Resoconto seduta n.17 del 06/12/2005
La seduta inizia alle 10,35



Approvazione verbale

PRESIDENTE: Ove non vi siano obiezioni do per letto ed approvato, ai sensi dell’art. 29 del regolamento interno, il processo verbale della seduta n. 16 del 29 novembre 2005.


Proposte di legge
(Annuncio e assegnazione)

PRESIDENTE: Sono state presentate le seguenti proposte di legge:

— n. 65 in data 23 novembre, ad iniziativa dei consiglieri Santori, Capponi, Ceroni, Bugaro, Tiberi, Cesaroni, Giannotti e Brini: «Erogazione indennità per inabilità temporanea e malattia alle casalinghe», assegnata alla V Commissione, in sede referente e alla II Commissione per il parere obbligatorio;
— n. 66 in data 28 novembre, ad iniziativa dei consiglieri Giannotti e Solazzi: «Abrogazione della legge regionale 24 febbraio 1997, n. 19 “Aggiornamento del piano smaltimento rifiuti prima fase. Ambito di smaltimento n. 1: Fagnano di Sotto, Comune di Talamello. Modifica della tipologia dell’impianto da discarica per Rsu a discarica per inerti”», assegnata alla IV Commissione.



Proposte di atto amministrativo
(Annuncio e assegnazione)

PRESIDENTE: E’ stata presentata, ad iniziativa della Giunta, in data 29 novembre, la proposta di atto amministrativo: «Legge regionale 4 febbraio 2003, n. 2 – criteri e modalità per la concessione per l’anno 2005 di incentivi alla gestione associata intercomunale di funzioni e servizi e di contribuzioni alle unioni di comuni», assegnata alla I Commissione in sede referente, e alla II Commissione per il parere obbligarlo.


Mozioni
(Annuncio di presentazione)

PRESIDENTE: Sono state presentate le seguenti mozioni:

— n. 52 dei consiglieri Altomeni e Brandoni: «Rafforzamento delle strutture pubbliche e interventi a sostegno dei centri pubblici per l’impiego e contro la precarietà»;
— n. 53 dei consiglieri Altomeni, Amagliani e Brandoni: «Condanna Nestlè, allattamento al seno e codice etico della Regione».


Deliberazioni inviate dalla Giunta

PRESIDENTE: La Giunta ha trasmesso le seguenti deliberazioni:

— n. 1390 del 14/11/2005: «Art. 26, comma 1 della l.r. 24 dicembre 2004 n. 30 – Iscrizione nel bilancio di previsione per l’anno 2005 di entrate derivanti da assegnazione di fondi dallo Stato vincolati a scopi specifici e delle relative spese – euro 46.637,79»;
— n. 1391 del 14/11/2005: «Art. 29 della l.r. 11 dicembre 2001, n. 31 – Variazione compensativa al Programma Operativo Annuale 2005 approvato con deliberazione della Giunta Regionale n. 1678 del 28 dicembre 2004 - – Euro 12.000,00»;
— n. 1392 del 14/11/2005: «Art. 26, della l.r. 24 dicembre 2004 n. 30 – Iscrizione nel bilancio di previsione per l’anno 2005 di entrate derivanti dall’assegnazione di fondi dallo Stato e delle relative spese – Euro 12.952.170,00»;
— n. 1393 del 14/11/2005: «Art. 22, della l.r. 11 dicembre 2001, n. 31 – Variazione al Bilancio di cassa per l’anno 2005 – Euro 10.182.266,99».
— n. 1418 concernente: “Art. 40, comma 3, della l.r. 24.12.2004, n. 29 – Attuazione del decentramento amministrativo: variazione agli stanziamenti di UPB di spesa nel bilancio di previsione per l’anno 2005, conseguente al riordino delle funzioni amministrative tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali – euro 122.573,00«;
— n. 1419 concernente: «Art. 26, comma 1, della l.r. 24.12.2004, n. 30 – Iscrizione nel bilancio di previsione per l’anno 2005 di entrate derivanti da assegnazione di fondi dallo Stato – euro 4.139.707, 44”;
— n. 1420 concernente: «Art. 26, comma 1, della l.r. 24.12.2004, n. 30 – Iscrizione nel bilancio di previsione per l’anno 2005 di entrate derivanti da assegnazione di fondi da soggetti terzi vincolati a scopi specifici e delle relative spese – euro 216.000,00»;
— n. 1421 concernente: «Art. 40, comma 3, della l.r. 24.12.2004, n. 29 – Attuazione del decentramento amministrativo: variazione agli stanziamenti di UPB di spesa nel bilancio di previsione per l’anno 2005, conseguente al riordino delle funzioni amministrative tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali – euro 606.416,55»;
— n. 1422 concernente: «Art. 29, comma 2, l.r. 31/2001 – Variazione compensativa al programma operativo annuale 2005 – euro 320.138,03»;
— n. 1423 concernente: «Art. 29 della l.r. 31/2001 – Variazione compensativa al programma operativo annuale 2005 approvato con dgr n. 1678/2004 – euro 82.628,79»;
— n. 1424 concernente: «Art. 20, comma 3, l.r. 31/2001 – Prelevamento dal fondo di riserva per le spese obbligatorie per l’integrazione dello stanziamento di capitoli compresi nell’elenco n. 4 – elenco delle spese dichiarate obbligatorie – del bilancio 2005 – euro 160.000,00»;
— n. 1425 concernente: «Art. 20, comma 3, della l.r. 31/2001 – prelevamento dal fondo di riserva per spese obbligatorie del bilancio di previsione per l’anno 2005 – euro 14.384,97»;
— n. 1426 concernente: «Art. 26, comma 1, della l.r. 30/2004 – Iscrizione nel bilancio di previsione per l’anno 2005 di entrate derivanti da assegnazione di fondi dallo Stato e delle relative spese – euro 4.000.000,00»:
— n. 1427 concernente: «Art. 26, comma 1, della l.r. 30/2004 – Iscrizione nel bilancio di previsione per l’anno 2005 di entrate derivanti da assegnazione di fondi dallo Stato e delle relative spese –euro 158.673,90»:
— n. 1428 concernente: «Art. 26, comma 1, della l.r. 30/2004 – Iscrizione nel bilancio di previsione per l’anno 2005 di entrate derivanti da assegnazioni statali relative alle spese di personale trasferito e alle spese di funzionamento a seguito del conferimento di funzioni in materia di mercato del lavoro – d.lgs n. 469/97 in materia di trasporti (SEP – Capitanerie di porto) invalidi civili, salute umana e demanio idrico – d.lgs n. 112/98 – euro 3.101.990,02».



