Resoconto seduta n.73 del 24/07/2007
SEDUTA N. 74 DEL 30 LUGLIO 2007



La seduta inizia alle ore 10,30


Presidenza del Presidente
Raffaele Bucciarelli



Comunicazioni

PRESIDENTE. Do per letto il processo verbale della seduta n. 73 del 24 luglio 2007, il quale, ove non vi siano obiezioni, si intende approvato ai sensi dell’articolo 29 del Regolamento interno.
Sono state presentate le seguenti proposte di legge:
- n. 179, in data 13 luglio 2007, ad iniziativa del Consigliere Ricci concernente: “Prime disposizioni in materia di controllo degli impianti termici degli edifici”, assegnata alla III Commissione in sede referente, alle Commissioni I e II per il parere obbligatorio e alla IV Commissione per il parere facoltativo;
- n 180, in data 25 luglio 2007, ad iniziativa dei Consiglieri Capponi, Badiali, Mammoli, Binci, Favia, Ricci, Giannini, Cesaroni, Santori, Ortenzi, Lippi e Pistarelli, concernente: “Modifica alla legge regionale 14 aprile 2004, n. 7, come modificata dalla successiva legge regionale 12 giugno 2007, n. 6”, assegnata IV Commissione in sede referente;
- n. 181, in data 25 luglio 2007, ad iniziativa della Giunta regionale, concernente: “Assestamento del bilancio 2007”, assegnata alla II Commissione in sede referente;
- n. 182, in data 26 luglio 2007, dei Consiglieri Capponi, Ricci, Massi, Romagnoli, Solazzi, Favia, Cesaroni, Badiali, Bugaro, concernente: “Valorizzazione della proprietà coltivatrice”, assegnata alla III Commissione in sede referente.
E’ stata presentata, in data 23 luglio, la seguente proposta di regolamento:
- n. 11, ad iniziativa dell’Ufficio di Presidenza: “Ordine delle precedenze nelle cerimonie a carattere locale”, assegnata alla I Commissione in sede referente.
E’ stata, inoltre, presentata la seguente mozione:
- n. 199 del consigliere Brini, “Pa.a. n. 59/2007 - Piano Sanitario Regionale 2007/2009 “Linee di intervento”.
Comunico, infine, che in data 24 luglio 2007 ho provveduto con decreto n. 43 alla costituzione del Consiglio delle Autonomie locali.


Proposta di atto amministrativo n. 59
della Giunta regionale
“Piano sanitario regionale 2007/2009 – Le linee di intervento”

Proposta di atto amministrativo n. 48
della Giunta Regionale
“Piano sanitario regionale 2007/2009 – Il governo, la sostenibilità, l’innovazione e lo sviluppo del Sistema sanitario regionale per la salute del cittadino marchigiano”
(Abbinate ai sensi dell’articolo 66 del Regolamento interno)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le proposte di atto amministrativo n. 59 e n. 48 ad iniziativa della Giunta regionale, abbinate ai sensi dell’articolo 66 del Regolamento interno e unificate dalla V Commissione. Ha la parola il relatore di maggioranza Consigliere Luchetti.

Marco LUCHETTI. Finalmente siamo qui in Aula per trattare e votare un atto di rilevante importanza, il nuovo Piano sanitario. Il Piano precedente 2003-2006 è scaduto e secondo la legge n. 26 deve essere riproposto a valenza triennale – ma su questo ci ritorneremo –. Il Piano deve essere la strada maestra delle azioni positive che devono essere realizzate sulla nostra struttura sanitaria per fare in modo che il nostro sistema sanitario possa dare le giuste risposte ai cittadini.
La prima cosa che va sottolineata è che la nostra sanità è una sanità di livello, nonostante alcuni fatti e alcuni episodi che qua e là nella nostra organizzazione sanitaria vengono ogni tanto rilevati – sapete che, purtroppo, la cronaca dà più importanza alle cose negative che alle cose positive –.
Al di là di questo possiamo dire di avere nelle Marche una sanità buona, che può essere sicuramente migliorata, ma non solo, siamo in anche nelle condizioni di superare i vincoli oggettivi che esistono nella gestione di questo importante comparto che occupa circa l’80% del bilancio della nostra Regione, possiamo trasformare i vincoli in opportunità per realizzare una sanità più efficace e più efficiente.
L’itinerario di questo atto amministrativo è iniziato nel febbraio di quest’anno, nel momento in cui la Giunta regionale aveva fatto un primo atto di indirizzo a cui ha fatto successivamente seguito, a giugno, con un altro importante atto che ha completato e specificato il primo. Con questo secondo atto, soprattutto, quello dalle 1.700 pagine – è conosciuto in questi termini – la Giunta regionale ha fornito tutta una serie di informazioni che, oltre ad averci messo nelle condizioni di capire a che punto eravamo arrivati con la nostra sanità, ha anche fatto un quadro che oggi ci consente di poter operare le scelte di cui parlavo prima e che andranno a migliorare il nostro sistema sanitario.
Queste informazioni sono fondamentali, derivano, ovviamente, da studi epidemiologici, statistici e demografici che sono alla base di qualsiasi scelta che l’Assessorato alla sanità dovrà realizzare e che pongono le stesse scelte in sintonia con i reali bisogni.
In effetti dobbiamo recuperare, secondo me, una impostazione, che in parte viene recuperata dallo stesso Piano, ma su cui dobbiamo procedere, che è quella che dobbiamo sintonizzare sempre di più l’offerta sanitaria con le reali esigenze e bisogni dei cittadini.
Sotto questo punto di vista, in effetti, la tradizione che abbiamo perseguito nella gestione della sanità è sempre stata quella che ha tenuto conto più della storia della nostra sanità piuttosto che di quelle che dovevano essere le impostazioni reali.

PRESIDENTE. Scusi Consigliere, invito tutti i Consiglieri e anche gli Assessori ad evitare il brusio che impedisce ai Consiglieri il giusto ascolto di chi parla. Invito il Presidente Luchetti a proseguire l’intervento sperando nell’attenzione generale.

