Resoconto seduta n. 117 del 29/01/2003
La seduta inizia alle 11,30



Approvazione verbali

PRESIDENTE. Ove non vi siano obiezioni do per letti ed approvati, ai sensi dell’art. 29 del regolamento interno, i processi verbali delle sedute nn. 115 e 116 del 22 gennaio 2003.



Proposta di legge
(Annuncio e assegnazione)

PRESIDENTE. E’ stata presentata la proposta di legge n. 158, ad iniziativa dei consiglieri Castelli, Ciccioli, Gasperi, Pistarelli e Romagnoli: «Istituzione del registro regionale degli amministratori di condominio ed immobili», assegnata alla IV Commissione in sede referente.



Mozione
(Annuncio di presentazione)

PRESIDENTE. E’ stata presentata la mozione n. 259 del consigliere Cecchini: «Appello contro un attacco armato in Iraq», che va abbinata alle mozioni sullo stesso argomento, già iscritte all’ordine del giorno.


Congedo

PRESIDENTE. Ha chiesto congedo il consigliere Melappioni.



Ordine del giorno della seduta

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’iscrizione all’ordine del giorno della mozione n. 259 del consigliere Cecchini.

Il Consiglio approva

Ha la parola, sull’ordine dei lavori, il consigliere Giannotti.

ROBERTO GIANNOTTI. Credo che si possa incontrare la disponibilità del Presidente della Giunta regionale, prima che si allontani da Ancona, per essere informati sulla vicenda gravissima delle dimissioni del prof. Lucarelli dalla scuola di talassemia. C’è una richiesta specifica formulata dai gruppi della Casa delle libertà — il sottoscritto, il consigliere Viventi, il consigliere Gasperi e il consigliere Ciccioli — quindi chiedo che il Presidente comunichi immediatamente in aula relativamente a questa questione.
L’altra cosa riguarda una richiesta del gruppo di Forza Italia di ascoltare l’assessore Amagliani su quanto avvenuto relativamente all’affondamento della motonave al largo della costa del Conero e delle iniziative che sono state adottate a salvaguardia dell’integrità del litorale marchigiano. E’ un fatto accaduto negli ultimi giorni, che riveste una grandissima importanza per la nostra regione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Andrea Ricci.

ANDREA RICCI. Voto contro questa richiesta del consigliere Giannotti. Ho la massima considerazione per la vicenda del centro di talassemia di Pesaro e la massima considerazione dal punto di vista della professionalità scientifica del prof. Lucarelli, tuttavia questo Consiglio regionale è stato impegnato per sedute intere su questa questione. All’ordine del giorno, dopo la nomina del garante per l’infanzia, c’è la nomina di un consigliere nella consulta regionale degli immigrati e successivamente la trattazione di alcune interrogazioni, la prima delle quali è relativa alla crisi dello stabilimento Itemar di Monsampolo. Ritengo che l’argomento di 164 lavoratori che stanno perdendo il loro posto di lavoro, sia altrettanto importante, se non più, della discussione straordinaria e urgente della vicenda del prof. Lucarelli, così come una serie di altri punti all’ordine del giorno, quindi non ritengo che esistano le condizioni per anticipare questo punto, pure importante ma non importante quanto altri punti iscritti all’ordine del giorno.

PRESIDENTE. Sulla questione sollevata dal consigliere Giannotti che invita la Giunta a fare due comunicazioni, non dobbiamo neanche votare, perché è un invito a comunicare che la Giunta può o meno accogliere ed è sua competenza farlo.
Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. Dipende dalla disponibilità del Presidente e della Giunta, però mi permetto di sottolineare che è argomento la cui definizione andrà in porto nelle prossime ore. Credo che a questo punto una dichiarazione ufficiale della Giunta, anche se in extremis, per valutare come si conclude il caso sia opportuna, perché ormai la polemica è nota, le vicende sono note, si sa tutto, però tra qualche ora si decide, quindi ritengo che puntualizzare e soprattutto lasciare aperta alla Giunta regionale una possibilità di recuperare in extremis su questo versante credo che sia opportuno per la Regione Marche, non maggioranza od opposizione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Massi.

FRANCESCO MASSI GENTILONI SILVERI. Presidente, chiedo di anticipare il punto 2 al primo punto, visto che ci sono argomenti che richiederanno discussioni abbastanza complesse. Mi pare che la votazione sul garante dell’infanzia possa essere fatta subito come adempimento abbastanza rapido.

PRESIDENTE. Dal momento che quest’aula si è già espressa alla conclusione dell’ultima seduta, di mantenere l’ordine del giorno come predisposto e aprire subito la discussione. C’è già stata una votazione: se mettiamo in discussione le decisioni prese non arriviamo mai a nessuna conclusione.

ROBERTO GIANNOTTI. Il Presidente D’Ambrosio non ha niente da dire? Visto che è stato a Pesaro per fare lo show approfittando del fatto che io non c’ero...

VITO D'AMBROSIO, Presidente della Giunta. La volta prossima prenderò accordi con lei per farlo insieme, Giannotti...
Voglio dire soltanto tre cose, Presidente. Credo che qui non si sia parlato di nessun argomento così a fondo come di questo. La Giunta ha condiviso una lettera che io ho scritto al Governo e che indicava allo stesso la disponibilità della Regione a fare una serie di cose. Siamo in attesa di risposta. E’ il Governo che ci deve dire cosa vuole fare adesso. Noi la proposta l’abbiamo fatta, questo è il dato.
Che cosa devo dire, oggi? Che ribadisco quella lettera, l’ho mandata, aspetto una risposta.
A mezzogiorno, come ho detto la volta scorsa, dovrò andarmene per una ragione banalissima: a Fiuggi, alle 16 comincia la “non stop” delle Regioni italiane per cercare di dividersi i 153.000 miliardi per la sanità del 2003. Sulla base della tabella presentata dal Governo la Regione Marche perderebbe 60-70 miliardi. Nella mia scelta ritengo che sia più importante essere lì anziché rispondere su una questione sulla quale siamo in attesa della risposta del Governo. Quando arriverà la proposta del Governo ne riferirò al Consiglio.

ROBERTO GIANNOTTI. Il Presidente ha detto di no soprattutto perché deve andarsene. Prendo atto di questa sua indisponibilità materiale, mi permetto di insistere che si discuta di questa cosa, quindi le chiedo almeno per la prossima seduta di fare una comunicazione alla luce delle dimissioni del prof. Lucarelli che determinano un quadro di novità. Credo che questa sia una proposta sensata, ragionevole, perché da una parte si prende atto della sua indisponibilità, però dall’altra lei raccolga l’invito a discutere in Consiglio di questa cosa.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della Giunta. Riferirò al Consiglio sulla risposta del Governo: quando arriverà la risposta del Governo tratterò di queste cose, prima no.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. Nell’ultima seduta avevamo concordato, dopo la richiesta del consigliere Amati di mettere al primo punto le mozioni che fra poco discuteremo, la mozione n. 239 dopo le interrogazioni. Vorrei capire come mai lei non ha messo questo argomento come era stato stabilito dal Consiglio regionale. O ci si prende in giro, oppure è inutile che procediamo a votazione poi lei non le rispetta. Le devo dare atto che lei era assente, però il Consiglio aveva deciso che dopo le interrogazioni si sarebbe discussa la mozione 239.

PRESIDENTE. A me risulta che l’ordine del giorno è così come a me è stato prospettato e si può verificare anche dal resoconto.

Mozioni (Svolgimento e votazione proposte di risoluzione):
«Guerra preventiva all’Iraq» Procaccini e Martoni (240)
«Azioni militari previste contro i paesi non collegabili con gli eventi dell’11 settembre 2001» Moruzzi, Amagliani e D’Angelo (231)
«Azioni politiche contro la guerra in Iraq» Silenzi, Amati e Mollaroli (232)
«Sviluppo di una cultura di pace contro le operazioni di guerra in Iraq» Amati, Mollaroli, Franceschetti e Avenali (258)
«Appello contro un attacco armato in Iraq» Cecchini (259)

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca le mozioni n. 240 dei consiglieri Procaccini e Martoni, n. 231 dei consiglieri Moruzzi, Amagliani e D’Angelo, n. 232 dei consiglieri Silenzi, Amati e Mollaroli, n. 258 dei consiglieri Amati, Mollaroli, Franceschetti e Avenali e n. 259 del consigliere Cecchini.
Ha la parola il consigliere Procaccini.

CESARE PROCACCINI. Presidente, colleghi consiglieri, si va alla guerra prima che la guerra inizi. La teoria della guerra preventiva è aberrante: Bush e gli Stati Uniti la portano avanti con la complicità di alcuni Stati, compreso il Governo italiano. A questo proposito non sono paragonabili altri casi di subalternità italiana dal dopoguerra ad oggi, ne é valido il paragone con la Serbia del 1999: anche allora noi comunisti italiani, pur stando al Governo, fummo contro quelle operazioni militari e comunque quella sulla Jugoslavia era una operazione che veniva dopo fatti di “pulizia etnica”. Ripeto, noi eravamo e siamo contro anche la teoria delle cosiddette “guerre preventive”, figuriamoci le guerre di “pulizia etnica”, le guerre che in qualche modo cercano di sopprimere la legalità internazionale.
Tuttavia dobbiamo riconoscere che allora, pur in un contesto molto difficile e diverso da oggi l’Italia e il Governo D’Alema furono un passo avanti a tutti gli altri Governi d’Europa, sia per trovare una soluzione politica, sia per limitare la guerra e soprattutto per opporsi all’attacco di terra. Non è un caso che tutte le ambasciate del mondo, dell’Europa in particolare furono chiuse, a Belgrado, tranne quella italiana.
Saddam è un tiranno, noi comunisti italiani lo sosteniamo da sempre e vorremmo ricordare anche a quest’aula e più in generale agli ipocriti consapevoli, che Saddam è stato sostenuto, foraggiato, aiutato dall’occidente. Noi lo sosteniamo da sempre, anche perché egli è stato portato al potere dagli Stati Uniti d’America. Infatti non dimentichiamo che il dittatore iracheno è stato portato al potere dagli Usa attraverso la Cia e il primo compito che gli fu affidato fu quello di sterminare il partito comunista iracheno, che insieme a quello del Sudan era un grandissimo partito di massa di quell’area. Potete anche ridere, colleghi della destra, ma dovete essere anche più colti nel senso della conoscenza della destra. Saddam è un feroce dittatore che ha imposto al su popolo un regime dispotico, che continuamente viola ogni forma democratica, ma l’occidente, in primo luogo gli Usa lo hanno aiutato, foraggiato ed armato e addirittura lo hanno doviziosamente arruolato nella Cia come agente segreto, a partire dalla guerra fatta all’Iran, condotta sotto il controllo logistico statunitense, ed anzi vorrei ricordare che l’attuale ministro degli esteri degli Stati Uniti d’America è stato il consulente strategico di quella guerra dell’Iraq all’Iran.
Saddam è dunque un tiranno, ma quanti altri tiranni ci sono nel mondo? Possiede armi di sterminio — non è provato — ma quanti altri ne possiedono? Non ha rispettato le risoluzioni dell’Onu, ma quanti altri lo hanno fatto, a partire da Israele che continua a colpire il popolo palestinese con l’avallo degli Stati Uniti? Non si può ammettere che siano gli Usa né altri paesi a giudicare il mondo in modo inappellabile, stabilire se quello che fa un altro paese è giusto o sbagliato, quindi a decide e, loro, se e come un altro paese debba essere colpito, bombardato, distrutto. Tutto questo attiene a una politica di tipo imperialistico.
Gli Usa cercano disperatamente alleati, cercano disperatamente di ottenere qualsiasi avallo dall’Onu, come se l’Onu dovesse dichiarare guerre, anche se in realtà da oltre un decennio, dalla scomparsa dell’Urss, l’Onu è assoggettata o sembra essere assoggettato all’unica super potenza rimasta. Basti guardare come sono stati scippati dagli Usa i fascicoli degli ispettori dell’Onu medesima per manipolarli, per cambiarli e comunque, a prescindere dall’Onu, Bush è pronto ad agire da solo. Ma l’Italia non può avallare l’entrata in guerra, l’Italia ripudia la guerra, lo impone la Costituzione; ripudia la guerra come risoluzione delle controversie internazionali, come strumento di risoluzione e di normalizzazione dei rapporti mondiali. L’Italia deve rifiutare questa guerra disastrosa che recherebbe, se possibile, ancora danni, morte e rovine ad un paese già stremato dall’embargo e rafforzerebbe il dittatore Saddam Hussein. Inoltre la guerra sarebbe distruttrice di ogni residua possibilità di risoluzione della crisi medio-orientale, anzi darebbe mano libera a Sharon non solo per annientare crudelmente Arafat come del resto sta facendo già, ma per cancellare definitivamente la Palestina. Una guerra in quell’area incendierebbe il mondo arabo e fornirebbe armi micidiali al terrorismo internazionale. Una guerra folle, ma che purtroppo ha una logica terribile e terrificante. Questa guerra imperialista la vuole a tutti i costi Bush, a prescindere, per riaffermare il suo dominio sul mondo, un dominio che non prevede la capacità di risolvere e normalizzare le controversie internazionali per vie pacifiche. Egli, per continuare a giustificarsi ed alimentarsi ha continuamente bisogno di avere nemici. La guerra è illegittima, anche perché preventiva. In realtà la guerra è già iniziata da tempo. E’ anche un’occasione formidabile per dare una risposta positiva alle armi e alle loro lobbies, per dare in qualche modo anche una sponda a quei settori economici nazionali ed internazionali che premono per poter smaltire in tempi rapidi sia le armi costruite sia quelle da costruire in una prospettiva sempre di guerra e di conflitti, per smaltire i sempre più moderni ordigni di morte. E’ l’occasione, anche per Bush — questo è dichiarato in maniera anche palese — per riunificare il fronte interno ed aggiudicarsi, forte dell’emergenza della guerra e del terrorismo, le prossime elezioni presidenziali. In realtà Bush vuole la guerra soprattutto perché nel Golfo si gioca la partita mondiale delle fonti energetiche, in primo luogo del petrolio.
In questo senso vorrei una riflessione su questo da parte delle forze democratiche di sinistra, quelle amanti della pace. In questo senso, a mio modo di vedere, la guerra assume un vero e proprio carattere neo-colonialistico, in quanto si invade una nazione terza per appropriarsi delle sue risorse economiche, cioè i giacimenti di petrolio. Infatti gli Stati Uniti non si accontentano di creare in Iraq il classico governo fantoccio ma un vero e proprio protettorato, con il controllo diretto degli americani, in linea con una concezione classica di tipo colonialistico. Contro questa guerra si sono levate da tutto, il mondo, a partire da quella del Papa, voci contrarie, ed anche in Europa la Germania e la Francia, con governi diversi, hanno detto di no alla guerra.
Anche in Italia dobbiamo levare forte una voce contro la guerra, dobbiamo dire di no a questa guerra che nessuno al mondo può giustificare o autorizzare, quindi un no senza se e senza ma, un no forte a questa guerra, perché essa non solo è sporca di sangue ma è anche sporca di petrolio. Una guerra sporca di sangue e di petrolio che dobbiamo rifiutare. Il Governo italiano questo non lo dice perché è il primo della classe nella subalternità agli Stati Uniti d’America. Nell’abbraccio mortale con Bush, Berlusconi pensa di trovare la forza che un Governo allo sbando sul terreno economico-sociale, sull’attacco ai diritti, agli enti locali, non ha più. Ma così facendo Berlusconi allontana l’Italia dall’Europa e dalla coscienza democratica del popolo italiano.
Anche per questo dobbiamo sviluppare una più vasta mobilitazione in ogni ambito sociale, politico ed istituzionale, per far avanzare una nuova politica di pace, di giustizia e di progresso. Tanto più nelle Marche lo dobbiamo fare, anche perché con atti formali questo Consiglio si è speso in maniera concreta per una politica di pace e di solidarietà e addirittura con una legge apposita ha istituito l’università della pace che dovrebbe essere il centro di raccolta di idee e di culture di popoli, in una visione non di pacifismo astratto ma di una pace legata allo sviluppo economico, all’uguaglianza dei diritti e non solo al feticcio delle opportunità.
Quindi i comunisti italiani sono impegnati a tutti i livelli ed è per questo che il Consiglio regionale deve dare continuità a quegli assunti e a quegli impegni con l’indizione di una seduta straordinaria sulla cultura della pace, dando continuità a quello che fu fatto nella scorsa legislatura, affinché non si perda quel filo conduttore entro il quale cammina e si deve muovere la democrazia nel nostro paese. Dobbiamo coinvolgere tutti i soggetti, da quelli più prestigiosi alle associazioni, ai semplici cittadini. E’ per questo che i comunisti italiani aderiscono alla manifestazione del 15 febbraio a Roma contro la guerra. Anche per dare un contributo a questa mobilitazione più vasta, proprio qui nelle Marche, ad Ancona, per quella data abbiamo indetto anche noi, come partito, una giornata di mobilitazione alla quale parteciperà il presidente del nostro partito Armando Cossutta. Dobbiamo coinvolgere tutto il mondo istituzionale, politico e sociale, tanto più che proprio l’altro ieri abbiamo celebrato la “Giornata della memoria”, dell’olocausto, dello sterminio compiuto dal nazismo e dal fascismo. Dobbiamo onorare nel concreto questa memoria, perché senza memoria non c’è nessun futuro.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIUSEPPE RICCI