Congedi

PRESIDENTE: Hanno chiesto congedo i consiglieri Lippi, Rocchi., l’assessore Petrini e il Presidente Spacca.



Interrogazione (Svolgimento): «Adeguamento circoscrizione dei tribunali di Ascoli Piceno e Fermo» Castelli (58)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l’interrogazione n. 58 del consigliere Castelli. Risponde l’assessore Giaccaglia.

Gianni GIACCAGLIA. A seguito della interrogazione del consigliere Castelli sono stati richiesti alla procura generale della Repubblica presso il tribunale di Ancona utili elementi di valutazione.
Con lettera del 28 novembre u.s. il procuratore generale, dott. Gaetano Dragotto ha inviato, affermando la propria piena condivisione, le relazioni che al riguardo sono pervenute dal dott. Franco Ponticelli e dal dott. Piero Baschieri, rispettivamente procuratore della Repubblica di Ascoli Piceno e procuratore della Repubblica di Fermo.
Leggo la relazione del dott. Ponticelli, procuratore della Repubblica di Ascoli Piceno: “L’accorpamento dei Comuni già ricompresi nell’ambito della competenza della soppressa pretura di Ripatransone (Cossignano, Cupramarittima, Grottammare, Massignano, Montefiore dell’Aso, Ripatransone) alla sezione distaccata di San Benedetto del Tronto del tribunale di Ascoli Piceno risponderebbe sicuramente a criteri di maggiore razionalità nella distribuzione delle sedi giudiziarie, favorendo l’utenza e la classe forense, stante la maggiore vicinanza e facilità di accesso agli uffici di San Benedetto del Tronto rispetto a quelli del tribunale di Fermo. Tale considerazione vale soprattutto con riferimento ai Comuni di Grottammare (il cui centro è vicinissimo a quello di San Benedetto del Tronto) e Cupramarittima, ma analoghi vantaggi appaiono evidenti anche per gli altri quattro Comuni, seppure in misura minore.
E’ peraltro evidente che una revisione della geografia giudiziaria nel senso proposto dal consigliere Castelli non potrebbe prescindere da un previo rilevamento dei carichi di lavoro derivanti dall’attuale situazione e da una conseguente revisione delle piante organiche degli uffici giudiziari di Ascoli Piceno che allo stato attuale non sarebbero in condizione di fronteggiare efficacemente il peso delle nuove sopravvenienze.
Sotto il profilo logistico la struttura della sede di San Benedetto del Tronto, anche a seguito di recenti ristrutturazioni, appare sin da ora idonea ad assorbire i maggiori impegni conseguenti all’eventuale accorpamento in oggetto”.
Do adesso lettura della risposta del procuratore Piero Baschieri della procura della Repubblica di Fermo: “L’interrogante, consigliere regionale Castelli, chiede al Presidente del Consiglio regionale delle Marche se e quali iniziative concrete intenda assumere per favorire presso gli organi competenti affinché vengano rettificati gli elenchi dei Comuni costituenti i circondari dei tribunali di Ascoli Piceno e Fermo così da superare le attuali gravi anomalie e razionalizzare la distribuzione nel territorio piceno dell’attività giudiziaria.
In materia ritengo essenzialmente che on vi sia competenza veruna, né del Presidente, né del Consiglio regionale delle Marche per tali “modifiche” che sono oggetto di esclusiva riserva di legge.
E’ di tutta evidenza che, come primo effetto della recentissima (poco più di un anno) istituzione della provincia di Fermo, dovrà venir ridisegnata — con legge dello Stato — la geografia giudiziaria dei tribunali interessati, Ascoli Piceno e Fermo in prima sostanziale misura e, perifericamente quindi, Macerata. Disegno che non potrà che adeguarsi a sua volta alla nuova mappa amministrativa della provincia di Fermo anch’essa da definirsi con legge dello Stato.
Prima dell’emanazione di tali norme, nessuno potrà essere distolto dal suo “Giudice naturale precostituito per legge”, che, allo stato, è quello designato dalle norme dell’ordinamento giudiziario in tema di circoscrizioni giudiziarie”.
Preso atto delle considerazioni svolte dai due procuratori va tuttavia aggiunto che questa Regione, nel pieno rispetto delle prerogative dei competenti organi statali, seguirà con attenzione, presso le sedi dovute, le modalità di riorganizzazione della struttura giudiziaria dei tribunali di Ascoli Piceno e di Fermo a seguito della istituzione della nuova provincia del Fermano.
Al riguardo desidero inoltre ringraziare il consigliere Castelli per la utile segnalazione, che ha voluto fare pervenire agli uffici di gabinetto della presidenza della Giunta regionale, relativa alla nota del sindaco di Ripatransone in merito al servizio svolto dal locale ufficio del giudice di Pace.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Castelli per dichiararsi soddisfatto o meno.

