Resoconto seduta n. 91 del 05/06/2002
La seduta inizia alle 10,10


Approvazione verbali

PRESIDENTE. Ove non vi siano obiezioni do per letti ed approvati, ai sensi dell'art. 29 del regolamento interno, i processi verbali delle sedute nn. 89 e 90 del 29 maggio 2002.



Proposta di legge
(Annuncio e assegnazione)

PRESIDENTE. E' stata presentata la proposta di legge n. 125 in data 31 maggio 2002, ad iniziativa dei consiglieri Romagnoli, Castelli, Novelli, Gasperi, Ciccioli e Pistarelli, concernente: «Interventi regionali per la legalità e la sicurezza dei cittadini a sostegno dell'azione statale di difesa dell'ordine pubblico. Costituzione osservatorio regionale sulla criminalità», assegnata alla I Commissione in sede referente e alla II Commissione per il parere obbligatorio.



Mozione
(Annuncio di presentazione)

PRESIDENTE. E' stata presentata la mozione n. 208 in data 28 maggio 2002, ad iniziativa del consigliere Viventi: «Servizio sostitutivo di leva presso i corpi di Polizia municipale».




Nomine

PRESIDENTE. Ho provveduto alle seguenti nomine con i decreti sottoelencati:
- n. 63 in data 28 maggio 2002: Collegio dei revisori dei conti della Fondazione Orchestra regionale delle Marche - sostituzione di un componente effettivo;
- n. 64 in data 28 maggio 2002: Cooperativa artigiana di garanzia "Pesaro" di Pesaro - elezione di due rappresentanti nel Consiglio di amministrazione;
- n. 65 in data 28 maggio 2002: Cooperativa artigiana di garanzia "Metaurense" di Fano - elezione di due rappresentanti nel Consiglio di amministrazione.



Deliberazione amministrativa

PRESIDENTE. La Giunta regionale ha trasmesso la deliberazione: n. 901 in data 21 maggio 2002: «Art. 39 della legge regionale 23.4.2002, n. 6 - Attuazione del decentramento amministrativo: variazione agli stanziamenti di UPB di spesa nel bilancio di previsione per l'anno 2002, conseguente al riordino delle funzioni amministrative tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali (euro 9.062.738,50).



Congedi

PRESIDENTE. Hanno chiesto congedo i consiglieri Grandinetti e Pistarelli.




Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale sulla ricerca "Rappresentare il policentrismo"

PRESIDENTE. Quando, l'anno scorso decidemmo di "prendere le misure" alla società marchigiana, lo facemmo con l'intenzione di confezionare un abito istituzionale adatto. Eravamo consapevoli che nelle Marche non dovevamo fare uno Statuto fotocopia di quelli della Lombardia, del Piemonte, del Lazio, della Campania, della Sicilia, regioni troppo diverse dalla nostra. Come Consiglio regionale decidemmo di farci affiancare in questo percorso dai migliori ricercatori e ci affidammo a coloro che erano in grado di darci un contributo nel definire le questioni strategiche della nostra regione. Ci rivolgemmo al dott. De Rita, al prof. Diamanti ed al Consorzio delle università marchigiane per cercare di tratteggiare le questioni strategiche della nostra regione, ritenendo ciò una necessità assolutamente preliminare alla definizione del modello istituzionale. Ci fu chi pensò che il Consiglio si era messo un fiore all'occhiello e si era predisposto a fare passerella. Penso che questa interpretazione fosse una conseguenza e la dimostrazione della crisi della politica.
Ieri Habermas, in una bella intervista su un quotidiano locale la tratteggiava benissimo. Dal 1989 tutti i partiti politici sono caduti nella ideologia della fine delle ideologie. Gli uomini politici hanno finito per dare l'idea di gestire un'impresa di servizi. Così facendo, una politica preoccupata solo del pensiero di sé ha finito per soffocare la scintilla immaginativa ed utopistica dei cittadini ed in sua assenza le riforme di sono ammalate di inerzia, sono diventate routine, ha ripreso vigore il populismo. Bellissimo.
Sulla questione delle consulenze c'è spesso troppa demagogia. Credo che si debba distinguere consulenza da consulenza. Ragionare sul nostro sistema non è spreco di risorse, perdita di tempo, sterile esercitazione accademica. E' invece il presupposto per dare una base seducente e non burocratico-notarile al bisogno di Regione, per appassionarci alla costruzione di una importante prospettiva per il nostro futuro.
Il dott. De Rita è stato messo nella condizione di lavorare bene con noi, ha prodotto una ricerca sul nostro policentrismo, ha avuto modo di confrontarsi direttamente ed indirettamente con parte della classe dirigente regionale, in Ancona e nel territorio. Oggi ha l'occasione di illustrare il risultato finale del suo lavoro, che non intendiamo mettere nel cassetto ora che è stato prodotto. E' per noi un materiale vivo, una traccia di lavoro da approfondire e sviluppare, un termine di confronto utile.
Per questo, nel dargli la parola voglio ringraziarlo a nome mio personale e di tutto il Consiglio.

GIUSEPPE DE RITA. Ringrazio il Presidente Minardi, ringrazio tutti voi di questo anno passato su problemi marchigiani, sia con un lavoro di ricerca, sia con un lavoro di dibattito da Novafeltria ad Ancona, all'Abbazia di Fiastra, che mi ha permesso di ritrovare, vecchi percorsi di ricerca che avevo fatto in passato. La riunione di oggi mi dà l'occasione per fare una riflessione molto politica su che cosa significa oggi uno statuto regionale. L'avevo fatto anche in una riunione precedente qui ad Ancona, ma oggi, quasi a conclusione vorrei dire che ci sono tre problemi che incidono profondamente sulla modifica di uno statuto. Ce ne sono tanti, uno di questi non lo tratterò — il rapporto del riequilibrio di potere — perché non fa parte delle competenze di un ricercatore sociale andare a vedere qual è il riequilibrio di potere fra Giunta e Consiglio nei prossimi anni, mentre invece vorrei affrontare tre argomenti che mi sembrano decisivi anche per la redazione di uno Statuto che sia il più possibile aperto e processuale. Odio i documenti programmatici, i documenti statutari, costituzionali che siano troppo stretti. Le costituzioni hanno bisogno di evolvere, hanno bisogno di cambiare lentamente nella prassi, altrimenti si fa, come in Italia, una Costituzione formale e una Costituzione di prassi che crea poi tensioni non indifferenti.
Questa scelta l'avevo già indicata nel mio primo documento per voi, si chiamava "Il filo rosso della modifica degli statuti", la ripeto qua: un discorso a favore di una logica processuale della stesura di uno statuto. Questo anche perché in fondo una cosa che colpisce — è il primo argomento che voglio toccare — è che la classe dirigente di questa Regione si muove abbastanza all'unisono. Chi è stato con noi all'Abbazia di Fiastra ricorderà che l'analisi delle posizioni della classe dirigente locale, cioè di coloro che facevano i sindaci, i presidenti di Provincia, i consiglieri provinciali, i presidenti di camera di commercio, i presidenti delle associazioni industriali, la classe dirigente della società marchigiana aveva degli indirizzi molto precisi: non era una classe dirigente articolata, dialettica, problematica e forse anche conflittuale ma una classe dirigente che vedeva il problema del futuro della Regione, dell'identità regionale, del modo di pensare lo Statuto, del modo di pensare il rapporto fra identità e intervento regionale in maniera molto omogenea.
Nelle ultime due-tre settimane ho chiesto ai miei collaboratori di fare una piccola verifica in una ricerca più grande che come Censis stiamo facendo sulla classe dirigente innovativa del Paese, abbiamo interrogato qualche centinaia di consiglieri regionali in giro per l'Italia, mi sono fatto dare i dati della Regione Marche e i venti di voi che hanno risposto a questo nostro questionario — 18 su 20 sono della maggioranza: la minoranza, evidentemente, non ha ritenuto, anche se non era un problema solo per le Marche ma era una ricerca generale, di rispondere — danno risultati, sulle stesse domande che avevamo fatto sulla ricerca generale sulla classe dirigente delle Marche presentata a Fiastra, omogenei. Cosa significa questo? Non significa soltanto una curiosità statistica, ma vedere che in fondo la percentuale dei consiglieri regionali che risponde univocamente ai problemi del ruolo da assegnare al Consiglio, dei modi di fare indirizzo e controllo, dei modi di ragionare sulla politica fiscale, dei modi di ragionare sul radicamento nella dimensione regionale, dei modi in cui fare articolazione dei poteri è una cosa che corrisponde — non ho fatto le percentuali, perché su 20 persone non faccio le percentuali, non sono così maniaco — a una omogeneità di comportamento, di atteggiamento. Anche lì dove avrei potuto pensare a una dimensione di resistenza quando si parla di fisco, quando si parla di poliarchia, cioè di articolazione del potere all'interno della Regione, la classe dirigente locale corrisponde alla classe dirigente politica, cioè ai consiglieri regionali, c'è una omogeneità.
Questo mi spinge a confermare quello che ho detto prima: se una società ha così forte una concezione omogenea di sé stessa e del suo futuro, addirittura dei suoi poteri sul territorio, sull'articolazione del potere interno — poliarchici potevano sembrare, magari, il presidente della camera di commercio, dell'associazione degli industriali o della Comunità montana — per cui anche nel Consiglio regionale, nella dimensione politica pura c'è questa attenzione poliarchica, ciò vuol dire che c'è una omogeneità di atteggiamento. E se c'è una omogeneità di atteggiamento lo statuto deve essere aperto e processuale, può e deve. Può nel senso che c'è una classe dirigente che può lavorarci sopra, può elaborare ulteriori aggiustamenti, può modificare pezzi di statuto ma non si chiudono i giochi. I giochi saranno fatti nei prossimi 10-15 anni e questa classe dirigente non promette stravolgimenti dei giochi, promette, in pratica, una strada comune. E' vero, non è vero? Magari, fra di voi fra mezz'ora vi dividerete, magari, sui vongolari in maniera durissima, però quello che appare a me dall'esterno, con tutti i vizi di chi guarda dall'esterno è questo problema essenziale: uno Statuto che può permettersi di essere aperto e processuale, di non essere rigido, chiuso, in qualche modo messo dentro giunture di gabbia ma uno Statuto che permetta una evoluzione costante, un aggiustamento costante.
Secondo problema, estremamente delicato: i meccanismi di rappresentanza. Ho detto prima che la classe dirigente marchigiana, sia quella economica sia quella politica va verso una logica di poliarchia, vuole l'articolazione del potere. Ma l'articolazione del potere come si realizza? Dove si realizza? Si può dire, come è stato detto nel questionario che poi lascerò al Presidente Minardi, che tutti sono per una logica di concertazione sociale, ma dove si fa la concertazione sociale? Con che tipo di poteri? Si può dire che si vuole un'articolazione sul territorio delle autonomie locali, dai Comuni, alle Province, alle Comunità montane, agli enti fiera, ma poi cosa significa dare spazio di rappresentanza a questo modo? Si può dire, come è stato detto a Fiastra, che diventano importanti, in una società quale quella marchigiana, le autonomie funzionali, dalle Asl alle università, dalle fiere ai porti e agli interporti, ma poi che si fa? Come si dà spazio a questa forza?
Una poliarchia in cui il potere politico accetta di articolare la dialettica verso i poteri locali, verso gli enti locali, verso le autonomie funzionali, verso le forze sociali, dove le mette queste tre componenti di poliarchia? Dove le mette in un mondo che non è soltanto il vostro ma di tutte le Regioni italiane, in cui gli ultimi dieci anni sono stati anni di verticalizzazione e non di redistribuzione? Anni di veticalizzazione sulla figura del presidente-governatore o del sindaco-sceriffo o del presidente del Consiglio-"faccio tutto io", ma non interessa: un processo di verticalizzazione c'è mentre dappertutto, e non soltanto nelle Marche ma nelle Marche in maniera esplicita essendo una vecchia società di policentrismo, si chiede questa redistribuzione poliarchica del potere, si chiede di associare allo sviluppo del Paese anche i piccoli Comuni, anche le Comunità montane, anche gli enti di autonomia funzionale, anche le università, anche le fiere, anche le forze sociali. Dove li si mette?
Nello Statuto questo diventa un problema enorme, perché in fondo c'è sempre la tentazione di moltiplicare le sedi: "non ho solo il Consiglio regionale ma ho anche la Camera delle autonomie locali o il Consiglio delle autonomie locali. Non ho soltanto il Consiglio regionale e la Camera delle autonomie locali ma ho anche una specie di organo di rappresentanza delle autonomie funzionali", perché sono quelle che modificano il territorio, pensate ai porti, agli interporti e via di questo passo. "Non ho soltanto la realtà delle autonomie locali minori, delle autonomie funzionali ma anche delle forze sociali". E allora, magari, ci faccio anche un Cnel in piccolo, una specie di Comitato permanente economico e sociale o un Consiglio regionale dell'economia e del lavoro.
Può darsi che questo delirio di riportare in orizzontale un sistema che si è soltanto verticalizzato negli ultimi dieci anni sia un po' esagerato. E' vero che la verticalizzazione comincia a stancare, però redistribuire in un Consiglio regionale, in un Consiglio delle autonomie, in un Consiglio delle autonomie funzionali, in un Consiglio dell'economia e del lavoro, in una concertazione, diventa una specie di marmellata partecipativa. Bene o male — e non è soltanto nel vostro caso: giro l'Italia e guardo dentro, faccio incontri con tutte le Regioni — questi sono i tre problemi forti: dove metto le autonomie funzionali? Non posso non mettere nello statuto che le università, le Asl, le autonomie scolastiche, gli enti fiera sono importanti. Ma dove li metto, nello statuto? Non posso negare che tutta l'articolazione minuta delle amministrazioni locali in qualche modo la devo fare: e che ci faccio, la "dieta dei Comuni", come nella Polonia pre-comunista o ci faccio qualche altra cosa, un Consiglio regionale delle autonomie dove metto dentro tutto, dalle circoscrizioni delle città fino alle Unioni dei Comuni, fino alle Comunità montane?
Questo è un problema che tocca voi, perché io ritengo che un'articolazione così forte delle dimensioni partecipative significa soltanto una evirazione del Consiglio. Se il Consiglio crea nello Statuto un'altra Camera delle autonomie locali, un'altra Camera delle autonomie funzionali, una Camera delle concertazioni sociali, poi può chiudere, che fa? Litiga con il Presidente della Giunta? Perché i meccanismi di rappresentanza si sono redistribuiti lì dentro, nelle diverse "Camere parallele".
Questo tipo di problema bisogna che in qualche modo venga affrontato. Ho detto a Fiastra e ripeto anche a voi, che proprio nella logica processuale è il Consiglio che deve darsi fin d'ora, prima ancora dello Statuto, dei meccanismi interni che permettano di inglobare queste tensioni partecipative, ma nel Consiglio, perché se il Consiglio mette nello Statuto funzioni partecipative importanti, dalla periferia amministrativa degli enti locali, dalla forza sul territorio delle autonomie funzionali, della logica dialettica delle forze sociali, le mette fuori, in comitati autonomi, in consigli autonomi, perde tutto, gli resta soltanto quella strada e triste funzione di fare interpellanze, mozioni, visite ispettive quando si possono fare, controlli.
Ho detto a Fiastra — e ripeto qui a tutti voi — che se il Consiglio non organizza dentro di sé dei comitati paritetici istituzionali — Consiglio e autonomie funzionali, Consiglio e autonomie locali, Consiglio e forze sociali — che stanno dentro l'architettura del Consiglio e non vengono messi fuori, la tendenza a scardinare il potere del Consiglio per creare altre Camere collaterali altri comitati collaterali è vincente, perché alla fine sappiamo che le autonomie locali — Città, Province, Comuni — vogliono fare corsa autonoma e vogliono, magari, avere la Camera autonoma come il sindacato e gli industriali vogliono avere l'etichettatura, il fiorellino all'occhiello di avere una loro Camera. Poi non ci fanno niente, come succede a livello nazionale con il Cnel, però vogliono la loro Camera. E' come se fosse una legittimazione di presenze.
Primo punto, lavorate su una logica processuale, perché c'è coerenza fra la cultura espressa dai consiglieri e classe dirigente locale.
Il vostro problema centrale è quello della gestione del processo di rappresentanza. Questo è il Consiglio regionale. Il Consiglio regionale è la sede più alta della rappresentanza, perché chi è direttamente eletto come il presidente della Giunta ha una delega di responsabilità ma non ha la legittimazione della rappresentanza; puoi dire "io rappresento la Regione" ma la delega non gli è stata data in termini di rappresentanza ma in termini decisionali, mentre invece la rappresentanza è del Consiglio. E nel momento in cui il Consiglio organizza tutta la grande architettura della rappresentanza, il mio parere è che il Consiglio incorpori quanta più rappresentanza possibile, altrimenti ciascuno di voi si sente rappresentante della singola area che l'ha votato, del singolo segmento di società che l'ha votato ma non diventate corpo collettivo; il corpo collettivo si fa se ci si sente rappresentanti e si organizzano tutti i flussi, tutto il bacino imbrifero di raccolta dei meccanismi di rappresentanza. Se invece gli altri meccanismi di rappresentanza vengono redistribuiti, nello Statuto, in organi autonomi, è una realtà che poi non si controlla.
Mi sono permesso di avanzare una proposta, cioè: fate comitati misti prima ancora dello Statuto, sperimentate una logica di introiezione della rappresentanza del Consiglio, non restate troppo soli con i vostri contenuti specifici, anche se legittimi e nobili, della rappresentanza territoriale da cui venite, invece cercate questo respiro più generale.
Terzo ed ultimo motivo di riflessione che voglio portarvi è quello relativo al fatto che nella ricerca che portammo all'Abbazia di Fiastra, tutta la classe dirigente marchigiana aveva indicato come essenziale da mettere nello Statuto come funzione del Consiglio, compiti di indirizzo, monitoraggio e controllo, cioè l'indicazione di legge è un'indicazione che in qualche modo è stata accettata. Può darsi che la gente non abbia capito? No, ha capito. Non c'è nella cultura della classe dirigente locale — non politica, ma certamente quella economica — una nostalgia di un Consiglio regionale che ritorni quello che era, a parte i problemi politici di maggioranza e minoranza, voti di sfiducia, "andate a casa se il Presidente si dimette" — questi sono problemi che io non tocco — ma c'è il fatto che tutta la classe dirigente locale, al 65-70% dice "è giusto che il Consiglio regionale faccia indirizzo, monitoraggio e controllo". Ma cosa significa fare indirizzo, monitoraggio e controllo? Cosa significa lavorare su un argomento? Significa fare gli atti di indirizzo, le mozioni, le risoluzioni, gli ordini del giorno? Per carità! Nessuno nega che in Lombardia si fanno 196 mozioni l'anno e 271 ordini del giorno; in Piemonte 226 ordini del giorno; in Liguria 258 ordini del giorno; nel Lazio 109 mozioni; in Toscana 106 mozioni. Però è questo l'indirizzo? Un ordine del giorno è un atto di indirizzo? Oppure l'atto di indirizzo è qualcosa addirittura preparatorio o in qualche modo condizionante della logica di governo, per esempio del Dpef regionale e della legge finanziaria regionale? Cioè l'indicazione previa di alcuni indirizzi di fondo, di identità della società marchigiana e di quello che può essere la società marchigiana nei prossimi uno o due anni e indicare quali sono le prospettive.
Sappiamo tutti che ci sono alcuni problemi strutturali di questa regione, che nessuna legge finanziaria riesce a mettere dentro. Faccio soltanto tre esempi. La regione sta diventando una regione di città-vallate, dove da Pesaro verso Novafeltria c'è città-vallata. Ma lo ritrovate anche a Porto San Giorgio, lo ritrovate addirittura a Porto d'Ascoli, così come a Fano, a Civitanova. Trovate queste specie di pettine, una regione che sta diventando una regione in cui la dimensione orizzontale prevale sulla dimensione verticale. Ma questo è un problema di indirizzo. Una volta si sarebbe detto "da piano regionale", ma oggi non si usa più, per fortuna.
Però un documento che ogni anno affronti questo problema, lo verifichi è un aspetto importante.
Oggi ci riempiamo tutti la bocca, io per primo, di questa realtà marchigiana fatta da distretti e piccola impresa. Ci rendiamo conto di due cose, che la piccola impresa cresce e che le Marche è una delle società in cui cresce più media impresa, anche di qualità? E non ci rendiamo conto che i distretti stanno esplodendo in alto perché hanno logiche di esportazione, di delocalizzazione molto forti? Continuiamo invece a dirci che c'è una realtà di piccole imprese, il metalmezzadro, il distretto del cuoio, delle scarpe... E' tutto diverso e c'è un problema di indirizzo che non è soltanto discutere se la Cina è bella o non è bella o se Matteo Ricci o il mio amico Spacca vanno bene o non vanno bene in Cina. C'è un problema vero di concezione del sistema industriale marchigiano, del sistema economico marchigiano.
Ci rendiamo conto che ormai le Marche come l'Umbria, come la Toscana, stanno diventando una sede di legior? Legior significa di viver bene, di agriturismo, di divertimento a parco, di parchi a tema? Non solo Rimini e Cattolica. Ci rendiamo conto che arrivano operatori stranieri a investire sul turismo, a investire in case nelle valli? L'altro giorno ero in un paese dell'Umbria sperduto fra le montagne, Montegabbione, fra Città della Pieve e Perugia: il 35% della popolazione è tedesca e il prossimo sindaco sembra che sarà tedesco, perché a un certo punto questa è la logica. Qui non succede, ma questo problema di cambiamento interno intimo lo si ritrova. Io sono esterno alla vostra regione, però la conosco da 35-40 anni e la giro. Rimini non è vostra, ma sta lì, è la saldatura con una logica diversa: rispetto agli anni '60 quando vi sono andato per la prima volta è straordinario, perché Rimini non è più una città turistica, ormai ha la metà dell'occupazione industriale, perché l'integrazione con Pesaro e l'integrazione con Cesena è fortissima. Ma l'integrazione con Pesaro significa che anche Pesaro scambia e accetta una cultura riminese di divertimento, di parco a tema, di discoteca. Ma la ritrovate a Civitanova questa stessa cultura di urbano legior, urbano viver bene.
Queste tre cose che toccano l'assetto geografico, urbanistico delle città-vallate, il sistema profondo della realtà industriale ed economica, il modo di intendere la vita dalla costiera all'interno, alla vecchia marchigianità interna, non le vogliamo mettere? Quando qualche industriale dell'interno, tipo Tolentino, dice "io, una volta quelli della costiera non li prendevo perché avevano tutti teste balzane, oggi prendo solo quelli della costiera perché sono più svegli, sono più moderni, più urbani, hanno più cultura urbana", questo è un tipo di argomento che poi si intreccia con i tre argomenti che ho detto prima.
Piuttosto che pensare che la parola "indirizzo" significhi, come significa nelle altre Regioni, mozioni, risoluzioni, ordini del giorno, faccio un bel documento annuale di indirizzo e quel documento resta come il punto di riferimento su cui il Consiglio si può, su singoli argomenti, scatenare in mozioni e ordini del giorno. Ma la dignità di un Consiglio non si misura sulla somma di mozioni, ordini del giorno e risoluzioni, si fa sul fatto di avere dato indirizzo. La parola è "indirizzo".
Il problema successivo qual è? E' come faccio il controllo, se lo faccio con le inchieste, le interpellanze, le interrogazioni, le indagini conoscitive, le consultazioni, le visite ispettive. Anche qui c'è una specie di moltiplicazione, nelle altre Regioni, delle interpellanze e interrogazioni: la Liguria ne fa 425, il Piemonte 463, l'Emilia Romagna addirittura 920. Ma che cavolo significa fare 920 interpellanze, interrogazioni, indagini conoscitive e cose di questo genere se non c'è l'indirizzo precedente? Significa sostanzialmente fare interrogazioni su una strada poderale della propria realtà locale. E quello è indirizzo e controllo? No, l'indirizzo e controllo vanno uniti insieme, bisogna avere il monitoraggio e il controllo di problemi o di indirizzi che sono stati dati, un indirizzo generale politico, non in senso tecnico ma politico in senso di evoluzione complessiva della realtà, della società marchigiana.
E allora il Consiglio ha questo tipo di dignità di essere chi rappresenta complessivamente il sistema, che riesce a dare un indirizzo generale di cultura sistemica delle Marche e poi ha dei meccanismi di intervento per controllare, verificare, monitorare la possibilità di andare su quegli indirizzi.
Ho finito, vorrei soltanto richiamare le tre cose che ho detto, che mi sembrano importanti, come atto finale di questa mia collaborazione con voi.
Fate uno Statuto processuale, il più possibile aperto. Questo non significa fare il manifesto in cui c'è di tutto: il valore della pace, il valore dell'identità nazionale, la bandiera, l'inno... No, semplice, pulito, senza retorica manifestante ma con la possibilità di progredire nella determinazione delle giunture della realtà consiliare e regionale.
Certamente il problema del potere interno ve lo dovrete vedere voi e sarà non facile da risolvere: il rapporto fra Giunta e Consiglio. Ma per il resto, in quanto siete coloro che meglio e più legittimamente hanno un mandato popolare, allora a quel punto fate uno schema di Statuto che permetta la permeazione fra il mandato popolare, la cultura della classe dirigente che è omogenea alla vostra e a voi stessi o ai vostri successori.
Non create ostacoli formali nel rapporto fra rappresentanza popolare che esercitate, rappresentanza implicita di una classe dirigente che è consonante con voi nell'avere alcune prospettive di evoluzione e voi stessi.
Sviluppate il valore della rappresentanza ma non lo distribuite fuori di voi, perché distribuirlo fuori di voi significa svuotare voi stessi. Una Camera delle autonomie a livello regionale significa che voi non ci siete più. Una Camera delle autonomie funzionali significa che dopo, su un problema dell'università o su un problema dell'ente fiera o su un problema dell'autonomia scolastica che fra cinque-dieci anni sarà portata a termine, non ci potete entrare più. Se dite "la concertazione se la faccia il Presidente nell'equivalente della Sala Verde di Palazzo Chigi", vi spogliate di questo. Cercate di introiettare meccanismi di rappresentanza, perché voi siete il luogo della rappresentanza.
Non scendete, nei compiti che ormai non solo la legge ma la società vi riconosce come propri — indirizzo, monitoraggio e controllo — nella logica tradizionale delle interpellanze, ordini del giorno, mozioni, visite ispettive, interrogazioni. Io non ho mai fatto la politica, però so benissimo che poi un'interrogazione, un'interpellanza, un ordine del giorno danno visibilità anche giornalistica, per cui nessuno vi nega di castrarvi di questa roba qua, però rendetevi conto che una cosa è la responsabilità di ciascuno di voi verso il proprio elettorato, quindi verso una visibilità del proprio mandato, un'altra cosa è il corpo collettivo. La somma di interpellanze, interrogazioni, ordini del giorno, risoluzioni, mozioni ecc. potrebbe anche essere 3.700 interrogazioni all'anno, 20.000 ordini del giorno all'anno, ma non porta a riempire il ruolo di indirizzo, controllo e monitoraggio. E' il Consiglio in quanto tale che si deve dare degli strumenti compatti, organizzativi coerenti, cioè fare indirizzo con un documento di indirizzo, un documento annuale o biennale di indirizzo e su quello costruire il monitoraggio e il controllo che è monitoraggio e controllo della rispondenza delle politiche agli indirizzi generali e non delle decisioni di un assessore all'interesse di una singola realtà locale.
Ho finito, vi ringrazio dell'attenzione, vi faccio i migliori auguri per questa fatica statutaria che vedo sta rendendo affaticati tutti i Consigli regionali italiani. Domani il presidente della Repubblica al teatro "Argentina" farà un discorso che spingerà verso una ulteriore accentuazione del processo della rappresentanza come meccanismo di legittimazione degli eletti, che siete voi, e non dei delegati al potere: spero che lo faccia, perché nessuno sa cosa dirà il presidente fino a quando non parlerà, però la fatica c'è, alcune volte c'è l'appesantimento di un processo che non riesce a quagliarsi rapidamente come avremmo pensato ancora un anno e mezzo fa, però questo è uno dei punti su cui sono convinto — del resto l'ho scritto anche in un ultimo articolo di una settimana fa su Il Corriere della Sera — si gioca buona parte della prossima democrazia italiana: la redistribuzione nelle sedi istituzionali del Parlamento, del Consiglio regionale, del Consiglio provinciale, del Consiglio comunale, la redistribuzione del potere di rappresentanza e di decisione. Se invece continuiamo nella verticalizzazione e nelle realtà collettive — Parlamento, Consiglio regionale — ci disperdiamo nelle piccole cose, la verticalizzazione, che comincia ad avere un po' di affanno, si incancrenirà e ne pagheremo tutti le conseguenze.