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Trenta.

UMBERTO TRENTA. Il mio intervento guarda al presente e al futuro con gli occhi della fede e della ragione. Cari colleghi consiglieri, non sia un pretesto la guerra in Iraq. Per questo noi non presenteremo ordini del giorno o mozioni.
Mi spiace che non sia in aula il presidente Minardi, che forse ha capito che oggi avrei parlato a lui e il caro Giuseppe Ricci mi deve spiegare una questione. Abbiamo approvato nella Regione Marche una legge sulla pace durata due anni, perché nessuno di noi si capiva oppure pensava cose diverse. Guarda caso leggo il giornale del Consiglio e vedo come un certo pizzico di orgoglio: “Una legge per la pace, agli operatori di pace”. Si fece un can-can perché il Governo rimandò indietro questa proposta di legge, diventata poi legge, alcuni “killer” mandati non so se dalla Giunta, se dal Presidente D’Ambrosio, vennero a raccontarci alcune cose diverse e mi fecero scattare i famosi cinque secondi.
Caro Presidente, visto che non c’è Minardi purtroppo, oggi, me la prendo con lei.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della Giunta. Un Presidente a caso...

UMBERTO TRENTA. No, un Presidente che ha “le physique du role”, direbbero i francesi.
Noi abbiamo approvato questa legge e Silenzi fu come un razzo: fece un comunicato stampa dicendo “il Governo è contro la pace, blocca la legge della Regione Marche”. Non era vero niente, come non era vero niente tutto quello di prima. Mi avete fatto soffrire, però questa legge fu votata all’unanimità. Ringrazio la coerenza di Tontini, perché quel giorno mi disse, come l’assessore Ugo Ascoli, “io non posso firmare questo perché ho una credenza diversa”: si parlava del Nobel per la pace per eccellenza, madre Teresa. Con Silvana Amati ho dovuto accettare e concordare alcuni passaggi, come con l’assessore Agostini, ma con tutti, tant’è che molte volte mi scappò di dire “assessore alla pace” al caro Cesare Procaccini. Ecco il comune sentire su alcuni discorsi.
Presidente, mi ascolti... Adesso lascio perdere e vado via, perché parlare così dà fastidio.

PRESIDENTE. Collega Trenta, lei faccia il suo lavoro, che io faccio il mio. Non può pretendere che tutti stiano ad ascoltare. E’ buona norma che i colleghi ascoltino ma non può pretenderlo. Lei pensi a fare il suo intervento non chiamando di volta in volta un consigliere o l’altro per prestare attenzione a quello che dice.

UMBERTO TRENTA. Grazie, Presidente.
Qui si omette art. 15, università della pace. Questo mi fa capire che forse questa legge firmata all’unanimità, tutto questo senso... Lì c’è il nesso vero, tant’è che l’assessore Cecchini umilmente ma con tanta sensibilità, insieme agli assessori Agostini e Secchiaroli, si alzarono e vennero ad Ascoli, perché nel contesto di questa legge era prevista l’istituzione nei quattro capoluoghi di provincia, individuando una sede delle scuole elementari, di un collegamento con l’università della pace con sede ad Ascoli Piceno e con l’Onu dei bambini ad Ancona.
“Il giorno della memoria” non può dimenticare 50 milioni di martiri che riguardano anche l’altra parte politica. La pace noi la troviamo ben descritta e il primo gennaio, giornata mondiale della pace, nella “Pacem in terris”. Presidente Ricci, lei che ha le mie stesse origini di dottrina sociale della Chiesa non può non conoscere, primo la verità, secondo la giustizia, terzo l’amore, quarto la libertà, i quattro cardini assoluti della pace. Noi parliamo di Saddam: chi di noi che ha votato all’unanimità una legge sulla pace può essere favorevole a questa guerra? Ma il problema Saddam riguarda proprio il fatto che mette in discussione un valore assoluto come la pace, la pace che nasce dalla libertà, perché dove non c’è libertà non ci sarà mai pace, altrimenti è un discorso di lana caprina, dove noi sostituiamo il valore assoluto con il valore relativo.
Il relativo non ci tocca. Se siamo operatori di pace il nostro impegno è permanente e allora che senso può avere, oggi, se non un pretesto politico per fare l’ennesimo attacco gratuito al Governo? Bush decide di fare questa guerra, le ragioni sono note a tutti, ma mi dovete spiegare come facciamo a disinnescare il problema della guerra totale dei due muri, il muro del terrorismo e il muro della libertà. Il terrorismo si basa su una risoluzione ideologica, su una finalizzazione ideologica, di fede, di differenza etnica. Se non riconosciamo agli altri la loro diversità — e per diversità intendo una ragione contrapposta di qualsiasi natura essa sia — mi dovete spiegare come riusciamo ad avere il valore assoluto dell’unum: nihil solidum nisi unum, “non c’è solidità senza unità”, ma l’unità deve nascere essenzialmente dalla diversità e pluribus unum. Quindi, oggi noi parliamo di che cosa? Non diamo corso ad una legge approvata all’unanimità sulla quale il “rettore” Cesare Procaccini tanto ha detto e tanto ha fatto e nell’Ufficio di presidenza non abbiamo il coraggio di far venire qui Rigoberta Menchù Tum ma abbiamo la faccia tosta di far venire i ragazzi in aula a vedere i lavori del Consiglio. Questo è il senso vero della cosa. Se c’è la negazione della vita, come si fa a parlare di pace che è la negazione assoluta della vita? Quindi, noi oggi dovremmo abbinare una risoluzione unitaria del Consiglio a difesa del diritto della vita che non ci appartiene.
Presidente D’Ambrosio, faccia vedere con quanta dolcezza teneva nella valigia la fotografia del suo nipotino. Mi disse: “Vedi Umberto, non preoccuparti sulla giustizia, perché abbiamo capito tutti”, ma quella strumentalità di attacco interno ed esterno sul niente, questo è uno dei passaggio fondamentali, quando si nega la giustizia e per giustizia dico la giustizia che viene dalla verità.
E allora guardiamo come abbiamo composto l’Ufficio di presidenza. Io potrò anche non essere ricandidato, Fabrizio Grandinetti, ma catene di mani callose ha la mia razza, né mani di velluto né mani di fata. Questa è una cosa importante, perché quello che io ho me lo sono guadagnato nella verità, nella giustizia, nella libertà e queste sono cose innegabili. Oggi, qui, nessuno può votare una mozione strumentale, caro Ricci. Quello che noi dobbiamo fare è una cosa diversa: sostenere un principio di libertà contro tutte le guerre, senza strumentalità politica, né di parte. Se questo è un attacco al Governo io sono non per una guerra contro Saddam ma contro Saddam, contro al Qeida, contro tutte quelle persone che mettono a repentaglio il valore essenziale dell’Onu, dell’Onu con diritto di voto e non di veto, questa è la mozione vera, questo è quello che dovrebbe essere il comune sentire di un Consiglio alla settima legislatura, che dovrebbe portare nelle scuole, nelle università il principio delle risoluzioni dell’Onu, cioè l’università della pace. Dovete essere capaci di invertire questa mozione e di farne una vera, che porti la Regione Marche, come scranno fisso all’Onu, ma sulle risoluzioni dell’Onu, perché lo strumento c’è: c’è una legge regionale, la più bella che esiste in Italia, la più vera, quella che contempla la risoluzione dell’Onu sull’università della pace, la scolarizzazione del diritto alla libertà, che è un valore assoluto. Questo dobbiamo fare, tutto il resto non conta, è solo strumentale. Se facciamo la guerra contro l’Iraq solo perché l’America ha deciso di fare questa guerra non è questo il senso, è una bugia e noi siamo in verità e in verità vi dico che noi dobbiamo difendere il diritto alla vita e il diritto ad essere liberi!

PRESIDENTE. Chiedo scusa ai presentatori delle mozioni, perché non ho seguito l’ordine che invece è previsto dal regolamento. Infatti, prima deve esservi l’illustrazione delle mozioni, quindi prima di dare la parola al consigliere Trenta avrei dovuto consentire l’illustrazione delle mozioni da parte dei colleghi presentatori. Ho ora chiesto alla collega Amati di concedere che si soprassedesse rispetto a questo criterio, perché il Presidente della Giunta, come aveva preavvertito, dovrà lasciarci per andare all’incontro con i presidenti delle Regioni e con il Governo, quindi chiede di intervenire. Ha la parola.