Marco LUCHETTI. Siamo andati avanti in questi anni perseguendo i grandi filoni storici su cui era basata la gestione sanitaria, sempre di più, invece, dobbiamo riportare la gestione agli effettivi fabbisogni.
Questo lo dico anche in rapporto alla necessità di un approfondimento delle condizioni organizzative delle nostre strutture sanitarie. Uno degli obiettivi che ci si ripropone in questo Piano è quello di riequilibrare la sanità sul territorio. Quindi, se non riusciamo a realizzare questo approfondimento, cioè quello di fornire strutture adeguate per il reale fabbisogno, il rischio è di creare strutture o sovrabbondanti o sottostimate rispetto ai bisogni reali della comunità.
Pertanto, questo Piano si porta su questa indicazione che cerca, nel rinnovamento complessivo dell’organizzazione sanitaria, proprio di svolgere il compito di gestire oculatamente l’offerta in rapporto alla reale domanda.
La Commissione, di fronte alle due proposte della Giunta regionale, ha ritenuto di compiere un’operazione di riorganizzazione degli atti e ha ritenuto di “asciugare” – se mi si concede il termine – tutte quelle informazioni importantissime delle 1.700 pagine, per fare in modo che fossero oggetto di pubblicazione – l’abbiamo detto anche all’Assessorato, lo vedremo anche come V Commissione se questo sarà possibile –, in quanto queste informazioni sono molto interessanti perché ci fanno capire a che punto siamo arrivati nella nostra organizzazione sanitaria.
E’ importante, soprattutto, lo studio epidemiologico per capire quali sono gli effettivi bisogni e le effettive esigenze della nostra popolazione in rapporto all’evoluzione che la popolazione stessa ha subìto.
Uno degli aspetti fondamentali, più volte analizzato e che oggi indubbiamente è uno dei problemi principali della nostra realtà comunitaria, è quello dell’invecchiamento. Fortunatamente siamo riusciti a raggiungere dei livelli di attesa di vita notevolissimi, siamo primi non solo nel nostro Paese ma anche in Europa, salvo alcune zone – così dicono, quindi credo siano notizie vere – di alcune realtà giapponesi, noi abbiamo una delle più elevate condizioni di attesa di vita.
Questo fatto comporta di per sé, nonostante la verifica positiva di questo dato, la conseguenza di dover supportare, appunto, nella parte più alta della vita dei nostri cittadini tutti quegli effetti che nascono inevitabilmente nella condizione dell’anzianizzazione e che oggi purtroppo sono la cronicità.
Le statistiche ci dicono che abbiamo decine di migliaia di non autosufficienti – poi i numeri li dirò in maniera più specifica – che purtroppo hanno l’urgenza e il bisogno di cure mediche di particolare rilevanza. Ma sulla questione dell’anzianizzazione ci tornerò.
La Commissione, dicevo, ha ritenuto di dover semplificare gli atti attraverso questo meccanismo - demanderemo ad una pubblicazione specifica tutte le informazioni che sono alla base del Piano – e, quindi, ha realizzato un Piano di 300 pagine che riassumono sostanzialmente tutte quelle parti, non tanto descrittive quanto di sostanza, che indicano le scelte.
Voglio dire subito la caratteristica principale di questo Piano. Non è un Piano simile a quello precedente, dove attraverso specifiche tabelle erano individuati degli obiettivi anche particolari. Se ci ricordiamo, nel vecchio Piano venivano individuate le specialità dei singoli plessi ospedalieri, venivano indicati nella territorialità i posti letto della riabilitazione, i posti letto per la non autosufficienza. Questo, invece, è un Piano non prescrittivo ma strategico, un piano di linee che, ovviamente, riprende anche le linee del vecchio Piano perché l’operazione che strategicamente si propone è analoga a quella precedente, cioè dobbiamo riequilibrare all’interno della spesa sanitaria la destinazione delle risorse.
Oggi abbiamo una grande spesa per quanto riguarda il settore ospedaliero, abbiamo una bassa spesa nella prevenzione e nella territorialità, pertanto dobbiamo compiere questa inversione di tendenza. Questo non è facile perché il vecchio Piano che lo poneva come obiettivo non ci è riuscito fino in fondo, tant’è che alla fine del 2004 la Giunta regionale ha dovuto mettere sul tavolo ulteriori 10 milioni di euro proprio per raggiungere gli obiettivi di copertura per la residenzialità e la copertura della parte sanitaria che non era stata raggiunta definitivamente.
Come dicevo, quindi, è un Piano strategico e non prescrittivo e una volta approvato dovrà – il Piano contiene anche le modalità e gli strumenti – implementare queste scelte strategiche sul territorio. Questa non sarà una cosa semplice, avremo di fronte un grande lavoro che dovrà avere il massimo della trasparenza e il massimo del coinvolgimento.
Anche durante le moltissime consultazioni fatte nei giorni e mesi scorsi è emerso un dato fondamentale, cioè che le scelte della sanità devono essere condivise non solo dagli operatori sanitari, i professionisti e tutti gli altri operatori sanitari, ma anche e soprattutto dalle istituzioni e dalle comunità locali. Tutte le grandi trasformazioni non possono avvenire senza il consenso, pertanto la fase attuativa dovrà vedere il coinvolgimento di tutti.
Questo è uno dei dibattiti che anima anche il confronto in questo Consiglio tra maggioranza e minoranza, cioè si ha la necessità, proprio per quello che significa la sanità per la nostra comunità, di avere la massima trasparenza e il massimo coinvolgimento.
E’ chiaro che il dibattito politico non mancherà sulle scelte che si fanno, però guai a noi se cadessimo nella strumentalizzazione, così come da qualche parte è iniziata quando il Piano prevedeva scelte di un certo tipo, è scattata subito la necessità di una presa di posizione in contrapposizione o a favore, e questo sicuramente non fa bene per le scelte migliori che devono essere fatte.
Comunque questo criterio è affermato dal Piano dove la partecipazione è fondamentale, pertanto riusciremo ad implementarlo con il consenso di tutto il territorio.
Il Piano è triennale perché la nostra legge n. 26 ce lo impone, però, capite bene, che un piano strategico non si può soffermare al triennio. Oggi come oggi il tempo è così veloce che un piano strategico non può essere relegato nel triennio, un po’ lo era, ripeto, anche il vecchio Piano che si proiettava ben al di là della triennalità, da questo punto di vista c’è anche un dibattito a carattere nazionale sul come realizzare la programmazione sanitaria. Oggi molte Regioni, anche quelle vicine a noi, più che di realizzare piani prescrittivi, piani specifici, scelgono di indicare le grandi linee sulle quali lavorare per poi modificare le scelte contingenti.
Tenete conto che sempre di più – la programmazione aveva un significato prescrittivo fino a qualche tempo fa – la velocità della tecnologia e della scienza e la modernità stessa di cui il mondo della sanità è protagonista, ci impongono la capacità di una gestione più specifica e programmatica dal punto di vista del breve periodo, salvo che questa gestione avvenga all’interno di scelte di grande respiro. Ecco perché molte Regioni non hanno più neanche il Piano sanitario, ma hanno una programmazione di carattere strategico. Ecco perchè avremo la necessità di verificare poi nel contingente le scelte specifiche che dovremo fare.
Mi soffermo brevemente sul dato della partecipazione, che è un dato essenziale nella sanità, per dirvi che il Consiglio ha fatto tutto quello che poteva fare, ha coinvolto i soggetti, ha invitato, anche se non tutti hanno partecipato, più di 400 soggetti di rappresentanza nelle audizioni, ha accettato documentazioni.
E’ chiaro che ogni soggetto, in quanto rappresentanza particolare, aveva espresso l’interesse di far sì che nel Piano venisse segnalata la propria realtà organizzativa e professionale. Certamente non tutto si è potuto recepire proprio per la caratteristica programmatico-strategica del Piano. Tutto il materiale pervenutoci, comunque, sarà molto prezioso quando andremo ad implementare le varie scelte sul territorio e nelle strutture, perché quei suggerimenti fanno parte di quella che sarà l’implementazione vera del Piano.
Ci sono state anche molte critiche. Infatti, proprio per la mancanza di prescrittività, alcuni hanno ritenuto che il Piano fosse troppo leggero – passatemi il termine –.
L’indirizzo scelto dal Piano, credo, consenta il recupero anche delle critiche fatte, in particolare sulla non autosufficienza, quelle fatte da alcune associazioni e organizzazioni sindacali sono state anche piuttosto profonde. Penso che l’Assessore convenga sulla necessità di assumerci le responsabilità più stringenti, magari con l’approvazione di un ordine del giorno dove si possa puntualizzare e mettere nero su bianco quelle che dovranno essere le scadenze a cui attenerci per recuperare un dato come quello della non autosufficienza, che è un problema che riguarda soprattutto noi per le cose che dicevo prima, ma anche l’intero Paese.
Abbiamo suddiviso l’atto in tre parti. I 21 capitoli che erano stati proposti nell’ultimo atto di Giunta li abbiamo organizzati in 15 capitoli: la prima parte riguarda gli obiettivi e le strategie, la seconda riguarda tutta la parte organizzatoria e strutturale delle reti sanitarie e dei processi sanitari, la terza riguarda i processi di supporto.
Queste componenti sono fortemente legate fra di loro, nel senso che l’organizzazione della sanità è tale per cui se si modifica un processo questo ha direttamente effetto sul processo di supporto. Alcuni pensano di poter risparmiare – è un dibattito che è stato fatto anche nella nostra realtà – sui servizi di supporto, oggi come oggi dobbiamo convincerci che lo potremo fare unicamente se cambieremo strutturalmente anche il processo clinico.
La scelta della suddivisione in capitoli che è stata fatta non è solo per una migliore la lettura, ma anche per una migliore organicità. Ci saranno sfuggiti probabilmente anche alcuni aspetti che dovranno essere recuperati in sede di dibattito, sappiamo che sono stati presentati molti emendamenti.
Passo ora all’illustrazione dei contenuti di questo Piano partendo dalla prima parte, la strategia degli obiettivi.
La strategia del Piano vuole raggiungere gli obiettivi che sono fondamentalmente quattro. Il primo è quello del superamento degli squilibri. Sono squilibri che esistono anche se non eccessivamente macroscopici.
Nel territorio marchigiano non abbiamo la stessa offerta, o meglio, c’è un’offerta che può essere migliorata e razionalizzata in modo che tutti i cittadini marchigiani, ovunque si trovino, possano accedere ai servizi e avere la copertura sanitaria che pretendono.
Questi squilibri hanno bisogno, ovviamente, anche di investimenti e saranno anche oggetto di attenzione di dove fare gli investimenti relativi.
Sappiamo che gli squilibri non corrono dietro soltanto alla quantificazione organizzativa, per esempio, i posti letto, tanto per fare riferimento ad un criterio che tutti quanti possono percepire, ma non è questo il problema, il problema sono squilibri di carattere di qualità professionale, di qualità diagnostiche, di qualità terapeutiche. Noi dobbiamo recuperare questo.
E’ chiaro che un aspetto macroscopico, che abbiamo esaminato anche come quinta Commissione nel momento in cui abbiamo parlato del piano della riabilitazione, è la carenza di questa che talvolta fa anche riferimento alla mobilità passiva delle parti nord e sud della regione. C’è una concentrazione di offerta molto rilevante nel centro e manca nelle parti nord e sud e questo, ripeto, ha riferimento anche nella mobilità passiva.
Occorre, dunque, il superamento degli squilibri.
Un'altra questione che viene affermata è quella del mantenimento della strutturazione della legge n. 13. Nel 2003 abbiamo fatto la scelta organizzativa di affiancare l’Asur con due Aziende ospedaliere e con l’Inrca, oltre che con l’apporto dell’Università dell’Azienda ospedaliera di Ancona. Questa strutturazione intendiamo mantenerla, su questo c’è stato un forte dibattito. Il Piano, come atto amministrativo, non ha la forza di superare la legge, nonostante qualcuno avesse pensato, anche programmaticamente, di indicare la trasformazione della legge n. 13 come elemento fondamentale e fondativo della nuova programmazione.
Si è ritenuto di lasciare immodificata questa struttura anche perché avremmo riaperto un dibattito che ci avrebbe portato fuori dagli obiettivi del Piano.
Per cui si conferma l’impianto della legge n. 13 anche se abbiamo introdotto – poi ci ritornerò – il concetto organizzativo nuovo dell’area vasta, che molti vorrebbero surrogare con le strutture della legge n. 13, invece l’area vasta mantiene una impostazione funzionale, di organizzazione, di riferimento funzionale, in modo tale che l’area vasta sia una delle condizioni territoriali di riferimento nelle scelte della modificazione dell’implementazione delle reti cliniche e delle altre reti.