Ordine del giorno della seduta

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'iscrizione all'ordine del giorno e la discussione urgente della mozione n. 164 ad iniziativa dei consiglieri Agostini, Avenali, Tontini, Silenzi, Franceschetti e Mollaroli: «Problematiche connesse alle vongolare marchigiane»

Il Consiglio approva



Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale sulla ricerca "Rappresentare il policentrismo" (Discussione)

PRESIDENTE. Per permettere ai consiglieri prendere parte alla discussione relativa alla presentazione della ricerca sul policentrismo marchigiano, farò una breve comunicazione in modo da aprire la discussione, quindi è sia un contributo sia una questione che tecnicamente ci mette nella condizione di discutere la questione.
La nostra è una regione in cui è forte l'identità cittadina, ma in cui le città sono piccole (solo una sui 100.000 abitanti) o piccolissime, quindi senza una vera leadership istituzionale indiscussa. Una regione in cui sono cresciute imprese ormai multinazionali, ma in cui è fortissima la presenza di piccole e piccolissime imprese. Una regione in cui il forte spirito di iniziativa individuale si accoppia ad un bisogno di servizi pubblici di qualità. Una regione fortemente competitiva ma che ha un assoluto bisogno di rafforzare e aggiornare i suoi "fondamentali", visto che le sue province stanno perdendo posizioni. Una regione cresciuta spontaneamente ma che necessita oggi di direzione politica per non correre il rischio dell'agire caotico.
E' indubbiamente difficile portare a sintesi tutto ciò, proprio perché non esiste un interesse prevalente in grado di orientare tutti gli altri. E' questa la difficoltà nostra che incontreremo nell'affrontare sia i temi dello Statuto che la riorganizzazione di tutti i nostri sistemi, dalla scuola alla sanità, dal turismo al rapporto tra Regione e sistema delle autonomie. Sempre dovremo fare i conti con la necessaria definizione di un modello senza il quale, nell'interpretare la nostra dispersione, potremmo oscillare tra una versione aggiornata ma impotente del campanilismo che richiede decentramento, incurante della capacità di gestirlo ed il bisogno di massa critica che, se interpretato in modo pigro, può portarci al centralismo. E' percepito cosi, il rischio che corriamo oggi, anche dalle classi dirigenti di questa regione, che dimostrano, nella ricerca appena presentata, appunto di esserne consapevoli e di temere entrambi . Esse percepiscono lo Stato come un problema che con il suo accentramento produce inefficienza, ma il termine federalismo non assume mai i connotati di una ideologia della trasformazione dello Stato decentrato. Nello stesso tempo si teme che il decentramento possa essere un peso difficile da portare dalle spalle troppo gracili dei nostri piccolissimi comuni.
Mi interessa, oggi, prendere in considerazione brevemente ovviamente per il tempo a disposizione, altri due temi. La questione dello sviluppo per contiguità, che è stata citata più volte dal dott. De Rita nei nostri incontri e le sue conseguenze. E la questione della crisi del Consiglio.
Credo di poter dire che la questione dello sviluppo per diffusione, sia una questione molto visibile nella nostra regione. La capitale diffusa, che risiede nella costa, cresciuta nella fase dello sviluppo industriale, consumate tutte le proprie risorse di spazi utilizzabili, esaurite le risorse umane disponibili, sta determinando uno sviluppo che linearmente risale le valli e che, per la prima volta, sta raggiungendo le aree interne. E' importante che noi riusciamo a governare questo processo che ci pone almeno tre problemi .
Il primo. dobbiamo essere selettivi. Non possiamo pensare di spostare in periferia le produzioni più inquinanti che creano problemi altrove e che nelle aree interne finirebbero per bruciare le potenzialità di sviluppo legate alle qualità naturali e culturali. Né possiamo pensare di riorganizzare i servizi con la stessa logica di trent'anni fa per cui per fare massa critica sono stati tagliati i rami secchi producendo concentrazione nella costa. Anzi dobbiamo affrontare seriamente la crisi delle città medie della realtà interna marchigiana. Sono tutte in crisi di ruolo, perché la riorganizzazione dei servizi ha colpito la loro vocazione di città di servizi territoriali. (tribunali, ospedali, scuole medie secondarie superiori e tanti altri servizi di questo tipo).
Il grande problema del riequilibrio di cui questa regione ha assolutamente bisogno, passa per una precisa ed equilibrata diffusione dei servizi. E' il punto fondamentale sul quale tutta la comunità marchigiana deve trovare una risposta. Oggi, la riorganizzazione di sanità, scuola, poste ed altri servizi fanno intuire una pigra e pericolosa riedizione di vecchie politiche. Si tratta di non compromettere le potenzialità di nuovo sviluppo privando quelle aree dei servizi necessari.
Esistono inoltre servizi e presenze dello Stato nella cui valutazione si deve andare al di là del puro calcolo economico. Se il calcolo economico fosse stato sempre prevalente, ancora in gran parte delle aree interne, dove la popolazione è più dispersa, molte abitazioni sarebbero senza corrente elettrica ed acqua potabile. C'è un fatto di dignità e di fiducia nelle istituzioni che viene prima del mero calcolo economico.
Il secondo. Dobbiamo individuare nel livello vallivo una convergenza di fenomeni ambientali, produttivi, di mercato del lavoro, di rapporto tra comuni che va senz'altro compreso meglio per produrre una nuova condensazione che superi la storica forma consegnataci dalla società ancora prevalentemente agricola: le Comunità montane.
Il terzo. Nelle Marche c'è un livello sub-regionale importante. In nessuna regione italiana il livello provinciale è importante come da noi, per effetto dell'armatura delle città estremamente polverizzata che ha bisogno di un livello intermedio. Le nostre Province non sono in crisi, sono in crisi in altre regioni dove il contrasto tra il livello provinciale e le città capoluogo di provincia è tale da svilirne il ruolo. Serve dunque definire bene il ruolo di questo ente intermedio che non può agire da supercomune, né da competitore della Regione.
L'altro tema cui vorrei accennare riguarda la crisi del Consiglio. Tralascio la questione dell'elezione diretta del Presidente per questione di tempo, per parlare brevemente del rischio grandissimo che il Consiglio finisca per essere svuotato di funzioni, non soltanto dalla elezione diretta del Presidente. Può essere svuotato di funzioni anche dal sistema della rappresentanza sociale che fa concertazione e che definisce puntualmente, come delibere, i propri patti con l'Esecutivo. Può essere svuotato dal sistema della rappresentanza territoriale tentato di fare la stessa cosa. Lo stesso Consiglio delle autonomie credo che possa essere utile per monitorare l'effetto delle politiche regionali e dell'azione degli enti locali nel territorio, per cercare tra loro una sede di confronto nella quale possano anche competere, possano divulgare le buone pratiche, alzare il livello del sistema. Se invece avrà la funzione di dare dei pareri preventivi su quello che deve decidere la Regione, se faremo proliferare tutto un sistema di Consigli per dare ad ogni necessità di coagulo una sede istituzionale, possiamo anche chiudere il Consiglio regionale e far morire di soffocamento la democrazia, incapace di decisione.
Il rapporto Consiglio-Esecutivo si porta il peso di due questioni da affrontare sulle cui qualità c'è nel dibattito un'ampia convergenza. La prima riguarda la rimozione dello scioglimento del Consiglio per l'inabilità — di tutti i tipi: salute, giuridica, politica — del Presidente. Per fare un esempio americano: alla morte di Kennedy o per l'impeachment di Nixon non si è tornati a votare negli Stati Uniti d'America. La seconda questione riguarda quella che il presidente Ciampi chiama "zoppia istituzionale", ovvero lo squilibrio esistente tra Esecutivo e Consiglio. I modi per superare la zoppia sono diversi e attengono a scelte diverse circa la forma di governo.
Il dibattito si svilupperà appieno su questo tema: mi pare che alcuni esempi stanno dimostrando quanto il dott. De Rita ha espresso pochi minuti fa.
Credo che comunque il rafforzamento del Consiglio dovrebbe essere al primo punto nella testa di tutti i sinceri democratici e credo che il rafforzamento del Consiglio passi per una più netta distinzione delle funzioni tra Consiglio ed Esecutivo, potenziando per il primo le funzioni di indirizzo e di controllo.
Sarebbe inoltre importante che il Consiglio potesse promuovere un confronto utile a tutta la classe dirigente regionale con il pensiero strategico, non soltanto locale ma anche europeo e mondiale. E' una questione fondamentale, non un lusso. Ci serve un osservatorio per valutare le tendenze e per confrontare le esperienze. Credo che sia l'unico modo per fare adeguatamente e correttamente indirizzo. Credo che si tratti di un compito cui dovremo assolvere.
Quello di questa mattina è uno degli ultimi passaggi di una fase che abbiamo aperto un anno e mezzo fa, nella quale ci siamo posti come obiettivo quello di ragionare sulle questioni strategiche delle Marche. Voglio ringraziare tutti coloro che hanno collaborato con noi, voglio ringraziare i consiglieri per il contributo che hanno dato, la classe dirigente locale con la quale ci siamo confrontati e credo che abbiamo fatto un buon lavoro istruttoria. Ora, questo materiale potrà essere utile per tutti i consiglieri, sia quelli che partecipano alla Commissione Statuto sia chi deve svolgere costantemente e quotidianamente delle azioni nelle quali deve dare risposte positive ai problemi che la nostra Regione deve affrontare. Credo che, con soddisfazione, possiamo dire di avere adeguatamente condotto questa fase che si concluderà con l'ultimo lavoro che ci produrrà il consorzio delle università marchigiane alle quali sta lavorando e che sta completando.
Con questa mia breve comunicazione apro la discussione sulla questione del policentrismo alla quale, come Conferenza dei presidenti di gruppo abbiamo indicato di dare una partecipazione contingentata — un componente per gruppo, per sette minuti — e credo che questo possa essere un contributo che arricchisca la nostra discussione.
Ha chiesto di parlare il consigliere Moruzzi. Ne ha facoltà.

MARCO MORUZZI. La riforma dello Statuto è un'occasione importante per ripensare il rapporto tra le istituzioni e i cittadini, specie in una fase in cui la fiducia nelle istituzioni è qualche cosa che va conquistata, mantenuta e conservata giorno per giorno.
E' davanti ai nostri occhi un rapporto difficile con le istituzioni, un rapporto che vede il cittadino chiuso su interessi articolari e privati e vittima anche di processi di globalizzazione rispetto ai quali spesso le istituzioni non riescono nemmeno a dare una risposta.
Io sono convinto che il policentrismo è una risorsa nella nostra regione, perché attraverso il policentrismo è possibile recuperare e difendere dei valori e delle peculiarità fondamentali per il nostro sistema. Nello Statuto dovremo cercare di trovare nuove forme di articolazione del potere che consentano al policentrismo di sviluppare tutte le sue potenzialità. Voglio qui dare un contributo con una riflessione particolare su un tema di cui molti parlano e che a mio avviso può essere utile inserire all'interno del nostro dibattito.
Molti parlano in questa fase di Porto Alegre, famoso per avere realizzato ormai da 15 anni questa esperienza del bilancio partecipato. Porto Alegre è una realtà in cui si è cercato di elaborare forme nuove di gestione delle risorse pubbliche e private, a partire dalle decisioni private.
Quali sono i dati di questa realtà che si trova in un Paese molto difficile, il Brasile? Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà di questo Paese: difficoltà sociali, difficoltà economiche, difficoltà politiche, difficoltà di conciliare uno sviluppo che avanza in certi aspetti ma che lascia indietro fette di popolazione urbano ed extraurbana. In questa realtà si è realizzato il 97% di alfabetizzazione, il 99% della popolazione ha disponibilità di acqua potabile, la vita media è di 73 anni, un dato importante se la confrontiamo con i 76 anni del dato italiano o la media dei 40 anni che è l'attesa media di vita nella quasi totalità dei Paesi africani. Realtà come la diffusione della raccolta differenziata sul tema dello smaltimento dei rifiuti: sono sotto gli occhi di tutti queste megadiscariche che, specie nei paesi del Terzo Mondo, sono il luogo in cui bambini e adulti vivono una condizione lavorativa terribile. In questo Paese la raccolta differenziata ha messo in piedi un ciclo economico reale, fondamentale. Trasporti pubblici e viabilità sono un modello di funzionalità. Questo risultato si è ottenuto attraverso politiche di implosione sociale fortemente innovative, trasformando dei soggetti normalmente esclusi dal momento decisionale in soggetti importanti nelle scelte decisionali.
Sono state prese in questa realtà anche delle scelte importanti, difficili, in controtendenza. In questa realtà si è rifiutata la realizzazione di un grosso complesso industriale proposto dalla Ford che avrebbe portato facilmente una forte occupazione e un forte indotto ma avrebbe fortemente condizionato tantissimi processi. Una realtà come questa, che a partire dai meccanismi di partecipazione e di gestione della cosa pubblica ha potuto e saputo rifiutare alcune impostazioni che nelle Marche non abbiamo il coraggio o la forza di rifiutare. Penso anche alla subordinazione o al clima che si è creato in questa regione dopo la decisione presa a livello della giustizia nazionale, di lasciar decidere la Regione se un impianto importante come la raffineria Api sarà riconfermato o se la sua attività nella regione non sarà rinnovata.
Credo che quando non abbiamo meccanismi di partecipazione, di articolazione di quel policentrismo efficace, amministrazioni anche come questa si trovano in difficoltà quando arrivano scelte difficili. Noi dobbiamo raccogliere la sfida di inserire nella riforma statutaria e nei nostri procedimenti politiche di implosione sociale fortemente innovative, conciliare la democrazia rappresentativa con la democrazia partecipativa, non pensando che i meccanismi di democrazia rappresentativa possano essere la scorciatoia rispetto a forme sempre più forti di partecipazione diretta e diffusa.
Porto Alegre peraltro mi piace perché anche in antitesi al liberismo sfrenato che sta avanzando, che sta prendendo campo anche nelle nostre realtà. E là si è lavorato in quella logica processuale di cui anche De Rita ha parlato nel suo intervento odierno. Si è profondamente lavorato non soltanto sui progetti, non soltanto sugli indirizzi ma soprattutto sulla logica processuale: sono stati definiti dei processi che hanno permesso di assumere delle scelte da alcuni ritenute utopiche, sicuramente utopiche in scenari partecipativi diversi, scenari processuali diversi, ma che invece in quella realtà si sono dimostrati tranquillamente alla portata di una struttura come quella di quella realtà.
Il Consiglio deve quindi incorporare più rappresentanza possibile e in questa politica di implosione sociale credo che dobbiamo affrontare anche la questione degli stranieri, degli extracomunitari, certo non con quell'approccio della scellerata "legge Fini-Bossi" approvata proprio in queste ore in Parlamento: razze, etnie, religioni, multiculturalità non possono avere l'approccio che noi abbiamo visto in questi giorni di discussione al Parlamento. Azioni specifiche per l'implosione sociale che vadano oltre la concertazione e che sono fondamentali per l'equilibrio dei poteri anche nel territorio.
Sono d'accordo con quello che dice De Rita, attenzione agli strumenti nuovi: Dpef regionale, finanziaria regionale concordo che debbano svolgere una maggiore funzione di indirizzo e sta a noi stessi trasformare questi strumenti in occasione di discussione dalle cifre alle politiche.
Credo anche che la nostra Regione si stia misurando con processi di delocalizzazione che sono il risultato, nel nostro territorio, dei processi di globalizzazione che sopravanzano gli interessi generali, quindi nelle nostre azioni, nei nostri provvedimenti, senza demonizzare il processo di globalizzazione — perché c'è del buono al suo interno — si devono ostacolare certi meccanismi.
La rappresentanza e la partecipazione credo che debbano essere strettamente connesse con le nuove tecnologie informatiche attraverso alcune fasi importanti del processo di informazione e di partecipazione e, guarda caso, proprio nella realtà brasiliana di cui ho parlato in precedenza, è stato realizzato un processo di informatizzazione diffusa di tutto il territorio urbano, dando la possibilità di usare questi strumenti anche al cittadino che non ha le risorse per approvvigionarsene direttamente e privatamente.
Sono d'accordo con quanto diceva il Presidente sulla crisi del Consiglio, non è esagerato parlare di crisi. Non penso che sia una crisi di rappresentanza ma direi una crisi di strumenti per esercitare la rappresentanza. Questo significa che sulle funzioni di indirizzo e controllo di questo Consiglio — perché il Consiglio non deve sostituirsi alle funzioni di Governo ed espropriare la Giunta di queste funzioni — occorre trovare dei maggiori strumenti. Sta a noi, a questo punto, tradurre nello Statuto i preziosi contributi scientifici che abbiamo ricevuto, il frutto e il risultato del dibattito politico che si è sviluppato e che continua a svilupparsi questa mattina e mi auguro che la Regione presto e bene sappia trasformare questo dibattito in un ottimo, funzionale e condiviso dai nostri cittadini Statuto regionale.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Castelli.