VITO D'AMBROSIO, Presidente della Giunta. Ringrazio lei e i colleghi Presidente, ma non voglio che un dibattito di questa importanza rimanga privo della voce del Presidente e dell’Esecutivo.
Non ho bisogno di tante parole per dire tre cose: no alla guerra, no alla guerra, no alla guerra. No alla guerra perché è contraria alla nostra Costituzione. L’art. 11 recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Chi ha fatto studi di diritto su questo sa benissimo che non è possibile, andremmo contro la nostra legge fondamentale. No alla guerra, perché la guerra contro l’Iraq in questo periodo, in questo momento significherebbe aggiungere ulteriori polveriere in una zona che di tutto ha bisogno fuorché di altre polveri, da sparo e già con il cerino acceso. Questo significherebbe devastare quella regione in maniera tale che probabilmente non riusciremmo più a sperare in nulla, se non in una millenaria opera per cercare di rappacificare quella zona che con enorme fatica stiamo cercando tutti quanti, chi più chi meno, chi con maggiore impegno e minore peso — l’Europa — chi con minore impegno e maggiore peso — Gli Stati Uniti d’America — di mantenere al di là dell’orlo dell’abisso dello scontro perenne.
L’altro no alla guerra vorrei dirlo con molta franchezza: se c’è qualcuno che aborrisce il modo di governare di Saddam Hussein credo di essere non l’unico ma quello più convinto. Il metodo di governo di Saddam Hussein è sanguinario, tirannico, assolutamente inaccettabile, orrendo. Ma non si risolve con una guerra al popolo iracheno.
Vorrei dire no alla guerra, perché alla guerra non è mai seguito un periodo di ricostruzione della convivenza della quale noi abbiamo bisogno. Noi abbiamo bisogno di possibilità di convivenza.
Credo che noi abbiamo una responsabilità molto grave: di giustificare con la nostra condotta, con la nostra prassi una fortuna del tutto immeritata: noi siamo nati dalla parte giusta del mondo, nella parte giusta della società, perché noi siamo l’élite della società dell’élite del mondo. Questo è il dato da cui dobbiamo partire.
Il dato da cui voglio partire è che non possiamo rispondere a quel confuso, indistinto, difficilmente ricomponibile nella razionalità occidentale, sentimento del sud del mondo di violenta protesta contro questa ingiustizia mondiale, questa è la verità. Noi siamo fra il quinto del popolo della terra, quelli più favoriti — e noi ancora più favoriti — che consumano l’80% dei beni del mondo, questo è il dato fondamentale. E vogliamo rispondere con una guerra? O vogliamo rispondere con un programma gigantesco che si faccia carico di venire incontro alle esigenze di queste popolazioni di non morire di fame, che si faccia carico delle esigenze dei bambini iracheni di non pagare due volte: la sventura di essere nati in quel regime e di avere di fronte gente che, fingendo di non accorgersi che muoiono di fame, continua a dire che le sanzioni sono la risposta forte contro l’Iraq? Vogliamo fare questo? Io no, io non lo faccio perché sono democratico, perché credo nella Costituzione, perché rifiuto la guerra e perché la mia coscienza di uomo, di cittadino, di magistrato, di credente mi impone di dire no alla guerra. Questo voglio che rimanga. Non so come farlo presente, l’efficacia, è un problema che viene dopo. Il mio problema oggi è di dire con chiarezza che per quel poco, quel molto che può contare la mia voce, è “no alla guerra”. E aggiungo di più: per la mia coscienza, il no alla guerra arriva all’unico, forse, limite che sono disposto a discutere, una guerra di difesa. Sulla guerra di difesa sono disposto a discutere, sulla guerra della Resistenza sono disposto a discutere perché è stata una guerra giusta e perché è servita a liberare il nostro paese. Ma arrivo a dire anche questo: che una guerra preventiva non può essere giustificata, perché una guerra preventiva è quanto di più anti democratico, anti umano e anti cristiano si possa pensare. Di questo sono profondamente convinto, così come sono convinto che su un ma come questo non esistono e non possono esistere indirizzi e indicazioni di partito ma è la coscienza che deve essere unica arbitra. La mia coscienza mi impone di dire no.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Amati.

SILVANA AMATI. Secondo le fonti della difesa americana, l’operazione Iraq si chiamerà “Orrore e sgomento”. “L’effetto dell’attacco sarà simile a quello della bomba di Hiroshima. Immaginatevi di essere un generale seduto al posto di comando di Bagdad: nel giro di qualche minuto 30 vostre divisioni saranno annientate, la capitale distrutta, senza acqua, senza energia elettrica. Gli iracheni saranno disperati, privi della volontà di combattere. Orrore e sgomento sono gli ingredienti della vittoria simulata al computer”.
Williams Harkin, uno specialista americano di strategia, sostiene, nel Sunday Times di Londra, che la peggiore delle ipotesi prese in considerazione prevede l’uso dell’arma nucleare sulla base di documenti segreti ai quali ha avuto accesso ed interviste con personale militare. Si afferma: “l’amministrazione Bush — quindi non gli americani ma il Governo attuale americano — crede che in certi casi un missile atomico sia l’unico modo di distruggere obiettivi sotterranei dove possono essere custodite armi non convenzionali capaci di uccidere migliaia di persone”.
Noi diciamo un no senza se e senza ma. In questo periodo abbiamo vissuto, stiamo vivendo la riflessione sui giorni della memoria. Ricordiamo di avere avuto nel nostro Consiglio regionale Rigoberta Menchù che spero possa ritornare e ricordiamo il libro che è stato prodotto là che si chiamava Mai più. Noi crediamo, con grande forza che non si tratti di celebrare i giorni della memoria per ricordare un fenomeno, un dramma, una vicenda assolutamente atroce, che ha segnato un periodo della storia e quindi meriti un ricordo, punto. Il ricordo serve perché non si ripetano stermini simili, perché non passi il criterio che la violenza è legittimata. No alla guerra, perché questa non è la risoluzione dei conflitti, tanto meno una guerra preventiva che è fuori delle istituzioni di ogni ordine e grado, di tutte le istituzioni di diritto, perché non vi sia un passaggio della storia come questo in cui prevale il disegno del mondo imperiale, gerarchico, perché non si riscrivano le regole del pianeta e perché non si sia compilci di questa complici. Ormai tutti sanno che nelle guerre, oggi, su 100 morti 7 sono i militari (e anche questi meriterebbero un momento di riflessione) e comunque 93 sono civili.
Vorrei ricordare, colleghi, quando riflettiamo sulla vicenda dell'Iraq, anche la questione drammatica dell'embargo. Qualche tempo fa ho partecipato a un dibattito su queste questioni e ho incontrato padre Bizzotto dei “Beati i costruttori di pace”, che ricordava che in Iraq oggi la mortalità infantile — quella di oggi, non quella di domani: probabilmente il problema sarebbe già risolto da orrore e sgomento — è del 160 per mille; che in quella realtà ci sono 4 letti di oncologia con la possibilità di utilizzo delle terapie radianti perché non ci sono meccanismi che possano essere utilizzati, poiché l'embargo non lo consente. Abbiamo visto filmati nei quali, in quelle popolazioni di cultura musulmana dove c'è la necessità e l'impegno della sepoltura del cadavere il giorno stesso della morte e bambini appena nati vengono stoccati in congelatori perché non c'è il tempo, il modo e il denaro per poterli seppellire quotidianamente, per cui una volta al mese tutte le piccole salme conservate in questi congelatori che abbiamo visto da riprese televisive di Rai 3, vengono seppellite.
Allora ci chiediamo e vi chiediamo se è possibile l'indifferenza, se è possibile che non si giochi con attenzione, in questo momento, l'impegno anche nostro, delle istituzioni. So, colleghi, che molti ritengono superfluo, pleonastico e inutile il momento di riflessione su tematiche internazionali, non credo però che queste siano pratiche burocratiche.
Qualche giorno fa, sempre riferendoci ai giorni della memoria, ho sentito che in Lombardia si ricordava quella riunione di una scuola milanese del 1938 quando il preside, dopo gli auguri di Pasqua, dopo le pratiche burocratiche che riguardavano la quotidianità, prima di una riflessione sugli orari, ai punti all'ordine del giorno aveva aggiunto anche l'espulsione di 70 studenti perché le leggi razziali prevedevano questo dato e veniva riportato che nessuno era intervenuto, era una pratica burocratica che si poteva fare, cioè una cosa alla quale adattarsi e lo sgomento di oggi era come quella questione fosse stata considerata una pratica burocratica. Non ci sono, colleghi, pratiche burocratiche; anche oggi, qui, noi non svolgiamo un rito che tranquillizza le nostre coscienze e che magari consente, come sicuramente ci auguriamo consenta, l'approvazione di una risoluzione che come atto concreto porterà, magari, a far sì che si attivino, per la cooperazione internazionale, fondi per un progetto che potrebbe essere importante, "Un ponte per Bagdad", o perché si dia fino in fondo esecuzione alla legge regionale che abbiamo attivato, o perché si partecipi, come si deve partecipare, alla manifestazione del 15 febbraio, manifestazione mondiale sulla questione della pace. Il dibattito di oggi serve perché noi dobbiamo attivare la nostra forza di eletti rispetto all'impegno che abbiamo con i cittadini, perché l'immagine del nostro paese, perché la cultura dei nostri ragazzi possa vivere su queste questioni dando forza alle idee della pace e del diritto, perché qui non si tratta solo di pace, si tratta di pace e di mantenimento dei diritti. Noi vogliamo, tra l'altro, un ruolo forte dell'Europa nel ripudio della guerra come soluzione dei conflitti e siccome si scrive la Costituzione europea, chiediamo che il famoso articolo 11 rientri, ove possibile, anche nella Costituzione europea.
Ormai sappiamo che sta passando la linea culturale che ci sono due occidenti, uno rappresentato dal governo — il governo americano — un altro rappresentato — confuso, eterogeneo, incerto — dall'Europa e da noi.
Noi crediamo nella riforma dell'Onu e crediamo che l'Onu sia un organismo da difendere, da riformare e da difendere; siamo però anche convinti che non si debba confondere l'Onu con il Consiglio di sicurezza e che ci debba essere anche da parte del Consiglio di sicurezza il pieno rispetto delle carte dell'Onu, cosa che mai emerge nella discussione e che invece credo vada ribadita con forza. Credo che noi italiani abbiamo il dovere di rispettare la Carta costituzionale. Nel ripudio della guerra c'è qualcosa di più che la negazione della guerra stessa. I padri costituenti hanno usato una parola molto forte: la parola "ripudio" non è un termine tradizionale in un testo legislativo quale una Carta costituzionale ed è chiaro che quella scelta, finché non è modificata da un intervento sulla prima parte che ancora non sembra richiesto, è per noi elemento essenziale.
Si tenga fede dunque alla Carta costituzionale italiana, si ripudi il concetto di guerre preventive che, peraltro, non hanno nel diritto alcun riferimento e non si consenta questo orrore e sgomento che alle nostre coscienze — e non solo alle nostre coscienze — ripudia con grande forza. Sì, la voce del Pontefice è stata la più forte che si è sentita in questo momento contro questa ignobile messa in scena. Credo che sia indispensabile che le istituzioni fino in fondo si spendano perché non ci sia nessuna obnubilazione rispetto alle regole, perché si rispettino i dettati costituzionali, perché si rispetti la nostra storia, perché si dia seguito, anche con una testimonianza forte contro queste schiere di morti che si stanno preparando. Se voi guardate la tv le immagini degli iracheni, chiudete gli occhi e pensate cosa potrebbe essere tra due mesi, potremmo dire che già vediamo dei cadaveri che parlano. Mi chiedo se il nostro occidente ha legittimità e bisogno di questa dimostrazione di muscoli contro ogni regola.
Quindi mi auguro che riusciremo, con la maggior convergenza possibile, spero anche con il voto della minoranza, a sostenere una linea che dia continuità alla legge regionale che abbiamo approvato, perché crediamo che la cultura di pace vada radicata, ma che si debba testimoniare anche, in particolare, quando scoppiano le guerre.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Moruzzi.