Terza strategia è l’individuazione delle scelte con il relativo monitoraggio nel cambiamento. Una delle questioni fondamentali che dobbiamo realizzare è la conoscenza.
Dicevo prima che le 1.700 pagine sono state di notevole rilevanza, ma è importante attivare sempre più la conoscenza quotidiana di ciò che avviene nella nostra sanità, perché senza sapere quello che avviene non si può decidere. Purtroppo questo monitoraggio, forse per la carenza dell’informatizzazione del nostro sistema, è complicato, non è semplice da realizzare.
Quarto elemento della strategia è trasformare in opportunità i vincoli finanziari che abbiamo di fronte. Questo è un bello slogan, ma concretamente non è facile. I vincoli economici sono i vincoli stringenti a cui è difficile dare soluzione se poi non si ha il coraggio di fare le scelte di mettere il sistema nella condizione di avere la capacità di dare la stessa risposta, anzi, innalzare la risposta senza prescindere dalla realtà che si va a modificare.
Pertanto l’obiettivo di questo Piano per la questione finanziaria è tentare di realizzare la strategia tenendo conto delle risorse date. Abbiamo realizzato nel 2006 un deficit di 96 milioni di euro, nella triennalità dovremo tentare di recuperare questo gap per mettere in linea il fondo sanitario, le entrate che abbiamo autonomamente come Regione, in modo da non creare disavanzi.
Questo strategicamente è possibile, sarà un lavoro lungo, e non è soltanto, come si dice, un problema dei piccoli ospedali, ma per raggiungere questo obiettivo è tutto il sistema che deve essere razionalizzato.
Gli obiettivi generali di piano, se queste sono le linee strategiche che vogliamo ottenere, sono quelli di andare verso uguali diritti dei cittadini. Parlavo prima delle disuguaglianze territoriali, ma più di queste dobbiamo fare in modo che l’esercizio del diritto della protezione sanitaria di ogni cittadino possa essere esercitato in tutto il territorio e da chiunque. Questo è uno degli elementi fondamentali.
L’aver garantito livelli essenziali di assistenza non è stato un atto che garantisce comunque, sempre e in qualsiasi parte della regione, la fruibilità della copertura sanitaria, quindi, quello che dobbiamo raggiungere è, intanto, ridurre i tempi di attesa, una delle problematiche più all’ordine del giorno. E’ chiaro che dobbiamo partire da una migliore organizzazione dell’informativa dei servizi, dobbiamo avere un collegamento più efficace, soprattutto nella diagnostica, tra l’altro noi abbiamo una rete diagnostica molto estesa, molto frammentata e poco collegata, quindi, dobbiamo fare in modo che i tempi di attesa abbiano una giusta risposta. C’è un capitolo specifico di come vogliamo affrontare questa problematica.
Terzo obiettivo, l’appropriatezza, cioè quello di non sprecare i soldi, uso questo termine semplificatorio, ma si tratta proprio di questo. Dobbiamo mettere le cose al posto giusto nel momento giusto. Purtroppo abbiamo in molte parti sovrabbondanza di offerta rispetto ai reali bisogni, non solo, da qualche altra parte abbiamo una sottovalutazione dell’offerta rispetto ai reali fabbisogni.
Quindi l’appropriatezza è una delle condizioni fondamentali di organizzazione della sanità che si sposa con i principi di qualità che la sanità deve assolutamente raggiungere.
Della promozione alla salute se ne parla tanto, gli stili di vita sono quelli che sono. Dobbiamo sempre più proporre azioni educative che consentano soprattutto ai giovani di rientrare in uno schema che purtroppo la logica consumistica non ci consente di perseguire. Se non riusciamo a modificare gli stili di vita molte della malattie si estenderanno nel corpo sociale della nostra comunità, invece, dobbiamo tornare a considerare la promozione della salute come un diritto oltre che come un dovere.
Nel Piano parliamo di prevenzione, pertanto la promozione alla salute si sposa con il momento preventivo. Abbiamo pensato, per esempio, di sviluppare un’azione sull’attività motoria dei cittadini, soprattutto degli anziani. Soltanto questo fatto ha comportato, perché sperimentato e scientificamente provato, che sviluppando un’azione di convincimento dei nostri cittadini a svolgere l’attività motoria, si arriva automaticamente ad un’elevazione della qualità della salute, e secondariamente, ma non da trascurare, ad un risparmio diretto sull’uso dei farmaci.
Abbiamo introdotto come obiettivo anche la medicina di genere. Al di là delle polemiche che possono essere fatte su questo dato, abbiamo introdotto la medicina di genere come attenzione della nostra sanità su una particolarità, quella del mondo femminile, che molte volte viene omologata all’interno della medicina generale senza, invece, le specificità che attengono alle condizioni di vita delle donne. Non ci sono solo le condizioni di vita che attengono fisiologicamente all’appartenenza ad un genere diverso da quello maschile, ma c’è anche un problema che attiene alle condizioni sociali e di crescita educativa e fisiologica delle donne a cui va data assolutamente importanza e a cui va data tutta l’attenzione necessaria. Per questo, quindi, abbiamo espresso linee molto importanti e molto interessanti per spostare un’attenzione che fino ad oggi probabilmente è mancata.
Il governo clinico è un altro obiettivo, cioè quello di poter realizzare delle reti cliniche su tutto il territorio, nel senso che dobbiamo considerare la nostra sanità, che è per un 1 milione e 500 mila abitanti, come un fattore strutturalmente integrato. O riusciamo a raggiungere una dimensione di integrazione reale di tutta la nostra organizzazione sanitaria oppure rischiamo una dispersione strutturale e di risorse enorme.
Tenendo conto di realizzare le integrazioni, soprattutto sull’area vasta come area ottimale della riorganizzazione delle reti cliniche, la cosa importante è che tutta la sanità venga collegata. Questo non solo per realizzare e superare quegli squilibri di cui prima ho parlato, ma soprattutto per tentare di dare le risposte giuste al posto giusto.
Possiamo anche avere punti di riferimento clinici diversi da quelli dell’area vasta, parlo per esempio delle specialità, ma dobbiamo sapere dove li mettiamo e dobbiamo sapere la risposta che devono dare.
La creazione delle reti nella sanità, di cui si fa tanto parlare da tutte le parti e in tutti i modi, è invece una strategia vera e propria, è una strategia fondamentale che deve essere supportata da strumenti informatici e tecnologici di alto livello. O riusciamo a fare questo salto di qualità oppure si abbasserà il livello complessivo della sanità.
Altro obiettivo fondamentale è quello dell’integrazione socio-sanitaria che ci consente di innovare un approccio che è iniziato con la legge n. 833 e che in tutti questi anni non ha avuto modo di trovare dei riferimenti specifici nell’attuazione sul territorio di una interazione specifica tra sociale e sanitario. Soprattutto oggi con la legge n. 328, che dal 2000 ha portato una nuova dimensione della gestione del sociale, si è sentita ulteriormente la necessità di integrare i servizi socio-sanitari, anche perché la delega del sociale alla sanità, e viceversa, è una delega sempre meno attuata. Pertanto è gioco forza che strategicamente si abbia la necessità di avere un’azione comune e dei protocolli comuni, tant’è che questa parte del Piano che riguarda, appunto, l’integrazione socio-sanitaria, dovrebbe essere analoga a quella del Piano sociale. Sono due cose distinte perché organizzativamente sono due fatti distinti, ma dobbiamo assolutamente trovare un’integrazione.
Ultimi due obiettivi: ricerca e innovazione, sanità elettronica e servizi al cittadino. Sono due obiettivi fondamentali per le cose che ho detto.
La questione della ricerca e dell’innovazione chiama in causa direttamente il coinvolgimento dell’Università e dell’Inrca che sono i due punti di riferimento che dobbiamo assolutamente utilizzare per la ricerca e per l’innovazione. Abbiamo la necessità di non perdere colpi rispetto alle novità che la medicina e la sanità in generale ci propone, proprio perché oggi stiamo facendo passi da gigante dove la medicina non è più relegata ai vecchi schemi di cura, ma dove si aprono, grazie alla ricerca scientifica, scenari assolutamente rilevanti.
Il capitolo che riguarda la programmazione finanziaria riprende le linee indicative del bilancio triennale della nostra Regione, pertanto c’è una conferma dell’obiettivo di cui prima ho parlato. E’ ovvio che questi obiettivi sono ambiziosi, che vanno sicuramente perseguiti, ma in questa programmazione, come vedrete, c’è una parte dedicata anche allo sviluppo. Non è soltanto un Piano che tiene conto della realtà, così come essa è, e delle modificazioni che possono intervenire sulla base di scelte quotidiane, ma dove si deve assolutamente pensare ad una novità sostanziale per quanto riguarda l’organizzazione tecnologica.
Il sistema organizzativo, complessivamente inteso, si scompone in quattro grandi aree.

PRESIDENTE. Consigliere le ricordo che il tempo è abbondantemente scaduto.

Marco LUCHETTI. L’attività socio-sanitaria, l’attività territoriale, l’attività ospedaliera e l’emergenza-urgenza.
Queste grandi aree saranno sicuramente l’oggetto del governo delle cabine di regia, che a livello regionale dovranno essere definite per la gestione complessiva della sanità. A questo, ovviamente, dovranno essere poi collegati tutti gli altri elementi di conoscenza e organizzativi.
La prima parte finisce con il sistema di qualità dove siamo a buon punto, come Agenzia siamo addirittura oggetto di attenzione dell’organizzazione mondiale della sanità per aver elaborato prima delle altre Regioni il sistema di accreditamento e di autorizzazione. Quindi dobbiamo andare avanti, dobbiamo incrementare sempre di più la capacità di governo della qualità e soprattutto dell’innovazione.
La seconda parte, e non mi soffermo, riguarda le reti strutturali. A questo proposito ritorno, come ho detto all’inizio, sulla questione del socio-sanitario per quanto riguarda l’anzianizzazione.
Nella nostra regione abbiamo la bellezza di 4.500 anziani ricoverati nelle nostre residenze protette, nelle Rsa e nelle lungodegenze, abbiamo più di 6.600 anziani che sono assistiti dall’assistenza domiciliare integrata nelle zone territoriali e abbiamo altre 12.000 persone non autosufficienti che sono assistite dalle badanti. Questo è un fenomeno enorme, se non ci fossero state le badanti, con tutte le questioni connesse perché si tratta di un fenomeno di emarginazione e qualche volta anche di schiavitù, probabilmente le nostre famiglie si sarebbero trovate in mezzo a una strada. Quindi anche da questo punto di vista dobbiamo intervenire.
Si parla di ritaratura delle nostre strutture per dare spazio alle geriatrie, per dare spazio alle lungodegenze, alle Rsa, ma occorre, secondo me, una grossa presa di coscienza da parte di tutta la comunità se vogliamo affrontare tematiche, ad esempio, come quelle dell’Alzheimer che oggi stanno massacrando intere famiglie e a cui, purtroppo, non si riesce esaustivamente a dare una risposta.
Abbiamo sulla rete territoriale ripreso il ruolo del medico di medicina generale. Dal punto di vista strutturale dobbiamo integrare adeguatamente con il sistema sanitario sempre di più questa parte di sanità che è direttamente vicina al cittadino. Dobbiamo dare la possibilità ai medici di medicina generale di ritornare ad essere i veri punti di riferimento della nostra sanità dando loro la possibilità di accesso al sistema, cercando di coinvolgerli nella prescrizione successiva alla medicina generale, che può essere quella della specialistica e diagnostica, ma occorre, soprattutto, integrarli completamente all’interno di un sistema che li deve vedere attori principali.
Sul territorio si stanno attuando e raggiungendo nuove modalità di organizzazione, come possono essere, per esempio, quelle delle Case della salute – ne abbiamo alcune sul nostro territorio – che stanno implementando la presenza sul territorio della sanità con le effettive esigenze, facendo leva sul medico di medicina.
Queste sono le strutture in alternativa agli affollamenti dei pronto soccorso, quindi, più struttureremo sul territorio della sanità più elimineremo quelle grandi pletore, quelle grandi file nei pronto soccorso.
Si è dovuta riorganizzare completamente la rete ospedaliera tenendo conto delle esigenze di integrazione nel nord e nel sud, ma anche di quelle del centro.

PRESIDENTE. Consigliere, per cortesia, non mi obblighi a toglierle la parola.