GUIDO CASTELLI. Vorrei prendere lo spunto da quanto espresso dal prof. De Rita per fare alcune considerazioni che per molti versi coincidono con le riflessioni del prof. De Rita stesso, che vorrei però inquadrare nel contesto della situazione che stiamo vivendo a livello regionale e nazionale. Il fatto che la Regione Marche sia impegnata nella redazione del nuovo Statuto, in una fase in cui a livello nazionale si sta vivendo la grande "rivoluzione federalista e del decentramento" non è neutro. Stiamo vivendo una situazione molto difficile, complessa, di cui cominciamo ad assaggiare i primi elementi proprio in questi mesi, che vede un fortissimo cambiamento del rapporto tra quelle autonomie funzionali e il sistema delle decisioni: federalismo, decentramento stanno poi, fra le altre cose, segnando il passo, anche perché ci siamo resi conto che probabilmente la riforma del titolo V della Costituzione si è manifestata, è stata decisa, validata con un referendum, forse in maniera anche frettolosa. Sicché una grande aspettativa si è formata fra i marchigiani e non solo rispetto agli effetti del federalismo, ma piano piano le autonomie funzionali, i centri decisionali, le aggregazioni sociali, le categorie degli imprenditori e i sindacati si stanno rendendo conto di una cosa: in realtà il federalismo e il decentramento sono strumenti che si fondano su un principio che poco o nulla ha a che vedere con l'efficacia e la tempestività della decisione, con la snellezza dell'attività amministrativa che è é propedeutica alla decisione stessa. Piano piano si va registrando, dopo il grande entusiasmo federalista, una consapevolezza: che è vero che il federalismo consente di avvicinare il luogo della decisione ai destinatari della stessa, ma al di là di questo rapporto poco o nulla rileva il federalismo per quanto riguarda la vera grande attesa di una decisione rapida, snella e giusta.
In qualche caso, fra l'altro, il decentramento si avvita su se stesso. Pensiamo ad esempio ai servizi decentrati delle opere pubbliche regionali che sono stati ulteriormente decentrati in un super avvitamento di decentramento, essendo trasferiti alle Province. Si è decentrato anche il decentrato, ma in realtà nel saldo politico della valutazione sull'operato di questi servizi si registra un certo ingessamento, una certa difficoltà perché l'apparato che ha in qualche modo inglobato e assunto al proprio interno ciò che già era gestito in termini decentrati boccheggia, perché sappiamo benissimo che il sistema burocratico non era pronto a ricevere la spinta, gli esiti, gli effetti di tutta quella mole di normativa "Bassanini" e di applicazione della "Bassanini" che si è poi affastellata negli ultimi anni dello scorso millennio.
Perché faccio questo cappello? Le autonomie funzionali che il prof. De Rita ci aiuta giustamente ad inglobare all'interno della nostra funzione consiliare su alcune importanti decisioni che potrebbero essere determinanti per il futuro della nostra regione siano un grosso limite. Lo possiamo dire? Per prendere una decisione nelle Marche, una qualsiasi decisione di tipo amministrativo, normalmente sono necessari passaggi e interlocuzioni complessissimi.
Ho fatto un breve conto: tra amministratori locali, presidenti di consorzio, soggetti che in qualche modo partecipano al circuito della decisione, abbiamo — parlo di Ascoli Piceno — qualcosa come 2.000 amministratori per un territorio di 360.000 abitanti. Pensate se su una scala romana o tirrenica si potesse immaginare che per adottare una qualsiasi decisione di sviluppo che richiede anche il superamento di resistenze sociali, si potesse parametrare la decisione su questa complessità.
Il nostro problema in realtà, secondo me è ri-sintetizzare, riunire, riportare ad unità. Non credo quindi di dire una bestemmia affermando che il federalismo e il decentramento nelle Marche non possono essere letti nella stessa misura con cui possono essere letti in Lombardia e nel Lazio, bisogna calibrarli e tararli bene, perché il vero rischio — e dobbiamo avere ben presente questo rischio nel momento in cui dobbiamo redigere lo Statuto — è che vi sia l'esplosione delle autonomie, l'esplosione della richiesta di decisione e di codecisione, il tutto in un crogiolo di domanda partecipativa che potrebbe portare le Marche a non avere la possibilità di scelte politiche macrosociali, macropolitiche e di interesse più generale.
E' vero che il Consiglio regionale in questo quadro è un attore potenzialmente protagonista di tutto questo scenario. Potrebbe essere il Consiglio regionale che rivendica il suo ruolo di luogo della mediazione, luogo della rappresentanza e quant'altro, però io non credo che questo processo possa limitarsi, per poter raggiungere un obiettivo comune, ad evitare la proliferazione degli istituti e delle stanze di compensazione.
Primo problema, non so se è un caso marchigiano però è un fatto — lo dico senza polemica ma solo a titolo paradigmatico — che le ultime decisioni di forte impatto sociale che l'Esecutivo regionale delle Marche ha assunto — mi riferisco alla manovra fiscale e, oggi, alla manovra sanitaria — in realtà hanno visto come interlocutore preventivo, come partner nel luogo della decisione le autonomie funzionali: mi riferisco alla concertazione con i sindacati prima della manovra fiscale, mi riferisco alla concertazione con le autonomie funzionali tuttora in essere per quanto riguarda la manovra sanitaria.
Non so se questa sia la causa o l'effetto di una situazione che però dobbiamo avere ben presente: che in realtà il luogo della decisione non è più questo. E non credo di andare lontano dal vero se dico che questa rarefazione della nostra efficacia decisionale dipende forse — lo dico molto sommessamente ma senza arrossire — anche dal tramonto del sistema dei partiti che non so se sia poi tutto questo bene. Dall'eccesso di partitismo, del partitismo pervasivo degli anni '80 e '70 siamo arrivati alla cancellazione della "forma partito" che dovrebbe essere lo strumento di mediazione sociale. Rendiamoci conto che questo ruolo di mediazione non ci può essere più garantito per effetto di quello che era lo strumento del più tradizionale e anche effettivo luogo di mediazione. Non ci sono più partiti.
Allora, il Consiglio regionale in quale modo può oggi riacquisire quel ruolo? Certo, evitando le proliferazioni. Non so se sia giusto stigmatizzare il sindacato ispettivo, le interrogazioni e le mozioni, perché in realtà anche quelli sono strumenti per rappresentare. E' vero che il consigliere regionale può poi eccedere in narcisismo politico come spesso accade, per dar luogo ad articoli e cose di questo genere, però in realtà il sindacato ispettivo — la mozione, l'interpellanza — segna uno dei pochi momenti di dibattito all'interno del Consiglio regionale.
Credo allora che al di là di quella che sarà la redazione dello Statuto, è una forte consapevolezza di questo Consiglio che deve segnare il rivolgimento dei rapporti con la Giunta e la riacquisizione di potere. Non è facendo riferimento alla Costituzione formale, ma alla Costituzione materiale, che è il frutto dei nostri comportamenti nella dinamica, nella logica dei Consigli che dobbiamo in qualche modo riappropriarci del nostro ruolo; è dicendo no alla formazione delle decisioni fuori dal Consiglio; è dicendo no alla individuazione che — non voglio fare polemiche politiche — che è nei fatti: che le grandi scelte si formano altrove e non qui. Siamo noi che dobbiamo, al di là delle guarentigie che potremmo dare a noi stessi attraverso lo Statuto, dire no ogni qualvolta, ad esempio, si formano delle leggi che tuttavia, poi, non trovano nel bilancio la disponibilità finanziaria per essere attuate. Valutiamo allora se e quanto la Giunta adotti con tempestività gli atti che le vengono delegati. Faccio riferimento, ad esempio, al famoso provvedimento sulle distanze in materia di elettrosmog che già da mesi la Giunta dovrebbe adottare, che non adotta senza che il Consiglio abbia detto nulla. Andiamo a verificare, in sostanza, anche sulla base di quelle che sono le nostre attuali prerogative, se e quanto la Giunta faccia il dovere che noi spesso la invitiamo a svolgere. Al di là delle indagini sociologiche che sono un arricchimento importante, credo che ciascun consigliere sia portatore, in questo momento, di quel richiamo alla centralità del Consiglio che dobbiamo costruire non solo con affermazioni verbali ma attraverso la prassi politica. Noi dobbiamo cercare di ingenerare all'interno dei rapporti con la Giunta quel tanto di centralità che si traduca in una ossessiva, continua ma convinta volontà di richiamare la Giunta al rispetto di quelle che sono le prerogative nostre di consiglieri. Ripeto, un contributo a che la Costituzione materiale delle Marche possa andare in questo senso, altrimenti saremmo noi i principali autori di uno svilimento che è nelle cose che dipendono sì, sicuramente, dai grandi trend nazionali, ma che possono anche dipendere dai nostri singoli comportamenti.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Silenzi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIUSEPPE RICCI

GIULIO SILENZI. C'è un dato sull'indagine del Censis che merita di essere evidenziato subito: "le classi dirigenti locali esprimono generale fiducia nella capacità della Regione Marche di diventare un soggetto artefice e garantire di una articolazione orizzontale dei poteri sul territorio, che valorizzi la ricchezza del policentrismo e il pluralismo istituzionale della regione". Non solo: "il 61, 6% dei soggetti interpellati (tra i quali, in particolare, il 65,1% degli enti locali e il 68,7% delle strutture marchigiane delle amministrazioni centrali) ritiene che di fatto la Regione stia già esercitando questo ruolo e che, quando lo Stato devolverà maggiori poteri, lo potrà esercitare in modo migliore".
Penso che questo sia un fatto estremamente significativo e importante, perché significa che lo sforzo che in questi anni le amministrazioni di centro-sinistra hanno prodotto per costruire un metodo di governo basato sulla condivisione e la cooperazione istituzionale — e di cui il lavoro per la ricostruzione post-sismica rappresenta l'esempio più significativo, quasi un modello istituzionale — è stato compreso e rappresenta per la comunità marchigiana un valore comune.
Tante volte in questi anni abbiamo ripetuto lo slogan "fare rete", per indicare non solo l'esigenza di una generica collaborazione tra livelli istituzionali e rappresentanze sociali, ma un nuovo modo di concepire e praticare la programmazione, non più calata dall'alto ma frutto di un processo di articolazione orizzontale, che valorizzi le potenzialità del tessuto sociale e dell'articolazione democratica della nostra regione.
Vorrei qui aprire e chiudere una parentesi sulla complessità di questo metodo di governo che porta a risultati. La semplificazione la vedremo sui decreti che il Governo nazionale fa rispetto alla pesca nell'Adriatico, dove non si interpellano le Regioni. Sono atti semplici a firmarsi, ma che producono conflitti sociali enormi che poi si debbono sospendere, si debbono rivedere e creano nel territorio e tra i soggetti interessati divisioni profonde.
Questa affermazione che è venuta avanti faticosamente negli anni è un fatto estremamente positivo. Non è trionfalismo il mio, ma doverosa sottolineatura delle condizioni positive che sono state create negli anni in questa regione, un patrimonio di fiducia sul quale possiamo contare, che non era scontato e che rappresenta una base che ci guida per il lavoro che dobbiamo fare nei prossimi anni. Al tempo stesso no possiamo ignorare il permanere di un diaframma comunicativo con le rappresentanze sociali, se è vero che in questo ambito la ricerca del Censis si manifesta in un diffuso timore per una deriva neocentralista della Regione, soprattutto nella prospettiva di un rafforzamento dei poteri derivanti dal processo di devolution, mentre questo pericolo viene paventato soltanto da un terzo delle rappresentanze istituzionali. Segno che in questi anni non siamo riusciti a costruire un rapporto di fiducia analogo a quello che si è realizzato con gli enti locali. Ma procediamo con ordine.
Il primo dato importante riguarda il permanere e anzi il rafforzarsi dell'esigenza di un intervento della politica in funzione della razionalizzazione e della programmazione. Contrariamente a quanto vuole una vulgata secondo la quale lo sviluppo richiederebbe da parte dei poteri pubblici soltanto l'eliminazione di ogni ostacolo allo sviluppo spontaneo del mercato, cosicché le norme non avrebbero altro scopo che quello di registrare puntualmente ogni variazione del mercato, i dati del Censis ci dicono che nelle Marche il proliferare della soggettività economica in carenza di un intervento di razionalizzazione che permettesse di operare una sintesi programmatica di riferimento per gli stessi soggetti in fase di proliferazione, realizzando azioni di coagulo degli stessi, ha prodotto "il paradosso marchigiano della proliferazione senza benessere diffuso". E' questo un altro elemento importante di riflessione che viene introdotto nel dibattito consiliare e nella comunità marchigiana. Dice sempre il Censis: "La lunga stagione della proliferazione dei soggetti economici, la vitalità diffusa e la crescita disordinata della dimensione molecolare, in assenza di efficaci meccanismi di intreccio e razionalizzazione, non è riuscita a stratificare livelli di ricchezza economica e di benessere sociale prossimi ai valori del nord-est, adeguati e proporzionali alle risorse messe in campo". Questo è vero tanto più oggi che, come lo stesso rapporto Censis sostiene, "i margini per uno sviluppo basato essenzialmente sulla moltiplicazione delle iniziative imprenditoriali si restringono, mentre crescono le esigenze di un ruolo di guida dello sviluppo (e di individuazione delle nuove specialità e delle potenzialità inesplorate) da affidare alle istituzioni che operano nel territorio".
C'è da osservare, semmai, che queste considerazioni, che ci sembrano in linea con la nostra impostazione tendente a costruire un nuovo metodo di programmazione, più partecipato e condiviso, ma certamente lontanissimo dalla deregulation liberista della destra, si basa soltanto su differenziale di standard di prosperità in termini esclusivamente economici (valore aggiunto pro-capite, depositi e impieghi bancari ecc.) mentre il rapporto trascura altri importanti indicatori di carattere sociale, che riguardano la qualità della vita in termini ambientali, di efficienza delle infrastrutture (a cominciare da quelle "leggere" di cura della persona). Questi elementi, invece, in una complessiva politica di governo del territorio che si ponga anche l'obiettivo di "internalizzare" i costi sociali, ambientali e umani di modello produttivo e distributivo, sono essenziali. Questa prospettiva più ampia è appunto quella che esalta il ruolo che il Censis auspica per la Regione, quando parla di un "rinnovato modello di governance regionale in grado di incidere sui processi reali" e di essere "soggetto intermedio a capacità funzionale diffusa in grado di soprintendere la dimensione più importante del processo di devolution, ovvero l'esigenza ineludibile di colmare il divario tra policentrismo reale e governo legale del territorio regionale, facendo arbitraggio e condensazione delle istanze sociali sub-regionali di un territorio a struttura policentrica e a vocazione molecolare, che sempre più vive in reti orizzontali".
Il secondo aspetto che mi preme sottolineare riguarda la diffusa ostilità nei confronti dello smantellamento dello Stato sociale e dei livelli di sicurezza sociale che esso assicura, per affidare al mercato i bisogni sociali. Anche qui i marchigiani ci dicono qualche cosa di significativo per la politica regionale e per la bussola che deve orientare il governo e le forze politiche di maggioranza.
Dice il rapporto: "Alla crescente sofisticazione dei bisogni sociali occorre rispondere con politiche sociali regionali improntate a logiche solidaristiche e mediante meccanismi redistributivi a tutela delle fasce deboli, piuttosto che attraverso l'apertura al mercato anche del welfare il 63% delle opinioni".
Questo secondo aspetto va letto in correlazione con il primo, cioè la convinzione della necessità di un intervento regolatore di tipo nuovo, cioè capace di valorizzare il policentrismo. Il rifiuto del privatismo economico va assieme alla valorizzazione del ruolo delle istituzioni pubbliche contro ogni forma di volgare esaltazione della spontaneità. In questo senso, i programmi e i piani che si stanno approvando stanno andando. E qui, se mai, vedrei il secondo limite, forse oggettivo del rapporto Censis, che non pone al suo campione un interrogativo circa la capacità delle istituzioni pubbliche di rappresentare un luogo di esercizio effettivo della partecipazione democratica. Quesito tanto più importante dopo la riforma degli organi istituzionali che ha rafforzato i poteri dei sindaci e dei presidenti a scapito delle assemblee elettive. Ma, a parte questo aseptto direi che l'indagine dimostra la stretta correlazione che c'è nella cultura diffusa tra la difesa del principio di solidarietà sociale e il ruolo delle istituzioni pubbliche regionali.
Il terzo e ultimo elemento che vorrei mettere in evidenza è rappresentato dal largo consenso attorno alle riforme istituzionali realizzate dal centro-sinistra in questi anni. Il giudizio sulla stagione delle riforme istituzionali "è complessivamente e largamente positivo. C'è una diffusa preoccupazione per una trasformazione federalista in senso proprio e invece la preferenza per un più marcato regionalismo. In particolare la motivazione secondo cui il rischio connesso all'attuale fase di riforma istituzionale consiste, si teme, in aggiunta all'eventualità che come esito al processo di riforma si possano determinare differenze sostanziali e squilibri inaccettabili nei servizi erogati ai cittadini e nelle opportunità di sviluppo per le imprese nelle diverse regioni del Paese".
A questo elemento va collegato anche il rifiuto di considerare la realtà regionale come espressione di una identità culturale, storica e linguistico-spirituale altra rispetto a quella nazionale.
Mi sembra che questo aspetto dell'equità e della sperequazione territoriale che si riflette a livello nazionale tra le varie regioni, sia anche un elemento che debba farci riflettere sulla considerazione che anche nel territorio regionale possano esserci sperequazioni territoriali, non una distribuzione di risorse in maniera equa e penso a settori importanti come la sanità, che possono non trovare una condivisione generale nel corpo elettorale, nella popolazione marchigiana. Questo ulteriore elemento forte dell'equità territoriale, l'indagine del Censis ce lo consegna come riflessione per poi modulare le scelte non solo in materia di Statuto, ma le scelte legislative che saremo chiamati a prendere.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Favia.

