Resoconto seduta n. 54 del 14/09/2001
RESOCONTO INTEGRALE

SEDUTA DI VENERDI' 14 SETTEMBRE 2001
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUIGI MINARDI
INDI DEL VICEPRESIDENTE GIUSEPPE RICCI

La seduta inizia alle 10,55

Comunicazioni dei Presidenti del Consiglio e della Giunta regionale sul grave attacco terroristico avvenuto negli Stati Uniti d’America

PRESIDENTE. Colleghi consiglieri, vi invito a prendere posto e a spegnere i telefoni cellulari, visto anche che a mezzogiorno dovremo celebrare tre minuti di silenzio, qui nelle Marche come in tutta Europa, nei luoghi pubblici di tutta Europa, un gesto che ci unisce in una condanna simbolica dell'attentato che c'è stato negli Stati Uniti d'America lunedì scorso.
"L'ltalia è in lutto". L'esordio del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha espresso perfettamente lo stato d'animo condiviso dall'intero nostro Paese.
Le immagini terrificanti hanno colpito al cuore tutti gli italiani, provocando un dolore che il capo dello Stato ha interpretato con la tempestività del suo messaggio.
Allo sgomento si è unita la unanime solidarietà per una tragedia che da americana è subito stata percepita come tragedia di dimensione mondiale.
L'analisi a caldo dell'accaduto da parte del nostro presidente ha evidenziato questioni fondamentali che tutti i livelli istituzionali e l'opinione generale dei cittadini italiani hanno condiviso e riaffermato nei giorni seguenti: "Questi attentati contro gli Stati Uniti colpiscono e offendono l'intera comunità internazionale. Richiedono una lotta senza quartiere contro il terrorismo. Sappiamo di difendere in questo modo i valori che sono alla base della civiltà e della pacifica convivenza fra i popoli."
Il suo appello affinché a livello internazionale si lavori "in assoluta comunità di intenti per la difesa di quei valori a cui gli USA hanno fornito un contributo impagabile e che oggi sono stati barbaramente violati" ha trovato conferme nell'atteggiamento assunto dalla generalità degli Stati.
E' diffusa la consapevolezza che niente sarà più come prima. E' forte il timore che le conseguenze di questo assalto possano essere terribili. E' probabile che questo evento trascini con sé ancora più violenza, più morti, più dolore per tutti.
Così è infine iniziato il ventunesimo secolo. Con le Twin Towers è forse esplosa anche l'idea che il mondo fosse ormai liberato da contraddizioni laceranti, invece è ancora pieno di fratture su ogni piano, politico, economico, culturale. Politica, scienza, tecnologia non l'hanno unificato. Fratture vecchie e nuove lo agitano terribilmente.
In questa circostanza l'Occidente ha ritrovato la sua comune identità democratica e di società liberale.
Ma occorre superare l'illusione che i valori occidentali siano necessariamente condivisi da cinesi e africani, arabi e sudamericani. Non tutti vogliono diventare occidente. Esistono identità irriducibili, valori non negoziabili dei quali occorre tener conto sviluppando il concetto di interdipendenza. Come pure non bisogna pensare a un indistinto mondo arabo e mondo islamico che sono, invece, molto articolati.
Dopo le prime sensazioni è oggi possibile sviluppare alcune riflessioni e tentare qualche ragionamento su alcuni dei temi emersi.
Il primo punto è il fatto che ne ragioniamo a quattro giorni di distanza e, dunque, costituito dalla condanna e dalla solidarietà quasi unanime. L'orrore istintivo per un atto di tale gravità ha fatto superare qualsiasi barriera di carattere politico. Nella gente comune e nei governi. Tutti nel mondo si sono sentiti coinvolti e tutti si sono sentiti minacciati dall'assalto terroristico.
Il terrorismo è un nemico comune, una minaccia subdola. Le istituzioni democratiche hanno voluto offrire ovunque - dai nostri territori sino ai governi centrali - una prova tangibile di solidità, interpretando un bisogno assai diffuso tra la gente. E' la conferma che nei momenti di difficoltà si evidenzia ancora di più l'importanza delle istituzioni. Che continuano a costituire un punto di riferimento per tutti.
Il secondo punto è la portata simbolica dell'atto. Enorme. Perché per la prima volta nella sua storia un paese come gli Stati Uniti (che si credeva invulnerabile) è stato colpito in maniera così dura sul suo territorio. E' stato così distrutto il mito della invulnerabilità americana e introdotto un dubbio: contro un esercito di ombre e di fantasmi sono forse inutili o comunque scarsamente affidabili le misure di difesa costose, complesse e politicamente controverse come lo scudo spaziale. Proprio perché il nuovo nemico dell'occidente non è uno stato o un blocco in particolare. Persegue un obiettivo: la guerra a una civiltà da cui si sente umiliato e che gli sta davanti con la forza della sua ricchezza, del suo progresso tecnico, economico, politico. Si ha la chiara sensazione che non solo l'America ma la modernità stessa sia stata colpita.
Oggi, finita la guerra fredda, la minaccia pericolosa, anche perché impalpabile, ci costringe inevitabilmente a ripensare anche nuove linee di politica internazionale.
Tra le tante voci, quella auotrevolissima del Papa che ci lancia un messaggio condivisibile, credo che debba essere assolutamente ripresa.
Nell'udienza di mercoledì il Papa ha invitato tutti, in particolare gli USA, a non percorrere la via della vendetta, senza per questo trascurare di isolare e punire i colpevoli. Aggiungendo che mai le vie della violenza conducono a vere soluzioni ai problemi dell'umanità.
Certo i terroristi con il loro gravissimo atto hanno compiuto un "terribile affronto alla dignità umana". Ma, ha aggiunto il Papa, occorre guardare con senso di responsabilità al futuro se si vuole davvero costruire un nuovo ordine mondiale fondato sulla convivenza pacifica. E ha ammonito che se "dal cuore dell'uomo emergono a volte disegni di inaudita ferocia", quest'ultima può essere combattuta e rimossa "solo coltivando decisi e coraggiosi propositi di pace, al di là di razze, religioni e culture diverse".
Che cosa serve? E' il momento di mostrare la forza della politica. Con l'assalto agli USA è caduta l'illusione di poter difendere il mondo sviluppato circondandolo con un cintura di sicurezza di tipo militare.
Occorre lavorare a tutti i livelli per una sicurezza efficace perché capace di prevenire i conflitti, disinnescarli in anticipo, isolare il fondamentalismo e il terrorismo. Costruendola attraverso la valorizzazione delle organizzazioni internazionali e non solo imponendola attraverso azioni di forza unilaterali.
Serve, in primo luogo, restituire un ruolo agli organismi internazionali democratizzati, cominciando dalle Nazioni Unite. La pace va costruita e non imposta con la forza. Per farlo servono le sedi adatte.
Per questo serve accelerare la costruzione dell'Unione europea. E' indispensabile aprirsi al dialogo nei momenti di difficoltà, percorrere strade nuove, mai esplorate in precedenza. Lavorando con pazienza, tenacia, e intelligenza per asciugare l'acqua nella quale nuotano i fondamentalisti, per spegnere i fuochi dell'odio e del rancore.
Occorre farsi carico che intere popolazioni sono oggi ai margini dei processi di sviluppo di cui spesso conoscono solo le drammatiche contraddizioni. Quando un essere umano su quattro vive con meno di un dollaro al giorno, lo spazio e la responsabilità per la politica sono immensi. Per dare spazio alla politica occorre rivitalizzare e rendere più democratiche le sedi internazionali, dove le decisioni non possono essere prese solo dalle nazioni più ricche.
L'obiettivo di un governo democratico del pianeta non è più utopia da sognatori ma una esigenza da perseguire attraverso una costante, continua e paritaria presenza di tutte le posizioni. Lo vogliono i cittadini che si sono stretti in questi giorni intorno all'America ferita. Noi dobbiamo saper cogliere e interpretare questa spinta che viene dal basso, dandole voce sin da oggi. Attraverso un impegno quotidiano che ci coinvolge tutti. Per mobilitare i cuori e le intelligenze e indirizzare le energie verso un obiettivo che sentiamo comune.
Ha chiesto di parlare il consigliere Silenzi. Ne ha facoltà.