Guido CASTELLI. Non posso che ringraziare il Presidente della Giunta Spacca per l’attenzione con cui ha seguito questo problema che avevo posto con un’interrogazione riferita a un ente, un organismo, la Regione che, pur non avendo diretta competenza in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, comunque rappresenta un utile punto di riferimento perché possa essere mantenuto, e soprattutto assecondato un processo di attenzione verso iniziative che già pendono in Parlamento rispetto a questa problematica. C’è una nuova provincia, curiosamente le circoscrizioni giudiziarie che si riferiscono a Fermo e Ascoli non sono coincidenti con l’ambito delle due nuove province, ma è proprio la provincia di Fermo che si estende fino ad abbracciare una cittadina, Grottammare, che può essere considerata attigua alla città di San Benedetto.
Ho posto questo problema perché è parte di una questione più ampia. Spesso io ho cercato di rammentare al Presidente della Giunta regionale e al Consiglio tutto come l’istituzione della quinta provincia marchigiana in realtà apre uno scenario tutto nuovo che non può essere semplicemente risolto con l’atteggiamento di chi dice “c’è una nuova provincia”. Innanzitutto ce ne sono due di nuove province, perché anche la dimensione residua della provincia di Ascoli Piceno fa sì che debba essere riservata un’attenzione particolarissima anche alla porzione che resta in carico al capoluogo Ascoli Piceno, ma in secondo luogo il problema delle due nuove province è questione che coinvolge la Regione in tutto l’insieme della programmazione che promana da questo ente. E’ un problema dunque, che si deve affrontare avendo presente la possibilità di una duplice soluzione: la Regione, rispetto ai suoi compiti di programmazione che fanno riferimento all’individuazione di ambiti di aree vaste, di elementi territoriali provinciali, deve poter optare tra la rivisitazione complessiva di tutto il sistema programmatorio, in maniera tale che ciò che prima era diviso per quattro province sia oggi, invece, diviso e programmato per cinque, e questa è un’operazione meramente matematica, che dovrebbe però essere fatta, perché tanti strumenti di programmazione, non ultimo quello relativo alla riforma sanitaria, lo impone; oppure continuare a mantenere una programmazione che fa riferimento a quattro aree vaste, al di là delle formalità amministrative della circoscrizione della quinta provincia, ma inevitabilmente favorire un modus di convivenza e di concertazione fra Ascoli e Fermo. Queste sono le due scelte. La cooperazione fra Ascoli e Fermo è una scelta in maniera tale che la programmazione regionale rimanga identica a se stessa, e mi pare che sul piano sanitario si pensa di orientarsi in questa maniera: lasciamo ferma la legge 13 che faceva riferimento alle province, perché in sé contiene un aspetto e un principio che non è meramente amministrativo, la provincia, ma l’area vasta, e l’area vasta continua a essere Ascoli-Fermo. Se questa è la strada è inevitabile che anche l’atteggiamento amministrativo, la concezione di provvedimenti che presuppongono stanziamenti, impegni di spesa a favore del territorio deve poter contenere anche gli strumenti amministrativi per favorirla quella cooperazione o quella concertazione. Diversamente, come pure da altri settori della politica ascolana e fermana si chiede, la scelta dovrebbe essere quella di dire con risolutezza “no, sono ambiti separati, ciascuno ha diritto di poter esprimere i propri orientamenti senza l’obbligo di una concertazione con il vicino di casa”, ma a quel punto, necessariamente, la Regione dovrebbe reimpostare la filosofia dei propri grandi strumenti di programmazione: la 46, il Pit, le riforme urbanistiche e quant’altro. E’ un lavoro importante. Nel merito della questione non posso che ringraziare i due procuratori, in particolare quello di Ascoli Piceno, che hanno mostrato di condividere un’esigenza che, ripeto, è rimessa alla competenza del Parlamento nazionale, che credo che prima dell’estate abbia dato in Commissione giustizia il proprio assenso a che la revisione delle circoscrizioni e dei tribunali di Ascoli e Fermo segua l’impostazione che avevo suggerito. Sarebbe opportuno — e mi riprometto di farlo con il Presidente Spacca — che una sollecitazione, anche concreta e documentale, provenisse dalla Regione al Parlamento e al Governo in maniera tale che questi ultimi spiccioli di legislatura possano salutare questo provvedimento che gli stessi operatori di giustizia condividono e ritengono utile.