DAVID FAVIA. Ho letto con attenzione questa ricerca che ci è stata presentata oggi ma che, con grande maestria è stata già presentata nel convegno ad Abbazia di Fiastra. Credo che due siano i concetti fondamentali da esaminare, stante anche i ristretti tempi a disposizione, cioè il rapporto tra la politica e il governo marchigiani e la società civile — le autonomie funzionali, le centrali dello sviluppo economico e sociale — e il nuovo ruolo del Consiglio come va rabberciato, oserei dire, dopo la grande invadenza del potere degli Esecutivi.
E' chiaro che il dato che deriva dalle interviste è un dato piuttosto omogeneo ma in qualche modo ideologicamente falsato, in quanto il campione intervistato è un campione ideologicamente targato: sono sindaci, politici in genere, quindi essendo le istituzioni marchigiane abbastanza sbilanciate verso una parte politica, ovviamente viene fuori un campione ideologicamente piuttosto sbilanciato. Però, ciononostante, a mio giudizio c'è un dato fondamentale sul quale dobbiamo tutti insieme riflettere, che purtroppo, per le Marche è un dato di condanna della classe politica che fino ad oggi ha governato, quindi capisco il nervosismo con il quale il collega Silenzi ha commentato questa ricerca.
Estraggo — credo sia sintomatico — dalla ricerca questa frase: "L'alto tasso di densità di soggetti e risorse e le accentuate dinamiche di proliferazione spontanea, in assenza di meccanismi efficaci di governo locale della densità di sintesi programmatica e di occasioni di coagulo non sono riusciti nel tempo a generare un aumento proporzionale altrettanto significativo dei livelli di reddito e di benessere sociale, evidenziando, piuttosto, l'insorgere di fenomeni di vischiosità ed effetti collaterali da carenza di condensazione". Il che è l'analisi del cosiddetto "paradosso marchigiano" della proliferazione senza benessere diffuso.
Giustamente il prof. De Rita al convegno di cui parlavo prima ha testualmente detto "Le Marche non fanno modello per la loro atomizzazione: sono più un contenitore di cose diverse che un modello autonomo, si dilata il contenitore, non gli si dà forma". Credo che in ciò sia insita una dura condanna della politica marchigiana ma soprattutto della classe di governo degli ultimi anni, in quanto la sostanza di queste parole è: "la classe imprenditoriale marchigiana è una classe imprenditoriale all'avanguardia, che produce ricchezza, che è fortissima ma la politica non l'aiuta, non è stata capace di convogliare positivamente questa grande forza dei nostri imprenditori per trasformare la ricchezza e la potenza dei singoli in ricchezza diffusa".
Credo che questo sia un dato drammatico, lo spunto per una riflessione estremamente importante, in quanto si desume che la capacità di governance da parte dell'ente Regione non è al massimo, e questo noi condividiamo assolutamente, perché sono anni che facciamo questa critica. La Regione non è in grado di aiutare positivamente la classe imprenditoriale marchigiana che è molto più avanti della classe politica e di governo.
Credo che da qui dobbiamo aprire una grande riflessione. Abbiamo tutta una serie di punti importanti sui quali dobbiamo lavorare, sui quali dovrà lavorare la Commissione Statuto, sui quali però dovrà lavorare anche il Consiglio.
Dice giustamente la ricerca "C'è l'esigenza di una ricomposizione delle funzioni di governo locale, dell'economia e del sociale orientata verso forme di razionalizzazione e di condensazione del tessuto soggettuale, sociale, economico e istituzionale", quindi c'è l'esigenza di un ruolo di guida dello sviluppo da parte della Regione, un ruolo che finora, come dicevamo, è stato carente.
Ciò detto, dobbiamo costruire. E' chiaro che di questa parte critica va fatto tesoro, però bisogna passare a costruire.
Il secondo punto importante è il ruolo del Consiglio, il rapporto tra il Consiglio e la Giunta. Non c'è dubbio che c'è stato un vulnus violentissimo nei confronti del Consiglio, c'è stata una accelerazione fortissima verso la concessione di poteri enormi al Presidente della Giunta e alla Giunta stessa, il Consiglio è rimasto a terra, ferito nei propri poteri, va riannodato un dialogo.
Non va sottovalutato che la spinta verso un forte ritorno al proporzionalismo e ai poteri del Consiglio com'erano prima c'è ed è una spinta fortissima, ma se anche vogliamo discutere di perseverare nella cosiddetta elezione diretta del Presidente, quindi nella concessione di poteri forti all'Esecutivo, ci vuole un riequilibrio a favore del Consiglio.
Dice il prof. De Rita "il Consiglio deve avere poteri di indirizzo e di controllo". Benissimo, sull'indirizzo non credo che sia problematico trovare un accordo, trovare le formule, il problema è il controllo. Giustamente diceva prima il nostro relatore: come faccio il controllo?
Io credo che possiamo dibattere quanto vogliamo, ma i discorsi stanno a zero. Il controllo possiamo farlo come vogliamo, possiamo dire tutto quello che vogliamo, ma non c'è potere del controllore se non c'è insito il potere sanzionatorio. Credo che non ci siano alternative, e vedo due tipi di potere sanzionatorio che va dato assolutamente al Consiglio.
Il primo, nel perseverare nel discorso dell'elezione diretta del Presidente è il potere sanzionatorio che va dato al Consiglio è quello della sfiducia costruttiva, non ci sono alternative. Non è possibile consentire — anche nell'interesse della stessa maggioranza elettiva della Regione — che un governo arrivi fino alla fine sbagliando. Se l'organo di controllo sovrano, che è il Consiglio, decide che il governo sta sbagliando, deve avere i poteri di interrompere la catena del governo. Quindi credo che la cosa fondamentale, se non vogliamo riaccentrare maggiori poteri sul Consiglio, cosa che potrebbe anche essere discussa positivamente, è che il Consiglio deve avere il potere della sfiducia costruttiva.
Il secondo potere sanzionatorio che eventualmente il Consiglio deve avere è il potere di interrompere la spesa. Per esempio, negli Stati Uniti le Commissioni parlamentari hanno in mano i cordoni della borsa. Il Consiglio, le Commissioni preposte ai vari settori devono avere il potere, se lo ritengono, se a seguito della propria attività di controllo si convincono che c'è qualcosa che non va, di interrompere il flusso finanziario a favore dell'organo di governo. Credo che grandi alternative, grandi discorsi non possano essere fatti al di là di questo.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI MINARDI

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ascoli.

UGO ASCOLI. Credo che la ricerca che il Censis ha fatto e che il prof. De Rita ci ha illustrato ormai più di una volta, aggiungendo oggi alcune riflessioni di carattere politico, è sicuramente un utile strumento per meglio conoscere la realtà che dovremo governare. Ci sono anche altre ricerche, altri dati che completano questa analisi delle Marche e credo che ci sia una concordanza su alcune questioni che qui vorrei sottolineare, da cui derivano alcuni compiti, alcune responsabilità che questo Consiglio, che la classe dirigente dovrebbe avere.
Vado per punti per essere sintetico e non superare il tempo che ci è stato assegnato. Il primo punto, se posso fare una sintesi dopo aver detto che concordo sicuramente con i tre argomenti che il prof. De Rita ci sottolineava, cioè la necessità di uno Statuto aperto e processuale, la necessità di inglobare tensioni partecipative nel Consiglio e la necessità di svolgere funzioni di indirizzo, monitoraggi e controllo — dopodiché si apre il campo della ricerca su come realizzare questi tre punti — è che la Regione, l'ente Regione — non parlo solo di questa Regione — deve fare una scelta precisa: quella di essere un soggetto "leggero", un soggetto che non gestisce alcun processo sul territorio ma che, dotato di una visione strategica della crescita e dello sviluppo della comunità che deve governare, sa ben fare il suo mestiere che è quello di programmare, di distribuire risorse e di controllare l'uso di queste risorse. Quindi una Regione "leggera"' che non gestisce, una Regione che ha una visione strategica dei suoi compiti e che quindi sappia ben leggere i fenomeni di trasformazione del suo territorio.
Non è cosa da poco, perché come sappiamo ci sono ancora molte tentazioni, in molte Regioni italiane, di gestire direttamente processi sul territorio e di sostituirsi, talvolta, ai soggetti locali. Questo non deve accadere, perché la Regione non deve essere disturbata da quelli che sono i suoi alti compiti di governo di un territorio.
La seconda questione è che le classi dirigenti — sarà vero quello che diceva il prof. De Rita, che hanno una loro omogeneità di fondo — in questa regione almeno, non sono in grado di approcciare e di assumere delle culture sistemiche; sono ancora classi dirigenti permeate di municipalismo, permeate di clientelismo e che non sono in grado di alzare il tiro sulle logiche sistemiche di un processo di crescita e di sviluppo. Questo mi pare che venisse sottolineato anche dal Presidente Minardi.
Cosa vuol dire "culture sistemiche"? Vuol dire capire che è ora di pensare a meccanismi di sviluppo che affianchino al motore di sviluppo costituito dalle imprese manifatturiere altro motore di sviluppo che è costituito dai servizi a più ampio respiro e significa prendere atto delle differenze territoriali intraregionali e intraprovinciali che sono e saranno sempre più un problema non solo di consenso ma di governo concreto del territorio.
Se queste culture sistemiche verranno finalmente approcciate e verranno finalmente metabolizzate le classi dirigenti, allora si potrà prendere atto per davvero di quello che sta accadendo in questo territorio, al di là delle cortine fumogene e delle divisioni di rito. Non c'è da pensare che l'economia continui a procedere con la stessa velocità con la quale ha proceduto negli ultimi trent'anni. Il motore economico di questa regione perde colpi, ce lo dicono tutti gli indicatori di carattere economico che potremmo mettere sul tappeto e che adesso non esibisco per motivi di tempo. Nonostante una vitalità e una capacità degli imprenditori di riconvertirsi anche sulle aree-mercato — cito per esempio la crescita dei flussi di esportazione verso i Paesi dell'Europa centro-orientale, che sta diventando un motore importantissimo dello sviluppo — questo non significa che il motore economico non perda colpi. Tutti i dati ce lo stanno ad indicare. Se guardiamo poi alle province marchigiane e le confrontiamo con l'area NEC vediamo che troppo spesso le province marchigiane sono in coda rispetto alle altre province del NEC da tutti i punti di vista possiamo esaminare questi processi. Vi sono ormai dati statistici in abbondanza. Non solo, ma vediamo che ormai molte province del sud, verso cui una volta si diceva bisognava esportare il modello marchigiano, oggi registrano performances migliori delle province delle Marche. Quindi i motori economici stanno perdendo colpi, occorre vedere come è possibile rimetterli in funzione e non con la stessa benzina del passato.
Questa crescita che pure c'è stata e continua ad esserci mostra ormai delle crepe che stanno diventando grandi fratture. Cito fra tutte la crepa ambientale. Vi sono grandissimi problemi di questa regione che debbono essere affrontati, a cominciare dal grande, tormentato problema dei fiumi, ma ci sono anche crepe dal punto di vista sociale: alcune province della nostra regione — penso alle province delle Marche sud — stanno registrando crescita di indicatori di criminalità che mai erano stati vissuti in questa regione. Quindi basta con qualsiasi favoletta sull'isola felice.
Questo significa allora che se noi dobbiamo riprendere in mano la guida dello sviluppo, avere una visione strategica e muoverci in quella circostanza, abbiamo di fronte a noi una grande, duplice occasione che sarebbe un delitto politico e nei confronti della comunità marchigiana sciupare. Qual è la duplice occasione? Da una parte registrare nello Statuto questi cambiamenti. Non cito la ricerca del Censis sul tema "Dal policentrismo diffuso alla poliarchia responsabile" che è un po' la conclusione generale della ricerca, cioè mettere in moto modelli di governo del territorio diffusi ma responsabili. Quella responsabilità vuol dire — lo completo con le mie frasi — responsabili di un approccio sistemico, altrimenti andremo incontro ai guelfi contro i ghibellini in tutte le province delle Marche, come già sta accadendo tra le province nord e le province sud, uno spettacolo assolutamente desolante e disperante.
Occorre pensare allora a una competitività di sistema che tenti di aumentare la coesione sociale interna e la coesione sociale della regione e tenti di aumentare la qualità della vita di tutti i cittadini marchigiani. Abbiamo gli indicatori per dire che questo non sta accadendo. I divari interni a questa regione stanno aumentando; i divari fra le province stanno aumentando. Tutti gli indicatori ci dicono che molte province marchigiane stanno andando in coda alla qualità della vita delle province del centro-sud e del centro-nord. Questo significa che abbiamo una grande occasione: l'occasione è lo Statuto — su questo le indicazioni del prof. De Rita sono preziose se ne sapremo fare tesoro e interpretarle in modo autentico — ma abbiamo un'altra occasione che qui, invece, viene sottovalutata e di cui si disconosce l'importanza: che in questo momento la Regione Marche si trova nella necessità di inventare una riarticolazione sensata e congrua con la visione strategica del proprio modo di governare. Stiamo decidendo, in questa regione quali saranno e dove saranno i distretti sanitari, stiamo decidendo come saranno gli ambiti territoriali socio-asisstenziali, stiamo decidendo come dovrebbero funzionare i centri locali per l'impiego, stiamo decidendo le autonomie scolastiche, stiamo ridefinendo le aree-sistema industriali, cioè stiamo decidendo, inventando una riarticolazione del governo del territorio. Se questa riarticolazione non è congrua, non è collegata e non è strumentale a quella visione strategica che io auspico venga sempre più e sempre prima messa in evidenza, avremo sprecato una grandissima occasione, avremo creato ulteriori frustrazioni sul territorio, avremo impedito un approccio sistemico, avremo ridato fiato ai municipalismi, avremo sprecato la possibilità di fare di questa legislatura, dopo l'altra legislatura "dei piani", la legislatura "della realizzazione di una nuova modalità di governo della Regione".
Credo che queste ricerche sono preziose, i dati statistici che possiamo metterci accanto — e ce ne sono altri — sono ulteriormente preziosi, se però tutto questo significa alzare assolutamente gli occhi al di sopra delle proprie logiche di paese, di quartiere o di campanile, vedere nel medio-lungo periodo i motori di crescita nei servizi oltre che nelle imprese, farsi carico delle crepe e delle fratture sociali, farsi carico dei divari e puntare effettivamente a una visione alta dello sviluppo a tutta dimensione economica, sociale, civile, culturale, ambientale di questa regione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Massi.

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Nella ricerca del prof. De Rita manca qualcosa? Innanzitutto, probabilmente, la sua carente inclinazione all'ascolto, perché in quasi tutti i convegni ha ascoltato pochissimo fidandosi delle sole statistiche. Se fosse stato più presente avrebbe forse approfondito un aspetto che all'inizio della sua introduzione ha invece accantonato subito. Ha detto "non sta a me approfondire gli aspetti che riguardano i meccanismi di governo, le interazioni tra Giunta e Consiglio". Invece no, prof. De Rita, perché dalle risposte che lei ha avuto dai consiglieri, sarebbe dovuto risalire al fatto che ogni risposta ha alle sue spalle un bagaglio ideologico, storico, una riflessione sulla situazione attuale. Abbiamo sentito quando Silenzi ha parlato di smantellamento di Stato sociale da parte della cosiddetta destra: ogni richiesta che si fa nelle Marche per un tipo di governo, per un meccanismo di governance, per una relazione tra Giunta e Consiglio come ognuno la vorrebbe, è dettata da una scelta ideologica storica oppure contingente, molto congiunturale.
Questo il prof. De Rita avrebbe dovuto approfondirlo, perché se avesse studiato questi meccanismi avrebbe capito che dietro ogni risposta c'è un'ansia, una preoccupazione per il rapporto tra questo ente e la società civile della comunità marchigiana.
Tanto per capirsi, policentrismo è una risorsa o un limite? Mi è piaciuto ascoltare Moruzzi quando ha detto che nelle Marche, forse i meccanismi che hanno finora governato l'economia hanno permesso di evitare danni maggiori all'ambiente. Poi ha citato un paio di quelli che ritiene più pericolosi. Ma complessivamente una regione, che essendosi basata su uno sviluppo da piccola impresa, ha sicuramente evitato guai maggiori all'ambiente. Un maggior controllo anche dai piccoli operatori dell'agricoltura c'è stato rispetto ad altre aree di agricoltura industrializzata già da tanto tempo.
Mi piace sentire questo perché in qualche modo è la legittimazione, seppur postuma, di una classe dirigente che, avendo governato nel dopoguerra non ha invaso, ingerito, occupato la società civile marchigiana ma ne ha rispettato lo sviluppo, anche quello micro, che poi nel tempo, sicuramente, può aver prodotto due deviazioni: una che sottolinea sempre D'Angelo quando dice che c'è poca tendenza a rispettare le regole. Questo è sicuramente in una società dove il "fai da te" e il "piccolo è bello" ha assolutamente dominato. Però il risvolto di tutto questo è che comunque la politica ha rispettato, non ha invaso, non ha ingerito, non ha occupato, non ha condizionato. In secondo luogo, questo aspetto del policentrismo può oggi essere sottolineato come aspetto negativo nel momento in cui lo sviluppo micro, il "fai da te", il "piccolo è bello" non consente di fare sistema, di fare coagulo, come scrive anche De Rita, quindi si vanno ad affrontare realtà anche più ampie di globalizzazione di mercato, in maniera non strutturata.
Il rimprovero a De Rita, è che tutta questa analisi che si fa e che più o meno è concorde in tutti i gruppi, nel momento in cui ci espone il problema del dominio di questa realtà — in senso buono, nel senso di governo — si è condizionati dal proprio bagaglio ideologico e dalle proprie tendenze molto contemporanee.
Come governare il policentrismo? La risposta è la politica. De Rita invita il Consiglio regionale, nella fase costituente dello Statuto, a ridare forza e rappresentanza al Consiglio regionale come assemblea parlamentare, regionale, legislativa, suprema espressione della rappresentanza del territorio, senza affiancargli altri organismi che disperderebbero in mille rivoli, e diciamo anche in mille campanili e vallate, la rappresentanza. Mi pare questo il messaggio della mattina. Sicuramente questo mi trova concorde, perché è una risposta della politica che impone ai partiti, a tutti quelli che fanno attività politica, di darsi una sintesi programmatica valida per tutto il territorio regionale. Un dato di cui nessuno ha parlato perché è molto recente ma che voglio sottolineare e che sottopongo anche al prof. De Rita, è che nelle ultime elezioni amministrative abbiamo pressoché assistito alla scomparsa — ma forse al ridimensionamento forte — delle liste civiche. Questo non si verificava da dieci anni, dai fatidici anni '92-'93. Oggi le liste civiche hanno subito nelle Marche un ridimensionamento fortissimo, sia esse di sinistra, di destra o di centro. Questo è un messaggio forte dei cittadini alla politica perché hanno voglia di un ritorno alla politica, ma essendo questo un messaggio dei cittadini, i partiti debbono porsi come scrupolo di coscienza come rispondere. Se la risposta è come quella dei partiti della "prima Repubblica" che hanno tantissimi meriti che io sottolineo spesso, prendo il partito di maggioranza relativa della nostra regione, i Ds che debbono oggi far convivere al proprio interno sulla sanità, sulla scuola... Colgo gli sguardi dei colleghi assessori e consiglieri regionali i quali sanno benissimo cosa avveniva nella "prima Repubblica": c'è il partito della Asl di Pesaro, il partito della Asl di Fano, il partito della Asl di Ancona, il partito della Asl di Ascoli, come è naturale nella dialettica interna a un partito. Se questo, oggi si ripete in quei termini conflittuali e paralizzanti che hanno nociuto alla "prima Repubblica" non è una prospettiva positiva. Lo dico per incentivo alle forze politiche che debbono porsi, oggi, il ruolo di tramite forte tra la società civile e quella che vuol essere la rappresentanza forte del Consiglio regionale.
Sotto questo aspetto — mi scuso per avere sintetizzato e probabilmente banalizzato alcuni concetti — non è indifferente, a mio avviso — l'ho già detto nella Commissione Statuto — il modello di rapporto che vogliamo costruire tra l'Esecutivo e il Consiglio regionale. So che la mia posizione su questo può essere abbastanza discutibile, però sono convinto che una divisione forte tra Consiglio regionale nella sua funzione legislativa di indirizzo, monitoraggio, controllo e la Giunta, non favorisce l'aggregazione a sistema della società civile della comunità regionale. Questo perché sicuramente la coesione sui programmi che fanno riferimento a una maggioranza politica che si propone di governare impone a tutti i partiti che vanno nella coalizione, a quei programmi di coalizione, una reductio ad unum che è una sintesi forte delle istanze politiche di tutto il territorio. Se invece svincoliamo il Consiglio regionale dall'Esecutivo, il rischio è che nel Consiglio regionale, pure in una sovrana, legittima, forte rappresentanza del territorio, ci siano spinte disgregative che non risolvono il problema di un territorio che dal Tronto al Metauro si disperde tra mille vallate e mille campanili, cioè un modello di coesione, di collegamento tra la maggioranza consiliare e l'Esecutivo sul tipo di quello del comune sopra i 15.000 abitanti garantirebbe a mio avviso — parlo a nome dell'Udc, quindi dei gruppi Cdu e Ccd — una maggiore coesione nei programmi e un imperativo categorico ai partiti: quello di superare frazionamenti, frazionismi clientelari se volete, come qualcuno ha detto, per i diversi aspetti, buoni e cattivi di questo concetto, e non unirebbe il territorio in una governance alla quale tutti quanti aspiriamo in senso positivo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Procaccini.