MARCO MORUZZI. Il gruppo Verdi, assieme al consigliere di Rifondazione comunista aveva presentato la prima mozione iscritta all'ordine del giorno di questo Consiglio da parecchi mesi su questo tema della guerra e soprattutto della guerra preventiva, perché questo è l'elemento nuovo di fronte a cui ci troviamo, una guerra, peraltro, che non segue neanche i percorsi di altri eventi bellici che pure abbiamo condannato, una guerra che innanzitutto destabilizza il ruolo dell'Onu e rende un paese "gendarme del pianeta". Noi abbiamo per tempo richiesto che ci fosse una mobilitazione attorno a questo tema e soprattutto che si ponesse fine a questa pantomima del Governo italiano che insegue pedissequamente posizioni che destabilizzano non soltanto la pace nel pianeta ma anche tutti gli equilibri politici che sono stati in questo tempo trovati all'interno delle Nazioni unite. Questa guerra è anzitutto contro l'autorità dell'Onu ed è un intervento annunciato in una situazione in cui chi promuove questo intervento non ha alcuna sensibilità, non svolge alcuna azione perché ci sia un tribunale penale internazionale che ponga tutti i criminali di fronte alla loro responsabilità, ci sia un'azione per la giustizia economica, ci sia un'azione per lo sviluppo equilibrato, per la salvaguardia dell'ambiente. Questa guerra preventiva è a tutela degli sporchi interessi economici che destabilizzano ogni aspettativa di equo sviluppo, di giustizia di questo pianeta, è una guerra che rafforza questi poteri.
Noi chiediamo che il Governo italiano non si renda complice di un atto che consideriamo illegale e immorale. Il concetto di guerra preventiva nega ogni diritto, ogni principio di legalità internazionale e non può essere preso a pretesto il presunto possesso di armi di distruzione di massa. Le ispezioni svolte dagli ispettori dell'Onu non sembrano avere trovato tracce di queste armi, ma io dico che queste armi sono sistematicamente detenute dai paesi che oggi vogliono muovere guerra all'Iraq e sono fatte sistematicamente detenere ad altri paesi alleati o vicini che certamente non sono degli esempi di democrazia, non sono degli esempi di legalità.
Aggredire militarmente l'Iraq per destabilizzare una dittatura non è un'azione antiterrorismo, anzi a nostro avviso alimenta il terrore, alimenta il terrorismo, dà giustificazioni a tutti coloro che cercano in qualche modo pretesti per rilanciare la corsa al terrore e rilanciare estremismi, violenza, corse alle armi. E' immorale a nostro avviso bombardare un popolo già stremato , per raggiungere l'obiettivo di mantenere il controllo economico di risorse che sono oggi sfruttabili e che sono, forse, non sufficientemente sfruttate dai soggetti che oggi ne beneficiano.
In questi giorni abbiamo appreso la notizia che sono aumentate le produzioni di petrolio da parte dell'Iraq a livelli che mai erano stati raggiunti in questi anni. Il principale consumatore di questo petrolio è proprio gli Stati Uniti, il principale acquirente. E' vero che questo petrolio passa attraverso l'accordo Onu "Oil for food", ma è anche vero che questa guerra mossa in nome del petrolio parte da un modello di sviluppo a cui gli Stati Uniti non rinunciano. Non a caso i pacifisti americani hanno fatto una campagna in cui il presidente Bush si rifornisce di benzina con il suo fuoristrada di cilindrata astronomica — come la gran parte dei fuoristrada che circolano in quel paese — e i pacifisti americani spiegano che i motivi della guerra stanno anche dentro quel gesto: un consumismo sfrenato, un utilizzo delle risorse dissennato, la necessità di ricorrere ad approvvigionamenti energetici che devono venire da questi paesi. L'Iraq, dopo l'Arabia Saudita, è il più grande detentore di risorse petrolifere in questo pianeta, potenzialmente il secondo più grande esportatore di greggio di questo pianeta.
Quindi è una guerra del petrolio, una guerra per mantenere e riprendere il controllo su risorse economicamente sfruttabili. Ma quante dittature sono state avallate o finanziate dai governi occidentali? Quanti, in questo pianeta sono disponibili ad avallare questo percorso? Non a caso noi verdi abbiamo incentrato nella nostra mozione una parte delle riflessioni sulla guerra sulla lotta contro l'embargo che è stato dichiarato nei riguardi di questo paese, un embargo che ha dato innanzitutto, come primo risultato, la possibilità di privare le fasce economicamente più deboli, i ceti medi, anche i ceti medio-alti degli elementi essenziali per la sopravvivenza, in particolare i farmaci. E' vero che il mercato nero in Iraq ha consentito comunque il mantenimento dei livelli di alimentazione di sussistenza, ma è altrettanto vero che l'embargo ha pesantemente penalizzato il sistema sanitario di questo paese, oltre che il reddito. Il crollo che abbiamo visto nel reddito pro-capite in Iraq è paragonabile solo a quello registrato in Burundi, Ruanda dopo i fatti che tutti conoscono, dopo la guerra che ha sconvolto questi paesi. Nessun altro paese ha avuto un crollo del reddito pro-capite come quello che si è registrato, percentualmente, in Iraq a seguito dell'embargo e questo dà la spiegazione dei 4.500 bambini iracheni che ogni mese muoiono a causa dell'embargo.
Noi e non soltanto noi, diciamo che ha fatto più vittime l'embargo decretato dai paesi occidentali che le armi di distruzione di massa durante le guerra. Questa è una realtà che non possiamo dimenticare e giustificare con presunti comportamenti di corsa al riarmo di cui noi difficilmente vediamo le prove.
Fino al gennaio 2002 vi sono state ispezioni dell'agenzia internazionale per l'energia atomica dell'Onu che ha monitorato sistematicamente la filiera nucleare di un paese come l'Iraq, evidenziando e confermando quello che già dal 1993 si diceva: che l'Iraq è disarmato per quanto riguarda il nucleare e non ha mai accennato a un possibile riarmo atomico, né ci sono assolutamente le condizioni.
Anche l'ex capo degli ispettori Onu in Iraq, Scott Ritter, ha dichiarato che l'Iraq qualitativamente è disarmato e non in grado di riprendere produzioni di armi non convenzionali. Questo ovviamente passa nel dimenticatoio, il presidente degli Stati Uniti ieri ha annunciato la produzione di prove: abbiamo visto i resoconti delle dichiarazioni di questa notte, non c'è nessun elemento nuovo, ci sono dichiarazioni di principio, ci sono accuse che a nostro avviso non giustificano l'intervento militare, accuse che sono fondate per quanto riguarda le questioni dei diritti umani, per quanto riguarda le responsabilità di questa dittatura che governa il paese, ma non sono tali da poter giustificare un'azione le cui conseguenze finiranno per pagarle, ancora una volta, i cittadini, i civili, i bambini, gli anziani, soprattutto loro.
Noi abbiamo deciso di convergere sulla mozione unitaria che parla con chiarezza del rifiuto netto di ogni forma di partecipazione del nostro paese alla guerra: partecipazione politica, partecipazione militare. Abbiamo anche messo in evidenza la necessità che dalle Marche parta non soltanto una partecipazione legittima alla manifestazione del 15 febbraio, una manifestazione di netta contrarietà a ogni forma di guerra preventiva, ma anche che ci sia un'azione diretta, dimostrativa, contraria a questa politica dell'embargo, che si può concretizzare nella realizzazione, da parte della Giunta regionale, di un progetto di cooperazione con organizzazioni non governative che hanno agito in questi anni, all'interno dell'Iraq, senza alcuna collusione o collegamento con le autorità di governo irachene che quindi hanno operato nella chiarezza esclusivamente per fini umanitari.
In questo senso ci siamo sentiti di indicare che questa azione di cooperazione va fatta in direzione dei bambini, sostenendo un progetto proposto dall'associazione "Un ponte per Bagdad" che in questi mesi e negli ani passati, in collaborazione anche con le Regioni Lombardia e Lazio, il Comune di Torino, la Provincia autonoma di Trento ha realizzato nel territorio delle strutture sanitarie, destinate all'istruzione dei bambini e degli interventi che hanno riguardato esclusivamente le popolazioni civile, in collaborazione o con le agenzie dell'Onu o con la "Mezzaluna rossa" che in quel territorio opera come soggetto indipendente.
Al di là del giudizio che si dà su tutta questa vicenda, riteniamo che sia utile un'azione di questo genere da parte della Regione marche, che è un'azione anche simbolica, perché di rottura dell'embargo, perché portare i medicinali in quel paese per i bambini che muoiono per le malattie che da noi vengono debellate non con un ricovero ospedaliero ma addirittura a casa, oggi significa violare l'embargo. Noi pensiamo che sia opportuno partecipare a progetti di cooperazione con organizzazioni che in questi mesi, in questi anni, di fronte all'omicidio, allo sterminio di migliaia di bambini hanno avuto il coraggio e la capacità di violare l'embargo.
E' stata una violazione bidirezionale, sono stati portati, anche durante le festività di Natale, dei datteri dall'Iraq verso i paesi occidentali: anche questa è stata violazione dell'embargo. Questo ci dà la percezione come, attraverso la politica dell'embargo, si sia iniziata un'azione di sterminio di massa che certamente non fa onore a chi vuole combattere i dittatori, i responsabili o i presunti responsabili di coltivare i progetti di sterminio di massa o potenziamento di apparati bellici destinati allo sterminio delle persone.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Favia.

DAVID FAVIA. Voterò contro le varie mozioni presentate dalle varie anime del centro-sinistra per una serie di motivi che vado ad illustrare.
Anzitutto vorrei fare giustizia di alcune interpretazioni errate della realtà fatte queste mattina anche ad opera del Presidente D'Ambrosio. Il Presidente D'Ambrosio cita la Costituzione italiana la quale dice che la guerra non è mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e che non può essere usata come offesa alla libertà dei popoli. Siamo completamente al di fuori del contesto costituzionale, in quanto qui non si tratta di risolvere una controversia internazionale ma si tratta di respingere un atto di intimidazione, di guerra terroristica, anomala ma sempre guerra, che è già in corso. E non si tratta di offendere la libertà del popolo iracheno in quanto il popolo iracheno non è libero, perché è sottoposto ad una dittatura e se mai l'invasione dell'Iraq rappresenterebbe la liberalizzazione del popolo iracheno. Così come non esiste questo concetto, che la sinistra e l'Italia stanno portando avanti, di guerra preventiva. L'invasione dell'Iraq non sarebbe affatto una guerra preventiva ma soltanto la risposta ad una guerra già in corso, quindi saremmo pienamente in quell'ambito di guerra di difesa di cui ha parlato il Presidente.
Sottesi al dibattito odierno sono però, secondo me, tutta una serie di argomenti tra loro distinti ma strettamente interconnessi. Al primo posto metterei la situazione del Terzo Mondo, delle varie povertà, nei confronti delle quali il mondo occidentale a mio giudizio è colpevolmente latente: questa credo sia la causa di tutta questa situazione e credo che sia l'unico argomento su cui l'occidente deve interrogarsi e trovare una soluzione, perché credo che le povertà siano poi le alcove della rivolta e del radicamento di ideologie guerrafondaie.
Così come credo che sottesi a questa discussione odierna ci siano, più o meno latenti, il concetto di Islam, il concetto di terrorismo, il concetto di dittatura e la questione palestinese.
A mio giudizio questa situazione internazionale, ovviamente non va interpretata come una contrapposizione ideologica nei confronti dell'Islam. L'Islam è un'esperienza culturale profondamente diversa dalla nostra, si divide in un Islam moderato e un Islam estremista, noi dobbiamo sicuramente dialogare con la parte moderata dell'Islam, nei confronti del quale dobbiamo avere delle apertura ma dobbiamo anche avere il coraggio di pensare che vi sono degli argomenti condivisibili e degli argomenti non condivisibili. Ne cito uno per tutti alle donne di questo Consiglio che ritengo molto sensibili: credo che il modo di trattare la donna che ha il mondo islamico non sia un modo che noi possiamo condividere. Ma ripeto, dobbiamo dialogare in maniera fattiva con questa cultura che si sta inserendo nella nostra società, dobbiamo però fare in modo che si integri questa cultura con la nostra società e non che tenti di imporre delle proprie logiche, delle proprie strategie, delle proprie idee rimanendo un corpo separato nell'ambito della nostra società.
Poi abbiamo quell'Islam che punta alle teocrazie, come per esempio in Iran. Credo che questo sia il rapporto ideologico più sbagliato. Essendo noi fautori di uno Stato laico e liberale, siamo contro qualsiasi teocrazia, quindi non possiamo sposare quelle ideologie che tendano a far coincidere lo Stato con un'idea religiosa.
Il mondo occidentale deve battersi per risolvere la questione israelo-palestinese con la creazione di un autonomo Stato palestinese, che rispetti però Israele e sicuramente credo che l'insieme dei paesi del mondo occidentale debba condannare le dittature, debba battersi contro qualsiasi tipo di dittatura, sia essa islamica che non.
Ho letto con attenzione le argomentazioni della Chiesa promulgate alcuni giorni or sono e riprese in un buon articolo di mons. Comastri sui giornali locali. Mons. Comastri parlava di principi di ragionevolezza, cioè diceva "qui non ci sono, in tante argomentazioni, implicazioni religiose, ci sono implicazioni logiche, implicazioni di buon senso, implicazioni di ragionevolezza". Credo che in questa situazione del rapporto tra il mondo occidentale e l'Iraq bisogna ispirarsi ai principi di ragionevolezza. E' dell'altro giorno la presa di posizione del capo degli ispettori dell'Onu Hans Bliks, il quale ha detto che l'Iraq non collabora, che sicuramente ha un arsenale chimico su cui non ha dato indicazioni — sono state ritrovate delle ogive per la guerra batteriologica, vuote guarda caso — che quindi sicuramente c'è un rischio, c'è un pericolo.
Credo che siano sufficientemente provate le connessioni tra il regime iracheno, che è una dittatura che opprime quel popolo, e le centrali terroristiche. Credo che noi dobbiamo considerarci in guerra contro il terrorismo, per cui, ai sensi della nostra Costituzione, l'Italia può tranquillamente entrare in guerra.
Nel dire questo rappresento il mio personale parere che non vuole impegnare gli altri colleghi del gruppo. Credo che sarebbe auspicabile una presa di posizione dell'Onu contro tutti questi argomenti di cui ho parlato, cioè che si facesse qualcosa di concerto per la pace e per le povertà del Terzo Mondo, che si facesse qualcosa di concreto per il dialogo con il mondo islamico, che l'Onu si occupasse di sradicare le dittature là dove ci sono e di risolvere la questione palestinese. Credo che una guerra dovrebbe essere preventivamente votata dall'Onu, ma io sono favorevole anche ad una guerra non coperta da un provvedimento dell'Onu e mi augurerei che l'Onu desse il via libera alla liberazione — così la chiamo, non occupazione — dell'Iraq e mi chiedo come reagirebbe questa sinistra frastagliata che vuole proporsi come sinistra di governo, che ha già votato, ai tempi di D'Alema, giustamente, un intervento in Jugoslavia, su una risoluzione positiva e favorevole dell'Onu. Però, ripeto, credo che la misura sia colma e che sia assolutamente il caso di intervenire contro i cosiddetti "Stati canaglia" che coprono il terrorismo, perché questa nuova frontiera del terrorismo è una guerra non combattuta convenzionalmente ma una guerra. Attuiamo tutte le misure possibili e immaginabili perché la pace venga preservata, ma credo che se non scomparirà dalla scena internazionale Saddam Hussein così come tanti altri dittatori teocrati e non, non potremo mai ambire ad una pace duratura.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Andrea Ricci.

