui seguita e che oggi deve essere rivista, ha portato ad esempio ad incentivi laddove si doveva prima espiantare e poi impiantare vigneti, sulle vacche da latte e così via.
Questa politica, se non governata — quella delle quote — da un lato frustra, indebolisce vocazioni di alcuni Paesi e dall'altro impone produzioni di merci a Paesi senza vocazione. Basti pensare alla forte produzione di latte in Paesi senza campi, senza foraggi.
In questo contesto quasi esclusivamente tecnocratico e non di vocazione ma esclusivamente di impresa commerciale, si è inserita tutta la questione degli organismi geneticamente manipolati. Noi siamo qui a dire che non bisogna certamente fermare la ricerca. Se la ricerca stessa deve servire a salvaguardare quelle risaie in Asia per quei Paesi che morirebbero di fame senza le stesse, questa ricerca va incentivata. Ma il rischio ormai evidente è di una degenerazione della ricerca stessa, una degenerazione innaturale basata esclusivamente sul commercio ed in primo luogo sul profitto. L'allargamento ad est della Comunità europea, la nuova politica agricola comunitaria, il maggiore ruolo delle Regioni impongono una rivisitazione complessiva di tutto ciò, che è ormai alle nostre spalle. Il varo da parte del Parlamento nazionale della legge di orientamento strategico in agricoltura ci auguriamo vada in questo senso, anzi siamo convinti che andrà in questo senso. Le Marche tuttavia non partono da zero. Oggi si tratta di dare concretezza ed approvare in tempi brevi il piano agricolo regionale.
Si parlava prima del Leader plus. Vorrei ricordare che è stata fatta una scelta significativa che la dice lunga: una politica campanilistica della destra che mette ancora una volta territori contro territori. Anzi, proprio questa concezione di concentrare le risorse, talvolta poche risorse, dà il segnale di una consapevolezza che proprio il settore agricolo, oggi, può essere come elemento di traino anche in quelle realtà dove il dinamismo economico e sociale non è a livello di altre zone. C'è stato un cofinanziamento nei settori tradizionali, un orientamento nuovo verso altri settori: l'agricoltura a basso impatto biologico. E qui è stata ricordata la Carta di Fonte Avellana come sintesi positiva tra produzione e territorio, sintesi positiva tra produzione e tenuta del territorio, vale a dire lo sviluppo sostenibile.
Vorrei ricordare ad alcuni consiglieri troppo distratti da un vortice elettorale o elettoralistico, che questa maggioranza, questa Giunta e, oserei dire, questo Consiglio regionale, in diverse fasi hanno destinato 760 miliardi in larga parte al settore agricolo nelle aree terremotate, proprio perché nelle aree terremotate bisognava e bisogna accompagnare alla ricostruzione anche lo sviluppo economico. Oggi c'è bisogno, secondo noi, di una vera e propria nuova riforma agraria con la partecipazione attiva delle associazioni che devono avere un maggiore ruolo, e occorre che si esca dalla degenerazione della concertazione, ma si addivenga ad una piena partecipazione attiva delle associazioni agricole, con un ruolo della filiera degli enti locali, della legge attuativa che questo Consiglio regionale ha già approvato: Province, Comuni e Comunità montane. Occorre che si attui in maniera piena quella legge e se ne verifichino anche gli effetti.