CESARE PROCACCINI. Svolgerò a nome del gruppo dei Comunisti italiani brevi considerazioni di carattere generale, perché quello del policentrismo è un tema affascinante. Già Togliatti lo individuava quasi mezzo secolo fa, riferito alla necessità di vie nazionali a superare queste società in contrasto con una concezione monolitica rappresentata allora dall'Urss. Quindi il policentrismo come cultura ci appartiene e il policentrismo oggi, nella situazione data, è il contrario della globalizzazione capitalista che nega qualsiasi diversità e piega a sé qualsiasi autonomia — il caso del colpo di Stato in Venezuela è emblematico da questo punto di vista — ma al tempo stesso il policentrismo, se letto come "piccolo è bello" non regge più, soprattutto se esso viene esaltato dentro la stessa regione, se non viene ricondotto almeno a sistema di tipo regionale.
Vediamo oggi il conflitto dei vongolari di cui discuteremo dopo. Il policentrismo richiede un governo unitario, perché esso richiama alla molteplicità di interessi, talvolta economici, che vanno ricondotti a sintesi nell'interesse delle comunità. Ma oggi questa molteplicità di interessi di localismi rischia di accentuare i vari presidenzialismi: quello dei sindaci, dei presidenti delle Province, dei presidenti delle Regioni equiparati da taluni, ormai, a "governatori" di tipo americano.
Questo ci porta ad analizzare brevemente anche il concetto della fase federalista in cui ci siamo incamminati e che noi, per la verità, preferiremmo chiamare "di regionalismo forte". In primo luogo perché il federalismo storicamente è servito a dare unità possibile a nazioni allora divise; in secondo luogo perché siamo in una fase di federalismo senza risorse che rischia di indebolire la fornitura di quei servizi collettivi primari come il diritto alla salute, il diritto all'istruzione pubblica, il diritto al lavoro; in terzo luogo perché in realtà questa fase di federalismo senza regole ha necessità di essere accompagnato da fenomeni di tipo democratico. Si dice, appunto, "federalismo solidale", proprio perché il concetto stesso di federalismo in uno Stato di giovane unità nazionale rischia di spazzare via l'unità stessa non intesa in senso nazionalistico ma intesa come unità statuale di diritti.
Siamo infatti nel vortice di un conflitto tra istituzioni in grande stile, anzi le concezioni ultrapresidenzialiste pongono conflitti dentro le stesse istituzioni: i Consigli contro le Giunte. Del resto, uno Stato federale costruito sull'onda di posizioni più retrive di partiti come la Lega Nord, già oggi pone in conflitto un nord ricco ed un sud povero, regioni ricche e regioni povere.
A tale proposito, senza che ciò appaia di cattivo gusto, vorrei citare ancora Togliatti che in un dibattito parlamentare dopo la costituzione della Repubblica disse: "Non vorrei che nella concezione di taluni le Regioni si configurassero come piccoli staterelli pronte a contendersi le risorse dello Stato". Quella preoccupazione è oggi di grande attualità. Infatti i diritti sono stati sostituiti dalle opportunità, la scuola sarà più avanzata, con l'autonomia, nelle regioni più ricche, la sanità sarà più efficiente nelle aree più ricche. E così, tra regioni e così dentro le regioni. Il policentrismo è dentro una contraddizione che dovremmo saper leggere e al tempo stesso dovremmo saper risolvere: quella della necessità di portare a sintesi rapidità della decisione e al tempo stesso l'esaltazione della partecipazione e della rappresentanza del popolo e del nuovo popolo, caratterizzato dalla massa di immigrati. Altrimenti le istituzioni, e non solo le istituzioni rappresentative, saranno piegate a strumenti tecnici funzionali a rappresentare o reperire risorse attraverso il cosiddetto "federalismo fiscale senza risorse" e redistribuirle a soggetti economici che nel frattempo — vorrei ricordarlo anche ai distratti — sono cambiati, e di molto, anche nelle Marche. Sono cambiati in maniera tale che oggi sono irriconoscibili. La piccola impresa che costituisce tuttora la ricchezza decisiva per l'economia delle Marche è stata relegata dalla globalizzazione capitalistica e dalla competitività totale, a terzista di imprese molto grandi, nazionali o internazionali. Ecco allora l'importanza del Governo, l'importanza dei Governi che interpretino in senso democratico questa fase di deriva liberista e, in taluni casi, di deriva ultraliberista.
Ecco perché lo Statuto deve esaltare le forme democratiche di partecipazione alle decisioni dei cittadini e degli altri livelli istituzionali senza scadere in inutili ed illusori assemblearismi, ma dando reale e concreta importanza ai Consigli, alle Assemblee elettive, limitando, laddove possibile, l'elezione diretta dei presidenti.
Oltre allo Statuto che ha i suoi tempi, dobbiamo altresì, oggi e non domani, rafforzare il cammino di questa esperienza di centro-sinistra nelle Marche, dobbiamo rafforzare e stabilizzare i livelli di democrazia partecipativa, correggere posizioni sbagliate e assessorili ed affrontare con maggiore incisività i temi che oggi sono posti all'ordine del giorno della società: i temi della sanità, di una sanità pubblica che ha bisogno di risorse negate dallo Stato centrale, che ha bisogno al tempo stesso di reperire risorse dalla fiscalità generale, ma noi diciamo che ha bisogno di reperire risorse per essere una sanità pubblica qualificata da bilanci di nuovo tipo, che non disperda più le risorse medesime in mille rivoli talvolta improduttivi, ma che concentri sullo Stato sociale e collettivo le risorse stesse.
I temi del lavoro sono da affrontare, per quanto di competenza, dalla Regione Marche, in una filiera di altre partecipazioni, come i temi della sicurezza non solo intesa, come vorrebbe la destra, di tipo repressivo, ma sicurezza contro le possibili infiltrazioni mafiose. E' per questo che abbiamo chiesto la convocazione di un Consiglio regionale straordinario contro possibili infiltrazioni mafiose non solo nella nostra regione, che sono il frutto di una deriva di valori e non solo. Ma anche i temi "delle sicurezze", soprattutto nei posti di lavoro. E purtroppo le Marche registrano tristi primati di incidenti e di morti nel lavoro.
Ecco allora che dovremmo dare alle Marche stesse un progetto ed un programma armoniosi; lo stesso progetto e lo stesso programma che sono presenti dentro il programma di "Marche democratiche". Occorre riappropriarsi di quel programma, aggiornarlo, rivederlo e soprattutto attuarlo, in uno sviluppo economico che sia armonico, diversificato, dove si coniughino quantità e qualità, perché senza la quantità la qualità sarebbe effimera, sarebbe relegata a nicchia di pochi e sarebbe, in realtà, quella eccezione che conferma la regola; e al tempo stesso la qualità, perché la quantità dello sviluppo senza una qualità di massa non sarebbe fruttuosa a far crescere il modello delle Marche. Quindi uno sviluppo economico diversificato ed armonico. Questo dovrà dire lo Statuto e questo dovrà dire, nella pratica quotidiana, il Governo di questa regione, democratica e di centro-sinistra.

PRESIDENTE. Ha la parola il Presidente D'Ambrosio.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della Giunta. Prendo la parola con una avvertenza, che mi sembra fondamentale in questo momento e che vorrei rivolgere a De Rita non tanto come nostro, sia pure ispirato, consulente ma come esponente di un mondo e di un ambito al quale credo in questo momento dovremmo chiedere di farsi, in un certo senso, garante di predisporre dei territori su cui è possibile incontrarsi.
Se noi lasciamo le cose soltanto all'ambito puramente di una contrapposizione politico-partitica o se lasciamo le cose nell'ambito di una contrapposizione fra Giunta-Consiglio, territori o anche nobilitandole sotto il discorso di rappresentanza Esecutivo-Consiglio, secondo me non costruiamo una stanza di compensazione sufficientemente oggettiva sulla quale cominciare poi a fare dei discorsi che non siano collegati, che non siano dettati, che non siano condizionati più di tanto dall'emergenza. Perché nell'emergenza, oggi è in atto un fenomeno, dal punto di vista della sociologia politica, spiegabilissimo: di fronte ad un pendolo che ha oscillato fra il 1999 e il 2000 fortissimamente nel senso di aumentare i poteri dell'Esecutivo, adesso c'è la tentazione fortissima di recuperare questo tipo di svantaggio e quindi di riportare in parità almeno le posizioni di partenza da parte del potere legislativo in ambito regionale, con una serie di ritorni indietro o di fughe in avanti che secondo me corrono il rischio di far esplodere il conflitto, non di risolverlo. Anche perché, all'interno di questo tipo di fenomeno se non riusciamo a capire che non bisogna trovare il momento di confrontarsi senza pensare immediatamente a quello che succede domani o dopodomani a livello di voti singoli, non riusciremo nemmeno a governare un fenomeno che si sta verificando sempre di più. Noi abbiamo espressioni nazionali di forze politico-partitiche che hanno una chiarissima deriva, presidenzialista o non presidenzialista che poi dopo, nell'ambito dei Consigli regionali non viene rispettata. Anche il dibattito di oggi, se lo proiettassimo su quelle che sono le posizioni nazionali dei partiti, avremmo qualche perplessità a riconoscere, se non sapessimo già l'appartenenza.
Questo significa che tutto è confuso? Significa semplicemente che, come tutte le riforme che abbiano una reale incidenza, questa ha dei contraccolpi e degli effetti che non erano previsti né prevedibili e che si stanno nel concreto manifestando, che quindi dobbiamo essere in grado di governare, altrimenti non avremmo la possibilità di costruire nulla se non un panorama di conflittualità assoluta e concreta per cui i più forti cercano alleanze per bloccare richieste dei più deboli.
Fatta questa premessa sono cautamente del parere — dico "cautamente" perché penso che nessuno abbia ricette in questo senso — che uno dei mali che ha portato ad una disaffezione forte, ad un giudizio fortemente negativo di disvalore verso la vita concreta politica di questa nostra esperienza storica è la fase di appannamento della decisionalità della politica, quindi dell'efficacia. Questo è il discorso fondamentale che dobbiamo prendere in considerazione. Sono certo che se oggi noi chiedessimo, in uno dei tanti sondaggi che ormai pare che cadenzino la nostra vita sotto tutti i punti di vista, ai cittadini se preferiscono avere assicurato il diritto di rappresentanza o l'efficacia dell'azione politica, credo che la grandissima parte dei non addetti strettamente ai lavori, quindi quelli all'esterno del "Palazzo", opterebbe per la seconda ipotesi. Perché l'abbiamo costruita, la vediamo o riusciamo a prospettarla semplicemente o soltanto come un'ipotesi alternativa e non assolutamente "compatibile con". Abbiamo una democrazia che corre il rischio di apparire come divisa tra una deriva meno democratica e più decidente e una deriva più democratica e non decidente. In un momento in cui abbiamo una società con fortissime spinte al cambiamento, che cerca di capire come collocarsi in ambiti nei quali vediamo che ormai le posizioni tradizionali non sono più sufficienti né a livello economico-finanziario, né a livello politico, né a livello valoriale, è chiaro che non possiamo aspettare riti antichi e inconcludenti per capire da quale parte vada, possa andare o debba andare questa riforma che comunque è epocale.
Continuo allora a ritenere che comunque il principio della investitura diretta, con tutti i rischi che vedo, è un principio dal quale è difficile tornare indietro, perché comunque quello è un principio che dà spazio e dà voce a soggetti che normalmente sono fuori dal "Palazzo", altrimenti rimane il solito gioco del quale l'opinione pubblica è profondamente disamorata ma oserei anche qualche termine più duro e più forte.
Questo significa, forse, che il responsabile dell'Esecutivo eletto deve essere il depositario di tutti i poteri? Credo che sarebbe follia questo tipo di conduzione. Io dico sempre che anche Hitler è stato eletto democraticamente, dobbiamo sempre ricordare questi punti per non avere certezze granitiche; probabilmente dobbiamo capire e vedere se alcuni strumenti, alcune figure o alcuni passaggi che esperienze di altri Stati e di altre strutture hanno ormai inserito nella loro storia, possono essere, sia pure con le dovute traduzioni, trasferiti anche nell'ambito della nostra esperienza, e tanto per dirla in maniera molto semplice, per cominciare a fare qualche esempio concreto, credo che, fermo restando la irreversibilità dell'investitura diretta del responsabile dell'Esecutivo, un discorso o una riflessione sull'introduzione di strutture come quella della sfiducia costruttiva tedesca potrebbe essere fatto, dovrebbe essere fatto. Un discorso come quello del "ticket" della presidenza americana potrebbe essere inserito, potrebbe essere pensato, potrebbe essere tradotto.
Vediamo, in sostanza, come è possibile e se è possibile un tipo di rapporto che non sia soltanto muscolare, di braccio di ferro, ma che sia di ambiti di competenze e ambiti di prospettive e di azione che possano essere governati, perché se non sono governati diventano poi momenti conflittuali acuti. Abbiamo l'esempio di una Regione, la Regione Calabria in cui sta precipitando la crisi della contrapposizione frontale fra un modello statutario ed una interpretazione rigorosa dei poteri e delle conseguenze dell'elezione diretta del presidente della Giunta, che così come sta precipitando credo che non aiuterà nessuno: i cittadini calabresi sicuramente no, ma nemmeno tutto l'ambito nostro.
Qui coglierei lo spunto che mi sembra il più stimolante, il più difficile, ma quello fondamentale dell'introduzione di questa mattina di De Rita. La verità è che noi non abbiamo mai cercato di capire che cosa significa un controllo politico sull'indirizzo che viene dato dall'organismo rappresentativo all'organismo esecutivo e abbiamo preferito sempre percorrere le scorciatoie della co-gestione, sia pure anomala, sia pure a livello di piccoli scambi territorial-clientelari non sempre pessimi ma sicuramente non utili a costruire poi un tessuto che sia sufficientemente armonico. Questo è il terreno vero dello scontro.
E' sufficiente ricorrere ad una moltiplicazione, ad una ipertrofia dei vecchi strumenti di controllo sull'Esecutivo? No, io sono d'accordo con De Rita quando dice che se anche facessimo 8 interrogazioni e 45 interpellanze al giorno non avrebbero nessun senso se poi non diventano una cosa diversa.
Si può pensare ad altri strumenti? Sì, bisogna pensare ad altri strumenti, bisogna pensare a strumenti che possano essere sessioni programmatiche, che possano essere sessioni tematiche, che possano essere momenti di confronto. Per esempio, troverei necessario, una volta che c'è stata l'approvazione popolare di un programma collegato ad una persona, che vi sia ogni tanto una rivisitazione formale, ma non soltanto formale bensì formale nel senso di precisamente rivolta a questo, nel momento in cui, nell'esercizio concreto del potere-dovere di governare ci possano essere delle necessità di controllare la rispondenza di quello che si fa con quello che si è promesso di fare. Questo mi sembra un elemento di grande importanza. Su questa strada bisogna andare avanti. E allora non è solo un discorso dell'opposizione ma anche un discorso della maggioranza che controlla, politicamente e quindi chiede conto di come viene interpretato, di come viene concretizzato un programma politico a chi su questo programma è stato eletto, ma è stato eletto su questo programma, non su altri programmi, non soprattutto sulla possibilità di interpretare il programma come ritiene e come in quel momento può essere piegato a condizionamenti particolari. Questo mi pare che sia un dato importante e fondamentale.
Che poi dopo, nell'ambito di questo ci siano anche modelli alternativi culturali e politici è un altro dato che mi sembra innegabile. Non è del tutto indifferente che questa Regione sia governata sulla base di un progetto politico, di un altro progetto politico anche per quanto riguarda la costruzione di modelli istituzionali. Non è indifferente perché ci sono alcuni modi di coniugare anche lo stesso concetto di democrazia che sono diversi.
Questo significa che probabilmente dobbiamo: da un lato riflettere ancora di più e chiedere a chi per mestiere riflette e quindi per mestiere — penso alle università — dovrebbe riuscire a svincolarsi dai condizionamenti dell'oggi, ulteriori momenti di approfondimento e di confronto ai quali andare non con la spocchia di chi poi, dopo, dice "nel concreto debbo capire come governare", ma di chi invece cerca di capire come si possa procedere nella costruzione di un modello condiviso; dall'altro lato debbo però anche dire che non esiste, non può esistere un modello che va bene per tutte le stagioni. Non credo che il modello soltanto istituzionale sia talmente neutro da andar bene per tutto e per tutti. Non lo credo, perché credo che ormai in questo nostro Paese sia ben chiaro che ci sono due progetti politici che hanno grandi diversità fra di loro e che hanno anche grandi differenze di conseguenze.
Allora diciamolo con franchezza e costruiamo con rigore e consequenzialità i due modelli, poi vediamo quanto di questi due modelli può e deve essere assunto come valore, come schema o come programma di cammino bipartisan. Ma io sono convinto che, al di là di alcune fondamentali proiezioni normativo-culturali, non è moltissimo il terreno che si può occupare indifferentemente con l'uno o l'altro modello, perché i due modelli li vedo profondamente diversi tra loro.
Queste sono le due strade. Su queste due strade dobbiamo lavorare, dobbiamo camminare insieme, pensando anche che il momento statutario è un momento sufficientemente importante da richiederci di non cedere all'impazienza. E' facile pensare che la stagione degli statuti vada chiusa in tempi brevi, io su questo ho invece qualche dubbio: la stagione degli statuti si sta complicando sempre di più, sta diventando difficile. Se vogliamo allora capire, per esempio, come ci attrezziamo con la Camera delle autonomie, che cosa significa che il Comune è l'organismo che fondamentalmente ha l'azione amministrativa nella nostra realtà italiana in cui più di 6.000 comuni su 8.000 hanno meno di 1.500 abitanti, su questo dobbiamo capire che le autonomie debbono essere solo funzionali o altro... Cioè, tutte le ipotesi che indicava De Rita, probabilmente hanno bisogno di riflessioni maggiori. Con un'ultimissima osservazione: con cautela anche qui, ma io comincerei a percorrere, anche intellettualmente, la strada di un modello flessibile e "sperimentale", nel senso che non prevederei, in questa prima fase statutaria, una rigidità dello Statuto, nel senso che penserei ad una prima fase, ad un primo periodo in cui, per modificare lo Statuto non siano necessarie maggioranze qualificate, in cui sia possibile un ricorso al referendum statutario con pesi ed oneri inferiori a quelli necessari in una fase definitiva per capire e per aiutare il momento di assestamento, perché è la prima esperienza del genere che si fa.
In una seconda fase, che potrebbe essere la prossima legislatura, un ripensamento, un confronto, un'eventuale modifica statutaria dovrebbe portare ad un modello, allora sì, maggiormente protetto e maggiormente difeso da rigidità per una sua modifica. Anche questo credo che debba formare oggetto della nostra discussione.
Se vogliamo arrivare ad un modello che sia il più sicuro di tutti dobbiamo metterci tutto il tempo necessario; se vogliamo invece non far passare inutilmente il tempo forse possiamo pensare a qualche cosa non di provvisorio ma di sperimentale, nel senso che abbia lo stesso tipo di regime per essere modificato della legge ordinaria e che sia sottoponibile con maggiore facilità a referendum, perché nell'ambito di una regione come la nostra dovrebbe essere facilissimo far scattare il momento referendario sullo Statuto, ovviamente con la possibilità, successivamente, di vedere impostare e di prevedere meccanismi di difesa quando si fosse poi visto che, sostanzialmente, lo Statuto nella sua complessità sia sufficientemente condiviso dalla società marchigiana.

PRESIDENTE. Grazie, Presidente. Con l'intervento del Presidente D'Ambrosio possiamo considerare concluso questo punto dell'ordine del giorno.




Mozione (Votazione proposta di risoluzione): «Problematiche connesse alle vongolare marchigiane» Agostini, Avenali, Tontini, Silenzi, Franceschetti e Mollaroli (164)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la mozione n. 164 ad iniziativa dei consiglieri Agostini, Avenali, Tontini, Silenzi, Franceschetti e Mollaroli.
E' stata presentata una proposta di risoluzione il cui primo firmatario è il consigliere Silenzi, il quale ha la parola per illustrarla.