Marco LUCHETTI. Termino dicendo che la questione della rete ospedaliera è una delle questioni fondamentali che ci troviamo di fronte, a cui dobbiamo dare una risposta significativa per migliorare la sanità, facendo particolarmente riferimento ai ruoli delle specializzazioni – parlo delle aziende ospedaliere e dell’Inrca – che in questo momento sono punti di riferimento sempre più importanti nella cura delle acuzie.
Ci sono altri capitoli, fino a giungere alla rete tecnologica, al sistema del farmaco e alla rete della formazione. Questi capitoli sono molto interessanti, danno una svolta significativa ad un governo della sanità regionale, come dicevo, sempre più integrato.
Credo che se sapremo implementare queste linee strategiche otterremo sicuramente una sanità migliore e più vicina ai cittadini.

PRESIDENTE. Ha la parola il relatore di minoranza Consigliere Castelli, pregandolo di rispettare i tempi.

Guido CASTELLI. Sono le ore 11,16 quindi ho tempo fino alle ore 11,46.
Dov’è il dott. Ruta? Avrei voluto esordire con un saluto al dott. Ruta, perché nel corso delle innumerevoli occasioni di incontro sul territorio e in Commissione che abbiamo avuto con lui ho scoperto che è nato in Val di Siusi, un bellissimo ameno luogo della Val Gardena che è dominato da una montagna che si chiama Catinaccio, è particolarmente massiccia e ponderosa e che in tedesco viene chiamata Rosengarten (giardino delle rose). Questa stessa caratteristica binaria è tutta rappresentata dal dott. Ruta il quale sa essere massiccio – e dimostrerò in quali parti –, perché coraggiosamente si è armato di audacia, ma anche flessuoso, come si conviene ad un giardino di rose.
Questa è la caratteristica di un uomo che sicuramente non può essere ritenuto privo di sincerità, perché una cosa chiara ed inequivoca di questo Piano è il giudizio severissimo e durissimo per quanto riguarda la vecchia gestione sanitaria.
E’ una stroncatura che per certi versi riflette e fa riecheggiare alcuni tratti delle nostre critiche che sono state plasticamente consegnate a tre o quattro pagine – invito soprattutto i Consiglieri della maggioranza, ma anche il Presidente Spacca a rileggersele – dell’atto n. 48. Successivamente sono state un po’ ammorbidite perché probabilmente il Ruta “massiccio”, non “Rosengarten”, prendendo la penna e scrivendo queste tre pagine ha avuto un’onestà intellettuale che gli va riconosciuta.
Si parla di squilibri palesi, di gestione insufficiente, di un’offerta sanitaria totalmente priva della capacità e dell’attitudine di rispettare i precedenti Piani.
Ora c’è il dott. Ruta, quindi glielo dico senza ironia – prima lei non c’era, ma ho detto che è un po’ “Catinaccio” e un po’ “Rosengarten”, quindi un po’ duro e un po’ giardino di rose –. Sicuramente questo è un dato politico che offriamo non alla polemica, ma ad una constatazione che riguarda questo ultimo triennio che qualcuno definisce fallimentare, altri più benevoli lo definiscono di profondo ritardo per la nostra salute.
Allora è questa la premessa che oggi ci porta a dover esaminare – lo ha detto anche il relatore Luchetti – quello che è un Piano strategico, un Piano leggero, un Piano di larga massima, un Piano che non si impantana e non si infogna – se mi viene consentito l’uso di questo verbo – in questioni operative e gestionali, ma che illustra una tenenza, un senso.
La prima domanda che poniamo di fronte a questa scelta, dott. Ruta e colleghi della maggioranza, è se è stata una scelta o se è stata una necessità.
Il fatto di voler indicare una prospettiva, omettendo di dettagliare alcune strategie, è frutto di una debolezza politica, ovvero di una fragilità di questa maggioranza che non ha voluto arrischiarsi in sentieri impervi che avrebbero potuto preludere anche a “rivolte” politiche prima ancora che sociali. Quando si allude al taglio di servizi sapete che è come un riflesso pavloviano, vengono fuori, come probabilmente verranno, delle rivolte difficili da gestire, soprattutto nella calura agostana o pre-agostana che ci sta riguardando. Quindi è stato questo o è stata una scelta?
Penso che sia difficile dare una risposta univoca perché probabilmente gli attori di questa vicenda sono animati da propositi e da intenti diversi.
Credo che la strategia abbia una nobile ragione di esistere, ma inevitabilmente come soggetti politici abbiamo il dovere di interrogarci se questo Piano a maglie larghe voglia preludere ad una richiesta, da parte della maggioranza, di mani libere. Ovvero, esiste il rischio, che per noi è concreto, che in particolare questa Giunta voglia oggi dire al Consiglio “dateci pieni poteri poi ci penseremo noi”.
Allora, siamo di fronte ad una deregulation che sottende un nuovo e più moderno modo di fare sanità oppure siamo tra i marosi di una maggioranza in difficoltà che probabilmente, anche avendo indicato a se stessa alcuni temi e scadenze politiche importanti per settembre-ottobre, vuole sbarcare il lunario per poi arrivare con le mani libere a gestire il gestibile?
Credo che questo rischio sia concreto, credo, tra l’altro, che la nostra sanità ha già corso questo rischio quando dal dicembre 2003 ci si è, di fatto, introdotti in una prospettiva del tutto analoga a quella che io adombro. Quando nel giugno 2003 ci lasciammo con la nuova legge, consegnammo come testo normativo sull’architettura della organizzazione sanitaria delle cose che via via sono cambiate nel tempo.
La Giunta regionale ha ragionato quasi in senso omeopatico, inoculando pezzo per pezzo, norma per norma, istituto per istituto, elementi nuovi che oggi ci possono far quasi paragonare l’organizzazione sanitaria vigente nelle Marche a quello che era una volta il corpus iuris di Giustiniano, che non era un codice, non era un testo preciso, ma era un insieme di glosse, note, interpretazioni, prassi, che alla lunga rendeva la società priva di certezze.
Credo che l’atteggiamento di chi ha voluto in qualche modo andare a tentoni, aggiustando ex post il sistema sanitario, sottraendosi ad un confronto aperto e franco con chi la sanità la deve soprattutto attivare prima ancora che programmare, è alla base di quelle criticità così spietatamente evidenziate nell’atto amministrativo n. 48.
Allora, colleghi della maggioranza, non potete non considerare che la nostra difficoltà è soprattutto quella di dare un giudizio sulla fattibilità di questo Piano.
Come possiamo oggi dire quanta probabilità ha questa Giunta, questa maggioranza, di realizzare queste reti cliniche? Come possiamo - per carità, chi è di maggioranza giustamente può ispirare il suo atteggiamento ad un vincolo di maggioranza che ha un senso politico - pensare che questo Piano si realizzi o meno? Noi possiamo pensarlo nel momento in cui, e questo credo sia il punto nodale di tutta la vicenda, la nostra sanità non può solo ispirarsi a concezioni programmatorie più o meno intelligenti, ma deve fare i conti con un quadro economico e finanziario disastroso.
Noi per il 2007 – lo dobbiamo dire una volta per tutti – o meglio per i quattro mesi che residuano nel caso in cui questo Consiglio dovesse licenziare questo Piano, dovremmo, secondo quanto scritto precisamente sia nel bilancio di previsione che nello stesso Piano sanitario, recuperare 20 milioni di euro del deficit dell’anno scorso, ridurre comunque di 96 milioni di euro la capacità di spesa del sistema, in più, è scritto, prevedere attività nuove per 66 milioni di euro. Vi rendete conto che 96 milioni in meno, 20 milioni da recuperare e 66 di attività in più, sono una massa di denaro che è stupido pensare che possiamo riagguantare in quattro mesi!
La fattibilità a questo punto diventa qualcosa di estremamente remoto, allora, noi diciamo che vogliamo qualcosa di più e migliore se non altro come incipit che guiderà la mano di questa Giunta nel momento in cui dovrà adottare i tagli draconiani, che è inevitabile che ci siano perché 150 milioni di euro non ce li regalerà nessuno!
Anche in questo caso – non me ne vogliano gli altri suoi collaboratori – devo riconoscere al dott. Ruta una grande onestà intellettuale, perché queste cose io gliele ho dette in Commissione e lui mi ha risposto “io mi sono trovato questa programmazione di rientro finanziario prima ancora che mettessi mano alla sanità delle Marche”. Sicché quei dati – 20 milioni di recupero, 96 milioni in meno, 66 di attività – sono in realtà poste finanziarie di attendibilità, secondo me discutibili, ma che comunque non si connettono in maniera funzionale con il Piano strategico che, invece, si prefigge economie di scala che si sviluppano sicuramente nel futuro, sicuramente in un lasso di tempo pluriennale che, tuttavia, difettano di presbiopia – presbite è colui che vede lontano, ma ha qualche problema a veder vicino –. Credo che tutto sommato il difetto di presbiopia sia quello che con maggior forza possiamo ascrivere ad un Piano che, ripeto, si fonda su due accenni.
E qui arrivo ad Almerino Mezzolani che oggi ho definito fortunato, ma anche bravo, ci mancherebbe, non voglio soltanto considerarlo come una specie di Gastone della politica regionale, ma ho detto semplicemente che la fretta con la quale questa maggioranza ha chiesto e imposto a marce forzate che venisse approvato questo Piano, dipende anche dal fatto che a settembre-ottobre questa maggioranza, dovendo provvedere e svolgere le primarie per il segretario regionale del partito Democratico, le primarie per il segretario nazionale, ha voluto, non dico liberarsi, ma disfarsi di qualche impiccio, tra l’altro non secondario, che forse avrebbe creato qualche distonia o qualche disarmonia in più.
Questa è una facezia, una delle tante cattiverie di cui mi rendo protagonista nel momento in cui però, attenzione, vedo due intuizioni che immagino riconducibili ad una scelta politica, la prima è quella dell’area vasta. Qui credo di poter dire, a nome della minoranza, ma forse anche di parte della maggioranza, che si concentri un elemento fondamentale della nostra richiesta politica.
E’ noto, Assessore Mezzolani, che noi abbiamo presentato mille emendamenti, è noto che ci stiamo attrezzando per passare qui anche le notti, ma non vogliamo semplicemente dar fastidio, non vogliamo semplicemente dare sfoggio di esibizionismo più o meno voyeristico, per eccitare il voyeurismo della pubblica opinione, ma vogliamo usare tutta la nostra forza per richiedere almeno due correttivi che riteniamo assolutamente necessari nell’interesse della comunità marchigiana.
Il primo è dare concretezza all’area vasta che così come ci viene descritta nel Piano, non sono parole mie ma dei sindacati, delle associazioni, dei sindacati medici oltre che della triplice, è una sorta di ectoplasma, un’araba fenice, una situazione di vedo ma non vedo. Il Consigliere Luchetti, che è il più strenuo e feroce difensore dell’ancien régime, parlo dell’Asur, si sforza, e lo ha detto anche questa sera, di ripetere che non è un livello istituzionale, di governo clinico, è qualcos’altro, è un’area di collaborazione, come l’ha definita il dott. Malucelli direttore generale dell’Asur.
Per noi deve essere qualcosa di più, deve essere esplicitato meglio, soprattutto che attenga e afferisca all’organizzazione “costituzionale” della nostra sanità per effetto di un riconoscimento all’interno della legge n. 13. Diversamente sarebbe qualcosa che alla bisogna viene citata come fosse un grumo di una nuova Asl provinciale, di un ritorno ruggente delle Asl, altre volte, invece, viene evocata come bacino di assistenza ottimale.
Bisogna chiarirsi perché il nostro atteggiamento potrebbe essere più o meno orientato in un senso o nell’altro a seconda della soluzione di questo, che secondo Luchetti non è un enigma, ma che secondo noi, invece, è un punto di prova.
La seconda cosa sono le famose cabine di regia. Lo abbiamo detto più volte, le cabine di regia sono le strutture che dovranno adottare le scelte di Piano, cioè saranno loro a proporre o meno la chiusura o il potenziamento dei servizi, l’adozione di tutte quelle misure per i non autosufficienti che vengono reclamate a gran voce da tutti, ma ancora non adottate, oppure tutto ciò che è necessario per la rete dell’urgenza-emergenza. Cioè la cabina di regia, dato atto e posto che il Piano è a maglie larghe e sarà il luogo decisionale effettivo.
Allora anche qui ci sono due scelte. La cabina di regia come soggetto che dopo aver ottenuto la cartolarizzazione del diritto politico dei Consiglieri regionali di fare il Piano, essa stessa lo traduce in Piano vero, però sottraendosi sia ai riflettori che alla possibilità di interferenze di chi come noi è titolare del diritto di programmare la sanità e la salute marchigiana.
Altra alternativa è la cabina di regia come luogo che, pur riconoscendo ai funzionari e alla parte burocratica il diritto e dovere di istruire una scelta o un processo, rimette alla scelta amministrativa e politica dei Consiglieri regionali o della loro rappresentanza istituzionale il diritto poi di arrivare davvero alla scelta.
I casi potrebbero essere migliaia. Quando si passa in rassegna l’insieme delle aree vaste non vi sarà sfuggito, cari colleghi Consiglieri, che si parla di studi di fattibilità, si adombrano possibilità, si ipotizzano soluzioni. Ebbene queste eventualità un giorno, proprio per effetto di quelle emergenze finanziarie, dovranno diventare realtà.
In questo meccanismo di inveramento, di concretizzazione, questo Consiglio deve esserci, non parlo di maggioranza o di minoranza, perché è un grande fatto democratico, per usare un’espressione cara soprattutto all’estrema sinistra, che rispetto ad alcuni elementi portanti della discussione politica non fa altro, e giustamente, che invocare un argomento che attiene davvero al tessuto connettivo del vivere civile dei marchigiani.
Il responsabile di un’associazione artigiana nel corso delle audizioni ha ricordato che con il 40% di una tassa che grava soprattutto sugli artigiani e gli imprenditori, che è l’Irap, si finanzia il servizio sanitario regionale. Questo sta a significare non solo che il diritto alla salute è, come si ripete all’infinito, un diritto cui la Costituzione ha dato rango costituzionale, ma per quanto riguarda il prosieguo dell’esistenza di un cittadino nelle sue attività, nel suo farsi imprenditore piuttosto che dipendente, quindi in questa seconda fase della sua cittadinanza, si esprime una partecipazione e quindi un diritto ad avere risultati della sanità.
Ecco perché è una grande questione democratica che richiede risposte, e soprattutto, non è secondario colleghi Consiglieri, considerando il fatto che dal 2002 in poi la comunità marchigiana ha pagato mille miliardi delle vecchie lire di tasse aggiuntive per dare una mano e per riassestare i conti della nostra sanità.
In base a quella programmazione, che fu del Governo D’Ambrosio ma anche quello del Vicepresidente Spacca, nel 2006 le casse della nostra sanità regionale avrebbero dovuto avere un deficit pari a zero. Il deficit non è zero, ma è di 96 milioni di euro, e probabilmente, come ha detto il onsigliere Massi, è di più.
Ma vi rendete conto che abbiamo avuto le tasse più alte d’Italia e l’addizionale regionale Irpef ha raggiunto il 4% , cioè una misura che è davvero da film horror e che dovrebbe rendere tremebondo anche Visco, che probabilmente sarebbe impallidito se per un attimo avesse visto il documento che l’Agenzia delle entrate dà ai commercialisti per calcolare l’addizionale regionale Irpef!
Tutto questo, nel nome di un solidarismo che inevitabilmente deve anche acquisire il principio della contribuzione economica del cittadino in ragione della sua capacità economica, ha trovato questo risultato.
Allora, come poter esprimersi favorevolmente rispetto a un Piano che sicuramente dal dott. Ruta è stato costruito con onestà intellettuale, con convinzione scientifica, ma che nella fase intermedia e anche più prossima a quella che è la nostra attività, presenta queste gravissime diseconomie.
C’è da vergognarsi! Chi è stato alle audizioni ha raccolto dei giudizi su alcuni aspetti decisivi della nostra vita che avrebbero dovuto far arrossire i responsabili di tutto ciò.
Quello che abbiamo sentito da parte dei rappresentanti dei sindacati, ma non solo, sulla non autosufficienza, è una cosa che ha fatto tremare anche noi, cioè quando si dice che solo il 10% degli anziani non autosufficienti ha le cure nelle misure e nei modi che la Regione e la legge ha stabilito che debbano essere.
Quello che abbiamo sentito in termini di mancata realizzazione degli investimenti che per 10 milioni di euro dovevano essere realizzati per arrivare a quei famosi fatidici cento minuti di assistenza che non sono neanche raggiunti per la metà, è una cosa che, secondo me, rappresenta la pagina meno nobile di questo Governo regionale. Attenzione, questo Governo – questo non vale per il dott. Ruta, ma per tutti gli altri attori – non governa da sei mesi ma governa dal 1995.
Allora una regione dove si dice che si vive bene, che diventa tanto anziana, ma che non riesce a dare agli anziani un’assistenza degna di un paese civile, è una regione che deve vergognarsi di se stessa. Mi scuso di usare termini così alti, non voglio neanche sembrare strumentalizzante rispetto a questa tematica, ma sulla non autosufficienza si registra sicuramente il più grosso dei fallimenti di questo Governo regionale.
E questo vale non solo per gli anziani, ma anche per i disabili e per tutti coloro che, presenti nelle residenze sanitarie, devono vedersi sottratto il 100% della propria pensione perché debbono compartecipare alla spesa di servizi che la legge pone a carico del servizio sanitario regionale. Questo è una vergogna! Io stesso ho avuto modo di seguire alcuni riallineamenti delle contribuzioni degli ospiti disabili, delle persone incapaci di intendere e di volere, che si vedono togliere l’intera indennità di accompagno, oltre che la pensione, per poter continuare a stare nelle residenze sanitarie assistenziali di questa regione. Questo vale ovunque!
C’è anche un altro grande problema che deve essere affrontato e che si spera nelle cabine di regia, o dove sia, riuscirà ad essere considerato con la giusta priorità, è quello dell’emergenza-urgenza. Anche questo è un aspetto che ci portiamo dietro dopo aver scontato troppi e indecenti ritardi. Mi riferisco al fatto, ad esempio, della scarsa collaborazione fra pronti soccorso e reti di emergenza, la vetustà, il logoramento delle apparecchiature e delle strutture, un altro capitolo su cui noi, come Alleanza Nazionale, ma soprattutto come minoranza, abbiamo centrato all’attenzione.
Terzo punto, la grande questione territoriale che è connessa al discorso dell’area vasta. L’Asur, questo lo abbiamo capito, in maniera più o meno chiara, scompare dal Piano.
La maggioranza non lo dice, ma se attraverso un meccanismo di fine file - quello che ci consente di rintracciare le parole chiave all’interno di un documento word - andasse a trovare quante volte è citato il termine Asur, che ha funestato le nostre notti e alimentato i nostri incubi per tre anni, lo troverebbe pochissime volte.
C’è una doverosa, secondo me, controrivoluzione, anche perché all’Asur devono essere addebitati tantissimi limiti, ma forse ce n’è uno che merita di essere citato e sottolineato ancora con più forza, mi riferisco al fatto che l’Asur ha determinato un sistema secondo cui chi nelle Zone operava meglio veniva punito dal meccanismo del budget in quanto prendeva di meno, mentre chi realizzava economie di scala non aveva ripiani a pié di lista di cui, invece, godevano le Zone che andavano peggio, il tutto secondo un criterio opposto a quello della meritocrazia e dell’efficienza che non ha tardato a produrre effetti esiziali del nostro Servizio sanitario.
Quindi, il ripensamento dell’Asur, nel momento in cui lo si dovesse consacrare in maniera chiara e netta anche attraverso la modifica della legge n. 13, è sicuramente un aspetto positivo.
Certo, qualora venisse superata l’Asur, ma non venisse chiarito quale è il luogo decentrato delle decisioni, rischieremo, caro dott. Ruta, una sanità commissariata, una sanità che, di fatto, supererebbe addirittura la legge n. 502, non ci sarebbero più aziende, ritorneremo probabilmente al vecchio comitato di gestione, con la Giunta e il commissario prefettizio, il Radetzky – come l’ho definita in un’occasione della sanità marchigiana – che non è escluso che sia la cosa migliore se, ovviamente, dovesse avere i poteri, perché Radetzky dopo le cinque giornate ha dovuto, ahimè, fare fagotto, questo non lo auguro, ci mancherebbe.
Viviamo in una situazione di estrema rarefazione del momento decisionale. Il vero problema di questo Piano, se non sarà cambiato, sarà la fase due. Nel momento in cui verranno licenziate le linee strategiche e dovendosi, per l’urgenza finanziaria, adottare le scelte concrete, vi sarà una Babilonia di proteste, una Babilonia di cartelli, di serrate per ogni dove nelle Marche che potrebbero, in assenza di un livello decisionale chiaro e concreto, dare la stura ad un’ulteriore fase di instabilità di cui non abbiamo davvero bisogno. Certo, il fatto che in queste settimane segniamo il giro di boa della seconda parte della legislatura, non favorisce l’adozione di scelte draconiane o poco simpatiche all’elettorato.
Ma al di là di questo, noi chiediamo una rivisitazione della legge n. 13 perché sappiamo che il superamento dell’Asur e la definizione di un luogo che c’è ma non c’è, sono un rischio soprattutto per chi questo Piano lo ha voluto e pensato. Così difetterebbe sicuramente di forza colui che dovesse rapportarsi come fosse un plenipotenziario, ripeto, dell’impero asburgico che occupa la legge Monzabano, Verona e non mi ricordo quale altro pezzo del Quadrilatero, per poter imporre decisioni che non sarebbero praticabili.
Un’ultima riflessione su Ancona. Sono stato da sempre paladino – peraltro come tanti altri – dell’esigenza di superare l’Ancona-centrismo. Abbiamo sempre detto che l’Ancona-centrismo, di cui si sono stati intrisi i precedenti Piani, presto o tardi avrebbero nociuto alla stessa Ancona, questo è quello che è successo.
La stratificazione in quel di Torrette, di quella cittadella del potere, delle baronie, delle università interessate, ha fatto in modo che si creasse un imbuto tale che non ha tardato a produrre effetti mefitici ai danni della popolazione anconetana, proprio perché quel super ospedale è diventato ormai l’ospedale delle eccellenze, ma che deve anche occuparsi delle attività ordinarie degli anconetani, quindi non ce la fa più.
Questa polemica non era scioccamente territoriale, ma andava ad incidere su punti di interesse e non di attenzione verso il territorio anconetano. Gli sviluppi, le richieste, i problemi di Osimo, dell’Inrca, dei nuovi pronto soccorso, erano la plastica evidenza.
Quindi vediamo che nell’intuizione delle reti cliniche sicuramente ci può essere, dott. Ruta, la soluzione per l’annoso problema dell’equità territoriale dell’offerta sanitaria, questo è verissimo, però, attenzione, mentre indichiamo la rete clinica sappiamo anche che le decisioni vengono prese. Quindi quello che nel frattempo accadrà non è indifferente al futuro della rete clinica, alla possibilità di individuare il giusto apice delle varie reti. Oggi si diceva, magari, che sull’oncologia a Macerata c’è una eccellenza naturale, derivante anche dalla grande capacità medica, ma se nel frattempo non si alimenta e non si costruisce la rete, quella eccellenza cambia e va da un’altra parte.
Non sono secondari – questo è molto importante soprattutto per Pesaro –, nella costruzione della rete clinica, quelli che saranno gli atti gestionali che nel frattempo potrebbero decretare la morte o la vita di reparti che oggi appaiono come candidati a essere primari nella rete, che possono essere l’oncologia piuttosto che la cardiologia, ma che domani non potrebbero esserlo più.
Noi paventiamo la possibilità, ovvero, che si inoculi nel brevissimo periodo nell’organismo del servizio sanitario qualche veleno che potrebbe scompaginare anche ciò che di buono c’è nel sistema delle Marche.
Annunciamo la nostra strenua attività di ostruzionismo, non senza proporre a questa maggioranza l’occasione di un ripensamento e di una resipiscenza qualora su alcuni punti ci sia non un compromesso, attenzione bene, ma un ripensamento nell’interesse della comunità marchigiana e soprattutto del diritto alla salute di tutti coloro che vivono nella nostra regione.