GIULIO SILENZI. L'attacco terroristico che martedì scorso ha colpito gli Stati Uniti d'America costituisce un evento di sconvolgente gravità. Le parole sono inadeguate ad esprimere l'orrore e la condanna per questa violenza cieca e barbara, che colpisce indiscriminatamente le vite pacifiche di migliaia di persone e minaccia la civiltà stessa.
Non è pleonastico ribadire la condanna per questa violenza cieca che, come ha detto il Santo Padre, "rappresenta un terribile affronto alla dignità dell'uomo".
La condanna e l'isolamento del terrorismo devono essere, da parte di tutti i protagonisti sulla scena internazionale totali, netti ed inequivocabili, uniti ad uno sforzo straordinario per spezzare una terrificante spirale di violenza, da cui non può venire risposta a nessuna causa.
All'orrore e alla condanna si compagna la solidarietà al popolo e al governo degli Stati Uniti, un Paese amico e alleato al quale rinnoviamo il nostro attivo sostegno in un momento così grave, convinti che esso saprà reagire, forte della solidarietà di tutto il mondo civile.
L'altro giorno il ministro degli esteri Ruggiero ha scritto in un quotidiano che questo evento può cambiare il destino stesso del mondo e alterare il senso della storia. Penso che Ruggiero avesse ragione: l'11 settembre costituisce certamente lo spartiacque nella storia contemporanea.
La grandiosità tragica di quanto è accaduto richiede da parte di tutti grande senso di responsabilità e la capacità di interrogarsi su aspetti cruciali del nostro presente.
Questo è compito soprattutto della politica, la quale è chiamata prepotentemente, oggi, a riassumere il proprio insostituibile ruolo, dopo che per un tempo troppo lungo avevamo assistito alla sua eclissi di fronte al potere dell'economia e della tecnica.
Oggi più che mai c'è bisogno di politica, di una grande politica che sappia dare risposte ai dubbi e sappia affrontare i rischi che si presentano.
Per questo non serve attardarsi sugli aspetti più contingenti degli eventi di questi giorni ma occorre porsi domande più importanti.
E' stato detto che è come se il male si fosse improvvisamente materializzato nella sua forma più brutale, quasi assoluta. Ebbene, dobbiamo chiederci da dove venga questo odio cieco, da che cosa sia prodotto. E' questa la prima domanda alla quale dobbiamo rispondere.
Nei commenti di gran parte degli osservatori sono stati evocati possibili focolai di odio sullo scenario internazionale che possono aver generato, anche in sinergia, questo inaudito attacco: chi ha parlato del problema medio-orientale e del fondamentalismo islamico che viene alimentato dalla frustrazione per la condizione dei palestinesi, chi ha visto in questo atto criminale l'espressione dell'ostilità e dell'angoscia che la moderna globalizzazione sta provocando ovunque. Negli Stati Uniti, più che in un qualsiasi altro Paese vi è da tempo una sofisticata e acuta riflessione sui rischi che la situazione internazionale successiva al crollo dell'Urss e ai processi di globalizzazione ha prodotto. E' dal 1993 che vengono proposte delle interpretazioni della nuova fase storica che partono tutte dalla descrizione di un nuovo scenario dei conflitti. Comune è la tendenza a indicare l'esigenza di dare a questi conflitti una soluzione solo in termini difensivi, cioè attraverso la costruzione di un sistema che preservi l'occidente dalle perturbazioni e dalle fluttuazioni pericolose, sia in termini politico-militari che culturali ed economici che proverranno necessariamente dal resto del mondo. In altre parole, il mondo si è spezzato in due: da una parte il 15% della popolazione mondiale, l'area della pace, della ricchezza, della democrazia; dall'altra il resto dell'umanità che vive nella povertà, nella guerra, nella tirannia e nell'anarchia.
Di fronte a questa situazione l'occidente non deve illudersi di poter universalizzare il suo sistema, perché sarebbe illusorio e pericoloso.
L'unica soluzione è quella di costruire un vallo che impedisca alle perturbazioni dell'altra parte del mondo di coinvolgere l'occidente. Corollari di queste dottrine sono, da un lato, la svalutazione degli organismi internazionali che incarnano l'aspirazione universalistica (primi fra tutti l'ONU e le altre istituzioni internazionali che si propongono di costruire un ordinamento frutto del concorso paritario di tutti gli stati), per privilegiare al loro posto i sistemi di alleanza tra paesi omogenei, gli accordi bilaterali e moderatamente multilaterali, i gruppi di cooperazione rafforzata, ecc.; dall'altra parte vi è la tendenza, che è stata attuata in modo massiccio dalla amministrazione Bush, di un sempre minore coinvolgimento diretto nelle aree di crisi, accompagnata dalla ricerca della supremazia militare assoluta.
Ebbene, se c'è una cosa che l'orribile attentato di martedì ha dimostrato in modo inequivocabile è la fragilità di queste soluzioni, non solo sul piano strettamente militare (il progetto dello scudo spaziale si è dimostrato, nonostante il suo carattere tecnologicamente avveniristico, del tutto anacronistico), ma soprattutto sul piano politico: perché è illusoria, come ha dichiarato D'Alema alla Camera, l'idea di una sicurezza divisibile: "non c'è sicurezza da noi se c'è la guerra in medio oriente. Occorre bonificare i giacimenti dell'odio, offrire prospettive di speranza, possibilità di affermazione dei propri diritti laddove incancreniscono da decenni crisi che appaiono prive di prospettive".
Da sempre, ad esempio, il delegato palestinese in Italia, Namer Ammad, accoratamente parla all'Italia, all'Europa dicendo "badate, che se non si risolve la pace nel medio oriente questo è un problema vostro, non solo nostro, perché diventerà un problema che coinvolgerà l'intera comunità mondiale".
Quel che è in gioco nel modo in cui verrà impostata la reazione da parte dei paesi occidentali, non è soltanto, come ben si comprende, la punizione dei responsabili di questo barbaro atto, che vanno perseguiti e puniti, ma soprattutto la difesa dei valori di democrazia e libertà che i Paesi occidentali affermano e che sono certamente uno degli obiettivi, se non il principale, dei terroristi.
Da parte mia penso che l'impegno di oggi comprenda anche lo sforzo politico per rendere più giusto il mondo, per rilanciare, certo nel rispetto delle differenze culturali, l'ideale di un mondo realmente unificato dal comune rispetto dei diritti dei popoli e dei singoli, dalla giustizia e dal rispetto per la dignità umana. Altrimenti continueremo, vanamente, a costruire attorno alle nostre case e alle nostre società dei muri che non saranno capaci di proteggerci ma dei quali finiremo per essere anche noi prigionieri.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Grandinetti.