Interrogazione (Svolgimento): «Grave fenomeno dell’erosione costiera» D’Anna (137)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l’interrogazione n. 137 del consigliere D’Anna. Risponde l’assessore Carrabs.

Gianluca CARRABS. Premesso che durante il mese di Ottobre 2005 i tecnici della Regione Marche hanno completato i rilievi topo-batimetrici del tratto di litorale compreso tra il porto di Fano e la foce del Fiume Metauro, dall'esame di detti rilievi è emerso che gli interventi da realizzarsi nel comune di Fano sono quelli previsti dal piano di difesa della costa. L'Amministrazione regionale ha provveduto al reperimento di due finanziamenti per complessivi euro 825.000,00 necessari per la realizzazione di due interventi di difesa della costa che rivestono carattere di urgenza e precisamente:
euro 675.000,00 per la realizzazione di un pennello in viale Ruggeri ed il ripristino della mantellata di scogliera radente nei tratti più deteriorati, oltre al contributo del Comune pari a euro 168.750,00 per un importo complessivo di euro 843.750,00; euro 150.000,00 per il rafforzamento del pennello esistente sulla sponda sinistra della foce del fiume Metauro (decreto n. 12 POP.09 già emanato il 2 dicembre 2005).
La progettazione delle suddette opere di difesa sarà completata da parte della Regione entro la prima metà del corrente mese di dicembre. Presumibilmente tali lavori, rivestendo carattere di urgenza, in quanto per viale Ruggeri la mancata difesa costiera provoca danneggiamenti all'infrastruttura stradale di viale Ruggeri che ha già registrato numerosi danni sia per quanto riguarda la pavimentazione stradale sia riguardo la sicurezza stradale relativamente al transito di una strada di notevole importanza per il quartiere; per la foce del fiume Metauro l'erosione di spiaggia con conseguente arretramento della linea di costa induce pericolo per gli abitati che insistono immediatamente a ridosso dell'attuale linea di riva, facendo rientrare inoltre l'intervento come atto dovuto ai sensi dell'ormai datata legge n. 542/1907, potranno essere approvati ed appaltati dal comune di Fano, con il quale si rimane contatto per il raggiungimento dell'obiettivo comune, entro l'anno in corso.
Per quanto attiene l'ultimo punto dell'interrogazione, si precisa che l'Amministrazione regionale è costantemente impegnata nella ricerca della completa copertura finanziaria necessaria per la realizzazione di tutte le opere previste dal piano di difesa della costa per il tratto di costa relativo all'unità fisiografica n. 6 del piano stesso, sia utilizzando le eventuali economie provenienti da altri interventi in corso sia nella ricognizione di altri possibili finanziamenti.

PRESIDENTE. Ha la parola, per dichiararsi soddisfatto o meno, il consigliere D’Anna.