PRESIDENTE. La discussione è aperta. Ha la parola il Consigliere Rocchi.

Lidio ROCCHI. Non inizierò il mio intervento parlando esclusivamente del dott. Ruta, non mi interessa né è il peso né dove è nato, ma ho l’interesse di far sapere a questa Assemblea che i socialisti hanno da sempre considerato la realizzazione, lo sviluppo e la difesa dello stato sociale come uno degli elementi costitutivi della sua politica sociale il cui cardine è un sistema socio-sanitario pubblico universale, equo e solidale.
Per questo motivo in tutti questi anni abbiamo condiviso le scelte di politica sociale e sanitaria delle varie Giunte che si sono succedute, mi riferisco alla legge di riordino del 2003, i Piani sanitari regionali fino all'ultimo, quello dell’Alleanza della salute.
Siamo stati sempre convinti che la realizzazione di una forte autonomia regionale in politica sanitaria, secondo quanto previsto dalla modifica del Titolo V della Costituzione, ci avrebbe permesso di rispondere ai bisogni, vecchi e nuovi, della società marchigiana.
Questo però non ci ha impedito e non ci impedisce di farci portatori, all'interno delle Istituzioni e della maggioranza, delle attese e delle necessità di una larga parte della popolazione della nostra Regione, specie delle fasce più deboli e mal rappresentate. Pertanto non rinunceremo ad esercitare la nostra funzione di stimolo, quasi una coscienza critica, in coerenza con quelli che da sempre sono i nostri valori.
Devo dare atto all'Assessore alla sanità e al Servizio alla salute di aver elaborato una proposta di Piano sanitario regionale 2007-2009, ambiziosa e, per certi versi, rivoluzionaria; per la prima volta al centro del Piano è messo il cittadino e i suoi bisogni e attorno ad essi si pensa di calibrare l'organizzazione strutturale e funzionale del sistema socio-sanitario.
Il Piano, innanzitutto, effettua una analisi dettagliata, minuziosa, impietosa dello stato in cui versa la sanità regionale. Ne viene fuori un quadro estremamente parcellizzato e diseguale, con sovrapposizioni, confusione dei ruoli, iniziative eterogenee e non coordinate.
Vi è una estrema difficoltà anche ad avere un quadro completo dei dati (personale, costi, tecnologia) anche e soprattutto per il forte ritardo del processo di informatizzazione integrato a livello regionale. Mi riferisco al sistema Iride dove sono stati spesi quasi 3 milioni di euro e poi i risultati sono stati zero. E' evidente che la gran parte degli obiettivi del precedente piano non sono stati raggiunti, le reti cliniche non sono decollate così come caotica e disomogenea la rete territoriale e l'integrazione socio-sanitaria.
E' condivisibile l'analisi di questo Piano, sono condivisibili le linee strategiche: la programmazione per reti cliniche in un sistema reticolare, la definizione dei livelli essenziali di assistenza sostenibili, la razionalizzazione, la centralità del territorio, l’integrazione tra il sociale e il sanitario, l’attenzione verso la ricerca e l’innovazione.
Inoltre il Piano individua con precisione l'accessibilità, il linguaggio comune, la rete d'emergenza come tessuto connettivo, la necessità di standard e la flessibilità negli obiettivi.
Tutto il sistema però, come avete potuto constatare, si basa su due presupposti tutt'altro che definiti, tanto meno consolidati. Mi riferisco al ruolo dell’area vasta che diventa luogo di riferimento e di integrazione per tutti i piani di intervento da quello delle reti cliniche a quello territoriale a quello socio-sanitario, e al ruolo dei medici di medicina generale chiamati a governare il sistema sul territorio, ma anche l'interazione tra le attività ospedaliere da una parte e il governo dell'organizzazione e della rete socio-sanitaria dall'altra.
Sul funzionamento di questi due cardini si basa la scommessa della riuscita del Piano sanitario regionale. Peraltro, al momento, sono obiettivi ancora non ben definiti, mal delineati e di difficile attuazione.
L'area vasta diventa il bacino di riferimento per ogni forma di organizzazione sanitaria e sociale; ad oggi la costruzione delle reti cliniche, che ne rappresentano il presupposto funzionale, è ben lontana dall'essere solo accennata. Analogamente succede per l'integrazione della medicina del territorio con quella ospedaliera. In questo ultimo caso tutto è affidato al volontarismo dei professionisti convenzionati che mal si coniuga con la sostanziale dipendenza della medicina ospedaliera.
Questo Piano – e penso che siate tutti d’accordo – non è, come del resto precisato, un Piano triennale ma è strategico, è a più lunga gittata. In questo sta il suo pregio e il suo limite: da una parte ha la flessibilità necessaria per adattarsi alle mutevoli situazioni spaziali e temporali, dall'altra risulta vago nelle scelte concrete delegando alla gestione anche ciò che compete alla programmazione.
Pur plaudendo allo sforzo enorme che questo Piano sottintende, non possiamo esimerci dall'indicare quelle criticità che pure ci sono. Indicheremo poi quali sono le priorità che, a nostro parere, debbono essere affrontate fin dalla stesura definitiva delle linee strategiche del Piano sanitario regionale.
Intanto dobbiamo prendere atto che la situazione sanitaria delle Marche è ulteriormente peggiorata in questi ultimi anni sopratutto per l'incertezza organizzativa, per la sottostima del fondo regionale con una esasperata politica di contrazione del personale a tutti i livelli senza una contemporanea riduzione di quelle strutture ridondanti e inefficienti, unica possibilità per concentrare risorse e garantire prestazioni di qualità, per l'obsolescenza delle strutture e delle tecnologie che riduce la competitività con le strutture delle regioni limitrofe, infine, per la disaffezione della componente sanitaria a tutti i livelli per la marginalizzazione nei fatti e nei momenti decisionali.
A questi problemi il Piano non dà al momento risposte concrete. Del resto non potrebbe, essendo focalizzato su una necessaria quanto minuziosa analisi e al disegno di una strategia di intervento in cui però i momenti programmatori e organizzativi sono solo accennati e poco si dice sul come effettivamente metterla in pratica, se non rinviando, come poi ho sentito dal Presidente della V Commissione, a future cabine di regia e gruppi di progetto.
Il Piano risente, inoltre, di indeterminatezza legislativa che non dissolve la confusione sui ruoli. Da una parte viene enfatizzata l'importanza delle aree vaste, dall'altra non si ridisegna in coerenza un nuovo ruolo per l'Asur.
L'introduzione delle aree vaste rinvia la programmazione della rete ospedaliera alla programmazione provinciale. Così facendo, almeno nel breve tempo, si continuano ad alimentare le attese e le paure delle popolazioni dell'entroterra, rinviando la soluzione di problemi quali l’inappropriatezza, la ridondanza, la scarsa qualità delle prestazioni, la sottrazione di risorse, specie quelle umane quanto mai necessarie se si vuole riprendere il percorso del miglioramento qualitativo.
Il Piano presenta ancora altre criticità: non risolve una certa confusione delle funzioni delle figure preposte all'organizzazione territoriale; ha un’eccessiva burocratizzazione e moltiplicazione dei piani di intervento nell'integrazione socio-sanitaria; manca l’indicazione delle risorse, anche aggiuntive, necessarie al processo di spostamento sul territorio di una parte importante dei processi assistenziali.
Mancano, inoltre, indicazioni specifiche alle tematiche, alle criticità e alle possibili soluzioni sugli Ospedali Riuniti di Torrette, il San Salvatore, l'INRCA, la sanità privata.
Ciononostante il Piano sanitario regionale è di ampio respiro, centrato sui bisogni, proiettato verso una futura, solida e compatibile sanità.
Chiediamo, però, una maggiore attenzione a problemi specifici che pure devono essere fin da subito inquadrati nelle linee strategiche generali.
Il Piano deve essere flessibile e partecipato, deve avere delle precise priorità quali, ad esempio, la progressiva sostituzione delle tecnologie obsolete o l'indicazione dei nuovi investimenti nella rete.
La programmazione economico-finanziaria deve indicare obiettivi prioritari e garantirne in maniera precisa i finanziamenti. Siamo contrari però all'istituzione di una tassa di scopo, come in questi ultimi giorni si è sentito dire, sia pure a favore dei servizi per la non autosufficienza.
Nel sistema amministrativo tecnico logistico la creazione dei Centri servizi svolgerà un ruolo fondamentale. Per questo motivo sottolineiamo la necessità di precisare in maniera coerente al ruolo delle area vaste i livelli di responsabilità e i modelli organizzativi che devono far capo al coordinamento delle stesse aree vaste.
E' inutile ripetere, come nel capitolo della rete socio-sanitaria, che le aree vaste non rappresentano un nuovo livello organizzativo, perché così non è.
Bisogna con coraggio, in area vasta, e al più presto, ridurre se non eliminare, nei Presidi delle Zone territoriali e nelle Aziende ospedaliere tutti i doppioni funzionali onde concentrare il personale sanitario ove più serve. Non vi è, del resto, altro sistema per far fronte alle drammatiche carenze di organico.
E' allora indispensabile approvare presto il Piano perché solo la certezza della cornice legislativa permetterà di arrestare il progressivo sgretolamento della struttura ospedaliera e la caotica situazione della medicina territoriale, chiudendo così le porte ad una sanità privata sempre più aggressiva e al rischio di meridionalizzazione della nostra sanità.
Va, inoltre, affrontato con lucidità e rigore il problema della mobiltà passiva che rappresenta un indice negativo sulla qualità percepita del nostro sistema sanitario che grava come un macigno sul bilancio regionale.
Non credo che il problema si risolva solo potenziando i poli sanitari del nord e del sud delle Marche, operazione che pure va fatta, sempre nell’ottica di un sistema reticolare di area vasta. Non si risolve il problema se non si smantella l'antagonismo fra gli Ospedali Riuniti di Torrette e le Aziende e i Presidi delle altre province. Il controllo della mobilità passiva passa attraverso un miglioramento globale e qualitativo di tutta la rete sanitaria regionale, passa soprattutto attraverso una organizzazione razionale e rigorosa, organizzazione che oggi non c'è, passa attraverso accordi interregionali che si basano non solo su tetti programmati di prestazioni, ma anche attraverso il controllo dell'appropriatezza delle stesse e freni alla concorrenza sanitaria non giustificata.
Dobbiamo, a mio parere, soprattutto incrementare la mobilità attiva, sostenendo gli attuali centri di eccellenza e favorendo la reazione di altri. Penso alla chirurgia vascolare, ai trapianti, alla cardiochirurgia e alla cardiochirurgia infantile. Solo investendo sulla qualità potremo costruire un futuro solido, economicamente e strutturalmente.
Importante è poi, appena approvato il Piano sanitario regionale, che si ponga mano alla modifica della legge di riordino con la istituzionalizzazione delle aree vaste e il passaggio ad esse della personalità giuridica da parte dell’Asur.
Alle aree vaste vanno affidate le funzioni di programmazione, la regolazione dell’assetto organizzativo nonché del governo complessivo del sistema operativo e gestionale, quindi anche la contabilità e bilancio per il territorio di riferimento oltre che per il sistema informativo e il controllo di gestione. All'Asur le funzioni di indirizzo, di valutazione e controllo.
Su questa proposta, naturalmente, noi non faremo mancare il nostro contributo e il nostro sostegno.
Infine chiediamo indicazioni più precise nel Piano sul futuro della sanità anconetana.
In particolare definire quale è il ruolo degli Ospedali Riuniti di Torrette, che deve essere, a nostro parere, soprattutto un ospedale regionale per tutte quelle funzioni di alta specialità che richiedono un bacino di utenza tale da non essere compreso in quello di un'area vasta, penso alla cardiochirurgia, alla chirurgia vascolare, ai trapianti, all'unità spinale.
Se non si tiene conto di queste funzioni non è possibile confrontare i costi tra le varie realtà sanitarie della regione.
La realtà di Ancona e dintorni oggi è questa, come tutti voi sapete, vi è un solo ospedale, quello di Torrette, che di fatto è anche l'ospedale di riferimento per altre 200.000 abitanti per qualsiasi tipo di prestazione, dall'urgente alla programmata.
Non vi è altro pronto soccorso se non quello di Torrette con le inevitabili disfunzioni a tutti note.
L'Inrca è un ospedale che risente di oltre dieci anni di commissariamento e non assolve, almeno attualmente, in maniera valida al suo compito di ricerca e assistenza – speriamo che con la nomina di Aprile possano modificarsi sostanzialmente le iniziative – è carente in strutture e in personale, specie quello infermieristico.
Il comprensorio a sud di Ancona, mi riferisco a Osimo, Castelfidardo, Loreto e Recanati, attende da un decennio un ospedale di rete.
Conosco le necessità e le criticità di questo territorio, chiediamo da una parte il rispetto degli accordi con le Istituzioni locali e con la popolazione, dall'altra una programmazione coraggiosa e realista che tenga conto dei vincoli nazionali e locali, legislativi e di compatibilità di spesa.
Le nostre preposte, Presidente, sono le seguenti.
Nel breve periodo, tre-cinque anni, l’Inrca deve mantenere la sua attuale collocazione e farsi carico non solo del suo mandato istituzionale, ma anche del ruolo di secondo ospedale cittadino almeno per le prestazioni di I livello e parte del II livello per una popolazione "anziana", utilizzando anche rapporti collaborativi con l'Ospedale di Torrette. In questo ambito deve presto iniziare l'attività del Centro di pronto soccorso per i codici bianchi e verdi come lo stesso Piano prevede e spostare, se possibile, la Potes dall’Umberto I all’Inrca.
Contemporaneamente si deve iniziare la costruzione del tredicesimo ospedale di rete, con almeno 250 posti letto, allocato nel Comune di Osimo che dovrà servire il comprensorio a sud di Ancona, che dovrà rappresentare il secondo ospedale per il capoluogo e ospitare l’Inrca, quando sarà dismesso dall’attuale sede, struttura leggera dal punto di vista assistenziale, ma altamente vocata al suo ruolo di Agenzia nazionale dell’invecchiamento.
Questo è quello che chiedono i Socialisti di Ancona.
L’Ospedale di Loreto deve rimanere fortemente ancorato all'immagine del Santuario, un ospedale che possa essere potenziato e, quindi, che possa dare risposte immediate.
In conclusione, il nostro giudizio sul Piano è positivo, pur non nascondendo le limitazioni che pure sono presenti. Ne auspichiamo la rapida approvazione, chiedendo attenzione e risposte ai nostri quesiti.
Lo Sdi voterà a favore di questo Piano sanitario.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Bugaro.

Giacomo BUGARO. Ci apprestiamo a discutere uno degli atti più importanti di questa legislatura. Non vorrei caricare di troppa gravità o eccedere a facili pratiche di retorica, ma è indubbio che dalla bontà del Piano e dalla sua applicazione potrà dipendere in parte l'andamento della politica sanitaria e del servizio sanitario della società marchigiana.
Per questo motivo non abbiamo gradito e ci rifiutiamo di accettare questa assurda ed immotivata volontà da parte della maggioranza, di approvare a tutti i costi il Piano prima della pausa estiva, snobbando, sull'accelerazione dell'iter approvativi, le ragioni di una intera comunità. Non mi riferisco tanto alle audizioni quanto ai livelli istituzionali di questa Regione. Faccio un esempio, avete fatto delle audizioni a macchia di leopardo sul territorio e la nuova Giunta provinciale di Ancona non è stata né audita né ascoltata su questo Piano, questo lo ritengo un fatto grave.
Questo è un metodo, caro Presidente della Giunta e collega Mezzolani, di tipo paracoercitivo, figlio di altre culture e figlio soprattutto di una cultura che non ci appartiene.
E’ chiara la volontà da parte vostra di tenervi le mani libere e di avere a disposizione il prossimo mese di settembre per dedicarvi non alle vicende proprie del mandato istituzionale, ma esclusivamente alle pratiche correntizie che caratterizzano il nascente partito Democratico che celebrerà il prossimo 14 ottobre l'elezione del suo nuovo segretario. In buona sostanza volete il mese libero da impegni.
Ma altrettanto chiaro oggi l'altro motivo su cui si è consumata l'ennesima sfibrante e deludente mediazione politica operata sopra la testa dei marchigiani. Infatti questo Piano è frutto di una mediazione che porterà da una parte ad acconsentire a lei, Presidente della Giunta, una probabile ricandidatura per l'eventuale secondo mandato, e ai DS, o a quello che ne rimane, ai superstiti della Quercia, la gestione sanitaria. Di qui l’accelerazione, di qui il frutto amaro che i marchigiani dovranno mangiare.
E sì, perché questo Piano sanitario, come abbiamo avuto modo di dire in premessa, non ci piace nel metodo e ci turba ancora di più nel merito. Tralascio le varie versioni e le varie delibere che si sono succedute e tutto quello che è emerso da quel tipo di dibattito.
Il fatto fondamentale è che questo Piano fa una scelta precisa, quella di non scegliere.
La Giunta regionale ha operato una delle più grosse operazioni di killeraggio alla politica eseguite negli ultimi anni, trasformando il Piano sanitario in una sorta di show mediatico. Sappiamo bene che ancor prima che il Piano arrivasse in Commissione le Marche erano tutte tappezzate di maxi poster 6x3 che pubblicizzavano la bontà del Piano, quando ancora di questo non si conoscevano i contorni. Questa è una assoluta vergogna che caratterizza e che macchia la storia di questa legislatura.
Le linee di obiettivo e di sviluppo del Piano e tutto l'articolato sono niente altro che una serie di enunciazioni che danno solamente gli orientamenti di superficie, ma che non entrano nel merito dei problemi.
Per supplire furbescamente a questo impianto aleatorio da parte della maggioranza si è voluto definire il Piano dinamico, aperto cioè a tutte quelle modifiche che i vari livelli interni di governo della sanità potranno introdurre con discrezionalità nel corso del periodo di vigenza dell'atto. Va da sé che la Giunta ha abiurato a quello che è il compito fondamentale assegnato dalla Costituzione e dallo Statuto regionale, quello di governare.
La maggioranza cioè ha preferito non entrare nel merito dei problemi, ma rimandare la gestione alla struttura così da diluire le scelte nel tempo, gestendole sottotraccia nella quotidianità, evitando anche di aprire quel “Vaso di Pandora" che è la sanità regionale, che se scoperchiato avrebbe inchiodato Spacca e la sua maggioranza sui grandi problemi che la sanità marchigiana ha vissuto, vive e grazie a questo Piano vivrà nel prossimo futuro.
D'altronde non c'è da stupirsi, basta leggere le prime pagine del Piano dove una persona di buon senso come Ruta, con la semplicità e con la razionalità che lo contraddistinguono, non ha fatto altro che fotografare una situazione critica dell'attuale stato di salute del settore. A poco sono valsi i tentativi della maggioranza di modificare le pagine 8, 9 e 10 così come arrivate in Commissione, che sono, seppure oggi mitigate dal lavorio e dall’impuntatura della maggioranza, una chiara denuncia della situazione della sanità marchigiana. Andatevele a rileggere, noi le terremo come memoria storica.
Queste pagine sono un rigido atto di accusa rispetto alla gestione precedente caratterizzatasi per l'opera di un manager, Giuseppe Zuccatelli, che ha fallito ogni sua previsione, contribuendo in maniera considerevole a peggiorare la qualità del servizio sanitario regionale. Nonostante questo, tra l’altro, si è visto rinnovare il suo contratto e oggi vaga per il Gabinetto della Giunta e, caro Rocchi, è uno dei suggeritori di quel polverone che è successo intorno a Osimo, lui è l’ispiratore di questo grande progetto che ha messo in dubbio l’ospedale di Osimo e che oggi vede il Presidente in maniera quasi imbarazzata tornare sui suoi passi.
Non vaglio addentrarmi nelle questioni tecniche perché lo faremo mano a
mano che illustreremo il Piano mediante la discussione degli emendamenti, che per quanto ci riguarda come forza politica non sono di tipo strumentale, ma al contrario svolgono un ruolo di supplenza verso la volontà scientifica della Giunta di non scegliere. I nostri sono emendamenti qualificanti che vogliono migliorare il livello del servizio sanitario
invertendo davvero, e non solo come enunciato propagandistico, l'ordine di attenzione, partendo cioè dai bisogni dei cittadini e non dall'offerta sanitaria.
In buona sostanza le nostre richieste di modifica tendono ad aprire e trasformare da una scialba rappresentazione di cose futuribili in un puntuale elenco di cose concrete da fare, tenendo sempre come stella polare davanti a noi gli interessi non tanto della politica che sono finanche comprensibili, ma soprattutto gli interessi della comunità marchigiana.
Un Piano che se letto attentamente porta inevitabilmente alla richiesta di modifiche all'impianto generale della legge n. 13 che invece il centro sinistra delle Marche ha eretto come sua icona intoccabile.
Pensate alla confusione ed alla indeterminatezza nel processo decisionale che la molteplicità dei riferimenti esecutivi che il Piano sanitario prevede e continuerà a generare. Vi leggo: il Direttore generale dell'Asur, il Direttore dell’unità operativa, il Direttore del dipartimento, il Direttore di distretto, gli Ambiti territoriali e i loro uffici, il Direttore di zona, il Coordinatore di area vasta, il Dirigente/Coordinatore del dipartimento ospedaliero, il Direttore/Coordinatore del dipartimento territoriale, il Responsabile del o dei servizi per l’integrazione socio sanitaria, il Dipartimento delle professioni, il Direttore e la struttura dell'Ars, il Dirigente del servizio salute, l'Assessore alla sanità, il Presidente della Giunta Regionale, i Consiglieri e i partiti. Ma chi governerà la sanità delle Marche? Come sarà possibile integrare tutti questi livelli di potere che avete messo e che avete accresciuto con questo Piano? Ma a chi volete farla capire?! O siete in malafede o siete veramente degli utopici, non definisco in altra maniera il vostro comportamento perché, caro Ruta, mettere in rete tutte questi livelli decisionali è assolutamente impossibile, se non sulla carta.
L'unica giustificazione a questa imperiosa struttura è comunque il controllo politico fatto di nomine, di acquisizione di fette di potere che trovano come comune denominatore la più alta rappresentazione di clientelismo applicato.
E dire che lei, Presidente, viene da una formazione culturale sicuramente di tipo aziendale e che declama in ogni momento la morigeratezza del sistema organizzativo della nostra Regione.
Mi auguro che in ultima analisi il barlume di senso di responsabilità che spero sia ancora un pochino presente nel Governo regionale porti, nell'esclusivo interesse dei marchigiani, ad accogliere gli aspetti più importanti delle nostre proposte emendative, così che il Piano si trasformi da un atto amministrativo fatto di parole legate alle parole, in un atto amministrativo di parole legate alle cose concrete.
Va da sé che se tutto ciò non avverrà – se la maggioranza preferirà percorrere pervicacemente la strada intrapresa – lasciando poi il lavoro sporco alle aziende e ai dirigenti così da poterli sostituire, quando il livello di critica dei vari comitati che si aprono e si chiudono nel territorio aumenterà, senza che il livello governativo si assuma le sue responsabilità e ne venga scalfito – il nostro giudizio non potrà che essere fortemente negativo ed organizzeremo tutte quelle forme democratiche di critica e di protesta per questa ennesima decisione sbagliata, pericolosa ed infruttifera per i nostri cittadini.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Procaccini.