FABRIZIO GRANDINETTI. Signori Presidenti, colleghi, penso che il nostro primo pensiero debba andare alle migliaia di vittime innocenti che sono state assassinate dagli aerei dei terroristi a New York e a Washington e alle persone che viaggiavano in quegli aerei. Ancora non si sa il numero, ma al di là del numero è stata un'ecatombe inimmaginabile.
La libertà e la difesa della democrazia e del mondo hanno avuto una convergenza di solidarietà, in questi giorni, tra nazioni che storicamente sono state in conflitto — parlo non solo di conflitti che si sono giocati con la tradizionale guerra storica, ma anche con la guerra fredda — che in questo momento hanno avuto una grande solidarietà tra di loro, per cui ritengo che gli equilibri di alleanze politiche saranno sconvolti da questo nemico invisibile e perciò vigliacco, codardo, che non dichiara una guerra e poi la combatte, come è stato nella tradizione — perché purtroppo le guerre esistono e purtroppo pare che esistano ancora focolai di guerra in tutto il mondo — ma la porta verso cittadini inermi, di cui non si conoscono né idee e né ideologie e che sono stati brutalmente colpiti, assassinati, sconvolgendo tante famiglie.
Fino a questa mattina si sentivano ancora le telefonate intercorse — qualcuna, forse, pilotata — tra mogli, mariti, parenti che si telefonavano dagli aerei, oppure dalla torre così gravemente colpita e che stava per crollare. Si tratta di ultimi segnali d'affetto che fanno veramente accapponare la pelle.
Penso che al di là di tanto antiamericanismo in questi anni, anche in Europa e in Italia, la grande solidarietà agli Stati Uniti va data da tutti, come è stata intelligenza non solo di Blair che è un uomo tradizionalmente amico e leader di una nazione amica, ma anche di Putin, che è stato uno degli uomini che per primi hanno dato la solidarietà, e l'ha data in modo convinto dicendo che il pericolo, oggi, è un altro: non è tra le nazioni ma quello del terrorismo che può colpire chiunque.
Voglio mettere l'accento anche sulla grande dignità con cui io popolo statunitense ha affrontato questo momento. Questi ragazzi che vogliono servire il Paese e in questi giorni vanno volontari presso l'esercito per cercare in qualche modo di mostrare un patriottismo che è sano, all'interno anche di una solidarietà mondiale, il rispetto della propria identità, della propria nazione. Faccio una breve nota che può non avere significato, ma penso al patriottismo della nostra nazionale di calcio, persone miliardarie che non hanno nemmeno il coraggio di pronunciare l'inno nazionale. Provo un certo ribrezzo a confronto di questi uomini che all'aeroporto di Fiumicino dicevano "non vedo l'ora di tornare nella mia nazione per dare il sangue, per essere solidale". Una reazione popolare encomiabile.
Non dimentichiamoci che questi ragazzi che oggi si vanno ad arruolare, qualche decina di anni fa, nella prima e seconda guerra mondiale sono venuti qua a darci una mano, sono andati in giro per il mondo tacciati da imperialisti, ma hanno cercato in qualche modo di controllare la pace nel mondo e sono morti anche per la nostra libertà e per la libertà di altre nazioni. Che sia dunque la fine di questo antiamericanismo non accettabile, che sia la solidarietà di tutti i popoli democratici convinti della difesa della libertà, perché la libertà è di tutti e va difesa da tutti in modo convinto. Penso che oggi la democrazia sia unanimemente accettata dalle nazioni civili.
La guerra, il terrorismo, il fanatismo sono cose diverse e penso adesso non tanto ai fatti di Genova quanto a tante critiche che sono state fatte al nostro Governo che ha ben difeso, sotto l'aspetto del controllo aereo, da quelli che potevano essere gli attentati che la nostra intelligence aveva intercettato. Il nostro spazi è stato ben difeso, alla luce di questi fatti molto gravi.
Riprendo i tre concetti del presidente del Consiglio, esposti alla Camera dei deputati
qualche giorno fa: individuazione e punizione dei responsabili in modo intelligente e mirato, senza ritorsioni di facciata che vadano a colpire altre persone inermi, quindi una cosa intelligente dopo che si è accertato che la punizione è inevitabile, perché è un deterrente utile; eliminazione delle reti di protezione che comunque ci sono state (oggi molti Stati corrono a dire che sono amici dell'America, però protezioni a questo terrorismo sono state date. Stiamo in guardia, perché oggi colpiscono l'America, ma domani, come dice giustamente Putin, "possono colpire me" e dopodomani possono colpire la nostra nazione); sistema di protezione e di intelligence che va rafforzato dappertutto, quindi anche da noi, per intercettare questo nemico invisibile e vigliacco che ci può colpire da un minuto all'altro.
E' stata portata una sfida. Parlo del discorso ad altissimo livello fatto dal presidente del Consiglio, ma fatto anche dall'on. D'Alema, senza faziosità e senza cadute di stile, in difesa convinta della democrazia, una sfida non tradizionale. L'assetto del mondo, le alleanze politiche, la sicurezza delle nazioni, lo stato psicologico della gente sono comunque stati colpiti da quello che è successo e ci ha sconvolto tutti, quindi nessuna tolleranza. Ma per difendere questi valori di libertà e democrazia non possiamo essere tolleranti con queste persone che proditoriamente colpiscono. Questa è una guerra contro il fanatismo, contro la barbarie, contro chi volete, che vuole, comunque, la fine del mondo civile.
A mio avviso è stato toccata in un certo modo, la questione medio-orientale che qualcuno ritiene essere stata il focolaio in cui sono nati questi fanatici, queste persone che hanno peso anche la loro vita, che con una grande dose di fanatismo sono andate a cozzare contro la democrazia e la libertà. A mio avviso il mondo civile, il mondo che ormai ha fatto patrimonio di questi grossi valori che sono stati in qualche modo inficiati o si tenta di inficiare, deve premere in modo deciso e determinato su tutte le nazioni che oggi sono in contenzioso di guerra, o comunque di scaramucce, che in pratica sono guerre, per creare un assetto non prepotente, ma che necessita ci sia a livello mondiale, per impedire che succedano queste reattività verso nazioni e che sono atti proditori verso persone che vogliono colpire il presidente degli Stati Uniti, ma sono anche sintomo di altri disordini mentali che abitano anche nella nostra nazione. Sapete che al dott. Serra, ex prefetto di Ancona, qualche giorno fa è arrivata una lettera esplosiva, ad altri personaggi sono arrivate lettere esplosive, non affrontando con opinioni, anche diverse, da avversari leali, i problemi del mondo, ma colpendo l'avversario anche nel fisico, facendolo morire, amputandolo, ferendolo nella sua psicologia, nel suo fisico con questi mezzi proditori.
Occorre dunque esercitare verso le nazioni che sono in contenzioso una grande forza e un assetto, anche meditato, delle nazioni civili, per evitare che conflitti tra nazioni che hanno origini complesse, storiche — penso alla questione israelo-palestinese — debbano poi propagarsi e far diventare il mondo un focolaio enorme. Questo è il senso di responsabilità che ritengo sia stato grandemente dimostrato a livello internazionale, con la grande solidarietà data agli Stati Uniti, che sono un simbolo che è stato colpito, ma poteva essere colpita anche un'altra grande nazione e sarebbe stata la stessa cosa. Una solidarietà molto positiva, da cui penso possa scaturire una vera solidarietà contro questi nemici che non si dichiarano e che colpiscono, in modo che possa essere motivo anche di solidarietà internazionale e non motivo di conflittualità ulteriore.
Questo è l'appello, anche a meditare, a cercare di essere meditati, ed è un appello anche alle forze istituzionali, al Parlamento, ai Consigli comunali, alle istituzioni, a tutti quelli che fanno politica a rinunciare a certe liti, a un certo tipo di manifestazioni, a rinunciare al conflitto per il conflitto e a cercare di convergere su problemi, quando è possibile farlo, senza recitare riti inutili che non sono necessari se non c'è un disaccordo vero.
Penso che questo senso di responsabilità, dopo questa grande lezione, dobbiamo averlo tutti, cominciando ovviamente da chi parla. Per aggiungere qualcosa a una frase che ho sentito, cioè che l'America si sentiva invulnerabile, io penso che oggi nessuno è invulnerabile. E' caduto il muro di Berlino, l'America è attaccabile, è stata attaccata e ha pagato nel modo in cui ha pagato. Tutto è possibile in questo mondo e tutto è diretto da forze che stanno al di sopra di noi. Quindi non esiste un mito di invulnerabilità da parte di alcuno, di arroganza da parte di alcuno, esiste solamente la foto che abbiamo stampata nella nostra mente, di questa gente coraggiosa che esiste, da cui dobbiamo prendere esempio, di questi pompieri che se ne andavano su nei grattacieli mentre la gente veniva giù; gente che si è sacrificata nella solidarietà. Questo deve farci riflettere sulla necessità di essere solidali con chi soffre, con chi è in difficoltà, perché c'è gente che in questi giorni ha dimostrato stoicismo — una parola che usiamo anche in altre situazioni in cui secondo me non è adatta — eroismo, sacrificandosi veramente per il bene comune.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Rocchi.