GIULIO SILENZI. La mozione è datata fine dicembre 2001. Avevamo allora individuato i problemi che potevano sorgere, perché vi sono divisioni nella marineria marchigiana sull'area di pesca dei compartimenti. Vi sono valutazioni diverse, per cui vi era una situazione che andava prevenuta e governata da parte di chi poi deve dare l'autorizzazione alla pesca. Eravamo preoccupati di questo, tanto che abbiamo presentato una mozione proprio per richiamare queste problematiche.
Dicevamo nella mozione: "Premesso che i consorzi marchigiani di gestione dei molluschi bivalvi stanno attraversando uno stato di grande difficoltà dovuto principalmente alla scarsità delle risorse e ai problemi connessi allo stato di crisi; considerato particolarmente grave in questo scenario il rapporto tra i due consorzi di Ancona e di San Benedetto che registrano momenti conflittuali particolarmente gravi, risalenti anche a ripartizioni territoriali e rilascio licenze originati da situazioni iniziali poco chiare; preso atto che il Governo sta per approvare un decreto che divide ulteriormente le parti interessate bloccando definitivamente una situazione strutturale possibile, il Consiglio regionale delle Marche impegna la Giunta ad attuare tutte le iniziative e le misure necessarie perché il Governo non applichi la proposta di decreto e di attivare un confronto con le parti interessate al fine di risolvere in maniera equa e senza divisioni le problematiche delle vongolare marchigiane".
Dovevamo riprendere una problematica complessa e articolata per arrivare a una sintesi sul territorio coinvolgendo le parti interessate, sapendo che ci sono storie diverse, sforzi che sono stati fatti diversi di salvaguardare il pescato, sapendo che c'è una crisi più generale e pertanto eravamo di fronte a una situazione complessa.
Abbiamo invece assistito ad un decreto ministeriale che d'imperio permette alle imbarcazioni del compartimento di San Benedetto di effettuare la pesca ad Ancona. Questa è una dimostrazione di come non si deve procedere, nel senso che abbiamo assistito ad una decisione da parte del Governo, presa in assoluta mancanza di rispetto istituzionale nei confronti della Regione che non è stata neanche interpellata, pensando che con un decreto e una firma si risolvesse un problema che è molto articolato. Ma il problema è ancora più articolato, complesso e difficile da risolvere perché vi sono state promesse elettorali da parte soprattutto di Alleanza nazionale, che sono diametralmente opposte, tra le promesse che Pistarelli ha fatto a Civitanova o a San Benedetto dicendo "vi faremo pescare ad Ancona" e le promesse che qui sono state fatte da Alleanza nazionale, nella fattispecie dal consigliere Novelli dicendo a quelli di Ancona "state tranquilli, perché quelli di San Benedetto non verranno mai a pescare qui". Il problema si risolve con un decreto del sottosegretario che forse avrà avuto più spinte in quella direzione, ma che subito deve salvaguadarlo perché parliamo di pescatori, cioè di gente che lavora duro, che non accetta i decreti per le promesse elettorali dei partiti del Polo e che, nel momento in cui si sentono defraudati da un loro diritto occupano stazioni o minacciano di risolvere a mare, come già avvenuto in altre parti del Paese, problemi complessi con uno scontro fisico.
E' giusto che noi impegniamo la Giunta regionale, e la risoluzione che presentiamo rispetto alla mozione recita:
«VISTO il Decreto Ministeriale del 31.05.2002, a firma del Sottosegretario di Stato per la Pesca e l'Acquacoltura, che nel periodo dal 3 giugno al 31 luglio del corrente anno autorizza imbarcazioni di San Benedetto del Tronto ad effettuare la pesca di molluschi bivalvi nelle acque del limitrofo compartimento di Ancona;
CONSIDERATO che una simile decisione, oltre a non risolvere la crisi del comparto il quale nei mesi scorsi ha già subito il fermo forzoso della pesca ed oltre a contraddire i precedenti impegni del Sottosegretario volti ad evitare forme di trasferimento di imbarcazioni tra i due compartimenti, accentua le tensioni tra i pescatori senza affrontare le problematiche connesse al futuro del settore ed al nodo di una equilibrata gestione delle risorse ittiche;
TENUTO CONTO che, sulla base di una relazione svolta dall'IRPEM-CNR (Istituto sulla pesca marittima di Ancona), la Regione ha già denunciato la grave scarsità degli stock di vongole nell'area meridionale del compartimento dorico richiedendo: la dichiarazione dello stato di calamità che consentisse di attivare misure idonee a fronteggiare la crisi, il monitoraggio delle attività di pesca in modo da garantire un razionale sfruttamento delle risorse, incentivi per le dismissioni di attività di pesca necessarie a riportare in equilibrio la gestione delle risorse disponibili da parte del compartimento di San Benedetto del Tronto;
CONSIDERATO che il Governo ha colpevolmente scavalcato il ruolo della Regione, determinando reazioni conflittuali e non contribuendo ad una soluzione mediata che assicuri il lavoro per tutti e consenta di conservare il prodotto ittico anche per il futuro;
ESPRIMENDO solidarietà ai pescatori e piena condivisione delle loro legittime esigenze:
IMPEGNA LA GIUNTA REGIONALE
- a chiedere al Governo l'immediato ritiro del Decreto Ministeriale del 31.05.2002;
- a sollecitare lo stesso Governo affinché si riapra un costruttivo tavolo di confronto in cui, oltre a venire riconosciuto il ruolo della Regione Marche, le problematiche del comparto possano eventualmente essere affrontate anche interessando altre vicine regioni dell'Adriatico;
- a dare attuazione alle proposte già avanzate dalla Regione Marche quali: dichiarazione dello stato di calamità e attivazione delle conseguenti misure; sostenere le dismissioni necessarie per riportare l'equilibrio tra i due compartimenti; attuare forme di controllo dello sforzo di pesca»
Aggiungo, rispetto alla risoluzione, la mia personale interrogazione ai consiglieri di Alleanza nazionale che non vedo presenti in aula per conoscere a nome di quale partito parlavano quando Pistarelli a Civitanova garantiva i pescatori di San Benedetto mettendo in ridicolo la sinistra che, come al solito era più complessa nella risposta, garantendo la pesca nelle acque anconetane e Novelli garantiva gli anconetani che i sambenedettesi non sarebbero mai venuti a pescare, lucrando voti sia a Civitanova sia ad Ancona.
Queste sono promesse che hanno le gambe corte perché non sono tra di loro conciliabili, e oggi la realtà dimostra che non si è data una risposta strutturata, complessiva perché era la più faticosa, ma si va avanti a colpi di decreto.
Io non vedo ora né il consigliere Pistarelli né il consigliere Novelli, ci sarà il super partes Ciccioli che camminerà sulle acque pur di dimostrare che questo non è vero, ma ci sono articoli e documenti che stanno a testimoniare questo gioco furbesco che ha portato voti ad Alleanza nazionale nei seggi della marineria. Oggi l'azione di governo obbliga a scelte complesse, queste non si fanno, e permettetemi pure di sottolineare come il sottosegretario che ha firmato, l'azione dell'on. Scaltritti a San Benedetto, che aveva garantito il trasferimento delle vongolare in Ancona, tutto questo dimostra quanto siano strumentali ed elettoralistiche le posizioni che si sono prese e come promesse impossibili non si possono poi realizzare. Si aprono conflitti seri tra gente che lavora, che fa un lavoro duro e che meriterebbe maggiore rispetto personale non promettendo le cose che non sono possibili e anche economico affrontando le questioni difficili e complesse nella giusta ottica.
Da ultimo, se è vero che il decreto è stato firmato senza ascoltare minimamente la Regione questo è grave e deve trovare una protesta forte da parte del Consiglio regionale, perché questo è il nuovo centralismo governativo. A parole parlate di federalismo, di sussidiarietà, di devolution, poi nei fatti il Governo passa sopra le Regioni per dare ascolto ai piccoli interessi di piccoli parlamentari che poi non riescono a far quadrare i conti. Questo è gravissimo e bisogna censurare il comportamento del sottosegretario che ha firmato, censurare il comportamento più generale del Governo di centro-destra che dice una cosa e poi nei fatti fa l'esatto contrario.
Gradirei, se fosse presente Novelli che fa sempre il moralista, una risposta, perché ritengo che quello che è avvenuto è estremamente grave e quello che può avvenire ancor più grave se non c'è una indicazione chiara del Consiglio al Governo e se il Governo non cambia modo di operare rispetto alla problematica.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. Noto che qui gli schieramenti sono, più che sulla base di giustificazioni fondate, su una base di "padrinaggi politici". A me sembra in particolare, visto che ognuno è padrino, l'ordine del giorno...

UGO ASCOLI. Noi "padrini" non lo siamo, se mai siamo "padri".

CARLO CICCIOLI. No, qui uso la parola "padrini", non ritiro.
Con questo ordine del giorno si sposa più o meno in maniera molto semplicistica il "caso Ancona". Io sono di Ancona, eletto consigliere regionale ad Ancona, con una storia profonda nella marineria di Ancona e a me sembra che questo non aiuti a dare una soluzione al problema. Credo che sia interessante per tutti fare la storia di come sono nati i problemi.
La pesca delle vongole fino a qualche decennio fa era considerata una pesca povera e rendeva poco. Passati gli anni è diventata una pesca ricchissima. Ci sono stati episodi in cui un pescatore di vongole riusciva a guadagnare anche 20 milioni al mese, 30 milioni al mese. E' vero che poi ci sono le spese, il marinaio da pagare e via di seguito, però un reddito piuttosto notevole. E, aggiungo io, è una pesca stagionale che non dura tutto l'anno: è chiaro che nella "stagione" — come dicono loro — si devono fare i soldi per tutto l'anno.
Quando la pesca delle vongole è diventata più interessante si è allargato il numero delle licenze, e in particolare in questa vicenda è rimasta coinvolta Ancona. Attraverso una serie di meccanismi poco chiari, poco trasparenti, 10-15 anni fa sono aumentate notevolmente le licenze. Quando dico "poco chiari" aggiungo che su questa cosa ci sono state anche inchieste giudiziarie in cui alcuni dei concessionari delle licenze, a posteriori hanno detto di avere pagato soldi per ottenere dal Ministero le stesse licenze...

PIETRO D'ANGELO. 30 milioni a licenza.

CARLO CICCIOLI. Quella era la quota parte. Ovviamente le inchieste giudiziarie in corso andranno avanti, sono state un po' rallentate ma questo è. Fino a che il prodotto era abbondante per tutti la cosa andava bene, poi quando è iniziato a scarseggiare si sono create le situazioni di emergenza. Cosa è successo? Che nei compartimenti di Civitanova e San Benedetto ha cominciato a scarseggiare il prodotto, il che dovrebbe avere due spiegazioni, come mi dicono al Cnr: da una parte lo sversamento di sostanze di lavorazione delle calzature su fiumi del Piceno e delle province di Macerata e Ascoli ha creato una sorta di inquinamento che non fa sviluppare il seme; dall'altra parte c'è stata in quelle aree una raccolta piuttosto intensiva.

GIULIO SILENZI. A San Benedetto di scarpe se ne fanno poche.

CARLO CICCIOLI. Ho approfondito, negli anni questa cosa. Là il prodotto ha iniziato a calare e il compartimento Civitanova-San Benedetto è andato in crisi. Raccolta sconsiderata? Forse. Sostanze inquinate dei metalli, in particolare lo zinco che viene portato dai fiumi? E' probabile. Fatto sta che là le vongole hanno iniziato a non crescere. La zona di Ancona invece beneficia di un particolare effetto delle correnti che ripulisce il mare e quindi tiene lontane sostanze inquinanti, perché il "becco" di Ancona sull'Adriatico protegge in qualche modo questo prodotto.
A questo punto è cominciata la rivalità. "Perché noi pescatori di San Benedetto-Civitanova abbiamo redditi più bassi e voi pescatori di Ancona potete avere redditi alti?". Qui è cominciato il problema, che ha portato a una grande contrapposizione. La realtà è stata che i pescatori di Ancona in questa fase sono stati fortemente protetti, perché dietro il consorzio di Ancona si muoveva la Lega delle cooperative, l'on. Duca in particolare e via di seguito, e i pescatori di San Benedetto Civitanova non hanno sentito ragioni. A quel punto si è innestata la politica. I pescatori di San Benedetto e Civitanova hanno detto: "Siccome fino adesso siamo stati fregati, cambiando l'aria vediamo di investire — uso la parola "investire" politicamente — la tutela dei nostri diritti". Hanno investiti politicamente e i loro "prodotti politici" hanno cominciato a muoversi. (Interruzione). Lasciami parlare, perché parlo a cuore aperto: sono uno dei pochi che mi sono permesso di andare alle assemblee dicendo le verità, con qualcuno che sbuffava.
Hanno investito e hanno cominciato a fare la battaglia politica che avevano deciso di fare, cioè tutelare San Benedetto e mezza Civitanova, perché come sapete metà Civitanova pesca con Ancona e l'altra metà con San Benedetto, perché Civitanova è proprio il punto di confine. Hanno quindi cominciato a chiedere che ci sia un riequilibrio. Ciò significa che la situazione difficile di San Benedetto sia in qualche modo riequilibrata spostando alcune barche in altri compartimenti.
Visto che a questo punto l'on. Duca, la Lega delle cooperative contavano di meno, c'è stato un po' di "strabordaggio": quelli di Ancona sono abituati a un comportamento di pesca abbastanza corretto cercando di tutelare il prodotto, ma quando c'è abbondanza è più facile rispettare la disciplina, quando c'è scarsità ognuno prende quello che può. A questo punto al Ministero, attraverso una serie di informazioni è stato fatto un decreto che sostanzialmente riconosce tutti i diritti al compartimento di Civitanova-San Benedetto e nessuna protezione al compartimento di Ancona. In pratica, quello che era accaduto negli anni precedenti — San Benedetto-Civitanova scoperti e Ancona tutelata — si è prodotto esattamente all'inverso: Civitanova-San Benedetto tutelati, Ancona senza tutela. E' chiaro che nessuno dei due comportamenti può essere accettabile, lo dico ad alta voce, al mio Ministero. In questo caso il ministro Alemanno di An è rimasto un po' periferico perché non ha la delega alla pesca, ma questa mattina se ne è fatto carico, perché il problema deve essere affrontato in maniera equa. Sicuramente le 83 barche di San Benedetto-Civitanova sud sono troppe per quel compartimento e non assicurano reddito creando tensione sociale e va data una risposta. Sono stupefatto che Silenzi che abita a Civitanova, e credo abbia anche rapporti con i pescatori, la sua gente dica che ha ragione solo Ancona, perché non è vero. Ancona ha delle ragioni, altrettante ne hanno altri. Si tratta di trovare un punto di equilibrio.

GIULIO SILENZI. Io dico che ha torto il Governo.

CARLO CICCIOLI. Questo è veramente poco. Se dobbiamo dirla tutta hanno torto i Governi precedenti, perché noi abbiamo sicuramente la patata bollente, ma i Governi precedenti hanno tenuto in caldo questa situazione, i Governi precedenti per anni non hanno affrontato il problema, i Governi precedenti per anni non hanno riconosciuto i diritti di San Benedetto-Civitanova e lo dico io che sono di Ancona. Occorre trovare una soluzione: primo, non è scritto da nessuna parte che non si possa fare un discorso di mare Adriatico e Rimini sia super tutelata rispetto Ancona e San Benedetto. Ci sono 36 barche a Rimini che hanno un valore di 2.200 milioni ciascuna e hanno introiti di 40 milioni al mese, questo non è accettabile. Secondo, occorre in questo momento dare uno spazio al consorzio di San Benedetto-Civitanova ad Ancona, perché la proposta di Ancona di accogliere 10 barche era insufficiente, l'ho detto anche ieri all'assemblea e bisogna che Ancona faccia un sacrificio, ma accettabile. Dire che tutte le barche di San Benedetto-Civitanova debbano venire su Ancona non è accettabile, è una follia per tutti. Così come non si può dire che tutto debba rimanere tal quale perché non è accettabile. Bisogna trovare una soluzione. A mio parere, l'ordine del giorno proposto dal gruppo Ds non è recepibile perché è fortemente conservatore di quello che c'era prima. E' chiaro che non può succedere che le 83 barche, anche alternandosi a settimana ma pescando il doppio... Perché hanno fatto una strana cosa: 40 barche alla volta ma ognuna può pescare il quantitativo di due settimane, quindi, sostanzialmente, è come se tutte le 80 barche pescassero nel compartimento di Ancona e ciò significa impoverire il compartimento. Bisogna trovare una soluzione che prenda una parte del consorzio di San Benedetto-Civitanova su Ancona, solo una parte che regga lo sforzo di pesca, diluire un'altra parte verso Rimini, mettere in discussione tutto il meccanismo della costa.
Quando si dice "esprime solidarietà ai pescatori e piena condivisione delle loro legittime esigenze" è una frase così generica su cui tutti siamo d'accordo. Ma quali pescatori, che in questo momento si stanno bastonando davanti al Ministero?
Questa mozione è squilibrata in una maniera incredibile. Se vi leggessi riga per riga tutto il testo farei ridere tutto il Consiglio per le cose paradossali che vengono scritte. Se abbiamo coraggio dobbiamo cercare di elaborare una proposta tecnica accettabile, perché dietro le parole c'è tutto, da mandare a Roma.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere D'Angelo.

PIETRO D'ANGELO. Presidente, colleghi, il collega Ciccioli effettivamente ha studiato la problematica, l'ha studiata molto bene, la conosce come la conosce il sottoscritto che da sempre, anche in tempi di vacche grasse, quando partivano dal porto di San Benedetto ben cinque camion a rimorchio di vongole diretti alla lavorazione in Spagna ogni giorno, per poi ritornare in Italia lavorate, noi verdi dicevamo che la risorsa dell'Adriatico non era inesauribile, come lo diciamo oggi sul territorio: il territorio non è una risorsa inesauribile. E' indispensabile, in primis, che chi vive di mare e di territorio siano i più garanti di queste risorse. Così non è avvenuto, perché dal passaggio dai vongolari a rastrello a quelli a turbosoffiante si è visto che lo sforzo pesca era diventato per il medio Adriatico insostenibile ed era chiaro che comunque questa situazione di crisi prima o poi doveva arrivare. Fronteggiare la crisi... Chi aveva visto con attenzione che lo sforzo pesca era troppo forte e lo diceva già in anni insospettabili eravamo noi, e ci siamo fatti nemici tutti i vongolari, perché ritenevamo che così non si potesse andare avanti.
La crisi va fronteggiata, però non può essere affrontata per compartimenti, il problema della pesca in Adriatico in generale, e delle vongolare in particolare è un problema che va affrontato in modo globale, non permettendo passaggi o divieti di pesca da un compartimento a un altro o togliendoli in modo unilaterale come ha fatto il Governo. E' una problematica che va affrontata in modo complessivo.
Siamo venuti oggi a trovarci di fronte ad una situazione che, come diceva il collega Ciccioli che ha studiato, è conseguenza di tre fatti precisi. Primo, il malcostume degli italiani: mentre si programmava negli anni passati lo sforzo pesca e le concessioni di turbosoffianti dovevano essere programmate, in modo subdolo e sotto banco — c'è un'inchiesta, lo confermo — si vendevano concessioni, licenze ai vongolari per 30 milioni, dai 30 ai 40 milioni. Contestualmente lo stesso Governo pagava 400 milioni per ritirarle e diminuire lo sforzo pesca. Questo è malcostume, questo va detto al di là della speculazione politica, al di là della demagogia politica e del piccolo consenso elettorale. Non è accettabile.
La crisi è legata allo sforzo pesca ma è collegata soprattutto al carico inquinante dei nostri corsi d'acqua. Quale calamità naturale, quale stato di calamità invocare se non si spende una parola per il risanamento dei corsi d'acqua? Oggi l'Arpam ha fatto una relazione attenta sullo stato dei corsi d'acqua della nostra regione. Oggi è problema delle vongole legato all'inquinamento, domani altri problemi seguiranno. E allora, il problema vongolari va inserito in questo contesto globale, che riguarda il controllo dello sforzo pesca serio, il controllo dell'inquinamento dei corsi d'acqua serio, con interventi di risanamento, il problema di affrontare la pesca, compresa quella dei molluschi, in modo globale su tutto il territorio. Carissimo Ciccioli, non si risolvono i problemi dicendo "tu oggi peschi lì, tu di là, invertitevi". L'unico modo per risolvere la crisi è affrontarla in modo globale.
Ritengo, come verde, che è indispensabile una misura che vada in modo complessivo ad affrontare la tematica, ma soprattutto è indispensabile un'azione di sensibilizzazione e di cultura, perché l'involuzione dei valori di questa società dove tutto è legato all'economia e dove si va ad attentare alla salute dei cittadini andando a pescare vongole — mi riferisco a quello che è avvenuto a Chioggia — in zone altamente inquinate con certificati falsi e mandate sul mercato è una cosa incredibile. Il problema è della involuzione dei valori di questa società che riconosce un solo Dio, il Dio danaro. E allora ci deve essere pur qualcuno che, al di là della speculazione politica, al di là del piccolo consenso elettorale abbia la forza, la serietà e la capacità di dire che i maggiori tutori di una risorsa dovrebbero essere proprio coloro che di questa risorsa vivono.
Concludo con un'esperienza personale. Mi trovavo in un'isola del Pacifico per immersioni condotto da pescatori, pagati per farmi fare delle immersioni, salii sulla barca con due conchiglie e mi dissero "adesso scendi, le rimetti là perché noi di questo mare viviamo". Questa deve essere la filosofia.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. Siamo preoccupati per come il dibattito si sta sviluppando. Dà l'impressione che vi sia una contrapposizione politica tra gruppi, che tende più a spiegare o a incolpare o discolpare posizioni anziché tendere la mano per risolvere un problema che, come appare anche dai giornali, è una battaglia tra fratelli. Quindi non condividiamo questa speculazione politica che a nostro avviso non è giusta, non è opportuna, pertanto occorre una riflessione più seria, bisogna fare uno sforzo tutti insieme per trovare una convergenza comune se si vuole veramente impostare e affrontare questo problema.
Come non possiamo dimenticare che qualcuno ne ha fatto anche una appartenenza politica, di questa problematica: accuse a Duca, Pistarelli le abbiamo sentite da diversi banchi.
Il Governo si è trovato a gestire questo problema, fortunatamente oggi siamo al capolinea, quindi non ci sono più alibi per alcuno, questo ping-pong penso che avrà fine, così come avrà fine una diatriba che tocca anche toni preoccupanti. Chi parla le ha viste in passato alla televisione e lette sui giornali, non le ha vissute in prima persona, però questo è il momento della riflessione e se ciascuno vuol fare un'analisi di coscienza su quello che è stato fatto e su quello che si dovrà fare bisogna che cambiamo toni e contenuti.
Noi, come Forza Italia proponiamo innanzitutto che su questo problema si sgombri il campo politico, la diatriba politica, perché oggi a Roma ci sarà un ambiente molto caldo, animi surriscaldati, e come potete leggere dalle cronache dei giornali ci sono fratelli contro nella lotta su questo problema.
Quella sensibilità che molto spesso viene sbandierata, quella solidarietà, quel voler essere veramente vicini a chi lavora è il salto di qualità che noi chiediamo. Quindi occorre una riflessione come Forza Italia: occorre che questo provvedimento in fase di discussione sia un provvedimento di riequilbrio perché il problema esiste, non dobbiamo lavorare per dividere ulteriormente sudisti e nordisti, perché queste battaglie si facevano tanti anni fa, quindi bisogna che il Consiglio regionale, soprattutto l'assessore alla pesca faccia uno sforzo per mettere insieme queste componenti che si accusano l'una con l'altra per trovare una convergenza comune...