ANDREA RICCI. Quello che conta è sempre la voce del padrone, non quella dei suoi servitori, astuti o sciocchi che siano. Bush ha annunciato al mondo intero l'inizio di una nuova epoca. Lo ha fatto dopo l'11 settembre, lo ha fatto ripetutamente, lo ha annunciato non solo ai suoi cittadini ma ai cittadini di tutti i paesi del mondo. "L'epoca della guerra infinita e permanente" sono le parole che il presidente degli Stati Uniti ha usato, "contro i nemici", contro i nemici dell'ordine imperiale. La dottrina operativa di questa nuova epoca è quella della guerra preventiva. Questa dottrina è stata codificata in documenti, in procedure, in metodi amministrativi, militari e politici. Tutte le strategie e le procedure militari, di sicurezza e amministrative dello Stato americano sono state conformate alla dottrina della guerra preventiva. Chi usa il termine di "guerra preventiva" non è chi si oppone oggi alla guerra contro l'Iraq ma chi la guerra contro l'Iraq la vuol fare.
La teoria della guerra preventiva che cos'è? La guerra preventiva è l'affermazione pura e semplice, priva di ogni orpello, del dominio fondato sulla violenza e sulla coercizione armata che gli Stati Uniti e l'occidente vogliono imporre sul mondo. La dottrina della guerra preventiva rappresenta la conclusione di un percorso di sangue e di oppressione che si è snodato nel corso dell'ultimo decennio. Il decennio si è aperto con la guerra del Golfo contro l'Iraq di Saddam Hussein, e allora la giustificazione fu quella della guerra giusta, la guerra giusta e morale contro un comportamento ingiusto e immorale di uno Stato e di un dittatore che aveva invaso un altro paese.
Nel corso del decennio si è poi passati alla guerra umanitaria, la guerra dei Balcani fatta, si diceva, a giustificazione di quell'intervento per salvare dalla fame e dal pericolo per la loro sopravvivenza, centinaia di migliaia di profughi. Guerra giusta e guerra umanitaria, concetti astratti e ideologici, hanno significato concretamente barbarie e sangue per popoli interi. Oggi questi concetti, queste giustificazioni morali e ideologiche vengono accantonati, non servono nemmeno più, siamo alla guerra preventiva.
Le maschere ideologiche quindi, sono cadute e ciò che rimane nella sua oscena nudità è la guerra, lo sterminio pianificato come strumento puro di dominio.
Da questa guerra preventiva tutti sono minacciati, è questo quello che Bush manda a dire al mondo intero. Oggi tocca a Saddam Hussein, domani può toccare a qualunque Stato, a qualunque popolo del mondo. Non solo, domani può toccare a ciascun singolo individuo che vive su questa terra, perché la dottrina della guerra preventiva non è solo conflitto bellico. Andiamo a leggere i documenti del governo degli Stati Uniti: la guerra preventiva si sviluppa anche attraverso l'assassinio individuale, l'eliminazione fisica, con ogni mezzo, dell'avversario o del presunto avversario, al di là di ogni prova certa e inconfutabile. Tutte le costruzioni della civiltà borghese, dall’habeas corpus allo stato di diritto, alle garanzie individuali sono cancellate. Il potere, nella sua nudità si spoglia di ogni orpello e fonda la propria legittimità solo su se stesso, sulla violenza, sulla sua capacità di distruzione. La guerra preventiva, dice Bush, è guerra permanente e universale. In realtà la guerra permanente e universale è lo strumento per rendere eterno un ordine storico, economico e sociale, quello della globalizzazione capitalistica, fondato sullo sfruttamento e sull'oppressione. Oggi questo ordine storico è in crisi, perché ormai la globalizzazione capitalistica produce e riproduce povertà e disastri per la grande maggioranza dell'umanità e garantisce privilegi e ricchezze solo ad una cricca di potenti.
Quello che sta succedendo in Iraq dimostra lo scherno del potere assoluto. Si dice che l'Iraq è una minaccia per gli Stati Uniti d'America. Ma chi può credere questo? L'Iraq è uno Stato che da dieci anni vive con una menomazione del proprio territorio, in una situazione di emabrgo totale che ha già prodotto centinaia di migliaia di morti. Le stime dell'Onu affermano che in caso di guerra in Iraq ci saranno ulteriori 500.000 morti e almeno un milione di profughi, ma il potere assoluto ride di questo.
Se non ci sono le prove, si dice, se gli ispettori dell'Onu non riescono a trovare le fantomatiche armi di distruzione di massa che sarebbero pronte a distruggere gli Stati Uniti d'America, l'Iraq è colpevole, perché vuol dire che nasconde bene quelle armi di distruzione di massa. Se invece esistono e si trovano le prove di quelle armi di distruzione di massa che minaccerebbero gli Stati Uniti d'America, l'Iraq sarebbe ugualmente colpevole.
E' stato scritto, all'epoca della guerra del Vietnam da uno scrittore americano, per rappresentare il meccanismo del potere assoluto, un famoso libro, ironico e divertente, Comma 22, di Keller. Diceva che chiunque pazzo può essere esonerato dall'esercito americano, ma chi chiede di essere esonerato dall'esercito americano non è pazzo. Comma 22 è la logica del potere assoluto applicata all'Iraq. La guerra preventiva mostra il risorgere del nichilismo, della distruzione della ragione come impulso permanente della civiltà occidentale, la pura volontà di potenza. Il totalitarismo del dominio si mostra come il nocciolo antiumano e osceno della civiltà borghese e capitalistica. Con la guerra preventiva vengono risvegliati i nascosti demoni che covano nell'animo umano.
Oggi quindi, il rifiuto della guerra è un imperativo politico e morale insieme, perché nella guerra la politica e la morale si fondano in quanto entrambe sono cancellate dalla violenza, entrambe sono annullate dalla bruta forza. Le forze migliori della civiltà occidentale, quelle forze che vogliono continuare la tradizione di progresso civile e morale che dietro le pieghe vergognose del capitalismo la civiltà occidentale ha saputo costruire, debbono oggi opporsi senza se e senza ma alla guerra preventiva. Il no alla guerra preventiva è necessariamente un sì alla costruzione di un altro mondo possibile che oggi tanti milioni di persone chiedono nel mondo, attraverso il movimento no global, alla costruzione di un altro mondo possibile, diverso da quello della globalizzazione capitalistica.
L'adesione del Governo italiano alla guerra preventiva romperebbe il patto che unisce i cittadini allo Stato, perché violerebbe la costituzione e calpesterebbe ogni principio morale che deve unire il potere costituito con i cittadini. Nulla, se ciò accadrà, sarà come prima. Se dovesse accadere che il Governo italiano appoggi l'azione militare e di guerra degli Stati Uniti d'America, con o senza l'avallo dell'Onu, immediatamente il Governo in carica diventerebbe illegittimo, diventerebbe un potere usurpatore privo di ogni legittimazione. Dobbiamo tutti insieme fare in modo che questo non accada, dobbiamo tutti insieme operare perché le basi democratiche del nostro Stato siano salvaguardate.

PRESIDENTE. Sono prenotati sei interventi, sono le 13. Se siamo d'accordo che gli interventi assorbono anche le dichiarazioni di voto potremmo andare avanti fino alla chiusura di questo argomento, votando le risoluzioni intorno alle 13,45. Se invece sulle risoluzioni ci saranno dichiarazioni di voto è evidente che questa mattina non riusciremo a chiudere, quindi alle 13,30 dovremo interrompere i lavori.

ROBERTO GIANNOTTI. Vorrei che il Consiglio regionale esprimesse il voto sulla nomina che dobbiamo fare, quindi facciamo in modo che nell'economia complessiva ci sia il tempo e lo spazio per votare il garante per l'infanzia.

PRESIDENTE. Però le cose vanno conciliate. Volevo chiudere questo argomento questa mattina, perché al pomeriggio potevamo riprendere alle 16 puntuali con le quattro interrogazioni, in modo tale che alle 16,30, essendo l'aula nella sua completezza, si sarebbe potuto procedere alla votazione per il garante. Questo era il programma di lavoro che avevo in mente. Se però i tempi slittano non posso cambiarli
Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. A me sembra che il numero degli interventi prenotati più le dichiarazioni di voto non ci permette di chiudere in tempi ragionevolmente brevi, essendo le 13. Facendo un altro intervento potremo concludere la seduta, concludendo con la votazione sul garante e riprendere al pomeriggio sempre con questo argomento?

PRESIDENTE. Alle 13,30 si sospende la seduta, alle 16 si riprende con questo argomento e appena terminata la discussione su questo punto voteremo le nomine.

CARLO CICCIOLI. Ci sono dei consiglieri che non possono essere presenti nel pomeriggio avanzato.

PRESIDENTE. Ripeto la proposta che ho fatto, perché credo di essere attento quando faccio delle proposte. La mia proposta è: ci sono 6 interventi, i colleghi di minoranza hanno fatto 5 interventi su questo argomento, quindi credo che siano stati autorevolmente espressi tutti i punti di vista. Consideriamo assorbite le dichiarazioni di voto con gli interventi, chiudiamo questa mattina con la votazione delle risoluzioni sulla questione dell'Iraq, riprendiamo alle 16 con le quattro interrogazioni, alle 16,30 c'è la votazione per il garante. Questi sono i tempi, che possiamo considerare adeguati a tutte le esigenze, comprese quelle dei colleghi che poi debbono andarsene. Se questa è un'ipotesi di lavoro possiamo concordarla e chiudere questo argomento.
Ha la parola il consigliere Viventi.

LUIGI VIVENTI. Presidente, sono disponibile a rinunciare al mio intervento, chiedo agli altri colleghi della minoranza di rinunciare al loro intervento, chiedo lo stesso ai colleghi della maggioranza, perché il problema dell'Iraq non lo risolviamo noi, passando quindi alla votazione del garante dell'infanzia.
Ha la parola il consigliere D'Angelo.

PIETRO D'ANGELO. Capisco che dietro le votazioni del garante dell'infanzia ci possano essere delle iniziative per strumentalizzare politicamente la vicenda, ma vi rendete conto che di fronte ad un dramma come quello di una guerra, Giannotti viene a dire "rinunciamo agli interventi"? Tutte le persone che non hanno perso il senso della ragione devono dire una parola, carissimi colleghi.

PRESIDENTE. Vorrei parlare ai colleghi del Polo. Mi pare di capire che tra un'esasperazione e l'altra, cioè quella di interrompere una discussione e quella di portarla alle 16 per la prosecuzione ci sia la via intermedia, cioè quella di impegnarci a chiudere i lavori entro le 14. Mi pare che il buon senso ci dica questo. Chiudiamo entro le 14 la discussione sull'Iraq e al pomeriggio riprendiamo come era già previsto. Aspetto una risposta per le 13,30, poi deciderò se sospendere la seduta o proseguire.
Ha la parola il consigliere Viventi.

ROBERTO GIANNOTTI. ...gli imbrogli: lo dico io e me ne assumo la responsabilità.

ADRIANA MOLLAROLI. "Imbrogli"?

OTTAVIO BRINI. Tanto, siete abituati a farli.

LUIGI VIVENTI. Avevo fatto una proposta di razionalizzazione, ma evidentemente il mio tentativo non era accettabile.
A titolo personale ritengo che in quest'aula non risolveremo alcun problema dell'Iraq e che stiamo perdendo tanto tempo. Ci sono argomenti all'ordine del giorno sui quali abbiamo competenza che aspettano di essere discussi, però discutiamo l'intera giornata sulla guerra dell'Iraq che si farà, non si farà, non lo sappiamo e comunque non ci compete perché fino a prova contraria le Regioni non hanno la delega della politica internazionale. Questo è il mio parere personale.
Il parere del gruppo Udc è noto: noi siamo per una posizione moderata sulla questione, vogliamo che ci sia una posizione del nostro paese allineata con quella degli altri paesi europei, che ci sia una risoluzione dell'Onu per poter decidere in proposito, perché non è sicuramente un argomento, quello di fare o non fare una guerra, che si può prendere a cuor leggero, quindi la nostra posizione può essere condivisa o meno ma è chiarissima. Credo anche che in questi giorni il presidente del Consiglio Berlusconi si stia muovendo proprio avendo contatti con spagnoli, tedeschi, poi andrà da Bush, per cercare di tessere la tela comune della politica internazionale dei paesi europei per poter arrivare a un confronto con gli Stati Uniti in maniera più compatta e meno sbrindellata di quello che oggi rappresentiamo e questo è sicuramente un dramma, perché l'Europa dimostra ancora una volta di esistere solo come fatto monetario, per il resto non esistiamo ad alcun livello, né politico, né economico, né tanto meno internazionale, perché il nostro peso è ridicolo.
Credo quindi che questi siano tentativi giusti e quindi la criminalizzazione da parte del centro-sinistra mi sembra eccessiva. Io non riesco mai ad essere ipocrita, per carattere: non c'è dubbio che dietro questo interesse ci sono i pozzi petroliferi e questo lo sappiamo tutti, ma forse è più grave la minaccia del paese comunista Corea del Nord che sta organizzandosi per produrre l'atomica, però in Corea non c'è il petrolio, ci sarebbe da morire, e molto, perché una guerra con la Corea sarebbe di ben altre dimensioni e molto più rischiosa, quindi quella non viene posta all'ordine del giorno. Sicuramente queste cose le sappiamo. E' anche vero, però, che c'è tanta ipocrisia. Le guerre sono sempre una brutta cosa, sia quando le fa un Governo alla cui guida c'è un uomo di centro-destra, sia quando le fa un Governo alla cui guida c'è un uomo di centro-sinistra. La guerra nei Balcani o in altre parti del mondo è sempre una cosa brutta. Non possiamo, se siamo al Governo dire "questa guerra va bene perché è giusta" e se siamo all'opposizione dire "che delinquente il Governo che fa questa guerra". E' una strumentalizzazione abbastanza ridicola, colleghi del centro-sinistra. A tutti i grandi umanitari presenti qui dentro, vorrei ricordare che ci sono state tragedie in questi anni, dalla Somalia alla Cecenia ecc., con gente scannata come i maiali lungo le strade e nessuno ha preso posizione, nessuno di voi ha fatto le marce della pace. Quando in lizza ci sono gli Stati Uniti ritorna questo rigurgito antiamericano tipico della sinistra. Questo per un uomo come me sinceramente moderato, che non ha difficoltà a riconoscere alcune posizioni, obiettivamente rappresenta un certo fastidio, perché fra voi ci sono persone serie, che stimo, competenti, che hanno avuto anche la possibilità di essere al governo di un paese, di una nazionale: D'Alema è diventato presidente del Consiglio perché Prodi non era in grado di fare la guerra nel Kosovo, solo per questo motivo, perché è riuscito a portare il centro-sinistra a fare questa guerra che gli americani chiedevano, che l'organizzazione internazionale chiedeva. Questa è una verità, amici. Quindi, adesso che state all'opposizione non potete criminalizzare un altro fatto che è simile: sempre di guerra parliamo. (Interruzione). Luchetti, non devi farci la predica su questo, perché la nostra posizione — di democratici cristiani ieri e oggi — è rimasta sempre la stessa: un senso estremo di moderazione nell'affrontare questi discorsi. Però se stiamo al Governo o all'opposizione non cambiamo indirizzo, sempre guerra è. Qui si dice da una parte che si fa la guerra per liberare l'Iraq da un dittatore, dall'altra si dice che si fa per i pozzi di petrolio, tutto vero, sono vere entrambe le cose. Come per i Balcani dicevamo che si faceva la guerra per salvaguardare le popolazioni inermi dai massacri ecc. e hanno continuato ad ammazzare come prima e peggio di prima. Quindi non si possono fare queste distinzioni. Il Governo di centro-sinistra ha deciso di fare una guerra; il Governo di centro-destra mi auguro possa evitare di fare una guerra, sia come cristiano, sia come cittadino e sia anche come rappresentante politico, perché dal punto di vista economico una guerra in questo momento di crisi economica internazionale sarebbe l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno, per lo meno come europei, ma ricordo che proprio questa è la nostra debolezza, il fatto che l'Europa non esiste dal punto di vista politico-economico internazionale, ci siamo dati solo una moneta per favorire gli scambi fra di noi, per il resto non siamo riusciti minimamente a costruire un'immagine di Europa unita a livello internazionale e questo lo pagheremo, come stiamo già pagando con la debolezza del dollaro e la forza dell'euro, per cui tutte le esportazioni europee nei confronti dell'area del dollaro sono massacrate, sono pregiudicate.
Chiedo scusa per avere impiegato più tempo di quanto pensassi e chiudo qui il mio intervento.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GILBERTO GASPERI

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere D'Angelo.