LIDIO ROCCHI. La tragedia che ha colpito gli Stati Uniti e di tale entità da rendere difficile qualsiasi tentativo di riflessione.
L'impensabile, quello che generalmente si riteneva impossibile è diventato realtà. Da martedì nessuno può più continuare a ragionare secondo gli schemi precedenti.
Fra le tantissime vittime incolpevoli dell'orrore che così ferocemente ha investito l’America, per non ripetere un esecrazione che rischia di diventare uno sterile rituale cercherò di svolgere una riflessione personale, che al di là della conoscenza particolareggiata dei fatti e delle responsabilità è l'unica cosa che oggi si può fare. Gli attacchi kamikaze, le spaventose immagini piovute dai teleschermi hanno tolto in primo luogo al cittadino americano, ma anche, in buona parte, a tutti noi, la presunzione di "inviolabilità domestica". Fra le tante guerre che si sono combattute negli ultimi due secoli, nessuna ha mai interessato da vicino il territorio americano. La lontananza del continente dai possibili nemici, le sue enormi dimensioni hanno maturato la convinzione negli statunitensi che le guerre sl combattevano sì, ma lontano dal grande paese.
Neppure l'attacco giapponese a Pearl Harbour o l'ipotesi di bombardieri nipponici che, nel corso della seconda guerra mondiale, raggiunsero le coste della California hanno incrinato la fiducia degli americani nella loro invulnerabilità. E persino l'attacco terroristico di cinque anni fa alle due torri e' stato considerato un episodio minore.
Oggi, questa certezza di inviolabilità giace sotto i ruderi delle due torri; l'America sl trova per la prima volta una guerra in casa e reagisce disperatamente alla constatazione di non vivere più fra frontiere inviolabili. E' un pezzo di storia del sogno americano che viene risucchiato nel vortice di questa guerra non dichiarata e mostruosa.
I tremendi fatti di questi giorni non possono esulare, per una loro maggior comprensione e necessita dal definirne soluzioni e rimedi, ma dobbiamo fare una riflessione pacata, seppur necessaria, sulla politica estera più recente condotta dagli Usa.
L'originaria impostazione programmatica del presidente Bush, che avrebbe dovuto privilegiare la filosofia di mediazione politica, con un sempre maggior disimpegno da operazioni di carattere militare, sembra non si sia concretamente manifestata nei fatti. Specie nel medio oriente, nonostante l'attivo impegno al dialogo promosso da Colin Powell, tra arabi e israeliani, la linea politica degli Usa non e' efficacemente e sufficientemente orientata alla ricerca di una seria prospettiva di risoluzione delle problematiche avvertita dagli israeliani quanto dai palestinesi.
Quasi del tutto inaspettatamente l'America si è trovata coinvolta nella polveriera mediorientale. Anche la fine del comunismo non e' riuscita a determinare una riconversione dell’attività della "intelligence" americana verso obiettivi di lotta alla droga e al terrorismo, attualmente prioritari.
Una riflessione critica sul progetto di scudo spaziale americano, inoltre, sorge spontanea. Concepita come una misura futuristica per neutralizzare qualsiasi attacco militare proveniente da paesi ostili, la teoria della guerra spaziale sl e' rivelata, alla luce dei fatti, un'ipotesi inopportuna considerando che i terroristi, in quest'ultima diabolica impresa, hanno agito al di sotto dell'ipotetico scudo stellare che intercetta i missili a ventimila metri di altezza, se non più.
Probabilmente questo programma di difesa stellare costituisce un grave errore di analisi nel quale Bush jr. ha coinvolto gli alleati, fra cui l’Italia.
Sempre più avvertita è l'esigenza del riconoscimento di una maggiore considerazione e partecipazione da parte degli Usa, dei paesi europei sulle questioni che coinvolgono oggi tragicamente e terribilmente la stessa America, con il sangue di migliaia e migliaia di cittadini innocenti, ma, di converso, tutto il mondo.
Io sono convinto — e questa e' l'opinione prevalente in tutta l'internazionale socialista — che occorra sviluppare una linea di forte pressione per il recupero da parte dell'Onu della forza che inizialmente, nel secondo dopoguerra, aveva reso questa insostituibile istituzione protagonista nel garantire o nell'avviare il dialogo fra tutti i Paesi del mondo.
Nonostante il momento che induce stati d'animo radicali, dobbiamo essere in grado di mantenere una forte moderazione, nella direzione della riduzione delle dotazioni militari e dell’avvio di una seria politica di dialogo, consapevoli che esso potrà instaurarsi con chi darà ogni prova di lealtà al diritto e alla condanna della violenza come fondamento della vita internazionale.
L'impero romano era basato sulla massima si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra). Nel terzo millennio dobbiamo fare di tutto, il possibile ma anche l'impossibile per far rientrare in tutti i cuori un'altra logica: se vogliamo la pace dobbiamo lavorare per la pace.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. Ci sono momenti in cui non ci sono molte cose da dire, perché parlano i fatti. Tra l'altro tutte le parole sono state dette: sdegno, dolore, orrore: cosa c'è da dire di più? Credo che il termine più esatto, ancora una volta l'abbia trovato Giovanni Paolo II quando ha parlato di "tragedia indicibile", che non può essere detta con le parole. Quindi mi asterrò dal dire altre cose su quello che è accaduto. Secondo i freddi calcoli fatti, 5.100 vite sono state cancellate in un attimo e forse, nelle intenzioni di coloro che hanno programmato l'attentato dovevano essere 20-30 mila. E non per errore, perché anche recentemente abbiamo visto tragedie. Ricordo neanche dieci ani fa quando saltò in aria una scuola a Bagdad: un obiettivo militare e poi le "bombe intelligenti" hanno colpito una comunità di scolari. Però qui si è pianificato qualcosa di molto diverso, cioè decidere di attaccare edifici dove ci sono persone civili, uomini, donne bambini, tutti. Quindi un obiettivo terribile dopo quello che era accaduto nel mondo mezzo secolo fa. Il mondo, dopo le vicende di Hiroshima, Nagasaki, Dresda aveva avuto una profonda riflessione su questi atti di guerra che non sono guerra ma sono tragedie dell'umanità. Dopo questo, si è ripetuta questa Ho qui ascoltato discorsi molto superficiali: la causa palestinese è un problema marginale, perché chi ha colpito ha coscienza di avere indebolito la causa palestinese e rafforzato Israele: l’effetto di questa vicenda è che se domani Israele ampliasse i propri confini e per motivi di sicurezza occupasse centinaia di chilometri intorno ai suoi confini, nessuno nel mondo potrebbe dire una parola, perché avrebbe semplicemente garantito il proprio diritto alla sicurezza.
Menti raffinate hanno organizzato l’attentato, perché non si tratta di scalmanati, invasati, straccioni, si tratta di una regia estremamente intelligente, ponderata. Questi hanno immediatamente valutato che con questo atto si indeboliva la causa palestinese, si rafforzavano tendenze in Israele. Chi ha colpito voleva aumentare il conflitto, lo scontro. Credo che questo sia l’obiettivo di alcune centrali fondamentaliste: creare la rottura, lo scontro, il resto è del tutto sfumato.
Pertanto non posso non esprimere forte coesione e solidarietà agli Stati Uniti. Anche i dubbi su scelte di politica economica e sociale che molti di noi hanno nei confronti dell’insieme della politica americana sbiadiscono. Di fronte a quello che è accaduto sbiadisce tutto, anche critiche, in certe forme esasperate di competizione capitalistica americana. Ci auguriamo che la Nato sia forza al servizio e alla tutela di un ordine mondiale più giusto, ma il mondo occidentale si deve porre domande sulla propria esistenza. Quando prima qualcuno diceva che esiste un problema del mondo occidentale che rappresenta il 15 o il 20% del mondo, c’è da rispondere che gli altri investono sui figli, per cui la crescita demografica del resto del mondo è fortissima di fronte a un mondo occidentale che non investe sui figli. Qui c’è da riflettere. Così come i valori occidentali: io credo ai valori occidentali, e non sono mediabili. Qui non c’è mediazione: tra un certo tipo di fondamentalismo e l’occidente non c’è mediazione. Quindi, anche qui c’è da riflettere.
Quando vedo delle campagne contro la pena di morte — che io condivido: sono fra i pochi, nella destra, insieme ad altri, che non erano favorevoli alla pena di morte in tempi non sospetti, dieci anni fa, e ci ponemmo all’interno del partito in posizione critica — e si sfuma sul terrorismo fondamentalista, da Timor all’Algeria, dall’Afghanistan alla Palestina, c’è qualcosa che non va nella ideologia della società occidentale. Questo fatto impone un riposizionamento di tutte le forze politiche sui nostri schieramenti, italiani, europei, occidentali. Aggiungo una cosa che non vuol essere polemica ma va detta: anche i fatti del G8 di Genova, quelle violenze, non certamente la contestazione politica sulla quale c’è un dibattito in corso, alla luce di quello che è accaduto vanno riletti, ripensati. Quale filo c’è fra tutte queste cose che accadono?
In questo momento quindi, profondo cordoglio, riflessione, ma subito dopo la riscossa del mondo civile, dei valori occidentali, quindi rispetto, solidarietà, anche integrazione. Il rispetto della sacralità della vita implica tutte le vite occidentali, orientali e quant’altro, ma i valori occidentali a mio parere non sono mediabili.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ascoli.

UGO ASCOLI. L’immane disastro a cui abbiamo assistito ci ha insegnato molte cose. E’ cadute definitivamente l’idea che il progresso tecnologico ci consenta di controllare tutto e quindi di normalizzare la vita delle persone che vivono ed operano all’interno dei Paesi della serie A capitalistica. Nessun satellite spia o “grande fratello” è riuscito a intercettare qualche elemento che potesse prevenire il disastro: né l’FBI, né la CIA, né le agenzie per la sicurezza nazionale hanno potuto fare qualche cosa per impedirlo, al contrario il progresso tecnologico aumenta la vulnerabilità di tutti e d ogni Paese, visto che produce anche una globalizzazione delle conoscenze e dei percorsi formativi. Chiunque può iscriversi — e i kamikaze l’hanno fatto — ad un corso per imparare a pilotare un Boeing, basta pagare. E’ caduta definitivamente l’illusione che si possano erigere barriere, trincee fra Paesi ricchi di fronte all’insieme delle miserie e ai fondamentalismi del mondo meno sviluppato: non bastano gli oceani né gli scudi stellari o spaziali che dir si voglia. I conflitti e le tensioni nascono e si sviluppano all’interno di ogni Paese, dagli Stati Uniti all’Algeria. Il fondamentalismo ed il fanatismo hanno un amplissimo terreno di cultura.
Terzo punto, si è consumata definitivamente l’idea che i grandi del mondo possano usare senza conseguenze conflitti, tensioni locali nonché rivalità interne senza conseguenze per i palcoscenici occidentali. Basti pensare alle vicende dell’Afghanistan o al vicino oriente.
Un secolo con due guerre mondiali e centinaia di guerre locali si è appena chiuso, un nuovo secolo si è aperto, dove accanto alle guerre locali si è aggiunto un terzo tipo di guerra con i caratteri della globalità: quella terroristica senza volto, senza un esercito visibile, caratterizzata da un cocktail micidiale: grandi disponibilità finanziarie, accesso a risorse di know-how e di tecnologia di elevatissimo spessore, grande professionalità e capacità operativa, fortissima capacità di networking internazionale, fanatismo, fondamentalismo e gioia nel sacrificare la propria persona.
Credo che per affrontare tutto ciò in modo efficace, ovvero per salvaguardare ed allargare democrazia, libertà e diritti naturali delle persone, molte cose devono essere fatte e molte devono essere evitate. Fra le cose da fare, innanzitutto, ripensare le politiche verso le aree meno sviluppate per favorire un reale processo sociale e civile di quei Paesi, a partire da una riorganizzazione dell’Onu e delle grandi agenzie internazionali; bisogna redistribuire e riallocare risorse, dalle politiche di armamento a politiche volte a promuovere formazione, istruzione, diffusione di know-how e tecnologie che garantiscano una maggiore produttività agricola, una costruzione di infrastrutture, la lotta alle malattie più nefaste, l’uso di nuove fonti di energie; politiche che favoriscano maggiori scambi fra la popolazione, a partire dalle giovani generazioni; occorre colpire decisamente i responsabili certi, sicuri dell’attentato terroristico, così come i fiancheggiatori e i finanziatori; bisogna spingere al massimo le leve della diplomazia e della politica negoziata per risolvere, almeno, i focolai maggiori di tensione, senza però schiacciare e umiliare nessuno.
Fra le cose da non fare, evitare quello che alcuni stanno dicendo, cioè guerre di religione o “di civiltà”: l’occidente contro tutti gli altri, la cristianità contro l’Islam. Sono delle bestialità medievali che speriamo non vedano mai una realizzazione. Occorre poi non generalizzare, non penalizzare interi popoli, perché in questo modo si accenderebbero tensioni e si fomenterebbe un ulteriore sviluppo di fondamentalismo senza poterne calcolare le conseguenze.
Che cosa possiamo fare noi? Possiamo contribuire a questa strategia giocando il nostro ruolo all’interno dei contesti organizzativi internazionali, a partire dall’Unione europea, per l’affermazione definitiva di ideali e valori che appartengono al diritto naturale della persona ad occidente come ad oriente, accelerando in casa nostra delle politiche di reale integrazione verso gli immigrati.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Massi.