GIULIO SILENZI. Il Governo non l'ha fatto.

GIULIO SILENZI. Io avevo i pantaloni corti quando c'era questo problema. Ricorda quell'immagine nella capitaneria di porto di Civitanova in cui i vongolari assalivano addirittura la capitaneria, scene drammatiche, con intervento delle forze dell'ordine. Non è da oggi che esiste il problema, il problema è sempre esistito. Oggi dobbiamo essere quella classe dirigente che permette a queste persone di ragionare su un problema reale.

GIULIO SILENZI. Ma il Governo non l'ha voluto, hai capito? Il sottosegretario.

OTTAVIO BRINI. Il sottosegretario alla pesca è Scarpa e dicono che sia una persona di buon senso, no una persona che lavora per cercare di dividere o favorire, tanto è vero che oggi sta ancora facendo una concertazione. Significa che il rappresentante del Governo intende trovare la soluzione migliore. So che oggi a Roma vi sono delegazioni di consiglieri comunali, regionali ecc. Ma noi non accettiamo questo tipo di impostazione, perché potevamo andare anche noi, oggi, con una delegazione di Forza Italia e un cartello a favore di sudisti, magari Favia a favore dei nordisti. Era facile, per Forza Italia, speculare in questa situazione, ma questo non è il metodo che noi ci diamo, e lo condanniamo.
Sono stati fatti degli studi, le vongole sono poche, le vongole sono tante, è meglio metterci Pesaro, Rimini ecc. Troviamo insieme una convergenza per dare forza all'assessore competente, indicando come un Consiglio regionale, all'unanimità intende risolvere questo problema, per non dividere le famiglie, per trovare le soluzioni. Se invece rimaniamo in contrapposizione tra destra e sinistra o tra Ulivo e Cdl non troveremo sicuramente alcuno sbocco e continueremo a lacerare e dividere le parti interessate.
Ecco lo sforzo comune che mi auguro vi sia per un riequilibrio, perché da quello che dicono, al nord si sta meglio del sud, quindi bisogna riequilibrare perché la solidarietà consiste anche in questo. E' meglio che stiano bene tutti piuttosto che ricchi da una parte e poveri dall'altra.
A questo punto sappiamo che a livello romano c'è una concertazione, non è stato dato corso al decreto...

GIULIO SILENZI. Novelli è là...

OTTAVIO BRINI. Novelli è là, c'è qualche consigliere di Civitanova di An, ce ne sono diversi a sostenere chi il nord e chi il sud, ma non è giusto e non è corretto. Però è giusto fare un riequilibrio. Dobbiamo fare una risoluzione unanime, perlomeno la più ampia convergenza. E' questo il messaggio che intendiamo lanciare, sempre su un provvedimento di riequilibrio.
Vanno bene i tre punti finali, cioè "dare attuazione alle proposte avanzate dalla Regione Marche", un invito ancora più forte al Governo affinché assuma provvedimenti immediati sulle tre proposizioni, però sul passaggio iniziale vediamo di non dividerci ma cerchiamo di essere uniti e compatti come questo Consiglio regionale in due occasioni ha già fatto: sul problema Palestina-Israele in cui, dopo un ampio dibattito serrato, duro, forte abbiamo trovato una convergenza unanime; sul problema della scuola di Pesaro su cui sembrava non si riuscisse a trovare una convergenza. Mi auguro che anche su questo tema delicato, che seta dividendo famiglie, fratelli che con il padre siedono allo stesso tavolo, uno parla una lingua e uno un'altra lingua, con il padre che dà i soldi per il gasolio al figlio povero che non riesce a lavorare, si trovi una convergenza. Noi dobbiamo essere incisivi nei confronti anche di Rimini. Inseriamo questo discorso, purché non sia demagogico e che porti a rallentare, nel tempo, la risoluzione di questo problema che a nostro avviso è arrivato al capolinea.
Siamo quindi disponibili a discutere e rielaborare insieme la mozione presentata dall'Ulivo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Favia.

DAVID FAVIA. Credo che la prima cosa da fare sia capire qual è l'intento che ci anima, perché se la maggioranza di quest'aula tenta soltanto di censurare il Governo nazionale credo che non andiamo distante. Se vogliamo farne soltanto un problema politico-partitico di contrapposizione credo che il dialogo si possa tranquillamente chiudere subito. Se il problema è quello di censurare il Governo dico fin d'ora che non c'è dibattito, non c'è dialogo. Se invece vogliamo parlare di questioni concrete credo che possiamo sospendere la seduta e cercare di trovare un accordo, in quanto da un punto di vista oggettivo che tutto il comparto, cioè che entrambi i comparti siano in carenza di prodotto è un dato; che ci sia una carenza, probabilmente maggiore da parte del comparto meridionale rispetto a quello settentrionale credo sia un altro dato, anche se D'Angelo prima lamentava giustamente una maggiore speculazione sul territorio da parte del settore meridionale rispetto a quello settentrionale. Un altro dato che va considerato è che il Governo fino alla mezzanotte di oggi ha sospeso l'attuazione di questo decreto, in quanto oggi c'è un tavolo a Roma, sebbene un tavolo improprio in quanto incompleto, quindi un tavolo che probabilmente dovrà proseguire, probabilmente questa sospensione verrà estesa a qualche giorno ancora, lasciando tutti gli spazi per una mediazione.
Quindi che ci sia scarsità di prodotto, che ci sia necessità di riequilibrio è un dato sul quale possiamo lavorare. Lo stesso consorzio di Ancona dice: "Il problema di San Benedetto il numero delle barche, ce ne sono 25 di troppo, siamo disposti ad accollarci noi la metà di queste 25 barche in eccesso". Quindi che ci sia una disponibilità a trattare da parte dei vongolari di Ancona è un dato.
Se vogliamo prendere atto di questi dati oggettivi, di queste esigenze oggettive posso dire che ci sono degli argomenti nella proposta di risoluzione che sono da noi condivisibili, quindi se, al di là della censura al Governo vogliamo prendere atto tutti insieme di una situazione obiettiva e vogliamo proporre unitariamente una soluzione di riequilibrio credo che da parte nostra ci sia disponibilità. Se invece vogliamo farne soltanto un tormentone politico, allora credo che dialogo non ci sia.
La proposta che faccio e che credo verrà ribadita dal mio presidente di gruppo è di sospendere la seduta e cercare di formulare un documento unitario che parta dalla situazione di fatto e dalle proposte obiettive e fattibili, quindi una proposta di buon senso che spero venga accettata.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giannotti.

ROBERTO GIANNOTTI. Credo che l'iniziativa che il coordinamento regionale di Forza Italia ha assunto su questo argomento, che ha raggiunto l'obiettivo al quale la classe politica marchigiana ma tutti gli operatori alienavano, è stato raggiunto: il decreto non esiste più. Due minuti fa il nostro segretario regionale on. Maurizio Bertucci mi ha comunicato, pregandomi di informare l'aula della decisione del ministro: l'applicazione del decreto è stata fatta slittare al 10 luglio, quindi il decreto non esiste più, prendiamo atto di questo dato. Il decreto quindi non esiste più, quindi un ostacolo è stato superato. Entro il 10 luglio il Governo si impegna a presentare entro il 10 luglio un nuovo piano per le vongole che riguarda tutto il mare Adriatico, questo è il secondo elemento importante che deve essere considerato. Un piano da concordare con le parti.

GIULIO SILENZI. Peccato che non l'abbia fatto prima. Si può fare una critica, su questo o no?

ROBERTO GIANNOTTI. Si può fare tutto. Vi invito solamente a riflettere su quello che è stato l'esito dell'impegno delle singole forze politiche, dell'assessore, della Regione. Prendo atto di un dato: che comunque alcuni punti fermi in questa battaglia sono stati conseguiti: la sospensione del decreto, l'impegno del Governo a presentare un piano per le vongole entro il 20, un piano che almeno, secondo quello che è intendimento del Governo prevede, a regime, che non più di 18 imbarcazioni di San Benedetto possano essere autorizzate alla pesca sul compartimento anconetano. Credo che questo sia dentro i limiti ipotizzati. Credo che questi tre elementi, che sono il portato della posizione del Governo alle 13 di oggi sia un fatto nuovo che debba essere ascritto a merito di tutte le forze politiche, quelle che si sono impegnate su questo versante, ma introduce elementi nuovi importanti. Rispetto a questo chiedo che ci sia una sospensione di cinque minuti, se lo si ritiene, per concordare una presa di posizione che tenga conto di questo nuovo elemento: sarebbe secondo me sbagliato, al di là di tutto, insistere su una risoluzione retrodatata rispetto agli avvenimenti che potete in qualche modo verificare, in modo che comunque la posizione del Consiglio regionale sia più forte, più autorevole, anche perché più unitaria.

PRESIDENTE. Ha la parola l'assessore Agostini.

LUCIANO AGOSTINI. Signori consiglieri, non ho studiato come Ciccioli, però voglio intanto dire al collega di Ciccioli che ha esternato sulla stampa il fatto che il sottoscritto non si sarebbe occupato del problema, che il sottoscritto se ne è occupato per la prima volta il 4.12.2001 con una lettera spedita al Ministero delle politiche agricole e al direttore dello stesso Ministero, con la quale si chiedeva di istituire subito, prima che il Governo assumesse qualsiasi decisione e qualsiasi atto, un tavolo dove si raggiungesse una mediazione attraverso una trattativa che fosse stata condivisa dai due compartimenti.
Questo non è avvenuto, per cui si sono effettuati altri 19 atti del sottoscritto tra riunioni, incontri, lettere formali, partecipazioni alle discussioni con il sottosegretario che hanno trovato sempre sordità alle nostre proposte. Le nostre proposte non tengono conto di uno schieramento, non ci siamo messi la maglietta. Ha ragione Brini quando dice che i problemi ci sono. Il problema c'è, ma per essere risolto deve avere la condivisione dei due compartimenti. E' quello che noi abbiamo sempre sostenuto. Noi abbiamo sempre sostenuto questo aspetto, non entrando nel merito se dietro il compartimento di Ancona ci fosse la Lega delle cooperative, ci fossero l'on. Duca o la sinistra, per cui alla fine, "siccome l'aria è cambiata chiediamo anche che venga sostituito il presidente". Non siamo entrati nel merito di questo. Né siamo andati al compartimento di San Benedetto a dire "siccome il titolo V ci dà il diritto esclusivo di occuparci della pesca il nostro problema lo risolviamo noi". Non siamo andati a fare questo, e lo dice uno che abita a 12 chilometri da San Benedetto, quindi al di fuori di ogni sospetto di non partigianeria nei confronti di quel compartimento.
Questi sono i dati che dobbiamo assumere, che vogliamo assumere.
Di fronte a ciò il Governo ha assunto un primo provvedimento per l'istituzione di una cosiddetta authority, all'inizio, concessa a tal dott. Carpignoli di cui non ho avuto la fortuna di conoscere né le doti professionali né quelle politiche. Mi hanno detto che ha un curriculum politico di spessore, ma non ho avuto la fortuna di conoscerlo. Si è poi detto che l'authority serviva a controllare e questa non era più authority ma doveva servire a formulare una proposta che risolvesse il problema.
C'è stato uno studio di cui voglio leggere un passo che mi pare significativo. Le giornate di pesca sarebbero 14. "Il compitato di coordinamento potrà individuare il miglior rapporto tra quota giornaliera e numero di imbarcazioni autorizzate a pescare, tenendo comunque conto dell'entità dello stock commerciale molto limitato". Quindi sarebbero 14 le giornate di pesca nel caso in cui i due compartimenti venissero accorpati e venissero a pescare tutti nel compartimento di Ancona. A me pare che non risolverebbe il problema, perché creerebbe una netta conflittualità e dopo 14 giorni il problema sarebbe risolto anche qui: quello che diceva D'Angelo sulla mancanza di materia prima.
Nonostante il titolo V abbia dato alla Regione l'esclusività della competenza in materia di pesca, il Ministero ha provveduto a fare due provvedimenti per decreto, senza avere ascoltato preventivamente la Regione Marche, né in maniera formale né in maniera informale. Questo è di una gravità eccezionale dal mio punto di vista, e su questo vorrei che fosse data una risposta sul piano politico anche dal consigliere Novelli il quale dice che la Regione Marche dovrebbe sgomitare per trovare qualche spazio di ascolto al Ministero.
Di fronte a questo noi abbiamo cercato, attraverso numerose lettere, attraverso numerosi incontri, inizialmente di svolgere un'opera di mediazione. Il sottoscritto ha avuto almeno 20 incontri con il compartimento di Ancona e almeno un paio con quello di San Benedetto. Nel momento in cui ci si metteva a trattare sul numero delle imbarcazioni che da San Benedetto dovevano passare al compartimento di Ancona — e c'era una iniziale disponibilità — e in altri compartimenti... Io sono d'accordo con la proposta che faceva Ciccioli, ma perché il Ministero non ha prodotto un provvedimento per cui fossero mandate 10 barche nel compartimento di Ancona e 15 in quello di Rimini? Noi avevamo detto che eravamo d'accordo.
Nel mentre si faceva questo sforzo di mediazione, un parlamentare locale dava ampie assicurazioni a un dipartimento per cui loro avrebbero comunque avuto la liberalizzazione.

GIULIO SILENZI. Chi è?

LUCIANO AGOSTINI. L'on. Scaltritti. Questi sono gli elementi che rendono difficile una trattativa. Diventa difficile, poi, effettuare mediazioni se c'è una presa di posizione così radicale da una parte. Badate, al Ministero oggi noi non siamo andati — e abbiamo scritto una lettera — perché non vogliamo vestirci con la maglietta di San Benedetto o di Ancona. Il problema esiste e dobbiamo insieme trovare la soluzione condivisa. Non è che il compartimento di Ancona sia stato più bravo: avevano meno imbarcazioni e hanno potuto disciplinare meglio la gestione del loro compartimento. Quelli di San Benedetto avevano più imbarcazioni e hanno avuto la possibilità di gestire in maniera peggiore il loro compartimento. Siamo consapevoli che nel compartimento di San Benedetto c'è un problema fortissimo per quei pescatori e per quelle famiglie. Tant'è che noi abbiamo chiesto di redistribuire la parte eccedente la flotta del compartimento di San Benedetto su tutti i compartimenti limitrofi — Rimini, Pescara, Termoli — oppure abbiamo formulato altre ipotesi e le abbiamo formalizzate prima in una riunione del parlamentino della pesca, poi il sottoscritto le ha formalizzate al sottosegretario, il presidente della Giunta regionale le ha formalizzate al presidente del Consiglio dei ministri, dicendo "si chiede lo stato di calamità, si fermi per un anno il compartimento di San Benedetto, si indennizzi sullo stato di calamità, si avvii una trattativa che possa diminuire lo sforzo di pesca in quel compartimento, trovando le giuste soluzioni, i giusti equilibri". Altrimenti, al di là del conflitto che sul piano dell'ordine pubblico sarebbe un disastro, il problema ce lo ritroveremo tutto intero per due compartimenti dopo 14 giornate di pesca. E non sarebbe una soluzione, dal mio punto di vista. Invece possiamo affrontarlo in maniera più equilibrata.
Nella stessa lettera che abbiamo mandato al Ministero ci siamo resi disponibili ad assolvere immediatamente al nostro ruolo e a dare il nostro contributo qualora il Ministero intenda azzerare la situazione.

ROBERTO GIANNOTTI. Lo ha già fatto.

LUCIANO AGOSTINI. Prendiamo atto che il sottosegretario si è sbagliato, ha prodotto due provvedimenti sbagliati, che l'opera del ministro Alemanno ha prodotto effetti. Prendiamo quindi atto degli errori fatti dal sottosegretario, dell'opera svolta dal ministro, che evidentemente ha dato ascolto alle nostre legittime richieste.
Detto questo noi siamo disponibili a dare il nostro contributo per ciò che potremo fare in presenza di un tavolo che tenga conto di tutti gli attori della vicenda, che non escluda nessuno, che non escluda la Regione che ha materia esclusiva su questa vicenda e in presenza di alcun tipo di provvedimento che in qualche modo condizioni lo stato del confronto e della trattativa. Se questo è avvenuto — e non abbiamo motivo di non credere che non sia avvenuto — così come diceva il consigliere Giannotti, prendiamo atto con soddisfazione di questa vicenda e svolgeremo il nostro successivo ruolo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Silenzi.

GIULIO SILENZI. Prendo atto e apprezzo il lavoro svolto dall'assessore regionale alla pesca per quanto riguarda la problematica. Questo deve essere sottolineato, perché vi sono stati consiglieri che hanno lamentato — parlo sempre dell'assente Novelli — una mancanza di ruolo da parte della Regione. Quindi prendo atto di quello che l'assessore ha detto e sottolineo il positivo ruolo svolto. La ricostruzione che ha fatto il consigliere Ciccioli è parziale e strumentale, perché di queste vicende tutti ci siamo interessati, conosciamo le storie, quindi le ricostruzioni vanno fatte fino in fondo, bisogna dire tutta la verità, non solo parte della verità. Vi sono stati due comportamenti diversi dei compartimenti. Ad Ancona non era un problema di sigla politica, ma problema di organizzazione di un consorzio che ha autogestito il fermo pesca anche quando il fermo pesca non era imposto, per cui ha curato di più lo sfruttamento del prodotto, ha curato di più il mare. Da un'altra parte questo non c'è stato, e invece c'è stata una non autoregolamentazione che ha prodotto una situazione in cui non c'è più materia prima.. Influiranno anche fattori ambientali, ma tutta la verità è questa.
Non mi voglio mettere la mezza casacca, civitanovese per il nord contro li sud, ma voglio usare un linguaggio di verità come ho sempre usato davanti ai pescatori, ed è difficile usare un linguaggio di verità caro Ciccioli, perché se quelli di Ancona avessero sentito Pistarelli o Scaltritti non sarebbe stato facile usare lo stesso linguaggio, tanto che qui è stato usato il linguaggio di Novelli: ognuno per dire una parte di verità e per accreditarsi elettoralmente. Invece noi abbiamo cercato un linguaggio di verità e la verità è che c'era un problema complesso... Giannotti è fuori come sempre: riferisce quello che gli dice Bertucci, poi non partecipa al dibattito.

ROBERTO GIANNOTTI. Ti stavo seguendo attraverso il monitor.

GIULIO SILENZI. E' meglio la diretta. Capisco che la vostra cultura è tale per cui gli eventi diretti li dovete seguire in televisione, però stai qui.

ROBERTO GIANNOTTI. Sto seguendo.

GIULIO SILENZI. Quello che voi chiedete, di mettersi attorno a un tavolo, di ragionare su uno specchio di mare che non sia solo regionale ma che superi i confini regionali, di vedere come Ancona possa dare un contributo alla soluzione del problema e via discutendo, è quello che si diceva da tempo, che da un anno l'assessore regionale sta dicendo al Governo.
La richiesta di sospensione l'accolgo sempre e comunque e non ho difficoltà ad approvare un documento insieme all'opposizione che rimarchi alcuni punti, ma c'è un giudizio: il comportamento del Governo è inammissibile.

CARLO CICCIOLI. Questo Governo ha trovato la partita che si è costruita negli anni.

GIULIO SILENZI. Ciccioli, è questo il discrimine: un sottosegretario non può firmare un decreto che crea questo caos senza sentire, né formalmente né informalmente, la Regione. O è vero quello che dice Agostini o non è vero. Se non è vero lo dovete argomentare, se è vero è gravissimo il comportamento del Governo. Una parola non dico di censura ma di critica rispetto a questo modo di comportarsi, che sappiamo essere indotto dall'on. Scaltritti, dalle pressioni di Alleanza nazionale, bisogna pur dirla. Non ho motivo di dubitare di quello che dice Giannotti, perché se fosse rimasto il decreto ci sarebbe stato il sangue.
Questo atteggiamento superficiale, troppo elettoralistico che risponde a una parte, lo vogliamo censurare e criticare o non si può fare? Se non si può fare voi perdete un'autonomia anche di giudizio e di tutela degli interessi più complessivi della Regione; se lo volete fare è una logica conseguenza. Ma è chiaro che se questo non viene messo in un documento un documento unitario non si può fare, perché voi avreste fatto le barricate, a parte invertite. Il problema va allora risolto come lo abbiamo impostato e noi lo diciamo da un anno. La situazione è precipitata perché un decreto è stato preso sopra la testa della Regione e sopra la testa dei pescatori, sopra la testa di quelli di Ancona, di Civitanova, per pensare di risolvere i problemi di una parte di marineria con una semplice firma.
Non sposo e non do solo la solidarietà ai pesatori di Ancona, come in maniera subdola Ciccioli vuol far capire, in modo che uno trovi poi difficoltà dove vive e lavora. Questo è un atto di coerenza politica Ciccioli, che io mi posso permettere, perché quello che dico qui dirò e ho già detto a Civitanova. Tu non lo puoi dire perché parlate tre lingue: tu che fai il super partes, Novelli che parla ad Ancona e Pistarelli che parla a San Benedetto. Sono lingue inconciliabili tra di loro, che hanno prodotto questa situazione di scontro. Io me lo posso permettere e dico, lo ripeto, che non sposo le ragioni di Ancona e basta, ma vi sono ragioni più complessive, vi sono anche le ragioni di chi pesca nel sud a cui bisogna dare una risposta, ma contesto il modo con cui si è affrontata la questione e dirò a Civitanova che la maniera migliore — l'ho già detto e l'ho anche scritto in un articolo di stampa — era sostenere quello che l'assessore regionale alla pesca proponeva. Quando l'ha proposto ci sono stati consiglieri regionali del tuo gruppo che a Civitanova o a San Benedetto dicevano "non date retta all'assessore regionale alla pesca, perché vi risolveranno il problema con il decreto". O riconoscete che questo decreto e questo comportamento sono stati uno sbaglio perché bisogna trovare il tavolo, confrontarsi, i problemi sono complessi, bisogna dare risposte sia agli uni che agli altri, e allora ci sono le condizioni per andare a una decisione unitaria, ma se volete rimuovere questo perdendo ogni capacità critica anche rispetto a una cosa così evidente, allora penso che non ci siano le condizioni per un documento unitario, perché se vogliamo negare quello che è successo non è possibile trovare una posizione unitaria.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giannotti.