Giancarlo D’ANNA. Ringrazio l’assessore Carrabs, anche se, rivestendo questo ruolo da pochissimo tempo, conosce solo in parte i problemi dell’erosione marina, soprattutto per quello che riguarda il tratto di costa interessato da questa interrogazione. Deve sapere, assessore, che nel corso degli anni, soprattutto quel territorio del lungomare della città di Fano, ma anche in parte di Pesaro e Torrette-Marotta, è stato letteralmente martoriato e intere attività commerciali sono a rischio, alcune hanno dovuto addirittura ridimensionare il loro lavoro (sto parlando di concessioni balneari che ogni anno sono assolutamente in difficoltà). Gli interventi sono stati sempre pochi, alcuni mal fatti. Non è un caso che le barriere soffolte di cui lei accenna una ricostruzione, non corrispondono alle caratteristiche previste dalla normativa, nel senso che non hanno quell’ampiezza tale da consentire di non creare situazioni che addirittura, in qualche punto della costa, hanno creato più problemi che trovato soluzioni. Quella di via Ruggeri è una situazione drammaticamente pericolosa, l’acqua ha scavato e continua a scavare sotto la strada, ogni inverno la strada viene bloccata per 15-20 giorni, mi sembra difficile che il programma che avete previsto si possa concludere entro il mese di dicembre perché rimangono ancora sì e no 20 giorni e non credo che le condizioni meteorologiche e i tempi ristretti consentano di fare un’operazione in questo periodo dell’anno. E’ sconcertante la risposta che viene data su questo argomento che le hanno fornito i tecnici. Non si è mai visto che in pieno dicembre, con il tempo che c’è in questi giorni, si vadano a porre delle scogliere in mezzo al mare. Tra le altre cose c’è una situazione a rischio. Vi faccio presente una lettera che mi è stata consegnata da un club anziani con tanto di firme (600 sono gli aderenti a questa associazione) che dicono: “Gentilissimo D’Anna, in seguito all’ultima mareggiata che ha procurato gravissimi danni al patrimonio comunale in concessione al centro sociale anziani Madonna Ponte, ti rendo partecipe dello stato di apprensione che si è venuto a creare tra i soci del club anziani e del sottoscritto in veste di presidente. Lo stato attuale della costa antistante la sede del centro sociale sarà certamente peggiorato dalle eventuali mareggiate nel corso dell’inverno”. Si sono persi dieci metri di arenile, praticamente l’acqua è a ridosso di questo edificio che ospita il club anziani, c’è, oltre a queste due realtà — questa sulla foce del Metauro, in questi giorni drammaticamente alla ribalta, l’altra qualche chilometro più in giù — un’altra situazione difficilissima e pesante dal punto di vista sia economico che strutturale tra Torrette e Marotta dove ogni anno il Comune di Fano cerca di agevolare un ripascimento della spiaggia con quella sabbia che puntualmente viene erosa.
Credo che questa sia la conseguenza di una serie di interventi mal fatti nel corso degli ultimi decenni, anche quando la competenza non era della Regione. Oggi paghiamo delle conseguenze pesanti, però permettetemi di dire che qui va fatto un intervento chiaro, va rivista tutta la situazione, perché fino ad oggi sono state poste delle pezze in un luogo per poi avere problemi qualche centinaia di metri subito dopo.
Ripeto, ci sono delle situazioni veramente al limite del drammatico e del pericoloso. Chiedo di intervenire con forza. Le risorse che lei ha citato, assessore, purtroppo non sono sufficienti perché sono state evidentemente segnalate solo per quelle due realtà, ce ne sono altre che riguardano il resto della costa. Abbiamo focalizzato l’attenzione soprattutto su quelle due località perché sono quelle che vivono la situazione più difficile.
Quindi non mi ritengo assolutamente soddisfatto e credo che su questa cosa dobbiamo tornare, come dobbiamo, a mio avviso, anche rivisitare la normativa che prevede l’assegnazione di fondi alle varie località con la compartecipazione dei Comuni. Dovrebbe essere distinta l’emergenza da altri tipi di interventi. Non è possibile che un comune povero non possa poi avere dei fondi perché non contribuisce alla spesa. Questo è assolutamente assurdo e se, volete, sotto un certo punto di vista ridicolo e anche penalizzante. Va rivista l’attribuzione dei vari contributi. O si aumentano notevolmente i fondi per l’emergenza o si valuta un discorso diverso per l’assegnazione dei fondi.



Interpellanza (Svolgimento): «U.G.L. Unione Generale del Lavoro — Esclusione dal comitato di concertazione per la politica industriale e artigiana — l.r. 20/2003 — art. 7» Pistarelli (6)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l’interpellanza n. 6 del consigliere Pistarelli, che ha la parola per illustrarla.