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Cari colleghi, cari Presidenti, credo che in questo momento — condivido tutte le manifestazioni di sgomento, di sdegno, di rammarico, di condanna che sono state espresse — brevissimi concetti siano utili anche per un dibattito successivo di civiltà e di partecipazione a un grande movimento di responsabilizzazione sui principi di democrazia e di pace. Ma mi rendo conto che questi sono concetti troppo ampi, e non abbiamo oggi la dovuta serenità per affrontarli. Mi preme soltanto mettere a fuoco un elemento che mi sta particolarmente a cuore: in momenti come questi c’è una grande attenzione anche e soprattutto nelle nuove generazioni, perché fatti come questi segnano la storia di un secolo e, purtroppo, anche l’inizio di un millennio in maniera drammatica, anche perché tutti hanno coscienza che le guerre del nuovo millennio saranno queste e non quelle tradizionalmente intese, guerre che vanno sicuramente a bloccare anche lo sviluppo di tanti popoli. Non è un caso che oggi Paesi come la Cina o la Russia abbiano immediatamente espresso la loro solidarietà e la preoccupazione per quello che potrebbe avvenire anche nei loro Paesi. Proprio in momenti come questi che purtroppo destano una drammatica attenzione nelle generazioni, credo che la presenza delle istituzioni nell’opera di sensibilizzazione e di educazione alla pace e alla democrazia sia un compito, un dovere morale di particolare importanza.
Troppe volte in passato abbiamo assistito alla drammatica educazione alla morte, alla violenza, all’odio e credo che oggi le istituzioni responsabili a tutti i livelli, sia quelle delle organizzazioni mondiali, sia quelle più vicine agli enti locali, alle strutture di autonomia e di decentramento, debbano isolare culturalmente tutte le ideologie e tutti i movimenti che si basano sulla violenza, sull’odio, sull’eliminazione fisica dell’avversario per motivi politici, etici, di religione. Isolare significa pronunciarsi con forza sempre.
Senza alcuna strumentalizzazione voglio ricordarvi un aspetto di questi giorni, di queste drammatiche ore. Credo che la città di Genova sia stata ferita una seconda volta quando, dopo le distruzioni materiali, ha dovuto assistere al brindisi che alcuni soggetti hanno fatto di fronte a questa strage. Quella città è stata colpita un’altra volta, non più in maniera materiale ma in maniera ancora più profonda nelle coscienze. Ci sono centinaia, migliaia di persone che nel mondo hanno brindato a questa carneficina, e se questo avviene in Italia chiedo a tutti la forza di responsabilità di isolare queste idee, perché anche nell’Italia degli ani ‘70 echeggiava un motto: “chi semina vento raccoglie tempesta”, chi semina odio e violenza come unico strumento per combattere l’avversario non fa altro che far crescere e sviluppare il terrorismo in tutto il mondo. Ognuno può mettere un piccolo mattone a favore del terrorismo, ma noi sappiamo che con grande responsabilità, con la responsabilità della maggioranza delle istituzioni, dei cittadini che vogliono la pace e lo sviluppo nella democrazia è possibile isolare queste idee. Non è possibile evitare che qualcuno brindi di fronte a queste stragi, però è possibile che tutto il mondo civile — dall’Onu all’Unione europea, alla Nato, fino a scendere al più piccolo dei nostri comuni, alla più piccola delle nostre scuole — abbia la forza di isolare comunque chi predica odio e violenza per l’eliminazione dell’avversario.
Il presidente degli Stati Uniti, ma anche molti altri hanno detto che oggi abbiamo un’occasione irripetibile, in questa immane disgrazia: c’è la possibilità di sensibilizzare le nuove generazioni nella costruzione di un mondo migliore: partendo da una testimonianza così tragica avremo l’attenzione per far ascoltare messaggi di pace a tanti giovani che forse, fino ad oggi, non so se per colpa delle famiglie, per colpa dello stato generale, dell’andamento delle cose, hanno vissuto con superficialità anche il problema della democrazia, dei rapporti democratici tra forze politiche, tra istituzioni, della dialettica democratica. Non possiamo risolvere i problemi mondiali se non riusciamo anche dentro casa nostra, anche nel nostro Paese, ad isolare con forza le idee di violenza e di odio.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Moruzzi.

MARCO MORUZZI. Signor Presidente, colleghi consiglieri, questi attentati, questi atti efferati colpiscono tutti. Colpiscono il popolo statunitense e tutta la comunità mondiale, colpiscono le nostre coscienze e la democrazia, e dobbiamo respingere con fermezza la violenza e la follia che guida questi atti per i quali non bastano parole per descrivere e rappresentare quello che in questo momento sentiamo
Esprimiamo la solidarietà al popolo statunitense e chiediamo che i responsabili siano individuati e perseguiti, isolando anche tutte quelle realtà che tollerano fiancheggiatori, sostenitori, finanziatori di queste organizzazioni che da tempo stanno minacciando azioni. Una éscalation che ha visto, anche in passato, iniziative che hanno colpito brutalmente innocenti.
I responsabili vanno quindi individuati e perseguiti, ma c’è da dire anche che in questo momento cade il mito della forza degli eserciti, degli armamenti, proprio nel Paese che più di ogni altro ha sviluppato una potenza militare. Sistemi militari che non hanno impedito la strage, e neanche quelli in corso di realizzazione, come lo scudo spaziale, avrebbero avuto alcun effetto. Credo che si debba riflettere sugli strumenti per prevenire e combattere il terrorismo internazionale. Lo stesso sistema delle sanzioni economiche nei riguardi di alcuni Paesi non ha impedito che organizzazioni come quella di Bin Laden potessero disporre di grandi risorse tecnologiche, finanziarie, logistiche, umane quali quelle che hanno consentito l’attentato.
Le sanzioni non hanno impedito a Paesi come l’Afghanistan, di ospitare i “cervelli” di gruppi terroristici che minacciano e realizzano stragi di incolpevoli non da poco, ma da molto tempo.
Siamo invece certi che quello che è rappresentato come lo strumento per colpire quelli che oggi vengono descritti come “Stati-canaglia” — le sanzioni economiche — colpisce innocenti: ogni mese in Iraq 5.000 bambini muoiono per impossibilità di curarli perché i medicinali essenziali sono oggetto di embargo. Dobbiamo riflettere su questi strumenti, perché in questa fase sono troppi gli incolpevoli che subiscono il peso dell'inadeguatezza e incapacità della politica a fronteggiare una situazione per la quale si continuano a usare alcuni strumenti e non si utilizzano altri. La comunità internazionale deve rimuovere questa contraddizione, impegnandosi con nuovi strumenti e con una nuova solidarietà per la pace e per la convivenza civile. Prevalga il ragionamento, si faccia un uso della forza strettamente limitato ad assicurare alla giustizia internazionale quei criminali che si sono macchiati di questi atti indicibili e i loro mandanti. Solo con il ragionamento e con la prevalenza della politica è possibile smantellare questo lucido disegno di destabilizzazione internazionale.
Sul piano della convivenza, anche nella nostra società occorre essere vigili contro ogni forma di xenofobia che costituisce l’humus su cui crescono il fondamentalismo e l’oltranzismo. Lavorare in tutte le sedi per invertire la tendenza all’allargamento della forbice tra ricchi e poveri: il 20% dei Paesi più poveri detiene solo l’1% del pil; il 20% più ricco detiene l’86% del pil e il divario del reddito tra questo blocco povero e questo blocco ricco aumenta sempre più. Nel ‘60 il reddito tra il 20% ricco ed il 20% povero era in rapporto 1/30, nel ‘90 era 1/60, nel 1999 era 1/66.
Credo che serva un nuovo ordine mondiale e che il nostro futuro si giocherà sulla capacità che le nostre società e i sistemi politici ed economici che li rappresentano avranno da individuare con rapidità e concretezza nuovi modelli di sviluppo sociale ed economico. Anche questa è la risposta che dobbiamo chiedere e dobbiamo dare. L’incapacità di governo degli effetti provocati da questo sistema è sotto gli occhi di tutti. Questi effetti hanno prodotto devastazioni profondissime, ineguaglianze sociali intollerabili, la crescita della povertà e dell’indigenza, la crescita della corruzione, del terrorismo, l’incontrollabilità di crisi politiche, finanziarie e sociali che certamente non aiutano la convivenza e la democrazia di cui noi, oggi, dobbiamo difendere i valori.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Andrea Ricci.