Cesare PROCACCINI. Avremo modo di entrare nel dettaglio della discussione della proposta di Piano sanitario, quindi svilupperò poche considerazioni di carattere più generale.
In questi anni anche nel nostro Paese, in particolare dopo lo scioglimento del Pci, l’attacco liberista non ha risparmiato neanche la sanità.
La fine della legge n. 833 del 1978 che costituì la più grande conquista per una sanità pubblica e universalistica e l’introduzione dell’aziendalizzazione hanno equiparato ormai la sanità a qualsiasi altro aspetto o lavoro. La salute per molti versi è stata equiparata ad una qualsiasi merce.
Le Unità sanitarie locali sono diventate Aziende, il dibattito è stato attratto più dall’organizzazione e nel frattempo si è perso il controllo democratico sulla programmazione.
Le rappresentanze dei Comuni, delle Assemblee elettive, sono state espulse e sostituite dai tecnici. Il ruolo dei Comuni si è concentrato non più sui Consigli comunali, ma sui Sindaci, che nella situazione attuale anche loro hanno perso il proprio ruolo, hanno oggi un ruolo di secondo piano e residuale rispetto al Direttore generale dell’Asl o nel nostro caso della Zona.
In questo contesto, che non ho il tempo di approfondire, il motivo principale per cui si diceva che occorreva aziendalizzare anche la sanità, cioè il risparmio della gestione, è fallito. I costi sono aumentati, i risparmi hanno coinciso con la chiusura di rami importanti della sanità pubblica e la privatizzazione di aspetti significativi della stessa sanità.
Tutto ciò è stato aggravato dal cosiddetto federalismo, che nella versione italiana accentua la distanza tra le regioni ricche e le regioni povere.
Al di là di qualsiasi Piano sanitario l’autonomia regionale in materia di sanità porta con sé, oggettivamente, ad avere minori risorse e quindi minori servizi.
Il Fondo sanitario nazionale tende ad assottigliarsi e le Regioni sono costrette o ad introdurre tasse o a chiudere i servizi. Questo porterà problemi drammatici nella prospettiva perché negli ultimi dieci anni la spesa per la sanità è aumentata dell’81%. Ed anche le Marche dovrebbero riflettere perché avevano la possibilità di non restituire tutti gli addizionali Irpef di 36 milioni come noi avevamo chiesto.
Nonostante le incursioni neoliberiste il livello della sanità pubblica nel nostro Paese e anche nelle Marche è buonissimo, con punte di alta eccellenza, anche perché i costi elevatissimi delle strutture e delle tecnologie ospedaliere scoraggiano di fatto una concorrenza privata e anche perché quasi tutte le forze democratiche non hanno abbandonato del tutto la cultura e la sostanza di una sanità pubblica.
Il Piano sanitario regionale delle Marche, quello scaduto, in diverse parti non è stato attivato, anche perché - lo dico senza riaprire una polemica ora per allora - fu esaltato e drammatizzato l’aspetto organizzativo, costituito dall’Azienda unica con la legge n. 13 del 2003, la cosiddetta Asur, e sottovalutato l’aspetto programmatorio e il corretto utilizzo delle strutture sanitarie.
Questa scelta, che noi non votammo, non ha dato i risultati sperati, si è accentuata la centralizzazione e ad un certo punto sembrava che l’Asur avesse addirittura inglobato su di sé lo stesso Assessorato alla sanità e, per paradosso, si è accentuato anche il localismo delle Asl che nel frattempo avevano cambiato nome in Zone.
Un antagonismo che in molte fasi ha fatto perdere di vista l’appropriatezza del percorso clinico, non si sono ridotte né le liste di attesa né la mobilità passiva verso altre regioni.
E’ questo l’aspetto più grave, 136 milioni di mobilità passiva per prestazioni offerte dal Servizio sanitario regionale, quando l’Asur doveva essere un’unica cabina di regia, un’unica area vasta che doveva smistare le richieste sanitarie.
Ha fatto bene la Giunta regionale ad adottare una delibera che ha introdotto il governo della sanità su cinque aree vaste. Secondo noi quella delibera doveva essere parte della legge n. 13/2003, avrebbe dato più forza ad una visione di integrazione tra Zone. Abbiamo in tal senso svolto una battaglia, ma non siamo riusciti, perché per qualcuno, anche della maggioranza, la legge n. 13 ha assunto un carattere ideologico.
Non siamo riusciti a far mettere nella legge una delibera della Giunta regionale, non si è voluta una cosa ovvia, l’abc dell’organizzazione è stata insormontabile, mentre senza colpo ferire, in quattro e quattrotto, si è fatta una legge senza rete e senza copertura finanziaria per regionalizzare l’Inrca.
Al di là del fatto che l’area vasta non è a pieno titolo nella legge n. 13, tuttavia il Piano sanitario regionale che discutiamo assume oggi questo aspetto, può costituire una svolta perché inverte una tendenza. Introduce una nuova filosofia con una duplice declinazione: rafforzamento del governo centrale della programmazione regionale e processi gestionali per bacini di utenza unitari, appunto l’area vasta.
Il nocciolo del Piano è in questa sintesi e nelle sue linee di sviluppo come è ben scritto nelle pagine 15 e 27 della proposta del Piano.
Solo attraverso l’area vasta si potrà tentare di risparmiare le ingenti risorse per la mobilità passiva che sono di 136 milioni, quasi il 10%, e per lo più una mobilità per prestazioni ordinarie, più della metà per la chirurgia, l’ortopedia e la diagnostica, per non parlare della riabilitazione che nelle Marche ha il 100% di mobilità passiva verso soggetti privati, solo l’1,7% di mobilità passiva è per prestazioni molto complesse.
Questo vuol dire che le Zone si devono aprire, occorre eliminare i doppioni e integrare i servizi utilizzando al meglio gli ospedali di alta specialità, di rete e di polo, ognuno con una funzione integrata, dal basso all’alto fino alla rete dei trapianti e dall’alto al basso fino alla riabilitazione e al sociale.
In questo contesto occorre guardare anche alle nuove strutture ospedaliere, come quella di Osimo, che non è l’ospedale di Osimo, altrimenti non servirebbe, ma dobbiamo parlare di un ospedale di area vasta.
Il vero problema è che non c’è stato il governo appropriato del percorso clinico, c’è stato spontaneismo e in alcuni casi la mancata verifica.
L’utilizzo corretto di tutti gli ospedali è essenziale perché quasi il 50% delle risorse viene speso per i ricoveri.
Chi pensava per risparmiare di concentrare le prestazioni solo nei grandi ospedali non ha avuto ragione e neanche le aziende ospedaliere presenti nelle Marche hanno assolto al compito di fermare la mobilità passiva.
La zona di Pesaro con annessa l’Azienda ospedaliera San Salvatore ha una mobilità passiva del 17%, quella di Ancona con l’Azienda ospedaliera Torrette e l’Università con la facoltà di medicina ha una mobilità passiva del 9%. Tutti gli ospedali delle reti devono essere riqualificati, possono e devono dare più alte prestazioni, che non significa maggiori ricoveri ma, semmai, migliori ricoveri.
Il problema, che in passato un po’ tutti abbiamo esasperato, cioè quello del numero dei posti letto, non si pone più in quei termini, ma nell’appropriatezza delle prestazioni su area vasta, ad iniziare dal distretto che deve saper leggere i bisogni di salute e orientare un percorso appropriato che non sempre è il ricovero di primo acchito e prima ancora il grande ruolo del medico di medicina generale.
Tutto ciò comporta in primo luogo la stabilizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici precari, bisogna investire nel personale anche per abbattere le liste di attesa con più turni e occorre un nuovo centro di prenotazione unico su tutta la regione.
Occorre, altresì, un diverso e più corretto rapporto con le organizzazioni sindacali, sono incomprensibili le chiusure che ci sono state nel recente passato.
I Comunisti Italiani, anche in un proficuo rapporto unitario con i gruppi di Rifondazione Comunista e i Verdi, a livello politico anche con Sinistra Democratica e in alcuni casi con lo Sdi, hanno introdotto importanti aspetti migliorativi alla proposta di Piano sanitario: in primo luogo per il lavoro precario con l’inserimento di un emendamento unitario a pagina 17; la riclassificazione ospedaliera che deve riguardare tutti i livelli, polo, rete ed alta specialità, così come viene detto a pag. 38; la partecipazione dei cittadini, importantissima in un’accentuazione aziendalistica perché finora non è stato attuato l’articolo 24 della legge n. 13/2003, dobbiamo, altresì, valorizzare il testo uscito dalla V Commissione; la questione più importante è l’integrazione socio-sanitaria, dove, secondo noi, occorreva più coraggio. Tuttavia la prospettiva che si evidenzia a pag. 115 e succ. del testo uscito dalla Commissione guarda ad un Piano sociale e sanitario, all’unificazione degli ambiti del sociale che sono 24, dei distretti sanitari, alle zone sanitarie che sono 13.
Questo non è solo un aspetto di indubbio risparmio, ma è una esigenza per dare una risposta alle fragilità, in primo luogo alla popolazione anziana.
Abbiamo 4.000 posti letto tra esistenti e nuove richieste per le Rsa, ma solo 909 posti letto effettivamente sono soddisfatti, abbiamo 50 minuti di assistenza erogata a fronte dei 100 previsti dalla legge. Più di 12 mila anziani sono assistiti a domicilio dalle cosiddette badanti, solo 6.664 sono assistiti dall’assistenza pubblica, ma una parte importante della popolazione anziana, che nelle Marche oscilla tra le 35 mila e le 39 mila unità, ha una assistenza adeguata.
In questo senso tutto il dibattito sull’ubicazione dell’Inrca, secondo noi, è fuorviante. L’Inrca deve sviluppare ad Ancona la parte della ricerca – se diverrà un centro di tipo nazionale meglio ancora – deve avere un punto di primo intervento per non intasare il pronto soccorso di Torrette, la parte del ricovero non può essere solo Ancona, ma in tutto il territorio delle Marche, delle lungodegenze, degli ospedali di polo e della rete del sociale, così come è stato introdotto a pag. 264 del testo approvato dalla Commissione.
Ciò può avere un ulteriore sviluppo sul sociale e sulla importante previsione che anche il Ministero ha fatto sulle cosiddette Case della salute che dovrebbero avere un bacino di 20 mila persone e quindi potrebbe andare sul serio all’integrazione con il sociale.
Al di là di tutte le organizzazioni che devono essere sperimentate, al primo posto c’è la necessità di chi lavora nella sanità, dei lavoratori e delle lavoratrici, e in secondo luogo e al tempo stesso, il servizio reso ai cittadini e ai malati.
Sappiamo che una parte di liste di attesa e di mobilità passiva è anche indotta dalla doppia professione pubblica e privata dei medici. La normativa nazionale, purtroppo, non permette la separazione tra pubblico e privato. Nel pubblico i tempi sono lunghissimi, gli stessi professionisti, lavorando negli studi privati, accorciano i tempi di visita e di ricovero.
L’ospedale pubblico, soprattutto quello di alta specialità, in questo contesto e in diversi casi diventa il luogo di smistamento della “clientela” verso gli studi privati.
Per cercare di limitare questo malcostume, che solo la separazione delle carriere e una legge nazionale potranno eliminare, abbiamo fatto introdurre una significativa modifica a pag. 165 della proposta, che tutela di più il paziente, che mette in relazione lo specialista con il medico di famiglia per il percorso di visita e per l’eventuale ricovero, senza dover passare, come avviene adesso, ad una finta visita privata “obbligatoria” e costosa.
Anche la parte relativa al ruolo e al rapporto con i privati è stata migliorata da un lavoro unitario delle forze di sinistra.
Il privato nelle Marche ha un giusto spazio e anche nella sanità deve avere un giusto spazio. Tuttavia è sbagliato pensare ad una forte integrazione, così come veniva scritto per il passato, è più corretto parlare di un rapporto su convenzione, su accreditamenti decisi dalla programmazione pubblica, così come è stato scritto in maniera opportuna a pag. 251 del testo della Commissione.
Anche in questo l’area vasta su una pianificazione regionale deve svolgere un grande ruolo, deve dare appropriatezza, soddisfare la domanda di salute e non creare improprie offerte, come la proliferazione di macchinari e di doppioni.
Sappiamo che le cinque aree proposte hanno tra di loro molte diversità, sia nella qualità che nella quantità delle strutture. Ma se guardiamo i dati mi sembra che non esiste il problema di creare altre nuove specialità, soprattutto in una regione piccola come la nostra è del tutto fuori luogo una competizione tra poveri. Occorre, invece, assumere l’obiettivo di utilizzare al meglio le alte specialità.
In questo senso assume anche una grande importanza il completamento della rete delle emergenze e una postazione nell’entroterra del secondo elicottero.
In definitiva, secondo noi, questo non è un Piano di soli indirizzi, non è un piano di tagli, ma è un piano di sviluppo, perché esiste un nuovo impulso alla ricerca; questo aspetto è stato sottovalutato, ma secondo me è quello principale, è quello di svolta anche per il futuro, di una stretta relazione tra la ricerca, il ruolo delle università, la sperimentazione, il brevetto e la produzione dei farmaci. A questo deve accompagnarsi anche, vista l’alta spesa farmaceutica, la fornitura diretta da parte delle Zone sanitarie dell’Asur dei farmaci stessi.
Questo Piano, è ovvio, va verificato passo passo nelle scadenze proposte sia dagli organismi del Consiglio regionale, che dalle assemblee dei Sindaci, dai Direttori di Zona, perché la previsione di andare all’appropriatezza con una cabina di regia che controlla e esegue gli obiettivi della programmazione è importantissimo.
Per ultimo voglio ringraziare l’Assessore Mezzolani e la struttura tecnica che hanno sempre partecipato alle fasi della consultazione, dell’ascolto, sono state attente, qualificando quindi la proposta di Piano.
Voglio ringraziare anche il Presidente della V Commissione Luchetti che ha dato ampia partecipazione con le audizioni del Piano stesso. In particolare voglio ringraziare il personale della V Commissione che in maniera puntuale e paziente ha sostenuto un lavoro impegnativo e serio.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Viventi.