PIETRO D'ANGELO. Colleghi, Presidente, l'altro ieri, di fronte a degli studenti, in occasione della giornata della memoria dicevo che doveva essere un momento di ricordo, ma soprattutto un momento di mobilitazione affinché la follia che aveva invaso molti uomini non si dovesse ripetere, quindi sfruttare quella giornata per ribadire che quando si ricorre alle armi significa che la ragione ha perso. Io ritengo che nel contesto di questo discorso non può essere accettata alcuna guerra, ancor meno una guerra preventiva che, se dovesse passare, scatenerebbe un mancato controllo sulla stabilità mondiale, perché ogni volta qualcuno potrebbe giustificare in modo unilaterale un intervento armato.
Riteniamo quindi che debba essere respinta qualsiasi iniziativa di guerra preventiva. La pace è un bene inestimabile e non può essere quell'arco di tempo tra un conflitto e un altro, la pace deve essere di più, deve essere la convivenza dei popoli attraverso la conoscenza di essi, attraverso la valorizzazione delle diversità date dalle etnie, dalle religioni, dalla storia di ogni popolo. Solo attraverso la conoscenza e l'accettazione delle varie differenze si costruisce la pace, quindi sono da rigettare alcuni interventi nei quali si fa riferimento al modello occidentale come modello da esportare e da imporre anche con le armi, se necessario. E' un concetto che rappresenta un insulto alla ragione. Il rispetto delle culture diverse, la conoscenza delle culture diverse: solo attraverso questo si può costruire quel bene inestimabile che è la pace. Pace che passa attraverso la giustizia. Non ci può essere pace senza giustizia. E allora mi voglio rifare a un intervento del presidente brasiliano Lula Davos nei giorni scorsi, il quale diceva "siamo riusciti ad abbattere il muro di Berlino ma ancora ne resistono molti altri da abbattere", il muro che esiste fra chi ha da mangiare e chi no ha da mangiare, il muro che esiste tra chi ha diritto all'accesso alla cultura e chi non ce l'ha, il muro che esiste fra chi ha la garanzia dell’assistenza sanitaria e chi non ce l'ha. In questo contesto le energie vanno rivolte, non presunte minacce ad una nazionale già in ginocchio dall'embargo in atto da 12 anni e dalla frammentazione territoriale. Quale minaccia può venire dall'Iraq agli Stati Uniti d'America? Ma la vogliamo dire la verità in quest'aula, o vogliamo veramente essere dei sudditi sciocchi? La vogliamo dire la verità che già gli Stati Uniti d'America avevano messo in programma una guerra in Iraq prima dell'11 settembre? Quale terrorismo? Qui non ci sono alibi di terrorismo, ma avevano già preventivato questa guerra, una guerra che risponde a fattori di natura economico-politica. Non ci dimentichiamo che l'amministrazione Bush è un'amministrazione votata dalla lobby dei petrolieri e dall'industria degli armamenti, questa è la verità, carissimo Favia.

DAVID FAVIA. L'attacco alle due Torri cos'è?

PIETRO D'ANGELO. Se l'attacco alle due Torri deve giustificare la distruzione del mondo, questa mentalità non mi appartiene. C'è terrorismo e terrorismo: va battuto il terrorismo, il terrorismo si batte eliminando le ingiustizie, perché l'esasperazione è la madre del terrorismo e la figlia dell'ingiustizia. Così si batte il terrorismo, terrorismo di questo genere. Poi c'è il terrorismo politico. Vorrei ricordare a qualcuno che la maggiore organizzazione terroristico-politica è la Cia, carissimo Favia. Non vi dimenticate il terrorismo organizzato per più di 40 anni dalla Cia, non vi dimenticate che i peggiori nemici americani sono stati agenti della Cia: Noriega in centro America, Bin Laden in Medio Oriente, lo stesso Saddam, quando serviva, contro l'Iran. Chi è che gestisce il terrorismo internazionale? Chi?
Vorrei ricordare a qualcuno che forse ha perso la memoria, che anche in Italia per un periodo abbiamo avuto questa ingerenza nefasta: la strategia della tensione italiana contro gli opposti estremismi avanti al centro era gestita dalla Cia, carissimo Favia e la stessa morte di Moro è legata all'intervento della Cia.
Sono contento, anche se molto spesso ho dei problemi di natura programmatica all'interno di questa coalizione di centro-sinistra, e sono sempre più convinto che all'interno di questa coalizione, almeno sulle scelte importanti come queste c'è una omogeneità di vedute. Sono contento di avere ascoltato l'intervento del Presidente D'Ambrosio e anche gli altri venuti dalla maggioranza.
Va rigettata totalmente questa ipotesi di guerra ed è indispensabile che ogni persona che non ha perso la ragione faccia sentire la propria voce; anche una voce isolata, anche una voce limitata come quella di un consigliere regionale o di un intero Consiglio regionale è indispensabile. Non ci dimentichiamo che se durante il nazismo si fossero levate più voci, forse si sarebbe riusciti a tamponare quella tragedia umana.
E' indispensabile, oggi, che ognuno di noi faccia sentire la propria voce, è indispensabile per il mantenimento di questo bene supremo che è la pace.

PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE
GIUSEPPE RICCI

Ritengo quindi che oltre che sostenere la mozione vada detto chiaramente, tra le tante ambiguità del Governo Berlusconi, suddito, servo, senza un minimo di dignità, pur essendo parte integrante di Unione europea, che ancora non riusciamo a capire bene dove è collocato. Non si capisce bene ma gli presenteranno il conto in Europa, Favia. Il dramma è che non lo presenteranno solo a lui ma a tutti gli italiani, anche a coloro che non hanno responsabilità delle ambiguità di un Governo suddito. Queste responsabilità le rigettiamo al Governo Berlusconi. E' certo che una parola...

PRESIDENTE. Collega D'Angelo, sta parlando da 13 minuti. La sto invitando ripetutamente a chiudere, deve chiudere.

PIETRO D'ANGELO. Presidente, questo è un argomento che non capita di discutere tutti i giorni.

PRESIDENTE. Ma siccome ci sono delle regole in aula, le ho semplicemente fatto segno di non costringermi ad adottare altri provvedimenti. La prego di concludere.

PIETRO D'ANGELO. Ritengo che in questo contesto vada detta una parola su questa Ue che di fatto, politicamente non esiste. Questo è il dramma attuale. Il dramma attuale è che abbiamo una Ue economica ma non politica: non riesce a parlare con una sola voce, non riesce a frenare questo desiderio egemonico politico di dominio e di giustiziere assoluto degli Stati Uniti d'America.
Non cerchiamo di santificare chi santo non è, perché non ci dobbiamo dimenticare che un trattato internazionale contro le armi biologiche è stato bloccato dagli Stati Uniti d'America e un tribunale internazionale sui crimini di guerra è stato altresì bloccato dagli Stati Uniti d'America. Vediamo allora di non santificare chi santo non è. Il mio appello è che il senso della ragione prevalga sulla sudditanza e sul servilismo.

PRESIDENTE. Credo di poter sintetizzare un accordo che si potrebbe argomentare come segue. I due capigruppo dei due maggiori gruppi di minoranza che non hanno preso la parola perché si riservavano di fare l'intervento per dichiarazione di voto, cioè Giannotti e Ciccioli, intervengono per metà del tempo che era stato assegnato a Novelli e Brini, quindi gli interventi di Novelli e Brini sono dureranno 5 minuti, concedendo rispettivamente gli altri 5 minuti a cui aveva diritto ciascuno dei due, ai consiglieri Giannotti e Ciccioli. Con la discussione generale vengono così riassorbite anche le dichiarazioni di voto. Questo significa che per le 14, orientativamente possiamo arrivare alla votazione sulle risoluzioni finali. Nel pomeriggio alle 16 precise svolgeremo le quattro interrogazioni e alle 16,30 potremo votare il garante.
Ha la parola il consigliere Novelli.

SERGIO NOVELLI. Ci sarebbero da dire molte cose. Se è vero, come ha detto Viventi, che non è quest'aula che farà scoccare l'ora delle decisioni irrevocabili, è anche vero che è una questione non banale, che involge le coscienze di tutti noi. A questo proposito, in affettuosa polemica con il collega Procaccini che nel suo intervento ha detto "noi fummo contrari alla guerra nei Balcani come siamo contrari alla guerra nel Golfo Persico", debbo far presente che se è indubbiamente vero che nel foro interiore di chi ha parlato e credo dei comunisti italiani, ci fosse una forte contrarietà a quella non condivisibile guerra contro la Jugoslavia, che era essa pure una guerra che andava a imporre una soluzione ad affari squisitamente interni dell'allora ancora Federazione jugoslava o quel che ne era rimasta, vorrei dire al Presidente D'Ambrosio, che non è più in quest'aula, che l'art. 11 della Costituzione non è stato oggetto di revisione come gli altri, per cui anche allora non consentiva l'uso della forza per la risoluzione di un problema interno di uno Stato. I comunisti italiani erano parte determinante della maggioranza del Governo D’Alema che quella guerra fece e la fece in condizioni ben diverse da questa guerra del Golfo Persico, perché oggi ha ragione chi dice che Bush, militarmente, la sua guerra la può fare prescindendo dal concorso militare del Regno Unito, dell'Italia, della Spagna, di chi ci sarà. Allora, senza le basi nel territorio italiano, i bombardamenti di Belgrado non si sarebbero potuti fare. Allora l'Italia non era soltanto uno dei tanti membri dell'alleanza che muoveva la guerra per motivazioni squisitamente interne alla politica jugoslava, allora l'Italia era nella posizione in cui oggi è la Turchia, cioè la nazione senza il cui supporto logistico la guerra non la si può fare.
Allora prevalsero per i comunisti italiani, per i verdi e per tanti altri le ragioni dell'alleanza sulle ragioni della coscienza, la real politik sugli impulsi naturali e sulle convinzioni politiche. Il Governo fece la guerra. Io ebbi modo di parlarne — è un amico personale — con il vostro esponente Guerrini che allora non era come noi esponente di un'assemblea locale ma era il sottosegretario alla difesa. Gli chiesi "come fai?". Mi disse una cosa molto giusta: "Con tutte le perplessità del caso sono membro di un Governo del mio paese, quando il mio paese è, ahimé, in guerra, io sono sentitamente con il mio paese". Occorre però fare uno sforzo per far sì che la ragione sia con il nostro paese. Da questo punto di vista è stato brillante l'intervento di Andrea Ricci allorquando ha chiarito che si rompe un'ipocrisia. Si è parlato di guerra preventiva, si è parlato di guerra difensiva. Sulla guerra preventiva c'è una bellissima lettera di Ottaviano Augusto, imperatore, a Erode di Galilea, in cui lo ammonisce sulla impossibilità di fare una guerra difensiva e preventiva contro l'Arabia Nabatea: "se ti stanno attaccando ti difendi, se attacco non c'è, quella che chiami guerra preventiva è aggressione".
Le stesse cose le scrive Voltaire ne Il dizionario filosofico, allorquando parla di guerra difensiva e preventiva.
Ma qui veramente si è superato anche quel brutto ossimoro che era la guerra umanitaria, che a me è sempre stato un po' indigesto, ora si chiarisce che si tratta di una guerra in affermazione di una visione del mondo: il diritto di una nazione più potente delle altre di processare chiunque, per cui il terrorista che compie atti finalizzati al terrorismo in Indonesia lo processo in America; parimenti posso militarmente o con forze di polizia, come le chiamate, intervenire in Indonesia per tutelare la mia sicurezza. Di fronte a questa affermazione che non esistono più gli Stati nazionali ed esiste solo un potere, ovviamente la coscienza di ognuno di noi è chiamata ad esprimersi. Se voi e i vostri amici in Parlamento, amici verdi e comunisti italiani, nel 1999 faceste trionfare le ragioni della real politik, personalmente le ragioni della coscienza non mi sento di sacrificarle, anche perché veramente, lo ha detto Viventi, l'esigenza del nostro popolo è di avere una politica europea.
Accantoniamo per un attimo l'apparente interesse contingente che a volte tale pare e tale non è: o da questa crisi esce una politica estera europea, oppure veramente siamo destinati a essere oggetto di storia e non più soggetto.
Per questo motivo spero che la nostra stella polare nel nostro piccolo ambito locale e del mio Governo, che io ho votato, non abbia fatto la scelta antieuropea e antinazionale che ha invece fatto purtroppo la Gran Bretagna, che spero si ravveda. Alcuni colleghi mi hanno chiesto di ritirare la nostra proposta di mozione per non nuocere al nostro Governo. Lungi da me il desiderio di nuocere al Governo, nel mio piccolo, non credo di potere, ma dico francamente che il collega che ha con me firmato la mozione mi ha accennato di poter ritirare la firma riguardo ai colleghi di partito per disciplina. Personalmente ho molto rispetto per i colleghi di partito, ma ricordo a me stesso e a loro che prospettammo un voto di coscienza per la questione della norma statutaria che vietava incarichi professionali ai massoni nella Regione Marche. Se alcuni avevano problemi di coscienza per i poveri figli di massoni esclusi dagli incarichi professionali, chi parla ha un problema di coscienza nei confronti del futuro del nostro popolo, della pace, della guerra e degli interessi dell'Europa, per cui — comprensione per il collega se lui non si sente di mantenere una posizione di principio di coscienza — non posso abdicare ai miei principi di principio e di coscienza e credo che sia necessario mantenere un segnale chiaro. Mi permetto di far notare che ogni voce che si esprimerà contro una scelta antinazionale ed antieuropea è degno, è valido, chi lo fa da posizioni di maggioranza governativa... Io tengo al mio partito, ma più ancora alla mia patria e all'Europa, ma visto che questo la sinistra non sempre l'ha fatto quand'era al Governo, mi piacerebbe che ci fosse attenzione per questo aspetto.
Come disse quell'esponente del Governo D'Alema, che anche quando la patria è impegnata in operazioni che ci fanno soffrire è la patria, credo che un dato importante che nella nostra proposta di mozione c'è e in quella della sinistra manca, è un cenno di gratitudine a quegli alpini, a quei paracadutisti, a quei militari d'Italia che sono in questo momento nei Balcani, in Afghanistan, mandati con il tricolore e ai quali non dovremmo dare un segnale di distanza con nessuna presa di posizione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI MINARDI

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Brini.