ANDREA RICCI. Il partito della Rifondazione comunista si associa al profondo cordoglio e alla solidarietà con il popolo degli Stati Uniti d’America espressa in questi giorni dall’intera comunità internazionale e condanna in modo irriducibile e assoluto ogni atto di terrorismo che viene compiuto sul pianeta.
Molti hanno detto in questi giorni che siamo entrati in una nuova fase storica. Credo che questa affermazione sia vera, in primo luogo sia vera per noi cittadini dell’occidente. Si è persa l’illusione, coltivata in questo decennio, di una nuova era di pace e di prosperità fondata sul dominio dell’economia, del mercato, della nostra ricchezza. Siamo entrati, dopo gli eventi e gli orrendi crimini di martedì scorso, in un’era di insicurezza planetaria che coinvolge ciascun individuo del pianeta, anche chi fino a ieri si sentiva al riparo da questa sensazione di insicurezza, di precarietà.
Si aprono ora due ordini di problemi: un problema immediato e relativo alla punizione dei colpevoli materiali, dei mandanti politici di questo orrendo crimine; un secondo problema è di ordine più vasto, ha un carattere strategico: come estirpare alla radice il terrorismo internazionale?
Sul primo problema, punire i colpevoli non c’è dubbio che va fatto nei tempi più brevi possibili. Si pongono però due questioni. La prima: chi deve farlo? Chi ha la legittimità, l’autorità giuridica, politica, morale per compiere un’azione di punizione dei criminali che hanno attuato questi atti? Noi riteniamo che ad avere l’autorità morale, giuridica e politica per la punizione dei colpevoli e dei responsabili, sia un solo organismo: l’Organizzazione delle Nazioni Unite che rappresenta l’intera umanità. Non possono essere organismi di parte, perché parziali, come la Nato o il G8, ad assumersi la responsabilità delle decisioni in merito alla punizione dei colpevoli. Non è un fatto soltanto di forma, sappiamo tutti che è un fatto di sostanza, attiene al nuovo ordine mondiale che dopo questo evento deve essere costruito. In secondo luogo, il problema è quello di come deve essere compiuto l’atto di punizione dei colpevoli. Bisogna immediatamente far sentire una voce che dica no a rappresaglie indiscriminate, che dica che non si possono aggiungere ulteriori vittime innocenti alle tante, tante vittime innocenti che a Manhattan e a Washington ci sono state martedì scorso. La punizione dei colpevoli deve essere mirata, circoscritta, precisa, altrimenti si alimenta un focolaio di odio, di violenza che non sappiamo come possa finire.
Il secondo problema è di ordine strategico: come estirpare alla radice il fenomeno del terrorismo? Perché gli avvenimenti di martedì non sono opera di folli isolati, perché gli eventi di martedì fanno seguito a una serie impressionante di attentati terroristici che hanno avuto, magari, un minor numero di vittime, ma che hanno, ormai da tanti anni, sconvolto il nostro pianeta.
Per risolvere questo problema occorre capire dove nasce il fenomeno del terrorismo e in modo particolare del terrorismo islamico. Il “brodo di cultura” di Bin Laden, delle sue organizzazioni, di quei 18 che si sono suicidati provocando quell’immane tragedia, sappiamo che è il fondamentalismo islamico, sappiamo che è l’integralismo islamico, sappiamo che è l’odio di massa verso l’occidente, che viene coltivato nel sud del mondo. Dobbiamo essere consapevoli che questi sono fenomeni di massa che coinvolgono milioni e milioni di persone del sud del mondo. E’ lì che si reclutano i terroristi suicidi che compiono quelle azioni, è lì che si continueranno a reclutare se non verrà data una risposta politica da parte dei ricchi del pianta rispetto alle cause che generano la proliferazione di quelle culture di morte, perché il fenomeno del fondamentalismo islamico, dall’Algeria all’Afganistan, all’Iran, al Pakistan, all’India, a tutto il mondo islamico deriva dalla disperazione assoluta, totale in cui masse sterminate di persone di questo pianeta vivono; disperazione derivante dalla miserie assoluta, dalla povertà, dall’ignoranza, dall’assenza di ogni diritto fondamentale in cui i due terzi dell’umanità vivono.
Quella disperazione è il prodotto delle ingiustizie planetarie, è il prodotto della nostra ricchezza costruita su quelle ingiustizie. Per questo la soluzione strategica deve essere di ordine politico e non militare. Non si può contrapporre fondamentalismo a fondamentalismo, perché non esiste solo il fondamentalismo islamico, esiste anche il fondamentalismo occidentale, il fondamentalismo del mercato e del profitto. E allora la soluzione politica va costruita risolvendo innanzitutto le grandi contraddizioni politiche che esistono nel mondo e in particolare nel mondo arabo: la questione palestinese, la questione curda, l’embargo all’Iraq che miete migliaia e migliaia di vittime ogni giorno tra la popolazione innocente.
In questo senso occorre un nuovo ordine mondiale, così come occorre un nuovo ordine mondiale dal punto di vista economico e finanziario, che determini una diversa, più equa e più giusta distribuzione del reddito. Non servono le migliaia di miliardi che si intendono spendere per lo scudo spaziale. Per la sicurezza del mondo, degli Stati Unii in primo luogo, si spendano quelle risorse per rendere il mondo più giusto, così saranno più difesi gli stessi cittadini occidentali. D’altra parte, queste sono le istanze che, ad esempio, il movimento antiglobalizzazione su scala mondiale ha posto come obiettivo di civiltà. Speriamo che l’Europa e l’Italia, in questo senso, svolgano un ruolo e un’azione efficace.

PRESIDENTE. Invito tutti a celebrare tre minuti di raccoglimento.

(Il Consiglio osserva tre minuti di silenzio)

Ha la parola il consigliere Luchetti.