Luigi VIVENTI. Sarò brevissimo, il Presidente confida sempre nelle mie capacità si sintesi ed io, anche questa volta, cercherò di non deluderlo.
Questo è un Piano estremamente complesso, 1.700 pagine che però, nonostante la sua complessità, è incompleto. Credo che sia volutamente incompleto, perché è un piano generale che manca poi del piano particolareggiato. Io sono stato uno di quei Presidenti di gruppo che avevano chiesto nelle riunioni della Conferenza di rinviare l’approvazione a settembre in modo da poter avere la possibilità di completare questo lavoro.
Così non è stato perché l’amministrazione regionale ha deciso che il 31 luglio questo Piano doveva essere licenziato, credo che nel mese di agosto non succederà nulla di nuovo per la sanità marchigiana, ma così è, quindi dobbiamo prenderne atto. Alcune osservazioni, però, consentitemi di farle.
Quando a distanza di tre anni si fa un nuovo Piano sanitario è evidente che si deve prendere atto che quello precedente non ha funzionato, altrimenti non penso che ogni tre anni si debba farne uno nuovo.
In effetti questo Piano analizza e pone in evidenza tre punti critici: la mobilità passiva che da sola crea il deficit della sanità marchigiana annuale; il problema che io chiamerei della despecializzazione di gran parte degli ospedali, che significa che da noi in molti ospedali praticamente si fanno gli interventi di routine però per quelli a maggiore valore aggiunto, se vogliamo definirli così, si va fuori regione; il problema delle liste di attesa.
Il Piano affronta questi tre temi e dal punto di vista organizzativo suggerisce una soluzione nuova – ecco perché questo significa sostanzialmente la critica e il superamento dell’Asur, che tra l’altro, a scanso di equivoci, debbo ammettere di essere stato uno di quei Consiglieri regionali che in parte avevano creduto nell’Azienda unica sanitaria regionale –, propone di organizzare il territorio in cinque aree vaste, ritornando più o meno all’idea delle Asl provinciali di cui si discuteva qualche anno fa.
Di fatto gli cambiamo il nome, area vasta potrebbe essere a definizione variabile, più che a geometria variabile, ma più o meno arriviamo a questo concetto, rispetto al quale non sono era d’accordo nella scorsa legislatura e non sono d’accordo neanche ora.
Credo che le cinque aree vaste non tengano conto, Assessore, della specificità della realtà marchigiana perché ci sono delle situazioni differenti. Faccio l’esempio di Fabriano con Senigallia, 80 chilometri di differenza, dove i problemi per i collegamenti con Torrette, ecc., non sono gli stessi, Fabriano ha una analogia di problemi con le zone interne del maceratese e del pesarese, ecc., quindi in questo caso sarebbe più corretto pensare ad aree vaste costruite diversamente, cioè ad un numero di aree che tenga conto anche delle problematiche dell’interno e non solo della costa.
Questa organizzazione può essere discussa, ma sulla quale non può essere dato un giudizio positivo politico definitivo da parte nostra fino a che non verrà riempita di contenuti.
Il Piano dice che questa area vasta dovrebbe essere in sostanza autosufficiente come dotazione di servizi, di strutture, ecc., dice anche che non dovrebbero esserci inutili e costosi doppioni, possiamo essere d’accordo sul concetto - io sono uno di quelli che dice sempre che gli sperperi vanno eliminati ovunque essi siano - però come Consigliere regionale gradirei poter vedere come è organizzata questa area vasta, dove si vanno a realizzare le specializzazioni, i servizi, ecc..
Ecco perché il giudizio definitivo su questo Piano, secondo me, dovrebbe essere rimandato ad un secondo momento. Ed ecco anche perché l’unico emendamento che, al di là del discorso della differenza delle aree vaste come impostazione, mi sono sentito di preparare, è quello in cui chiedo che ritorni in Consiglio regionale l’approvazione degli atti attuativi delle linee che sono state dettate dal Piano stesso.
Questo è il condensato della discussione di oggi, quindi, se non vogliamo esautorare il Consiglio delle sue funzioni e delle sue competenze dobbiamo fare questo. Poi il Piano potrebbe essere anche più o meno condiviso ed essere giusto, però dobbiamo vedere dove va a parare, dobbiamo andare alle soluzioni concrete che esso propone e dobbiamo andarle a vedere. I Consiglieri regionali, anche quelli di maggioranza, fanno anche un atto di fede totale nei confronti della Giunta e sanno che devono essere ascoltati un po’ di più altrimenti non votano e il Piano non passa, ma non credo che sia questa la funzione del Consiglio regionale e degli stessi Consiglieri regionali.
Per svolgere adeguatamente il nostro compito sarebbe bene che gli atti attuativi delle linee dettate dal Piano ritornino in Consiglio regionale, solo allora si potrà dare un giudizio definitivo e completo.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Brandoni.

Giuliano BRANDONI. Dibattiti come questi rischiano a volte di appoggiarsi su giudizi apodittici e assertivi che non fanno giustizia della fatica e del lavoro che ha prodotto un documento così difficile e così complicato.
Un giudizio che mi è parso diffuso in questo dibattito è che questo nuovo Piano sanitario regionale o è un progetto e un processo di restaurazione o è, al suo contrario, un documento rivoluzionario.
Intanto io starei ai fatti e direi che i piani che facciamo hanno una valenza temporale, e il nuovo Piano sanitario non nasce figlio da un’emergenza, ma è esattamente il prodotto di un percorso amministrativo e anche politico che è congenito all’azione di governo.
E’ evidente che questo Piano presenta forti e notevoli novità e sarebbe stato grave se non l’avesse fatto. Parte da un lavoro importante, di questo dobbiamo darne atto, come le tante deprecate 1.700 pagine del primo progetto, che sono un punto zero interessante, che sono una fotografia della sanità marchigiana, una fotografia fatta di luci e di ombre, fatta di problemi e di eccellenze.
All’interno di queste questioni credo che dovremmo riflettere e discutere sul nostro Piano, intanto a partire da alcune innovazioni che propone e che sostanzialmente stanno insieme, non stanno in maniera diversa.
La novità funzionale che abbiamo di fronte non è l’area vasta, è il combinato disposto, come si usa dire negli atti amministrativi, tra un’idea più articolata e più particolare, che è quella della costruzione delle reti, e la dimensione entro la quale queste strutture funzionano, altrimenti rischieremmo di far pensare che – ecco il punto in cui per tanti aspetti è stato presentato come un elemento di restaurazione – la struttura funzionale viene prima e poi si pensa all’organizzazione complessiva. No, la novità, il centro, il cuore di questo Piano è essenzialmente la rete. E’ sulla base di questa novità e dentro questa riflessione, fatta di cose concrete come la mobilità passiva, la scarsa eccellenza in alcune reti cliniche, la duplicazione di prestazioni, che nasce il Piano. Piano che recupera per molti aspetti un processo di organizzazione della sanità regionale che ha nella legge n. 13 non una difficoltà e un orpello, ma le condizioni e la possibilità che questo Piano si realizzi.
E’ stato detto Piano strategico. Bene, un Piano strategico ha per sua natura l’assenza dei dettagli perché individua un percorso e vuole esaltare alcuni soggetti.
Penso che i soggetti che dobbano cercare di esaltarsi in questo momento sono primo il Consiglio regionale, poi la Commissione e via via le istituzioni che stanno insieme, gli enti locali, ecc., che devono appropriarsi di questo percorso e dentro la condivisione di un percorso strategico come questo implementare con una particolare e assidua costanza di riflessione di proposte di progetto.
La legge n. 13 sostanzialmente ci permette e ci consente questo passaggio. Fare quello che ha proposto, normato e che ancora non è stato fatto, dare piena attuazione all’articolo 24 che può rimettere in sinergia il sistema sanitario da una parte e il territorio e i suoi bisogni dall’altra.
Quindi area vasta come nuova dimensione di un progetto di riorganizzazione funzionale che ha nelle reti il suo punto di riferimento che è l’articolo 24, cioè il ritorno del protagonismo dei territori e dei soggetti sociali, nuova e più articolata funzione da parte degli organismi istituzionali a partire dal Consiglio.
Queste sono le questioni dal punto di vista politico, non le minuzie, mi si consenta, sul fatto se l’approviamo prima o l’approviamo dopo, se ci sarà l’evento – se evento sarà – delle primarie del Partito Democratico, lasciamo queste questioni alla cronaca spicciola.
Per le questioni sostanziali in alcune parti ometterò il mio punto di vista, perché un piccolo fatto politico su questo Piano sanitario si è realizzato, quindi le ometterò perché sono state già dette in alcuni casi dal compagno Procaccini, visto che abbiamo potuto costruire una sinergia feconda e un percorso di riflessione comune tra le forze della sinistra, ed inviterei d’ora in poi di aggettivare oltre la questione. Sono forze della sinistra, punto, non è né radicale, né alternativa, né altro, è sinistra. E le forze della sinistra su questo Piano sono riuscite a lavorare insieme ed insieme hanno prodotto alcuni risultati, e penso che nel corso del dibattito di queste ore altri potranno realizzarli, a favore di tutti e della comunità marchigiana.
Vorrei concentrarmi, invece, su altre questioni. Intanto nella fotografia delle 1.700 pagine emerge un dato che è particolarmente preoccupante e che all’interno di questo Piano dovremmo in qualche modo risolvere.
Una struttura che impegna 20 mila lavoratori a vario titolo utilizzati, 3 mila dei quali sono precari, e in un settore come quello della sanità è un’anomalia preoccupante che va corretta e che va risolta dentro i tempi di questo Piano.
L’efficienza, la qualità, la migliore utilizzazione degli impianti e delle strutture può realizzarsi solo se riusciremo a far diventare tutti gli operatori della sanità lavoratori non solo stabili, ma capaci di percorsi che consentano una sempre più significativa professionalizzazione.
Dico questo perché il settore della sanità non va visto e non può essere visto e pensato come un settore scarso, cioè un settore marginale. Al di là dell’impegno finanziario, la questione vera è che nel settore della sanità si giocano in gran parte i livelli di più alta introduzione di tecnologie, i livelli di più alta introduzione di innovazione, i livelli di più alta introduzione del miglioramento della qualità professionale di chi vi opera. Ecco perché è incompatibile, a questi livelli, il lavoro precario, tanto più perché è un lavoro precario che dura non pochi mesi ma addirittura diversi anni.
Il fatto che il settore della sanità sia assolutamente di avanguardia mi fa pensare ad un altro avvenimento che sta accadendo in queste settimane e che dovrebbe essere attentamente monitorato non solo da questo Piano, ma nel proseguo del lavoro. L’avvenimento è semplice, è noto a tutti che il più importante istituto privato, il Santo Stefano, è stato detto qui, che è monopolio della riabilitazione nella nostra regione, ha cambiato di mano, è passato da privato a privato. E’ noto che nella zona di San Benedetto del Tronto due importanti cliniche private che coprono una quota molto significativa dell’attività sanitaria stanno cambiando di mano anch’esse e stanno diventando probabilmente proprietà di un unico operatore.
Cosa segnala questo? Intanto segnala una cosa che dovremmo accettare come sfida, cioè che il settore della sanità è anche un settore di valorizzazione del capitale e dentro questo settore abbiamo due sfide da percorrere. La prima è quella che dovremmo evitare di continuare a vedere la sanità solo come una spesa, la sanità è come un investimento ed è la possibilità vera di una crescita non solo della qualità della vita di un territorio, ma anche della sua qualità produttiva, è un settore importante di costruzione di progettualità, di professioni, di intelligenze, di ricerca, questo l’ha detto anche il Consigliere Procaccini.
Vorrei ricordare, quando si parla di mobilità passiva, che una quota importante della nostra mobilità passiva non è una quota di comparaggio, ma è una quota che va verso regioni, penso all’Emilia Romagna, alla Lombardia e alla Toscana, che hanno fatto della riorganizzazione del sistema sanitario anche un’intrapresa produttiva che fa della qualità un elemento di crescita dell’intero sistema. Quindi quando parliamo di spesa sanitaria dovremmo avere uno sguardo, un’attenzione, un’intelligenza che non la fa sì solo come costo, ma che punta a guardarla esattamente per quello che in molti aspetti è, cioè un investimento, un investimento pubblico fatto dal pubblico e nel pubblico.
Su questo punto di vista un rapporto deciso e serio con l’imprenditorialità che vuole entrare nella nostra sanità. Deciso e serio perché credo che sia buon senso per ognuno che si vada ad acquistare quel che serve e non quello che l’acquirente propone, quindi un atteggiamento di questo tipo è chiarissimo. Dall’altra parte una sfida dal punto di vista dello sviluppo che sia una sfida adeguata alle novità.
Penso che nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, questo Piano abbia bisogno oggettivamente, per le sfide alte che propone, di un percorso largamente partecipato, che non deve limitarsi, per esempio, al dibattito che a me è parso largamente arretrato sull’Inrca, che si concentra sulla sua ubicazione invece che su una realtà ricca come quella marchigiana che è fortunatamente indicatore di una sanità non da terzo mondo - come ho sentito qui raccontare – che ha una popolazione anziana percentualmente di dimensioni significative. Il dibattito dell’ubicazione dell’Inrca, di un Istituto che ha queste caratteristiche, che ha nella ricerca sulla terza età un punto di valore, al quale oggi si affida un ruolo di carattere internazionale, credo sia l’ultima delle questioni.
Il problema su questa vicenda è e resta di altra natura, dovrà essere affrontato a quel livello, magari evitando di duplicare strutture, funzioni, agenzie. Valorizzarlo, invece, dentro il percorso della ricerca sull’anziano, perché questo territorio ne ha la vocazione, perché è un elemento di crescita che fa parte di quel terreno di investimento sanitario dove le Marche possano operare e agire. Il dibattito quindi deve stare a quel livello. E così dovrebbe stare a quel livello anche il dibattito sulle tante questioni che riguardano le strutture ospedaliere.
Penso che dovremo fare un punto di riflessione che dica: ci occorrono le strutture o ci occorrono le prestazioni? Credo che in gran parte ci occorrano le prestazioni. Penso che in un territorio che ha 49 ospedali il problema non è certamente un ospedale in più, ma è una costruzione di una rete di prestazioni fatta con le strutture che ci sono oppure fatta riorganizzandole o cancellandone alcune per rifarne altre, ma dentro un percorso che sta nel quadro della rete e dentro quella funzione.
Questo è il livello del dibattito che dobbiamo continuare ad affrontare oggi e soprattutto nelle prossime settimane.
La questione della riabilitazione, dell’integrazione socio-sanitaria e la questione della non autosufficienza sono il centro, il cuore dell’iniziativa, su cui subito il Consiglio, insieme ai soggetti dell’articolo 24, deve andare al lavoro.
Con tale atteggiamento il dibattito su questo Piano non ha né i drammi, che ho qui ascoltato, di una sanità che è allo sfascio, né una fiducia senza problemi che invece fa dire “tutto va bene madama la marchesa”.
Eviterei, da ultimo, di guardare alla questione delle risorse finanziarie come un moloc. Qui vorrei aprire una piccolissima polemica con le organizzazioni sindacali che in gran parte sono state anche un elemento di crescita nel dibattito di questo Piano, perché penso che sia necessario un punto di sacrificio, certo non con un intervento finanziario indiscriminato, ma nelle forme con cui già l’altra volta la Regione ha scelto di chiederlo a una parte dei cittadini marchigiani – e in alcuni casi di sacrificio non era perché parliamo di redditi significativi e importanti, all’interno dei quali funzioni di questo tipo non hanno sacrificio – per migliorare un settore come quello della non autosufficienza, decisivo in questa regione. Credo che questo sia un tema e un dibattito che dovremmo avere il coraggio di affrontare.
Questo ossequio agli idolafora tra i quali aumentare una tassa e come realizzare un crimine, credo dovrebbe scomparire dal dibattito politico nel nostro Paese e spero anche in questo Consiglio.