OTTAVIO BRINI. Trenta secondi li dedico a lei Presidente, perché quello che avevo detto ad inizio di seduta risponde a verità, quindi la prossima volta stia più attento quando redige l'ordine del giorno e si rilegga gli atti e i documenti, altrimenti potrei pensare che lei è sempre prevenuto nei miei confronti, dall'insediamento di questo Consiglio regionale. Non vorrei arrivare a tanto, però a volte me lo lascia pensare.
Per quanto riguarda invece l'argomento all'ordine del giorno che è molto più importante di quello che dicevo poc'anzi, già dagli interventi che si sono avuti in aula è emerso che questo tema non viene affrontato con la dovuta serenità, con la dovuta pacatezza e dà anche l’impressione della strumentalizzazione, della demagogia e della propaganda, cercando di strumentalizzare una difficile situazione e un difficile percorso.
Bene ha fatto il nostro capogruppo a lasciare libera coscienza su questo argomento, perché effettivamente siamo tutti noi chiamati a dare una risposta liberamente, senza condizionamenti e senza limiti, però due cose vorrei puntualizzare; La prima è la risoluzione dell'Onu: penso sia una cosa importante e fondamentale a cui tutti noi dobbiamo attenerci. Nello stesso tempo, il 5 febbraio — proprio questa mattina i mezzi di comunicazione ne hanno dato notizia — il presidente americano Bush fornirà tutta la documentazione necessaria per dimostrare che Saddam Hussein effettivamente ha a disposizione tutto quello che è stato detto fino ad oggi, quindi aspettare una settimana penso non sia la fine del mondo, man on vorrei che voler a tutti i costi imporre la propria ideologia su un tema così delicato ci portasse a perdere di vista qual è il problema. Penso che nessuno di noi sia favorevole alla guerra, perché si va contro tutti i principi della natura e dell'uomo, però bisogna anche evidenziare che quando sono in ballo la pace e la libertà ognuno deve applicare tutti i mezzi necessari a livello di diplomazia e di prevenzione e verificare se siano stati fatti tutti i necessari atti per trovare una soluzione unanime che coinvolga il più possibile le nazioni del mondo ai fini di una soluzione.
Penso che il nostro apporto non possa che essere limitato, se non vuol essere propagandistico per far vedere all'esterno che siamo tutti pacifisti, tutti buonisti, ma poi vediamo che ognuno è pronto a pugnalare l'amico che gli sta vicino pur di raggiungere un obiettivo e un'ambizione personale. Quindi tutto quel buonismo si perde quando l'arrivismo, anche del singolo e della singola persona tende a colpire e demonizzare l'avversario. Abbiamo letto sulla stampa quello che è successo all'amico Trenta: qualcuno ha cercato di criminalizzarlo, di colpevolizzarlo per una sciocchezza. Questo è un insegnamento della vita. Parliamo sì della guerra, ma parliamo anche del comportamento e dell'etica morale di ognuno di noi. Qui dentro abbiamo assistito a delle scene patetiche e basta che uno faccia un esame di coscienza per capire che non può dare lezioni a nessuno parlando di pace e di fratellanza, perché se pensa di tutelare l'amico dell'amico ha fatto uno sgarro a una persona seria che magari non la pensa come lui e che è in contrapposizione.
Su questo tema, per principio sono contrario a ogni forma di violenza, mi asterrò su tutte le mozioni, invitando però tutti i consiglieri regionali a riflettere non solo sul momento della guerra ma anche sul comportamento quotidiano di ogni singola persona, sul rispetto degli altri, non approfittandosi quando vi sono momenti anonimi, colpendo nell'ombra in modo vigliacco e goffo. Quindi ognuno deve rispondere alla propria coscienza con lealtà e serenità e quando si alza la mattina si guardi bene allo specchio per sapere chi è.

PRESIDENTE. Consigliere Brini, voglio rassicurarla che non c’è alcun pregiudizio nei suoi confronti, c’è una lettura di un ragionamento alquanto tortuoso che ha messo in difficoltà i tecnici. (Interruzione). Se lo legge con attenzione e con mente sgombra si rende conto che era interpretabile anche così come è stato interpretato.
Ha la parola il consigliere Luchetti.

MARCO LUCHETTI. Credo che il dibattito di quest’oggi abbia ormai esaurito tutti gli argomenti che sono stati ampiamente illustrati circa la situazione in cui ci troviamo. In questo intervento vorrei sottolineare alcuni aspetti che vogliono essere una riflessione del perché ci troviamo a discutere questi argomenti, addirittura dividendoci su delle questioni di fondo su cui, probabilmente, una democrazia matura avrebbe dovuto dimostrare una diversa sintesi, una diversa capacità ed orientamento di fronte a problematiche di politica estera così importanti.
Credo che i tempi che stiamo attraversando — mi riferisco soprattutto al periodo successivo alla caduta del muro di Berlino — non hanno consentito ai paesi di riflettere adeguatamente sul valore della politica estera. La politica estera nel dopoguerra, soprattutto nel mondo occidentale, di fronte a uno scenario di contrapposizione dei blocchi era abbastanza chiara dal punto di vista degli schieramenti. Dopo la caduta del muro di Berlino, con la fine dei blocchi contrapposti non abbiamo capito che la politica estera doveva rivestire la stessa importanza, ci siamo chiusi nelle nostre questioni interne, soprattutto questioni che attenevano alle condizioni economiche dello sviluppo dei rispettivi paesi, senza accorgerci che ormai i problemi sono così interconnessi e hanno un rilievo così globale che non sarà più possibile, d’ora in avanti, non considerare queste problematiche in termini pari alla loro vastità, alla loro compenetrazione. Credo che la politica estera debba essere uno dei punti più qualificanti della strategia del Governo e purtroppo in questi ultimi tempi siamo andati un po’ a rimorchio di atteggiamenti assunti da altri paesi ma soprattutto non abbiamo svolto quel ruolo necessario sia alle porte di casa nostra, sia riferito più in generale al governo delle questioni che attengono alla mondialità, per ritrovarci poi, nei fattori di crisi, in termini poco chiari e scarsamente concreti. Cosa voglio dire? Che il nostro Governo — e la Regione lo deve sollecitare in questa direzione — deve riprendere assolutamente la questione della politica estera come fondamentale, vitale sia per il nostro paese, sia per l’Europa, sia per il mondo. Proprio all’indomani del giorno della memoria che ci ha riportato davanti agli occhi le gravissime ingiustizie compiute nel secolo scorso, dobbiamo riflettere per tentare non solo di far sì che nel nostro paese ci sia una coscienza comune nei confronti della guerra, delle questioni della pace, ma per sviluppare una cultura che ci consenta di ritrovare unità. Se è vero che tutti ci dichiariamo contro la guerra, questa nostra volontà deve essere concretizzata in posizioni politiche precise. Questo è il limite della nostra incapacità a fare sintesi di fronte ad una necessaria collocazione del nostro paese nei confronti di un’ingiustizia complessiva che esiste nel mondo e che non può essere sottaciuta.
Quando abbiamo fatto gli incontri, abbiamo sviluppato le riflessioni, all’indomani dell’11 settembre, abbiamo sviscerato questo problema, ma secondo me non è bastato. Oggi ci ritroviamo a discutere di pace proprio dopo un’esperienza così drammatica. Penso che quell’episodio così grave, che ha offeso così duramente il mondo occidentale, gli Stati Uniti in primis, non è riuscito a convincerci fino in fondo del ruolo che i paesi sviluppati devono recitare nel mondo.
Ogni volta che si va a parlare di guerra risaltano sempre quelle vecchie posizioni che probabilmente ancora risentono degli antichi schieramenti: mi riferisco all’antiamericanismo che purtroppo ancora è sviluppato in molte coscienze e che non fa i conti con il fatto che non possiamo relegare gli Stati Uniti per conto proprio ma li dobbiamo coinvolgere molto più intensamente che in passato in una strategia comune dei paesi sviluppati, anche perché è un paese duramente colpito dal terrorismo, ma anche un paese che conta molto e che non può arrogarsi il diritto di fare il “gendarme del mondo”, perché correremmo il rischio di cadere in errori passati, cioè affidare al più forte le redini della convivenza civile.
Sotto questo punto di vista dobbiamo fare molti passi avanti: sì riprendere il ruolo della politica estera, ma soprattutto sviluppare un dibattito a casa nostra perché si crei quella condizione necessaria di un paese avanzato che vede proprio nella politica estera una unità di intenti.
E’ meschino nasconderci dietro delle posizioni di partito e di schieramento politico di fronte alle questioni che attualmente coinvolgono l’intera umanità. Noi abbiamo e avremo anche in futuro questioni impotantissime da risolvere da questo punto di vista, perché gli squilibri e l’ingiustizia che si stanno perpetrando nel nostro pianeta sono talmente evidenti che non potranno consentirci di dormire sonni tranquilli. Ecco perché dobbiamo sviluppare in questa direzione — e questo compete anche alla nostra Regione — un’azione di stimolo verso una cooperazione che preveda un diverso rapporto con i paesi in via di sviluppo, dove allignano i germi del terrorismo, ma soprattutto dobbiamo ricreare una diversa condizione di civiltà, perché i problemi sono di tale portata che coinvolgono comunque tutti quanti. Pensate solamente ai problemi ambientali.
Di fronte a questa realtà non possiamo rimanere comunque alle parole, credo che sia una cosa non bella sviscerare, anche in quest’aula, problemi di questa natura, cercare di individuare le piste e poi rimanere nei fatti inermi, senza possibilità di uscire concretamente da una impossibilità di incidere direttamente sulle grandi questioni. Noi possiamo fare qualche cosa. Ecco perché la politica di solidarietà internazionale la dobbiamo assolvere, realizzare, concretizzare.
Pochi giorni fa si è tenuta nella nostra regione una conferenza su quanto le Marche fanno a livello internazionale, abbiamo parlato dei progetti che abbiamo sviluppato, credo che dobbiamo continuare in questa direzione dando dimostrazione che le Marche sono sensibili da questo punto di vista e dobbiamo assolutamente continuare a svolgere questo nostro ruolo di solidarietà internazionale. Credo che questa sia la risposta migliore di fronte alle questioni di cui oggi abbiamo discusso.
Non dobbiamo dimenticare, altresì, i momenti di solidarietà che debbono vederci di fronte ai popoli che sono maggiormente colpiti dalle povertà e voglio qui ricordare quello che stanno vivendo le popolazioni curde in Iraq. Anche in questo momento in cui stiamo parlando l’Iraq sta compiendo dei genocidi nelle regioni del Kurdistan, tentando di annientare un popolo da decenni in cerca di una pace, di un proprio territorio. Ma non voglio citare questo fatto per additare le nefandezze dell’Iraq. Credo che fare un ragionamento solamente rivolto all’Iraq è oggi una cosa quasi assurda, non solo per quello che abbiamo passato negli anni precedenti, per le cose che sono accadute, per la stessa guerra che lo stesso Iraq aveva causato con l’invasione del Kuwait, ma dobbiamo tener presente che di Iraq ce ne sono molti nel mondo. Ecco perché non ha senso una guerra in questo momento contro un paese che è già oggetto di embargo, ma dobbiamo fare in modo che questi paesi possano evolvere in termini democratici.
Questo è l’obiettivo della nostra politica estera. Ecco perché dobbiamo indirizzare il nostro sforzo di uomini liberi nei confronti di queste realtà attraverso il negoziato, attraverso un’azione internazionale che ci consenta di far sì che gli uomini che amano la libertà e che stanno in questi paesi possano trovare una possibilità di riscatto.
Il nostro gruppo è d’accordo sulla proposta di risoluzione presentata, credo che possa accomunare tutto il Consiglio e spero che questo si possa realizzare.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giannotti.