MARCO LUCHETTI. Signor presidente, colleghi consiglieri, la nostra retorica rischia di infastidire il sentimento e il bisogno di silenzio di fronte all’immane tragedia. La ritualità della nostra riunione di Consiglio è superata in questa occasione dalle circostanze della sua convocazione: oltre ad essere un atto dovuto in segno di cordoglio e di condivisione del dolore di un popolo e di migliaia di famiglie, deve assumere per la comunità marchigiana una simbologia di profonda adesione ai valori di libertà, di giustizia e di pace.
Di fronte a quanto è avvenuto negli Stati Uniti, questa può essere l’unica strada di uscita a fronte di una richiesta e della scelta di ritorsione cieca e della guerra che l’immane tragedia e l’ineguagliabile insulto consiglierebbero, superando plausibilmente la necessaria saggezza. Chi ha fede è sorretto dalla speranza, speranza ancora una volta messa alla prova dal mistero del disegno di Dio che ci ha fatto pellegrini su questa terra e ci indica nello Spirito eterno la realizzazione del nostro difficile e faticoso cammino. Ma tutti gli uomini di buona volontà sono di nuovo chiamati a rinsaldare i vincoli indiscutibili dell’umanità che qualcuno ha voluto violentare bestemmiando contro l’uomo e contro se stesso.
La dimensione dell’eccidio è tale da ricordarci l’ultima guerra; la grandiosità della sua tragedia ci rende increduli, perché viene ulteriormente messa a nudo quanto grande può essere la cattiveria dell’uomo. Dopo la guerra, l’Olocausto, le “pulizie etniche”, il terrorismo, quando potremo dire basta? Quelle macerie, quelle vittime, quelle immagini ci sgomentano, ma saranno sufficienti perché il nostro rifiuto della violenza, la nostra scelta di pace, la nostra volontà di tutela della giustizia e della libertà rimangano forti e si concretizzino in una conferma di civiltà per la nostra comunità e per nostri giovani?
La cultura del nostro tempo, quella che attraversa la nostra quotidianità ci lusinga a rimuovere al più presto ogni cosa che ci disturba, che è scomoda, che ci mette a disagio. Quelle parole che quanto avvenuto cambierà comunque il mondo, vorrei assegnarle soprattutto alla nostra capacità di non dimenticare, di non rimuovere tanta barbarie per costruire una convivenza capace di non originarla più, sia per costruire regole e comportamenti individuali e istituzionali che contrastino le violenze, sia per ricostruire un’etica più solidale. Particolare attenzione in tal senso dobbiamo porre nelle giovani generazioni che non possono crescere prive della memoria dei padri e non consapevoli che la loro libertà e i loro diritti sono anche frutto del sangue di chi li ha preceduti. Perché morire uccidendo i propri simili? Da dove provengono i disegni criminali che camuffati di promesse eterne convincono i giovani al sacrificio estremo? E’ l’odio la fonte di tutto ciò. Fino a quando non riusciremo ad estirparlo, il terrorismo troverà la sua infame giustificazione agli occhi degli oppressi. Quelle torri squarciate nella città più importante del mondo rimarranno il simbolo di un gesto criminale, ma per noi dovranno essere il monito a costruire un mondo più giusto. Sì, occorre punire gli autori e tutti coloro che li hanno spalleggiati, perché la giustizia deve essere fatta, perché la libertà non può essere credibile senza giustizia.
Ma oggi siamo giunti ad un bivio ineludibile in cui la nostra civiltà occidentale si deve misurare con l’umanità intera. Essa può dimostrare concretamente i connotati veri della sua grandezza che si basa, che si fonda sul rispetto dell’uomo. Per questo la punizione dei colpevoli non dovrà coinvolgere innocenti. Per questo la grande solidarietà dei Paesi, anche di quelli musulmani, con gli Stati Uniti, può essere l’inizio di un ordine mondiale che aiuti i più deboli. Per questo deve nascere una consapevolezza più profonda della interdipendenza dei popoli.
Il popolo italiano ha sconfitto il terrorismo con la sua unità, con un forte ancoraggio alle libere istituzioni. Il sacrificio di tanti innocenti ha reso più forte il tessuto democratico. Noi abbiamo sperimentato fino in fondo l’esperienza: la vorremo offrire come contributo di indicazione in un’ora in cui l’offesa, tanto grande, alimenta l’angoscia per una reazione non calibrata.
Nel condividere le prese di posizione e le scelte del Governo vogliamo sottolineare il valore della nostra unità in un momento tanto importante quanto amaro. Anche questo è un segno della maturità del nostro modo di fare politica. A questo abbiamo l’obbligo di aggiungere una promessa: dobbiamo sentirci più impegnati a lavorare per la pace. Anche nel nostro piccolo, questa cosa è possibile farla concretamente.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Procaccini.

CESARE PROCACCINI. Di fronte all’attacco criminale compiuto dal terrorismo internazionale, il primo pensiero va alle decine di migliaia di vittime e a tutto il popolo degli Stati Uniti colpito in profondità, a cui va la piena e sincera solidarietà dei Comunisti italiani.
Questo atto non ha precedenti nella storia recente dell’umanità, né per dimensioni di morti, né per le sue modalità. Non solo questo atto criminale nella nostra analisi non trova nessuna giustificazione, né ideologica né sociale né politica, ma, anzi, questa inaudita violenza va contro gli interessi dei popoli, soprattutto di quei popoli in lotta per i propri diritti ed in primo luogo contro il popolo palestinese e contro il sud del mondo.
Questi inauditi atti criminali colpiscono in maniera mortale le trattative ed i tentativi di risoluzione dei conflitti e la violenza chiama altra violenza, innesca inevitabilmente un riflesso di scelta di campo e di ordine e la richiesta di misure eccezionali. Sono i riflessi della paura a cui oggi non bisogna in nessun caso cedere.
Il messaggio dei terroristi è stato chiaro: quello di un salto di qualità. Sono stati in grado, infatti, di colpire al cuore la più grande ed unica potenza militare del mondo, con l’obiettivo di scatenare reazioni a catena incontrollabili contro la convivenza tra i popoli e contro la pace.
Tuttavia la logica repressiva non funziona, non ha mai funzionato, non solo perché i presunti “nemici” di oggi erano gli amici di ieri, doviziosamente addestrati. Non funziona la repressione, ma anzi può scatenare un’altra logica di guerra verso un nemico indefinito da individuarsi e colpire caso per caso, visto che ormai non esiste più un campo contrapposto ed antagonista.
Occorre sempre, secondo l’analisi dei Comunisti italiani, perseguire con molta durezza i mandanti e gli autori degli atti terroristici che hanno causato morte e devastazione negli Stati Uniti d’America, ma occorre, al contempo, riaprire subito i canali diplomatici, le trattative, il dialogo per risolvere o tentare di risolvere pacificamente i conflitti in atto, ad iniziare dal Medio Oriente dove l’Italia ha sempre esercitato un ruolo autonomo e decisivo, importantissimo per la pace in quei luoghi e per la cooperazione tra i popoli. Si deve proseguire su questa strada. Infatti, se non prevarranno la politica e la saggezza, saranno le armi a prevalere. Allora sì che i fondamentalismi di ogni specie prevarranno. Tutto ciò è anche il frutto di questo nuovo disordine mondiale. Mentre molti, dopo il 1989 credevano e pensavano ad un nuovo ordine, alla pacificazione ed alla democratizzazione sotto, magari, la protezione della nato, oggi constatiamo che non è così: siamo di fronte ad un fatto di una gravità eccezionale ed inedita, occorre ripensare in tempi rapidi a quello che Enrico Berlinguer, con lungimiranza diceva già allora, parlando di un "governo diverso del mondo". Infatti l'Onu così com'è non serve se non riformata nella sua profondità, se non si riappropria della sua funzione di rappresentanza di tutte le nazioni e di tutti i popoli del mondo.
Occorre che si superino strumenti anacronistici come la Nato e che l'Unione europea si doti, oltre che di una autonoma politica, anche di un proprio autonomo sistema di difesa. Non saremo certo — e i drammatici fatti di martedì scorso lo dimostrano — meglio difesi da improbabili scudi stellari. Non si costruisce la pace preparando la guerra, è tempo, viceversa, di pensare alla pace e di tentare di costruirla.
E' per questo che i Comunisti italiani avanzano in questo consesso regionale una proposta e chiedono di dedicare ai morti degli Stati Uniti d'America la marcia della pace Perugia-Assisi del prossimo 14 ottobre, che dovrebbe diventare anche per la nostra regione un'occasione di grande mobilitazione, sia per la pace che contro il terrorismo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Viventi.

LUIGI VIVENTI. Non volevo intervenire, anzitutto perché è già intervenuto il mio collega Francesco Massi esplicitando la posizione dei cristiano-democratici, inoltre perché non avevo niente di più da dire di quanto è stato detto. Intervengo solo per un motivo: perché sentivo di non poter fare a meno di esprimere il mio dispiacere, come consigliere regionale, come persona, per il fatto che questa Assemblea non sia riuscita ad uscire da questa seduta straordinaria con un documento comune.
Non ho partecipato alla riunione dei presidenti di gruppo per un altro impegno e perché davo per scontato che questo sarebbe avvenuto. Non è avvenuto e mi dispiace, me ne assumo le personali responsabilità, perché non vengo qui a fare lezioni agli altri, mi metto sempre al primo posto come responsabile, però questo sentivo di dire, altro non aggiungo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giuseppe Ricci.