Il piano agricolo regionale, infatti, avrà un senso se avrà risorse aggiuntive rispetto alle attuali, altrimenti sarà il mero adeguamento tecnico a normative internazionali.
L'emergenza BSE che c'è stata anche nelle Marche con un caso presunto o vero, dimostra sempre più che l'economia ha lasciato all'agricoltura un ruolo marginale. Anche il concetto di una presunta qualità a prescindere, fine a se stessa, dopo questo caso è parso effimero e al tempo stesso provincialistico. Va dato al concetto di qualità di cui le Marche sono portatrici, una concretezza che divenga qualità non come nicchia ma qualità come quantità, qualità come motivo e momento dello sviluppo, altrimenti avverrà quello che è successo per la cultura contadina, che anziché essere vista come patrimonio di lotte contro la mezzadria, in virtù delle politiche sbagliate fin qui seguite è stata risolta e relegata a fatto folcloristico. Così potrebbe succedere anche sulla qualità. Non si capisce, a questo proposito, come mai c'è stata questa grave sottovalutazione sulla provenienza dei bovini, sulla loro rintracciabilità o tracciabilità e come mai rispetto all'anagrafe bovina che nelle Marche è al di sotto delle 100.000 unità solo ora, con molto ritardo, i bracci operativi della Regione, ad esempio le aziende sanitarie, solo ora, con molto ritardo, stanno immettendo i dati. Il nostro gruppo voterà la risoluzione della maggioranza, perché al di là di un'analisi che deve essere approfondita, tuttavia nel dispositivo concretizza punti significativi ed operativi, in primo luogo accelerare la funzione dell'osservatorio agroalimentare come elemento di lettura rispetto a quello che succede in un settore strategico, confermare la proposta di piano zootecnico, e da questo punto di vista occorrerebbe anche fare una riflessione complessiva sulla necessità, ormai non rinviabile, di una riconversione dal punto di vista dell'utilizzo anche delle risorse agricole ma soprattutto delle aziende agricole, vale a dire la rivalutazione dei prati-pascolo, l'immissione in questo settore di una nuova e più qualificata e selezionata manodopera. Inoltre, predisporre il piano agricolo regionale che, come dicevo all'inizio deve avere una dotazione seria ed effettiva, altrimenti rischia di essere uno dei tanti piani.
In conclusione possiamo dire che questo Consiglio regionale ha aperto uno squarcio rispetto ad una discussione tutta provincialistica che rischiava di mettere aree contro aree, zone contro zone. Mi auguro, ci auguriamo che da questa discussione si possa trarre una sintesi utile a tutto lo sviluppo delle Marche.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione. La mozione n. 16 si può considerare assorbita, come la 33, su richiesta del gruppo di Forza Italia, la 72 e la 78.
Pongo in votazione le due risoluzioni come sono state presentate.
Ha la parola il consigliere Gasperi.