ROBERTO GIANNOTTI. Quando gli equilibri mondiali si reggevano su blocchi contrapposti e gli eserciti si fronteggiavano abbiamo avuto lunghi anni di pace e sviluppo, salvo poche eccezioni. Dopo il crollo disastroso di stati e di ideologie comuniste si stenta a trovare un equilibrio riconosciuto. Da qui il proliferare di tensioni internazionali in Iraq, in Medio Oriente, nella Corea del Nord e più in generale l’affermarsi del terrorismo come sistema di lotta, in particolare con gli ultimi episodi eclatanti negli Stati Uniti e in Russia, due pagine nere per i popoli di questi paesi ma anche per il mondo. Oggi si stanno intrecciando in una spirale sempre più pericolosa, una serie di problemi di origine diversa — sociale, economica, religiosa, ideologica, razziale — ed è un fatto incontrovertibile, in questo contesto, che l’Italia, con la scelta atlantica ha goduto di oltre un cinquantennio di pace e di benessere. Abbiamo sempre creduto e lavorato per la pace, ma questo ha significato anche, purtroppo, interventi militari per ristabilire la pace, cioè le condizioni di civile convivenza nel mondo. Ne sono un esempio le spedizioni nella ex Jugoslavia, nel Kosovo, in Afghanistan e, prima ancora, in Kuwait. Sono dati incontestabili. La pace, soprattutto e innanzitutto. Tutte le strade quindi, secondo noi, vanno percorse per riaffermare questo valore assoluto con pazienza, con disponibilità al dialogo e con la diplomazia, ma dobbiamo anche avere risolutezza e convinzione nel punire chi non rispetta l’ordine, la vita umana e soprattutto chi non rispetta le risoluzioni delle Nazioni Unite, il punto di riferimento che tutti ci siamo dati sul piano mondiale. Quindi la guerra, se ci sarà, va intesa solo come soluzione estrema, quando si fosse acclarato che l’Iraq, disattendendo le direttive dell’Onu può rappresentare, con le sue armi di sterminio di massa un pericolo reale per la pace mondiale. Certo questo balletto di aperture e chiusure di Saddam non può continuare a tempo indeterminato, occorre stringere i tempi ed avere risposte chiare e conclusive, altrimenti questo tira e molla farà diventare la guerra necessaria. A questo punto non sarà certo colpa degli Stati Uniti se ci sarà l’intervento armato. In questo caso comunque, se non saranno date garanzie sul piano di un disarmi reale noi saremo solidali con il governo americano, cui andrà il nostro leale sostegno, anche militare, se richiesto, come è successo in passato per altri scenari di guerra, quando si è operato bene insieme per la pace, la democrazia e i diritti umani.
Che gli Stati Uniti stiano assumendo un ruolo di “guardiano del mondo” può non piacere, ma questa leadership, se richiesto, come è successo in passati scenari di guerra quando si è operato bene insieme per la pace, si è affermata perché altre entità istituzionali stentano e non vogliono assumersi responsabilità politiche e militari, come l’Unione europea. Di questo certamente non se ne può fare una colpa agli Stati Uniti. Mi domando e vi domando: cosa ci riserverebbe il futuro senza il ruolo degli Stati Uniti nel mondo? Noi siamo convinti che ci saranno certamente più guerre, più violenze, più terrorismo e meno pace.
Per questo non possiamo votare la risoluzione presentata dai partiti del centro-sinistra, come crediamo sia un errore e sia a rischio di strumentalizzazione la mozione presentata dal consigliere Novelli che non abbiamo sottoscritto e che quindi non voteremo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

CARLO CICCIOLI. Non posso non ribadire la preferenza netta e forte per una politica di dialogo e di apertura delle parti e soprattutto una politica che eviti perdite di vite umane, perché comunque sia, che si abbia torto o ragione, di fatto il risultato sarà sempre lo stesso: morti innocenti, civili che saranno travolti e morti anche militari, comunque sempre vite umane.
La situazione non è facile dal punto di vista diplomatico, anche dal punto di vista delle forze e delle persone che si muovono nello scenario. Saddam non è un santo, su questo non ci piove, perché quando qui si ricordavano le migliaia di bambini che muoiono perché privati di farmaci essenziali o denutriti per le conseguenze economiche dell’embargo non si possono dimenticare i quasi 6 milioni di curdi morti negli anni, di cui qualche milione vittime della ferocia di Saddam. Nel nord dell’Iraq sono successe cose atroci, tutti ricorderanno le immagini televisive dei giornali quando interi villaggi sono stati gasati e le persone erano morte — come ci ricorda la tragedia di Pompei — mentre cercavano di allontanarsi dalle case, mentre cercavano di trovare salvezza.
Quindi sicuramente c’è da piangere su ciò che accade al popolo iracheno, ma c’è anche da piangere su ciò che è stato fatto di popoli che appartengono allo Stato iracheno ma di altre etnie.
In ballo in questo momento, più che principi umanitari ci sono le esigenze economiche: c’è il petrolio, c’è il controllo della regione, nessuno è così innocente e cieco da non vedere che altre cose si muovono dietro questo e forse si muove anche il problema dell’economia americana che ha visto il fallimento di alcuni colossi economici e, come prima ricordava il consigliere Novelli, qualche altro sta per saltare. Saltando altri gruppi economici che sono la spina dorsale e motore finanziario dell’economia americana, certamente, chi ha la responsabilità di governare quel tipo di sistema si pone il problema di come trovare sbocco alla crisi economica.
Questo non significa che Saddam non ce l’abbia messa tutta, anzi tutta e di più, perché indubbiamente il sostegno al terrorismo internazionale c’è. Anche se direttamente non appare, molte delle vicende che in questo momento stanno accadendo in Medio Oriente, in particolare nell’area della Palestina vedono Saddam protettore e finanziatore.
Quindi uno scenario complessissimo. Non è, tra l’altro, dal Consiglio regionale delle Marche che si possa esprimere una proposta influente. Il nostro documento è importante dal punto di vista morale, anche dal punto di vista dell’equilibrio, del rapporto tra le forze politiche che siedono in questa istituzione, però è assolutamente ininfluente dal punto di vista di ciò che accadrà sul campo, credo che non ci siano spazi per una nostra mediazione.
Così come difficile è la situazione del Governo italiano, che da una parte cerca le vie della pace, ma contemporaneamente è agganciato non solo ad equilibri internazionali ma anche ad equilibri all’interno dell’Ue, cioè si sta creando un blocco dell’Europa centrale che non è coerente con le esigenze economiche dell’Italia e dei paesi dell’Europa mediterranea. Questo è un altro aspetto importante.
Il sentimento è un po’ quello dell’impotenza, anche se, sicuramente, chi dovrà decidere terrà conto anche dell’opinione della gente, dell’opinione pubblica internazionale, delle mozioni e dei sentimenti dell’opinione pubblica internazionale.
Credo che l’Italia debba fare il massimo sforzo per influenzare una iniziativa di pace europea. Credo che la guerra non ci sia ancora, perché tutto sommato alcuni alleati importantissimi degli Stati Uniti d’America hanno frenato e credo che sarà importante frenare ancora, tenendo presente, però, che tutte le vicende poi hanno una fine e che se non si sblocca in altro modo la situazione, probabilmente un intervento militare diventa lo sbocco di una politica che è in corso. A meno che, per esempio, la mediazione dell’Arabia non porti a un’uscita di scena di Saddam. Se è vero che ci sono alcuni stati della penisola arabica che stanno muovendosi in questa direzione ben vengano, perché sarebbe togliere il tappo della bottiglia e dare origine ad altre scelte.
Pur condividendo alcuni passaggi della mozione del consigliere Novelli, complessivamente non la posso accettare, perché è una linea politica diversa da quella che il nostro partito sostiene volontariamente in Parlamento e da quella del Governo che sosteniamo in cui abbiamo il vicepresidente del Consiglio, ministri autorevoli, come Gasparri, Allemanno, Tremaglia ed altri, quindi non mi sento di votarla, pur condividendo alcuni passaggi, altri no. Per esempio, sulla Turchia no, perché la Turchia più diventa europea e meglio è per noi, secondo me. Il rischio politico che diventi il più estremo degli Stati arabi è grave, meglio che sia un’importante barriera europea.
Io non voterò né la mozione di Novelli né quella presentata dalla maggioranza, con l’auspicio però che in queste ore importanti accada qualcosa di positivo e non di negativo, che possa scongiurare la guerra, che tra l’altro è un problema per tutti e la perdita di vite umane che, qualunque siano le ragioni, è sempre una logica negativa che non si condivide e che comunque fa del male a esseri umani.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Franceschetti.

FAUSTO FRANCESCHETTI. Il punto essenziale della mozione di tutto il centro-sinistra che verrà posta ai voti al termine di questo dibattito, riguarda la piena consapevolezza che c’è in noi che l’assunzione della lotta al terrorismo internazionale è un punto fondamentale, oggi, nell’azione politica a livello globale, a livello mondiale, perché innanzitutto, come i fatti hanno dimostrato, le azioni terroristiche, a cominciare da quella più eclatante dell’11 settembre alle Torri gemelle, hanno come primo obiettivo la popolazione civile, non facendo distinzione, colpendo uomini, donne, persone anziane e giovani, bambini. In secondo luogo, perché queste azioni terroristiche costituiscono un effettivo pericolo per la convivenza civile a livello internazionale. Credo che costituiscano un pericolo e una fonte di arretratezza, innanzitutto per quelle popolazioni del Terzo Mondo che oggi vivono nella fame, nel sottosviluppo, al di là di quelli che sono le volontà, i proclami e le intenzioni di chi questo terrorismo applica nel mondo. Come pure c’è una grande consapevolezza che vanno esercitate tutte le forme di pressione democratica nei confronti di quegli Stati, compreso l’Iraq di Saddam che oggi esercitano forme di oppressione, di repressione delle popolazioni. Quindi nessuna giustificazione per questi regimi da parte nostra. Va tuttavia rifiutata la logica, che per la verità ho inteso poco nel dibattito odierno, ma che spesso sentiamo, per cui chi è per l’azione militare, per la guerra contro l’Iraq è per la difesa degli Stati di diritto, per la lotta al terrorismo e chi è invece contro la guerra ritiene di non dover combattere il terrorismo o per lo meno di dover assumere una forma lassista, secondaria nell’azione politica.
Noi assumiamo invece questo come uno dei punti politici importanti. Non escludo che rispetto alle forme di terrorismo possano essere esercitate anche azioni di tipo militare, ma non c’è dubbio che la risposta a quelle forme va attuata sul terreno del rispetto del diritto internazionale, del controllo democratico e dell’aiuto democratico a quelle forze che all’interno di quegli Stati dittatoriali, pur combattono la loro battaglia e va risolta soprattutto attraverso la risoluzione dei problemi di fondo, che sono i problemi della fame, del sottosviluppo, dell’arretratezza di miliardi di persone nel nostro pianeta.
Questo è quindi un punto fondamentale di riflessione nostra.
Io non sono a priori contro la guerra: ci sono state guerre in passato, anche nel passato più recente, che hanno permesso a milioni e milioni di cittadini di poter uscire da una situazione non solo di arretratezza ma di dittatura. C’è stata una seconda guerra mondiale all’interno della quale vi è stata la guerra di liberazione che ha consentito a tutta l’Europa e oserei dire a gran parte del mondo, di uscire da una dittatura feroce come quella nazista e fascista...

DAVID FAVIA. Grazie agli americani.

FAUSTO FRANCESCHETTI. Grazie anche agli americani, non c’è dubbio. Infatti la nostra critica non è agli americani o al popolo americano, ma alla gestione del governo americano in questa fase. Tuttavia, nella questione che discutiamo oggi non c’è un minimo di giustificazione per un intervento militare contro l’Iraq, perché oggi questa guerra sarebbe di carattere preventivo, giustificata solo dalla volontà del governo degli Stati Uniti di dimostrare la propria forza e la propria prepotenza sullo scacchiere internazionale. Non è giustificata in alcun modo, anche per il fatto che la missione dell’Onu non ha riscontrato alcuna prova dell’esistenza di queste armi di sterminio di massa, come ancor oggi gli Stati Uniti non hanno dimostrato all’opinione pubblica internazionale un minimo di prova sull’esistenza di queste armi.
Voglio anche aggiungere un altro aspetto che noi spesso sottovalutiamo: il ricorso a questa azione militare sarebbe un disastro anche a livello economico più generale, non per gli Stati Uniti d’America, ma sicuramente per altri paesi, compresi quelli europei. In una situazione di crisi economica come quella che viviamo, di crescita zero qual è oggi quella dell’economia italiana ed europea, questo aggraverebbe ancora di più la situazione.
Chiudo per fare un’altra osservazione. Come Viventi sono convinto — credo siamo convinti tutti noi — che la risoluzione che approveremo oggi in questo Consiglio regionale non sposterà di una virgola le posizioni di Bush o dell’amministrazione americana, purtroppo, tuttavia è anche da rifiutare questa logica per cui un consesso importante come il Consiglio regionale non debba occuparsi di questioni di questa rilevanza.
Non solo c’è un diritto di ognuno di noi ad occuparsi di questa cosa, ma c’è un dovere che ci viene dato dai nostri elettori, dalla popolazione che qui rappresentiamo, quanto meno per condizionare anche l’atteggiamento del nostro paese e soprattutto del Governo italiano ad assumere una posizione meno ambigua e meno appiattita sulle posizioni intransigenti del governo degli Stati Uniti d’America, che tra l’altro ci mette in grave difficoltà anche nel rapporto con gli altri paesi dell’Europa occidentale, a cominciare dalla Francia e dalla Germania che invece su questa questione hanno assunto una posizione del tutto condivisibile. Quindi la risoluzione che noi vogliamo approvare oggi ha questo obiettivo: spingere in avanti la ricerca di tutte quelle iniziative contro la guerra e per una soluzione pacifica del conflitto.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di risoluzione a firma Novelli — la firma del consigliere Trenta è stata ritirata — sulle mozioni n. 231, 232, 248, 258 e 259. E’ stato presentato un emendamento a firma Giuseppe Ricci. Nella seconda pagina, ove si dice “invita il Governo della Repubblica”, l’emendamento propone, di lasciare immutato il primo capoverso, sostituendo il secondo come segue: “a invitare il governo turco a non offrire il proprio territorio per organizzare e gestire basi di guerra”.
Pongo in votazione l’emendamento.

Il Consiglio approva

Pongo in votazione la proposta di risoluzione come emendata.

Il Consiglio non approva

Pongo in votazione la proposta di risoluzione presentata dai consiglieri Amati, Mollaroli, Andrea Ricci, Procaccini, Moruzzi, D’Angelo, Luchetti, Cecchini e Rocchi.

Il Consiglio approva

La seduta è sospesa. Riprenderà alle 16.


La seduta è sospesa alle 13,20