PRESIDENTE. Ha la parola il Consigliere Pistarelli.

Fabio PISTARELLI. Nuovo modo di fare salute, superamento degli squilibri di sistema, governo dei cambiamenti, livelli essenziali di assistenza in modo uniforme in tutti i territori, superamento progressivo delle disomogeneità e disuguaglianze presenti nell’offerta dei servizi sanitari. Questo non è un estratto da una relazione di minoranza, è quello che è scritto nel Piano sanitario che state proponendo a quest’Aula.
Sulla sanità la sinistra che governa la Regione dal 1995 ha fallito. Lo dice la Regione stessa, lo dicono le parti sociali, lo dicono le audizioni. Ha fallito nella riforma del sistema, l’Asur è considerata ormai una riforma da superare, ha fallito in termini di risposte sull’efficienza e sull’efficacia da dare al servizio sanitario e ai cittadini, ha fallito negli equilibri economico-finanziari che sono clamorosamente lontani dalle previsioni, e non quelle di tre o cinque anni fa, ma quelle dello scorso anno, lontani dai documenti economico-finanziari proposti a quest’Aula nello scorso anno.
Il rimedio che si sta proponendo è un inganno. Noi abbiamo detto di più, è una proposizione di un atto che è irricevibile, è un atto che non rientra nelle indicazioni normative che il quadro nazionale e il nostro quadro regionale danno agli esecutivi nel momento in cui definiscono il piano sanitario.
Quindi è un atto irricevibile, è un atto in contrasto con la normativa ed è un inganno.
Nel metodo è stato licenziato un primo atto a marzo che era solo di linee generali, poi, dopo una campagna che è stata propagandistica, molto forte, molto dispendiosa e costosa per le casse regionali, a giugno è stato licenziato un altro atto che ha avuto un prologo tragicomico perché in Commissione è stato consegnato un documento di 500 pagine, qualche giorno dopo ci siamo accorti che le pagine erano 1.700, poi si è voluto dire che questa era stata solo una questione di misunderstanding. Superata questa fase la Commissione ha dovuto rimettere mano a un documento assolutamente non in grado di essere proposto e affrontato nella discussione in maniera seria e agevole, ha dovuto ridefinire il percorso attraverso un quarto documento di 307 pagine che è quello su cui stiamo lavorando oggi.
Questo è avvenuto dieci giorni fa. Ditemi voi se nel metodo non è giustificata e fondata la richiesta che abbiamo proposto quattro volte nella Conferenza dei capigruppo e altrettante volte in Commissione, cioè quella di mettere tutti nelle condizioni di discutere in maniera seria! Non possono esserci addirittura quattro documenti uno dietro l’altro, gli ultimi tre tra la fine di giugno e la metà di luglio, l’ultimissimo nella settimana scorsa, e si possa dire poi che siamo di fronte a un confronto serio, a una partecipazione ampia, a un coinvolgimento di tutti gli aspetti, quelli istituzionali stretti, cioè i gruppi, la Commissione stessa, quelli politici in generale, quelli tecnici, non solo le parti sociali, ma anche le organizzazioni di categoria medica e ausiliaria o ancora di più quelle territoriali, che la nostra normativa, quella nazionale e regionale – che prima ho ricordato – dice di essere – parlo della Conferenza dei sindaci, della Conferenza delle autonomie – comunque essenziale, un punto di riferimento, e che le loro valutazioni devono essere in ogni caso affrontate in Commissione e discusse. Questo dice la nostra legislazione, la legge n. 502 e succ.. Tutto questo non è avvenuto.
La nostra richiesta non solo è fondata e seria, è anche una richiesta di legalità, di legittimità di atti e passaggi, non solo di sensibilità che è un discorso metapolitico, è rispetto delle norme, rispetto delle regole. Questo è tanto vero se andiamo nel merito. Lo faccio brevemente perché i colleghi che mi hanno preceduto hanno tutti toccato gli aspetti più importanti ed essenziali.
Con questo Piano in realtà che cosa si vuole fare? Non si assumono decisioni e questo è il vulnus di merito, perché la norma dice che un Piano per essere tale deve programmare, da qui ai tre anni, quello che farà la Regione Marche su una delega che è stata una delle prime deleghe piene, o quasi, che lo Stato ha dato alle Regioni, che è, appunto, quella sanitaria.
La materia sanitaria è nostra competenza, le risorse pro-quota, pur pesate, vanno proporzionate alla popolazione, poi sulla destinazione di queste risorse, in un quadro di principi generali sui quali assolutamente tutti quanti ci muoviamo e ci siamo sempre mossi, dalle Alpi alle Piramidi, sono proprio le stesse Regioni direttamente responsabili di quali e quante strutture, di quali e quante articolazioni, di quali risposte.
Tutto questo non c’è, si rinvia a cabine di regia, a deleghe che vengono chieste, ma che sono in bianco. Anche la stessa formulazione di questi organismi che saranno fondamentali è lasciata nella vacuità. Quali sono i soggetti che faranno parte delle cabine di regia e dei gruppi di lavoro? Non è specificato se non in linee generali. Gli operatori, quali, quanti? In rappresentanza di cosa, di quali principi? Sul territorio, sulla consistenza di popolazione, la specialità che deve essere coinvolta, i dipartimenti, su questi profili non si dice nulla!
L’organizzazione del sistema; lo stesso concetto di area vasta - lo hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto - è disancorato rispetto ad una architettura che è prevista da una legge, altrimenti cambiamo la legge n. 13! Perché continuate ad insistere – ho sentito anche nella relazione di maggioranza del collega Luchetti che di solito è attento al rispetto del quadro normativo e delle regole che richiamavo prima –, come si fa a continuare a dire che l’area vasta, così come definita a pag. 14 e a pagg. 27 e 28 in maniera più stringente, costituirà la dimensione ottimale affinché la strutturazione delle reti e dei servizi si costruisca su obiettivi di salute, che nascono dalla ricognizione e dai bisogni di domande espresse, che siano attuati attraverso una riprogettazione dell’offerta. Poi nelle pagine precedenti si dice che l’area vasta non è un nuovo modello, non è un nuovo livello organizzativo, ma è un ambito di riferimento corrispondente in un bacino di utenza idoneo per un’integrazione unitaria di funzioni e per azioni gestionali unificate. Una contraddizione spaventosa!
Tutto questo è realtà aziendale, provinciale, diciamolo! Siamo disposti a discuterne, ma in maniera chiara, modificando la legge n. 13, altrimenti non ci siamo! Oggi l’azienda è unica, si chiama Asur, Azienda sanitaria unica regionale, e le tredici Zone sono articolazioni della volontà unica. Dove è il concetto di area vasta su tutto questo? Vi è una contraddizione spaventosa e insuperabile.
Dobbiamo destinare al concetto di area vasta i poteri, le potestà, le facoltà, gli atti aziendali, la programmazione economico-finanziaria, lo dobbiamo fare attraverso lo strumento principe, cardine, che è la normativa, altrimenti stiamo parlando di un inganno. Questo mi ricorda i polli di Renzo che si beccavano nel sacchetto, ma poi Renzo li portava tutti e due dentro al pentolone per farci il brodo. Allora discutere dell’area vasta e poi dire “va bene, avete discusso, ma adesso decido io come Asur” mi sembra di fare la fine di quei polli!
Non è possibile far dialogare i territori e poi dire loro che non hanno il potere di firmare nulla, perché poi i budget li facciamo noi, li dividiamo per zona o per area vasta, quindi comunque decidiamo noi come, quando e perché.
Non è possibile, è una contraddizione insanabile che non vi porterà bene, perché anche voi dovrete superare le contraddizioni che vi bloccano in questo tipo di scelta. Diciamoci la verità! Non ci si è spinti oltre non perché non avete individuato queste contraddizioni, ma perché non ce la fate a trovare nelle cinque aree vaste una sintesi, che sarebbero le cinque Asl provinciali, le cinque aziende su cui articolare un’Asur unica in grado, allora sì, di coordinare regionalmente quello che poi nei territori deve discendere.
Oggi l’Asur è impossibilitata, tre anni fa quando facemmo la legge n. 13 avevamo detto che non avreste gestito questo sistema, infatti, oggi, anche i controlli contabili avvengono a campione. Come fa un collegio di revisione unico regionale a vedere tutti gli atti dei territori? Lo fa a campione, quando invece ogni zona ha assoluta discrezionalità, e l’Asur, al contrario, ha assoluta discrezionalità a trattare in maniera differente situazioni uguali e in maniera uguale situazioni assolutamente differenti.
E’ avvenuto anche nell’ultima budgettizzazione - lo ha ricordato Castelli e lo ricordo anche io -. I virtuosi che cosa hanno fatto? Sono stati dentro al budget di spesa dell’anno precedente e si sono visti applicare, in pratica, il 2,5% di aumento, come per legge. Padoa Schioppa lo ha detto anche recentemente che è costante l’aumento della spesa sanitaria in Italia che è del 2,6%, noi abbiamo dato il 2,5%-3% di aumento rispetto al budget precedente. Che cosa è successo a chi ha sforato, a chi invece di 100 ha speso 120? E’ stato applicato il 2,5% di aumento su 120! Perciò il danno e la beffa a chi è stato virtuoso perché ha preso pure meno soldi rispetto a chi è stato vizioso e fuori sistema. Questo è l’esempio di tante Zone, che potrei fare con i dati sotto, Assessore, lei li conosce meglio di me. Questa è stata l’Asur e sono le Zone, sono le politiche di investimento.
Nelle 1.700 pagine c’era qualcosina di più, ora nella parte economico-finanziaria – che è stata asciugata, dice Luchetti – addirittura non troviamo quasi più nulla.
Anche sulle cifre mi rifaccio a quello che è già stato detto, non solo siamo fuori dalle programmazioni dello scorso anno, ma ci dovete ancora spiegare come faremo a rientrare nelle previsioni di questo anno. Non abbiamo sanato, anzi, siamo preoccupati tutti di quello che è accaduto per il 2006 che addirittura doveva essere zero, nella programmazione di tre anni fa c’era scritto pareggio.
Non so come faremo ad affrontare i nuovi nodi per il futuro, non c’è scritto da nessuna parte, quando, invece, le scelte puntuali sono un obbligo per il Piano.
Tanto si potrebbe dire sulle scelte puntuali, ma lo diremo meglio nel dibattito di domani: il socio-sanitario, le liste di attesa, la rete ospedaliera con le specialità di cardiologia e oncologica, gli ospedali e le scelte che si fanno sulle strutture, le emergenze-urgenze.
Vado a volo pindarico sul socio-sanitario. Ho sobbalzato quando ho letto quelle poche righe sul fatto che dobbiamo razionalizzare la risposta e l’offerta del socio-sanitario. Siamo assolutamente lontani da quello che questa Regione si era impegnata a fare a livello di non autosufficienza, si è lontanissimi, le cifre che avevamo scritto sulle residenze protette e sulle Rsa non sono state nemmeno per la metà raggiunte.
Siamo stati aiutati da un sistema che è assolutamente volontaristico – passatemi il termine –. Perchè per le case di riposo, per le strutture, addirittura il relatore di maggioranza Luchetti ha parlato delle badanti, stiamo parlando proprio di una cosa che è stata sostituita dalla buona volontà o dei Comuni o della famiglia che personalmente ha provveduto alla non autosufficienza.
Siamo lontanissimi in questo e parliamo di razionalizzazione e di contenimento! Di contenimento di quella che può essere l’offerta di istituzionalizzazione del malato e dell’anziano non autosufficiente, chiaramente non nel momento dell’acuzie, ma nel momento della stabilizzazione del suo trattamento. Di questo mi spavento! Come, diciamo sempre dell’anziano, diciamo sempre che siamo la popolazione più anziana d’Italia, siamo la prima regione d’Europa per il tasso di incidenza della popolazione anziana. E che facciamo, non affrontiamo questa come un’emergenza che è ormai diventata tale! I numeri che sono riportati dicono che forse nella regione sono dai 33 ai 35 mila gli anziani non autosufficienti, di questi vi risparmio le cifre di quelli che vengono posti in assistenza nel nostro sistema sanitario - che è socio-sanitario, lo ricordate sempre nelle titolazioni dei nostri atti -, queste cifre sono veramente ridicole rispetto al complessivo dato della popolazione anziana non autosufficiente.
Per le liste di attesa anche qui siamo lontani dal rispetto della normativa. Proviamo a telefonare anche ora al Cup e proviamo a chiedere un’ecografia, una Tac total body, a qualsiasi zona ci riferiamo, nessuna esente, forse qualcuna un po’ di meno e qualcuna un po’ di più, ma siamo fuori dalle previsioni che sono già ampie. Se si chiede una Tac total body significa che si ha una problematica, per cui i trenta giorni penso siano un po’ eccessivi! Ma lasciamo perdere, la normativa però dice trenta giorni e noi non stiamo nemmeno in quei trenta!
Per la rete ospedaliera, la cardiologica, le scelte, si dice che eleveremo fino a cinque i laboratori di emodinamica. Quando? Dove? Con quale priorità? Non si fa nemmeno il nome e cognome delle poche scelte rintracciabili. Peraltro, a seguito di una forte e accesa discussione in Commissione - perché nemmeno questo era, nella prima stesura c’era scritto solo quattro laboratori - arriviamo fino a cinque nei tre anni, ma dove e con quale priorità?
Per l’oncologia che cosa si vuole fare? Ci sono gruppi di lavoro formati da chi? In quale maniera? Con quale attenzione anche a quella che è stata e a quella che è oggi la realtà delle strutture oncologiche delle Marche?
Ricordo, per esempio, a Macerata; è assurdo che nel 2007 un malato oncologico venga seguito dall’oncologo fino ad un certo punto poi nei momenti terminali della sua vita non abbia la possibilità di essere ricoverato in un reparto ed essere seguito nei momenti più difficili che sono quelli vicini all’evento mortale! Oggi accade così, l’oncologo ti segue, ma siccome poi non c’è il reparto sei abbandonato a te stesso o vieni seguito per altre vie.
Sull’emergenza-urgenza si dice di razionalizzare i punti di pronto intervento o addirittura si mette in discussione i pronto soccorso se non hanno idea di secondo livello a collegamento. Tutto questo non è possibile. La rete dell’emergenza urgenza era stata disegnata nel 1997, sono passati dieci anni e ancora non sappiamo quali sono le potes che verranno riconfermate e quali sono quelle, invece, che non devono essere riconfermate.
Tutto questo deve essere oggetto di riflessione. Abbiamo ribadito anche oggi la necessità di rimandare questo Piano, di farne oggetto e confronto serio per non sbagliare ancora una volta, perché di atti di programmazione errati da parte della maggioranza, di questo centro-sinistra del governo alla Regione, ormai ne abbiamo visti troppi.

PRESIDENTE. Ha la parola la Consigliera Ortenzi.

(IN FASE DI COMPLETAMENTO)