Fabio PISTARELLI. Questa interpellanza è un atto che scaturisce da un episodio specifico che ho illustrato nella parte motiva della stessa interpellanza, ma fa seguito ad una serie di vicende analoghe che hanno preceduto e purtroppo seguito questo atto. Non è la prima volta che o nelle fasi degli incontri con le parti sociali o nella richiesta di pareri che le Commissioni e la Giunta compiono come attività di predisposizione degli atti legislativi o regolamentari della Regione, o nelle concertazioni che devono essere compiute in forza di legge, o ancora nelle integrazioni delle rose che devono essere predisposte e presentate per quanto riguarda enti, soggetti, consulte e commissioni, non si è tenuto conto della presenza, del coinvolgimento dell’Unione generale del lavoro, uno dei sindacati maggiormente rappresentativi a livello nazionale. E’ uno dei sindacati che con Cgil, Cisl e Uil è titolato, in forza di un riconoscimento nazionale, ad essere presente in tutti i passaggi che richiedono una concertazione, un coinvolgimento delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, così definite dalla legge.
Questo mio atto vuol essere in maniera duplice: da una parte una richiesta di immediate spiegazioni all’Esecutivo, dall’altra una richiesta di un rispetto del dato normativo da qui per il futuro, perché a mio avviso si sta parlando di una violazione del dato normativo. Anche da ultimo mi hanno segnalato, più di un esponente sindacale, che in assessorato trasporti c’è stato un incontro che ha visto la presenza, con l’assessore delle organizzazioni Cgil, Cisl e Uil, poi, in un secondo momento e in dialogo con il solo dirigente, l’Ugl. Due tavoli separati, uno, tra l’altro, di diretta espressione assessorile e un altro espressione dei servizi. Questo non mi pare un modo corretto di fare concertazione, soprattutto un modo corretto di rispettare un dato normativo. Quando si parla di “sindacati maggiormente rappresentativi” si parla di sindacati che sono Cgil, Cisl e Uil e Ugl, perché questo è il riconoscimento avuto dagli organismi preposti a livello nazionale. Perciò ritengo che da oggi possa essere corretta, ascoltati i chiarimenti della Giunta, una stortura che abbiamo notato in più aspetti della nostra vita istituzionale e del lavoro che la Regione svolge, sia in sede di Consiglio e di Commissioni consiliari, sia in sede di Giunta.

PRESIDENTE. Ha la parola, per la risposta, l’assessore Giaccaglia.

Gianni GIACCAGLIA. Il comitato di concertazione per la politica industriale e artigiana è previsto dall'articolo 7 della legge regionale 28 ottobre 2003, n. 20 che ne disciplina composizione e funzioni.
In merito alla composizione la norma prevede che il comitato è istituito dalla Giunta regionale presso la struttura regionale competente, è presieduto dall'assessore competente in materia di industria e artigianato o suo delegato ed in esso sono presenti rappresentanti delle organizzazioni datoriali maggiormente rappresentative nei settori industriale e artigiano, nonché delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative.
La deliberazione di Giunta regionale n. 779 del 20 giugno 2005 ha istituito il comitato prevedendo la partecipazione dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UIL in quanto organizzazioni maggiormente rappresentative, già presenti negli organismi informali di concertazione per la politica industriale, prima della L.R. 20/2003. Allo stesso modo il comitato tecnico contempla la presenza dei rappresentanti delle medesime organizzazioni di categoria.
La norma non prevede un numero massimo di componenti del comitato per cui lo stesso può essere stabilito discrezionalmente dall'Amministrazione regionale.
La Giunta regionale ha interesse a consentire la massima partecipazione delle parti sociali alla definizione delle politiche di sviluppo produttivo regionale ed è dunque sicuramente disponibile a consentire un ampliamento della composizione del Comitato nel rispetto della funzionalità dello stesso, previa verifica del livello di rappresentatività dell'Ugl.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Pistarelli, per dichiararsi soddisfatto o meno.