GILBERTO GASPERI. Presidente, faccio con piacere questo intervento, specialmente dopo avere ascoltato gli interventi fatti dai colleghi consiglieri, in modo particolare il collega Moruzzi che ha criticato, secondo me in modo poco costruttivo, sul piano politico, la risoluzione del Polo, dicendo "è una paginetta rispetto a quest'altra risoluzione molto più importante". Sul piano prettamente tecnico vorrei fare chiarezza. Anzitutto, quando i documenti sono molto lunghi è perché bisogna dare risposta alle varie correnti, ai vari gruppi e ai vari partiti che fanno parte della maggioranza, ma quello che mi ha stimolato a intervenire, è la prima parte, ove si dice "consapevole del fatto che per troppi anni l'Italia ha relegato ai margini del dibattito politico, economico e culturale la questione agraria e che per le scelte produttive si sono privilegiati prevalentemente i criteri quantitativi, i cui costi diretti e indiretti sono spesso risultati maggiori dei vantaggi; che tutto ciò è avvenuto a scapito della qualità, della redditività, della competitività". Caro assessore, non volevo intervenire, ma quando si scrive una cosa di questo genere vorrei sapere come si può parlare della redditività e della qualità, quando il segretario generale ha trasmesso per il cortese inoltro al ministro degli affari esteri, una lettera della Commissione relativa agli aiuti di Stato. Si dice: "Le imprese interessate — quelle che hanno dato i finanziamenti a quella famosa cooperativa dove è avvenuto il caso della BSE — devono dimostrare che l'intervento è motivato da difficoltà finanziarie a carattere eccezionale (crisi del settore, crisi finanziaria, riduzione forzata della produzione per motivi ambientali, sanitari o calamità naturali a ripercussioni socio-economiche sui produttori agricoli) e incide a livello occupazionale". Ci sono gli indici di redditività, gli indici finanziari e di struttura. Tra questi indici vengono presi in considerazione il reddito operativo valore della produzione sugli indici di redditività, fatturato scorte, oneri finanziari fatturato. Tra gli indici finanziari di struttura ci sono: tempo di dilazione dei pagamenti ai fornitori, reddito operativo oneri finanziari, attivo circolante magazzino passività, attivo circolante passività, capitale permanente o immobilizzazioni, debito bancario a breve termine, passività". Per la cooperativa zootecnica di San Severino si dice: "settore latte bovino, importo dell'aiuto 1.500 milioni". Poi, perdite d'esercizio reddito operativo capitale operativo, dilazione dei pagamenti ai fornitori, attivo circolante e passività. Nella relazione che viene mandata a Bruxelles c'è scritto: "Dal 1996 la cooperativa iniziò una fase discendente anche dal punto di vista economico: 1996 perdita di 204 milioni; 1997 perdita di 272 milioni; 1998 perdita di 310 milioni. La difficile situazione economico-fianziaria degli ultimi anni ha comportato un progressivo indebitamento verso i soci, tramite i prestiti sociali. Al 31.12.1998 ammontavano a £. 973.920.550. Verso gli istituti bancari, con debiti a breve. Al 31.12.1998 ammontavano a £. 476.307.986. Verso i fornitori con addebito di interessi passivi. Al 31.12.1998 ammontavano a £. 896.874.001".
Come si può fare una risoluzione dando queste indicazioni, quando questa maggioranza ha dato un aiuto di 1.500 milioni a questa cooperativa, prima delle elezioni, malgrado tutti gli aiuti che erano stati dati precedentemente? E poi mi si viene a dire che "i risultati conseguiti dal 1995 per opera del Governo di centro-sinistra che ha favorito non di rado con intuizioni di avanguardia...".Collega Moruzzi, che sia all'avanguardia nel dire le bugie sono perfettamente d'accordo, che sia all'avanguardia nel portare avanti un discorso di appoggio... (Interruzione). Perché, queste sono verità? In questa risoluzione non si prende in considerazione ciò che è stato seminato. Si dice che "nel ruolo dell'imprenditore agricolo singolo e associato e nell'iter di progressiva espansione e qualificazione dell'imprenditoria del settore gli assi portanti dalla politica agroalimentare delle Marche, fattore costituente dell'insieme delle politiche per lo sviluppo sostenibile e per le istituzioni marchigiane, sono impegnate a realizzare". Penso che può essere scritto anche con cinque od otto pagine, però se andiamo a togliere tutta quella parte che non dovrebbe essere scritta perché è stata completamente mistificata dalla realtà di ciò che è avvenuto in questi anni, credo che non si possono fare queste considerazioni.
La votazione di questa risoluzione è talmente presa in poca considerazione dalla maggioranza, che se noi andassimo via non ci sarebbe nemmeno il numero legale per votarla. A questo punto c'è solamente, da parte nostra, una presa di coscienza dimostrando una seria volontà, anche perché tutto ciò che è fatto questa mattina non potete andare a sbandierare che è una risorsa per l'agricoltura italiana. Siete talmente poco convinti voi stessi, che qui non c'è il numero legale. Noi stiamo qui, voteremo contro, ma per lo meno abbiamo un alibi nel dire che ciò che viene male interpretato in questa risoluzione non a livello verbale dal sottoscritto o dai consiglieri di minoranza, ma dagli atti che sono stati fatti dal 1995 al 2000.... (Interruzione). Non parlo degli atti successivi, perché quelli li vedremo durante la discussione del bilancio. Mi sembra che sia veramente qualcosa di cui qualcuno dovrebbe vergognarsi. Noi siamo orgogliosi di stare qui, vi aiutiamo a votare, poi ognuno si assumerà le responsabilità politiche che ha il dovere di assumersi.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di risoluzione a firma dei gruppi di maggioranza.

(Il Consiglio approva)

Pongo in votazione la proposta di risoluzione a firma dei gruppi del Polo.

(Il Consiglio non approva)

C'è la mozione n. 99 del collega Massi sul patto territoriale della provincia di Macerata che dobbiamo rinviare al prossimo Consiglio, quindi la seduta è tolta.

La seduta termina alle 19,10