GIUSEPPE RICCI. Signor Presidente, colleghi, siamo stati convocati in seduta straordinaria per dare una risposta, anche da quest'aula che rappresenta la cittadinanza marchigiana, ad un fatto di inaudita violenza, frutto di una follia omicida non isolata ma diffusa ed organizzata. Non c'è ancora una guerra, spero che non ci sia. Dipende anche da noi. Una risposta forte delle istituzioni, come in questi giorni c'è già stata da parte di tutti i Paesi democratici, è già di per se stesso un elemento utile ad evitare che la situazione ci travolga e si arrivi ad un'infausta terza guerra mondiale.
La risposta delle istituzioni è quella che stiamo dando noi oggi, la risposta delle istituzioni è quella del Parlamento nazionale italiano, di tanti parlamenti del mondo, la risposta delle istituzioni è quella degli enti locali, dei Comuni, delle Province, delle parti sociali, del mondo produttivo, di quanti si sono trovati a fare fronte comune rispetto ad un atto terroristico incredibile per le modalità con cui si è svolto e di inaudite portata e dimensioni.
Esistono nuove e pericolose forme di terrorismo, rispetto alle quali bisognerà riorganizzare anche gli apparati di sicurezza. Si pensava che i servizi segreti, le nuove tecnologie, le forme di cooperazione internazionale fossero sufficienti ad evitare fenomeni di strage così violenta e diffusa quale quella che è avvenuta, invece c'è stata una dimostrazione che semplicemente il fideismo esasperato e l'organizzazione sono in grado di sconfiggere qualsiasi sistema di protezione, anche quello tecnologicamente più avanzato. Per assurdo si può dire che siamo ritornati ai tempi in cui, con la clava, si riesce a mettere in ginocchio tutto un sistema mondiale avanzato e che riesce a dialogare, con Internet, in tempi reali da una parte all'altra del pianeta; una clava che pericolosamente riesce a trasformare gli strumenti e i mezzi del progresso e dello sviluppo in micidiali armi distruttrici. Le bombe non sono solamente quelle che possono essere comandate dalla valigetta e dai pulsanti rossi in possesso di Bush e di Putin, le bombe sono migliaia di potenziali strumenti di civiltà che viaggiano nei nostri cieli e che rappresentano la forma di progresso più avanzata.
Occorre allora che rispetto a tutto questo fenomeno non si cerchi di ideologizzare le posizioni per capire chi e come bisogna dare risposte. Occorre saper fare un'azione di risposta democratica, di sensibilizzazione delle popolazioni, di sensibilizzazione dei giovani, di partecipazione democratica, perché è l'unica risposta, l'unica arma, l'unico momento di solidarietà e di forza comune che può sconfiggere queste nuove forme di violenza ed evitare che si arrivi a nuovi e pericolosi focolai di guerra.
Le tre parole che bisogna usare in questi momenti sono lutto, dolore, rispetto. A queste tre parole occorre dare una risposta da parte delle istituzioni.
Voglio ricordare un'immagine che in questi giorni ha fatto il giro del mondo attraverso i mezzi d'informazione televisivi e giornalistici: i vigili del fuoco che sulle macerie delle torri gemelle issavano la bandiera degli Stati Uniti: occorre che le istituzioni oggi, in tutti i Paesi democratici issino una bandiera ideale, che è quella della democrazia, quella dei Paesi democratici a difesa della pace, della sicurezza e del rispetto dei popoli.

PRESIDENTE. Ha la parola, a conclusione del dibattito, il Presidente D'Ambrosio.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della Giunta. Credo che nessuno di noi pensasse, tanto meno avesse un minimo di sensazione che ci saremmo rivisti, dopo la sospensione dei lavori per l'estate, con una ripresa straordinaria causata da un evento di questo tipo. E' forte la sensazione di impotenza, di cose che si svolgono lontano e soprattutto di cose sulle quali è difficile o addirittura non è possibile intervenire. Contro questo tipo di sensazione credo che dobbiamo reagire con forza, facendo anche appello e ricorso alla nostra esperienza, all'esperienza di questo Paese. Questo Paese ha vissuto "anni di piombo", ha vissuto anni difficili, non con attentati di questa gravità, ma con attentati la cui ragionevolezza, la cui ferocia, la cui indeterminatezza tragica ha posto a dura prova la tenuta, la capacità di risposta, di analisi, di progetto.

PRESIDENTE DEL VICEPRESIDENTE
GIUSEPPE RICCI

Noi abbiamo trovato alcuni elementi che ci sembrano fondamentali e che adesso non credo possano essere diversi nei riguardi di una tragedia tanto più grande, ma che comunque risponde, ahimé, agli stessi stereotipi tragici. Il primo elemento in questo momento è solidarietà assoluta senza riserve, solidarietà agli Stati Uniti, un Paese pesantemente colpito, un Paese che oscilla, un Paese sull'orlo di un momento di forte paura, preoccupazione. Credo che in questo caso la solidarietà di tutti possa servire a far capire che non è una minaccia e non è un passaggio nel quale uno Stato, un popolo è solo; non è lasciato solo da quelli che condividono i valori della civiltà. Mi piace leggere proprio quello che l'incaricato di affari americano, che regge l'ambasciata in attesa dell'ambasciatore, William Poe, ha detto in una lunga dichiarazione in cui dice: "Gli Stati Uniti dicono grazie al popolo e al Governo italiano per le espressioni di solidarietà. La nostra tragedia ha toccato i vostri cuori e la vostra reazione i nostri. Che Dio benedica i nostri due Paesi". Ma voglio sottolineare un passaggio: "Il credo dell'America è un credo nella forza della persuasione, non nella persuasione della forza". Ritengo che questo sia il passaggio fondamentale che ci fa capire la convinzione profonda che c'è anche negli Stati Uniti, che la reazione non può che essere nella persuasione, che non significa essere imbelli, che non significa non reagire, che non significa non saper fare tutti gli sforzi per individuare e punire i colpevoli. Questo è il primo elemento e ci è stato indicato dalle nostre esperienze degli anni terribili. L'altro momento che mi sembra anche importante è la compattezza sulla tenuta di un modello, del modello della democrazia. La democrazia alla lunga vince, alla lunga è capace di reggere a questi attacchi se non smarrisce i suoi strumenti, fra cui c'è la necessità della pena, ci dovrebbe essere l'assoluta certezza della pena, ma anche la pena secondo regole. Questo distingue la democrazia e questo è il punto su cui tutti, credo, dobbiamo e possiamo convenire.
Un ulteriore elemento è che nel concreto non esiste soltanto una solidarietà anche nella previsione della adozione di strumenti che poi si spera, sotto-sotto, che non vengano adottati. La verità è che dobbiamo tutti impegnarci a sostenere, appoggiare, aiutare l'operazione di istruttoria di accertamento di responsabilità. E' un grande segno di solidarietà, un segno intelligente, fattivo, concreto. Una parte di questo piano pare si sia verificato e si sia consumato qui da noi in Italia, se è vero come è vero che alcuni documenti, alcune divise e alcuni effetti personali di piloti civili americani sono stati rubati nel mese di aprile a Roma. Questo è un elemento importante, significa che è possibile, è necessario, è doveroso appoggiare tutti gli sforzi d'investigazione e d'intelligence che si stanno facendo e che si dovranno fare.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI MINARDI

L'altro elemento credo che sia la necessità — l'abbiamo detto tutti — di contrapporre una cultura disperata, priva di speranza — i progetti di morte vivono e nascono quando la speranza è morta — a una cultura di speranza, a impegni perché le diseguaglianze mondiali vengano superate, perché non ci sia più chi pensi che l'unico modo di reagire sia quello di sacrificare innanzitutto se stesso e poi di sacrificare un numero indeterminato di soggetti che non hanno nessuna colpa se non quella di trovarsi, in quel momento, in quel luogo.
Questi sono gli elementi che dobbiamo tenere presente e su questo piano anche noi possiamo e dobbiamo svolgere un compito: il compito di mantenere e rafforzare la ragionevolezza, la forza della democrazia, i valori della democrazia e l'impegno ad allargare la nostra società, non a chiuderla. La nostra società è una società ricca che corre il rischio di sentirsi assediata pesantemente e di chiudersi al suo interno in un egoismo che non vorrebbe guardare al di fuori. Credo che questa sarebbe una risposta sbagliata, così come una generalizzazione significherebbe sbagliare. Lo stesso presidente degli Stati Uniti d'America ha detto che i cittadini americani islamici, che sono tantissimi, sono assolutamente cittadini a pieno diritto come tutti gli altri: una generalizzazione sarebbe negativa. La generalizzazione deve esistere soltanto nel momento in cui tutti ci faremo carico di aprire le porte delle nostre società, di condividere la nostra sorte fortunata, di evitare che in tante, in poche o anche in una parte del mondo ci sia ancora chi è talmente disperato che pensa di poter e dover giocare la sua vita e la vita di chiunque altro e che questo possa sembrargli in quel momento utile per il raggiungimento di uno scopo e di un obiettivo che dobbiamo e possiamo ritenere assolutamente al di fuori delle regole e della civile convivenza. Per fortuna non è nemmeno vero che solo l'occidente reagisce a questo; a questo hanno reagito tutti coloro e tutti i Paesi che sentono mettere a rischio i principi fondamentali della convivenza fra gli Stati. Stiamo costruendo faticosissimamente un nuovo ordine mondiale che verrebbe devastato se non passasse l'idea che tutti dobbiamo reagire, con la massima determinazione e con il massimo rispetto delle regole internazionali che stiamo noi stessi costruendo, a questi attimi che sono di follia ma che corrono il rischio di diventare l'innesco di una spirale che non si riuscirebbe più a controllare.
Credo che questo messaggio possa e debba venire dalla riflessione di oggi del Consiglio regionale delle Marche, un messaggio che, al di là di alcune chiavi di lettura che non sono tutte completamente coincidenti credo i cittadini marchigiani si aspettino e che pensino vada rappresentato, esternato con forza, perché sentono e vogliono continuare a sentire di far parte di una comunità nella quale la ragione, la democrazia, la convivenza pacifica e la spinta alla cancellazione delle ingiustizie sono valori fondanti.

PRESIDENTE. Possiamo considerare conclusa la seduta.

La seduta termina alle 12,40