Fabio PISTARELLI. La risposta dell’assessore mi sembra sia stata un po’ troppo evasiva. Il problema mi pare ci sia tutto, sia legislativo che regolamentare. Quando parla di associazioni di categoria, di sindacati maggiormente rappresentativi, non si possono fare distinzioni partitico-politiche. Non si può fare la distinzione tra sindacati che hanno un certo orientamento e altri che hanno un altro orientamento. Questo è il concetto che si vuole esprimere con questa interpellanza. Se un’associazione sindacale è maggiormente rappresentativa a livello nazionale — e non lo stabiliamo noi ma un riconoscimento nazionale — questo deve essere tenuto presente in tutti i nostri lavori. Nelle Commissioni l’invito deve essere fatto alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, tutte; nei comitati, tutte le associazioni sindacali maggiormente rappresentative devono essere coinvolte. Non possono essere fatte delle discriminazioni.
Si è purtroppo, nel passato, verificato che non ci sono state stesse pari condizioni. Addirittura continua ad esserci un atteggiamento per cui entrano i sindacati Cgil, Cisl e Uil e vogliono un tavolo separato rispetto all’Ugl. Lo vogliono gli stessi sindacati. Non so se questo è un atteggiamento che debba contraddistinguere l’opera di un’associazione sindacale, che deve essere, appunto, dalla parte dei diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori, compresi anche quelli non iscritti a nessun sindacato.
Perché addirittura all’interno del mondo sindacale si deve fare una discriminazione, chiedendo tavoli separati? E’ successo la scorsa settimana presso l’assessorato ai trasporti: sono stati invitati Cgil, Cisl e Uil con l’assessore e l’Ugl tre ore dopo con il dirigente, da sola, a sapere che cosa era successo nel primo tavolo. Può essere una cosa del genere? Questa interpellanza nasceva da un altro fatto specifico: la nostra norma dice che le associazioni sindacali maggiormente rappresentative sono da coinvolgere nel comitato di concertazione per la politica industriale e artigiana, passaggio molto importante che abbiamo discusso anche in sede di Statuto. Per quanto importante questo organismo che integra il mondo del lavoro con l’istituzione ecc., anche in questo caso è accaduto che le associazioni sindacali coinvolte sono state Cgil, Cisl e Uil.
Questa non penso che sia una cosa accettabile, a meno che non si voglia mettere in discussione un riconoscimento nazionale. Allora lo mettiamo in discussione per tutti, Uil, Cisl e Cgil compresi, perché o c’è il riconoscimento, e conseguentemente si fa quello che le nostre norme dicono, oppure no. Però vale per tutti questa regola.
Mi pare che sia un argomento molto serio perché su queste questioni non debba essere più fatta assolutamente nessuna distinzione o discriminazione di carattere partitico-politico che non c’entra nulla non dovrebbe entrarci nulla con la presenza, l’impegno, il ruolo di un sindacato nel momento in cui viene coinvolto, come parte sociale, nella discussione della sostanza di un dato o atto normativo e regolamentare che stiamo predisponendo.
Questo è l’appello che rivolgo ancora alla Giunta, all’intero Consiglio ma anche ai presidenti di Commissione che devono essere, anche loro, parti attive nel momento in cui si coinvolgono le parti delle categorie sociali, affinché questi atti non si ripetano per il futuro.

Presidenza del Presidente
LUIGI MINARDI


Ordine del giorno della seduta

PRESIDENTE. Se l’aula è d’accordo, potremmo procedere alla discussione delle proposte di deliberazione nn. 2 e 3, posticipando la discussione della proposta di legge n. 63.

(Così rimane stabilito)





Proposte di deliberazione (Discussione generale):
«Richiesta di referendum ex art. 138 della Costituzione della legge costituzionale: “Modifiche alla parte II della Costituzione” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana 18 novembre 2005, n. 269”» Favia, Giannini, Brandoni, Solazzi, Rocchi, Binci, Mammoli e Procaccini (2)
«Designazione di un delegato effettivo e di un delegato supplente agli effetti stabiliti nella legge 25 maggio 1970, n. 352: “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo”» Favia, Brandoni, Giannini, Solazzi, Rocchi, Binci, Mammoli e Procaccini (3)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le proposte di deliberazione nn. 2 e 3 ad iniziativa dei consiglieri Favia ed altri.
Ha la parola il relatore di maggioranza, consigliere Favia.