ROBERTO GIANNOTTI. Registro con amarezza che al gruppo diessino interessa strumentalizzare le preoccupazioni dei vongolari delle Marche, il dato politico è questo. Nel momento in cui qualcuno dice che il tavolo è sgombro perché non c'è più, almeno per il momento, la materia del contendere e tutti hanno partecipato, seppure in minima parte, alla soluzione del problema... Io non ho detto che il merito dell'iniziativa sviluppata è del gruppo di Forza Italia, anche se avrei potuto farlo, ma mi interessa relativamente. Ho detto che c'era un ostacolo, questo ostacolo è stato accantonato, volete che dica che c'è stata una cattiva gestione da parte del Governo? Certo. Volete che dica che c'è stata una cattiva gestione da parte dei precedenti Governi che hanno determinato questa situazione? Certo. Volete che dica che l'assessore Agostini si è impegnato? Non ho difficoltà ad ammettere questo dato. Come potrei dire che probabilmente qualcosa non ha funzionato nel verso giusto rispetto al recupero di una autorevolezza da parte della Regione. Ma non è questa la materia del contendere. La materia del contendere è un problema che ha determinato una situazione grave, di profondo disagio. Si è anche detto "c'è il rischio che ci scappi il morto". Di fronte a questa situazione esplosiva che ha portato al blocco della stazione ferroviaria, a una conflittualità non solo psicologica, il dato nuovo è oggi che il Governo comunque ha sospeso quel provvedimento, dandoci una data, dicendo che è sospeso fino a luglio. Entro quella data si è impegnato a predisporre un piano complessivo concertato con chi vive e si muove in questo campo, quindi gli operatori e le Regioni. Un piano che riguardi tutto il mare Adriatico. Ho anche detto che il punto di partenza di questo discorso è la riduzione degli ingressi delle barche del sud nell'ambito anconetano, perché ho citato quello che mi è stato riferito, cioè che l'ipotesi di partenza è 18 barche contro le 50 di oggi, entro i limiti chiesti dai vongolari di Ancona. Quindi il problema non esiste più, a partire da questo e dal fatto che la soluzione va costruita con il concorso delle parti ma anche con il consenso autorevole che può essere espresso da questo Consiglio regionale.
Rispetto a questo avevo chiesto di sospendere la seduta per arrivare a una proposta di risoluzione che garantisca il nostro punto di vista rispetto a questo dibattito e mi è stato risposto no. E' quindi evidente il tentativo di strumentalizzare i sacrifici, il disagio dei vongolari per farne una speculazione politica. Tenetevi la speculazione politica, vi anticipo che chiederò la votazione per parti della risoluzione, perché evidentemente i punti 1) e 2) del dispositivo sono assolutamente fuori luogo e inaccettabili, mentre il punto 3) che ribadisce una posizione di contenuto lo voteremo perché siamo persone responsabili.

GIULIO SILENZI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIULIO SILENZI. Ho detto che sono d'accordo sulla sospensione, non è che non abbia accolto la richiesta di sospensione, ho evidenziato un problema politico. Se un gruppo chiede la sospensione, per me è automatico: ho dato una risposta sul piano politico.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. Dico da eletto nella provincia di Ancona, che la risoluzione presentata da Silenzi, Amagliani, Procaccini e altri è fortemente penalizzante per lo scenario di San Benedetto, questo bisogna dirlo. Mentre mi ritrovo su alcuni contenuti, credo che sposare le ragioni di qualcuno, proprio perché siamo consiglieri regionali e basta, senza vedere quelle degli altri è fuori posto.
Dico di più. Non condivido — lo dico ad alta voce — il decreto firmato dal sottosegretario Scarpa. L'ho detto, l'ho scritto sui giornali, sono stato criticato per questo da alcuni. Detto questo, il decreto arriva quando per mesi c'è stato un problema di incomunicabilità. Per mesi il Ministero ha sollecitato i consorzi a trovare un accordo e le posizioni erano talmente distanti, che non si arrivava a niente.

LUCIANO AGOSTINI. Ma se c'è un parlamentare che dice che farà il decreto, come si faceva a trovare un accordo?

CARLO CICCIOLI. Io lo critico, il decreto. Tra l'altro il ruolo saggio e di mediazione di Alleanza nazionale e del ministro dell'agricoltura che ha avocato a sé il problema sta producendo una revisione. Però, di fronte a mesi in cui non si trovava una soluzione, alla fine si è detto "si fa così", precipitando le cose, però anche cercando di arrivare alla stagione, perché se vogliamo dirla tutta, in questo momento in cui "prodotto Ancona" c'è, nella zona di San Benedetto ce n'è molto meno, a San Benedetto stanno morendo le vongole. C'è una moria di prodotto perché c'è il blocco della pesca, quindi qualcosa che non funziona c'è in tutta questa storia, qualcosa che non funziona che viene da lontano, perché dire che tutti i problemi sono accaduti nel secondo semestre 2001-primi mesi del 2002 è veramente ridicolo, questa è una questione annosa.
Credo che questa risoluzione sarà inutile, perché scrivere qualcosa serve sempre, però se questa sera sarà tutto deciso, non avremo nemmeno il tempo di inviare per fax questa risoluzione al Ministero.

LUCIANO AGOSTINI. Però dà alcune indicazioni per il prosieguo.

CARLO CICCIOLI. Infatti, si tratta di togliere quelle parti che sono volutamente e strumentalmente politiche, perché non servono a niente, non servono neanche alla Regione, perché siccome la titolarità del problema è ancora del Ministero e non delle Regioni, è materia che sarà delegata, ma alla fine il richiamo è al Governo e la Regione non troverà posto a quel tavolo. Siccome è convenienza della Regione trovare un posticino nel tavolo dove si decide, almeno cerchiamo di ritirare queste parti di comune accordo.

GIULIO SILENZI. Cioè, voi dite "non criticate" e...

CARLO CICCIOLI. Se tu dici che è sbagliato tutto, non serve a niente...
Credo invece che dicendo alcune cose tra l'altro condivisibili e tenendo presente che la discussione e l'ordine del giorno sono comunque intempestivi perché nel frattempo tutto è accaduto e sta accadendo, se c'è la possibilità di qualche minuto di riflessione per togliere alcune righe, potremmo votare il documento all'unanimità e potrebbe essere la premessa per riprendere un dialogo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Trenta.

UMBERTO TRENTA. Sono sinceramente perplesso. Un problema di ordine pratico in cui la sinistra, a cui sono tanto cari l'art. 18 e il tema del lavoro, produce una contrapposizione in aula che non porta benefici a nessuno. "Dalla protesta alla proposta": signori miei, per noi chi sono questi pescatori? Io feci un intervento sulla pesca e ancora Silenzi rise. Mi disse "quei pescatori di cui parli tu con la barca, con il pericolo di vita, non ci sono più". Ricorda, collega consigliere Silenzi?
Oggi parlo perché debbo criticare un onorevole di Forza Italia, lo "scaltro" Scaltritti che ha sintetizzato, credendo di acquisire voti nel suo collegio elettorale, minimizzando il ruolo di un onorevole della Repubblica, di un parlamentare con un provvedimento per casa propria, cioè il pescatore che lo vota e gli consente di fare l'onorevole.
Quindi non posso che esprimere perplessità e, se volete, una non condivisione del provvedimento, però non accetto questa, purtroppo ancora una volta, palese affermazione del caro Ciccioli che oggi ha una grande opportunità: quella di incontrare il "suo" ministro Mattioli. A tutti è sfuggito un fatto che proprio ieri sera la cronaca nazionale ha mandato in onda: la cooperativa dei vongolari di Venezia pescava in zone inquinate...

FERDINANDO AVENALI. E' stato detto.

UMBERTO TRENTA. E' stato detto? Repetita juvant, dottor Sottile. Il Presidente sicuramente ci darà lumi sulla discarica di Amatrice che va ad inquinare l'area subito sotto... (Interruzione). Stiamo parlando di corsi d'acqua che sono fonte di inquinamento di tutta la costiera adriatica. Su questo provvedimento, come si inquadra la polemica o dove vuole arrivare questa polemica sulla mozione 164? Nella stessa si esprime solidarietà ai pescatori e piena condivisione delle loro legittime esigenze: in effetti è una sterile polemica che non dà una risposta.
Come consiglieri regionali abbiamo moralmente la volontà di essere costruttivi o restiamo nelle nostre posizioni per dire "io ho parlato di più", "io ho parlato di meno", "io a favore di"? Non è questo il discorso. Facciamo un documento finale che ci consenta di rispondere alle preoccupazioni di una categoria.

PRESIDENTE. Sospendiamo i lavori per cinque minuti. Qualora non si raggiungesse l'accordo voteremo per parti separate la risoluzione.

La seduta, sospesa alle 14,05,
riprende alle 14,25

PRESIDENTE. E' stata presentata una proposta di risoluzione.
Ha la parola, per dichiarazione di voto, il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. Intervengo a titolo personale. prendo atto che da parte degli anconetani non c'è quello spirito e quella volontà di trovare un accordo unanime. Se questo è mi appello al presidente del gruppo affinché sia più equilibrato, in modo che lavori per unire e non per dividere. Se quel documento rimarrà tale io voterò contro.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. Mi ritrovo sul documento che con grande fatica comune abbiamo messo insieme per cercare di dare un ruolo alla Regione, comunque sia amministrata, e per cercare di intervenire su un problema trasversale e difficile per tutti. Sul problema del superamento mi permetto di dire, Brini, che sei più realista del re, perché il re a Roma ha nel frattempo superato il decreto.

OTTAVIO BRINI. Per le spinte vostre, non dei "sudisti".

CARLO CICCIOLI. Ma è stato superato, non è più quello, è un altro. E' chiaro che ci deve essere un riequilibrio e il riequilibrio deve essere mediato. Confermo il voto favorevole.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giannotti.

ROBERTO GIANNOTTI. Credo che la preoccupazione che il consigliere Brini esprimeva sia fondata, cioè l'interesse è di fare una cosa che rappresenti la sintesi degli interessi marchigiani. Chiedo scusa ai colleghi se prima non abbiamo approfondito, ma propongo una leggerissima modifica al testo della risoluzione. Al primo comma del dispositivo, invece di dire "chiedere al Governo" propongo che si dica "prende atto del superamento del decreto ministeriale", che è fatto acquisito che ho comunicato in area oggi. In questo modo credo si possa recuperare un voto unitario.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Silenzi.

GIULIO SILENZI. Vorrei porre una domanda al Presidente. leggo che Novelli dice "La Regione dov'è?". E' scritto ne Il Resto del Carlino di oggi. Faccio allora una domanda al presidente del gruppo An e al Presidente del Consiglio: "Ma Novelli dov'è?". Stiamo parlando di queste problematiche e Novelli è assente. Questa è una cosa grave.
Detto questo, il superamento di un decreto ci è stato riferito da parte del consigliere Giannotti in base a una comunicazione telefonica dell'on. Bertucci. Dov'è allora il tratto anconetano? E' Bertucci che ce lo dice, condividendo questa scelta. Che un Consiglio regionale "prenda atto" delle telefonate mi sembra un po' troppo, perché l'altra volta c'era "Mario" che non si è capito chi era, questa volta c'è Bertucci: o mettiamo una linea telefonica in simultanea... Non è un documento anconetano, non c'è una lettura anconetana, è il Governo che ha deciso di vanificare l'efficacia di quel decreto e "adoperarsi per". Veramente stiamo facendo discorsi di cui non capisco l'origine, la motivazione politica. L'obiettivo è chiaro: quello di trovare una risoluzione.

PRESIDENTE. E' ritirata la prima proposta di risoluzione e ne è stata proposta una nuova alla quale è stato proposto un emendamento a firma del consigliere Giannotti che propone di sostituire le parole "chiedere al Governo" con le parole "prendere atto del superamento".
Pongo in votazione l'emendamento. Ha la parola, per dichiarazione di voto, il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. Noi siamo favorevoli all'emendamento. Ci preoccupa il fatto che molto spesso il presidente del gruppo Comunisti italiani che cerca sempre di distinguersi dalle destre in quest'aula, e oggi prendiamo atto che sulla pesca la destra e la sinistra si trovano concordi rispetto a un documento che, malgrado ciò che dice Silenzi, penalizza una parte delle Marche. Quindi l'emendamento di Giannotti serve a rompere quest'asse tra la destra e la sinistra per portare un po' più di equilibrio su questa problematica.

PRESIDENTE. Ha la parola l'assessore Agostini.

LUCIANO AGOSTINI. E' improprio l'emendamento formulato da Giannotti, perché nella sostanza non cambia nulla, quindi non si rompe nessun asse. Diciamo allora che prendiamo atto della telefonata fatta da un parlamentare a Giannotti. Altrimenti di che cosa prendiamo atto se la cosa non è stata formalizzata?

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Moruzzi.

MARCO MORUZZI. In aggiunta a quanto dica l'assessore Agostini vorrei che rileggessimo il testo, perché dice "impegna la Giunta" e se passasse la risoluzione direbbe "Il Consiglio impegna la Giunta a prendere atto del superamento del decreto". Un testo di questo genere fa ridere.

PRESIDENTE. L'emendamento recita "impegna la Giunta regionale a prendere atto del superamento", quindi non ha senso.
Comunque, lo pongo in votazione.

(Il Consiglio non approva)

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di risoluzione.
Ha la parola il consigliere Giannotti.

ROBERTO GIANNOTTI. Siccome da un collega consigliere sono stati posti dei problemi seri, credo sia giusto prendere atto di questa preoccupazione, così come credo sia doveroso mantenere una coerenza rispetto al lavoro fatto in sede di consultazione. Il nostro gruppo non è contrario alla risoluzione, che complessivamente voterà, però chiede di votare per parti questo aspetto che è oggetto della contestazione. Il primo punto del dispositivo lo votiamo quindi a parte.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Procaccini.

CESARE PROCACCINI. Una brevissima dichiarazione di voto, perché dopo una disponibilità ed una correttezza istituzionale della maggioranza a sospendere il Consiglio e ad addivenire a una risoluzione unitaria per tentare di risolvere i problemi dei pescatori delle Marche aggravati da una liberalizzazione incauta di un vostro ministro, oggi il maggior gruppo di opposizione, di fatto si rimangia questa sintesi unitaria.
Consigliere Giannotti, in realtà lei non ha avuto il coraggio delle sue posizioni unitarie ed è stato di fatto sconfessato all'interno del gruppo stesso. Quindi noi prendiamo atto di questo avvenimento e tuttavia votiamo questa risoluzione che sui punti qualificanti poteva avere più forza se fosse stata una risoluzione unitaria. Ma non per questo non avrà conseguenze positive, mi auguro, verso il Governo che potrà , se ci sarà una volontà istituzionale e politica, rivedere le proprie posizioni che sono state sbagliate, perché ha messo un territorio contro l'altro. Questa è un'abitudine e vogliamo che questo Consiglio tratti di quello che accade nelle Marche, non in qualche quartiere, in qualche campanile o in qualche strada.
Sono questi i motivi per i quali votiamo questa mozione che è stata prima unitaria e oggi sconfessata da voi.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Silenzi.

GIULIO SILENZI. Riprendendo il lavoro che stiamo facendo, rimango sconcertato della posizione del presidente del gruppo di Forza Italia. Non c'è sostanza politica. Capisco che siete ormai tutti sotto tutela di Brini, questa è la verità. Non c'è sostanza politica per prendere le distanze rispetto a un documento...

ROBERTO GIANNOTTI. Questo è offensivo.

GIULIO SILENZI. E' la mia valutazione politica.

OTTAVIO BRINI. Tu sei andato sotto tutela di Pesaro e Ancona.

GIULIO SILENZI. Questa posizione non ha senso. Abbiamo detto che la sospensione del decreto è stata comunicata, è nei fatti, quindi la tua polemica non ha senso, né senso letterario, né senso politico. Questa è l'assurdità. Si avalla una posizione che non è dimostrata, è aria fritta quello che sostiene Brini, perché il decreto non ha più efficacia. Di fronte a questo si vuol riproporre una divisione tra Civitanova e Ancona, tra Civitanova e San Benedetto. La tua lettura vuol riproporre all'esasperazione una divisione senza cercare l'accordo unitario su un documento, accordo unitario che abbiamo trovato. Ecco la dignità di difenderlo da parte tua, non di astenerti, di votare per parti separate. Devi dire, Giannotti, al tuo collega Brini, che quello che sostiene è un non senso. Tu vuoi comunque cavalcare la divisione. Questo è il grave della tua posizione, e me ne dispiace perché perdi non di autorevolezza politica ma di autorevolezza più in generale. Posso capire una differenziazione argomentata con qualche frase politica, ma su parole che dicono la stessa cosa non è possibile dare una lettura che provoca una divisione ulteriore fra Ancona e Civitanova. Questo è grave e politicamente subdolo. Assumetevi le responsabilità fino in fondo.

OTTAVIO BRINI. Chiedo la parola per fatto personale, Presidente.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

OTTAVIO BRINI. Silenzi, vieni a scuola da un giovane che commissaria e vedrai che qualche volta vincerai qualche battaglia politica. C'è più dialettica all'interno del nostro gruppo, perché noi non abbiamo mai rimarcato atteggiamenti tuoi nei confronti della collega Mollaroli, che a volte destavano imbarazzo all'interno di quest'aula, su provvedimenti e atteggiamenti che aveva assunto. Sono fatti reali accaduti in quest'aula, non ultimo quanto avvenuto nell'ultima seduta del Consiglio regionale. Un accordo che era stato trovato tu l'hai voluto cambiare, quindi il "commissario" sei tu, non noi. Sotto tutela c'è il Presidente della Giunta regionale che tu hai chiamato dicendogli "Vito, c'è da cambiare". C'è un Presidente sotto tutela che si è alzato prontamente, ti ha ascoltato e ha cambiato come chiedevi.

GIULIO SILENZI. Che c'entra?

OTTAVIO BRINI. Come, "che c'entra?". Tu fai la morale a noi, noi non abbiamo mai fatto la morale a te. Addirittura hai richiamato il Presidente della Giunta nell'ultimo Consiglio regionale, per cambiare un provvedimento. Prontamente si è alzato e l'ha steso di proprio pugno, il provvedimento, sotto tutela, con fatica, perché sembrava un elettrocardiogramma quello che aveva scritto, non riuscivamo nemmeno a leggerlo.
Prendiamo atto che c'è questo accordo, l'asse Silenzi-Ciccioli, c'è l'asse anconetano che riguarda un passaggio di presidenza, tra le righe l'assessore diceva "adesso il presidente sarà di An", non so se ho capito molto bene, ma penso che qualche cosa di poco chiaro c'è: prima c'era un presidente della Lega, adesso sarà un altro. Non penso che sia la Lega di Bossi, penso si parli della Lega delle cooperative. Forse sarà diventato di An, adesso, come mi è parso di capire dall'intervento dell'assessore.
Questo è il nuovo fatto politico, Procaccini: fra Silenzi e Ciccioli c'è quest'asse che cerca di destabilizzare il documento... (Interruzione). Non l'ho detto io, l'ha detto l'assessore Agostini.
Secondo noi è un documento molto valido nella sua interezza, da votare, ma non è equilibrato in quella parte, quindi invitiamo il Consiglio regionale e i consiglieri ad essere un po' più prudenti. Se poi lo volete votare quel punto, noi ci asteniamo o votiamo contro.

PRESIDENTE. Procediamo alla votazione per parti separate.
Pongo in votazione la prima parte che comprende tutto il documento ad eccezione del primo capoverso del dispositivo che recita "a chiedere al Governo il superamento del decreto ministeriale del 31.5.2002".

Il Consiglio approva

Pongo in votazione la seconda parte, che recita "a chiedere al Governo il superamento del decreto ministeriale del 31.5.2002".

Il Consiglio approva

Pongo in votazione la proposta di risoluzione nel suo complesso.

Il Consiglio approva
La seduta è tolta.

La seduta termina alle 14,45