David FAVIA. Signor Presidente, colleghi consiglieri, voglio, preliminarmente, ringraziare i presidenti di gruppo di maggioranza e, attraverso loro, i colleghi consiglieri di maggioranza che hanno avuto la sensibilità di proporre con immediatezza la delibera di richiesta referendaria contro la riforma costituzionale cosiddetta della “devolution”, dando così mostra di grande spirito civico e di attaccamento alle istituzioni. Grazie a ciò, le Marche avranno l’onore di essere la prima regione a proporre il referendum, ai sensi dell’art. 138 della Costituzione contro una riforma sbagliata e pericolosa che ha visto la luce solo per un terribile mercimonio fra interessi privati, politici e non.
Per la prima volta la nostra Costituzione è stata messa sul tavolo della trattativa politica sottraendola al dibattito istituzionale.
Mi sia consentito criticare entrambe le recenti riforme costituzionali in quanto fatte a colpi di maggioranza rilevando, pur tuttavia, la superiore gravità dell’ultima alla quale la prima funge da flebile scusante, come se ad uno schiaffo si fosse risposto con una fucilata.
Colleghi consiglieri, vi chiediamo di votare questa delibera perché la riforma costituzionale proposta, per condividere le parole della proposta deliberativa calabrese, analoga alla nostra, “stravolge” i principi fondanti dell’unità del paese, mortifica i principi di solidarietà e uguaglianza contenuti nella prima parte della costituzione apparsi fino ad oggi intangibili e deprime i poteri del Parlamento, massima espressione della sovranità popolare nei confronti del potere esecutivo. Oppure, per condividere anche le parole di analoga delibera della Campania, perché la riforma incide “profondamente sull’assetto degli organi costituzionale della Repubblica, alterandone il pluralismo e l’equilibrio dei poteri”. E’ nostra convinzione che la riforma costituzionale in argomento modifica profondamente la Costituzione, sostituisce o modifica ben 49 degli 85 articoli della sua II parte e ne aggiunge 3.
Si tratta in sostanza di una nuova Costituzione che: frammenta e disarticola il sistema dei diritti sociali fondamentali dei cittadini, quali il diritto alla salute e all’istruzione; attua un federalismo (meglio sarebbe dire pseudo federalismo) che non prevede eguali condizioni di vita, ma discrimina i cittadini in relazione alla regione di appartenenza ma discrimina i cittadini in relazione alla regione di appartenenza; introduce una forma di controllo sulle leggi regionali (l’interesse nazionale) affidata agli equilibri politici del momento (controllo parlamentare) e non di legittimità (giudizio affidato alla Corte costituzionale) , tale da aprire le porte ad ingerenze e conflitti di ogni tipo; introduce un nuovo bicameralismo di difficile comprensione, che assegna al Senato federale, non legato alle sorti del Governo da alcun tipo di rapporto fiduciario e che non subisce le conseguenze di eventuali crisi di Governo, competenze riguardanti materie attinenti la sfera tipica dell’azione di Governo (quale la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente); rafforza il ruolo del Presidente del Consiglio (rectius del Primo Ministro) e del suo Governo all’interno di un sistema che contemporaneamente indebolisce tutte le istituzioni di garanzia (a cominciare dalla Corte costituzionale passando per il Presidente della Repubblica) e non crea nessuno dei contrappesi che, a cominciare dal Parlamento, devono caratterizzare un sistema di democrazia ben funzionante.
Volendo scendere ancor più nel dettaglio una volta enunciati i principi che ci portano ad opporci a questa riforma costituzionale, siamo contrari: all’inconcepibile abbassamento dell’età necessaria per accedere alle cariche di senatore e di Presidente della Repubblica; al fatto che i rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali parteciperebbero all’attività del Senato federale senza diritto di voto; al fatto che le deliberazione del Senato federale non sarebbero valide se non in presenza di senatori, espressi da almeno un terzo delle Regioni, con abbandono del molto più oggettivo principio numerico; alla umiliante supremazia del primo ministro e del Governo sul Parlamento, che si sostanzia, oltre che nell’aberrante facoltà conferita al primo ministro di sciogliere le Camere ad libitum, nella possibilità per il Governo di imporre scorciatoie parlamentari per i propri disegni di legge. Per non parlare del fatto che è prevista la decadenza dell’assemblea legislativa anche in caso di dimissioni, morte o impedimento permanente del primo ministro, salva la ridicola procedura della “sfiducia costruttiva”, resa praticamente improcedibile dal vincolo di vedere la mozione relativa sottoscritta dalla maggioranza dei deputati, col vincolo di appartenenza alla maggioranza. La Camera, peraltro, sarebbe chiamata ad esprimersi solo per l’approvazione del programma di Governo e non anche per la fiducia al gabinetto che sarebbe costituito e sostituito dal primo ministro, sempre “ad libitum”; le competenze esclusive delle Regioni non possono che far prevedere una lacerazione dell’unità nazionale e una finale sostanziale, di parità di trattamento tra cittadini italiani appartenenti a regioni diverse nei fondamentali campi della sanità, dell’istruzione, e di chissà quant’altro nascosto nelle pieghe della norma residuale di cui alla lettera e) del nuovo IV comma dell’art. 117 della Costituzione.
In cauda venenum: l’art. 57 della riforma che programma entro tre anni l’attuazione dell’art. 119 della Costituzione (centralismo fiscale) rappresenterà il totale abbandono della solidarietà nazionale delle Regioni più ricche verso quelle più povere, abbandonando queste ultime a rischio di un triste ottocentesco destino (il famoso decentramento fiscale o federalismo fiscale).
Vi invito pertanto a votare la presente delibera e quella collegata di nomina dei delegati effettivo e supplente la presentazione del quesito alla Corte di cassazione.

PRESIDENTE. Ha la parola il relatore di minoranza, consigliere Massi.

Francesco MASSI GENTILONI SILVERI. Dico subito che la Casa delle libertà in tutte le Regioni, quindi anche in questa, è assolutamente favorevole allo svolgimento del referendum, quindi nulla quaestio e nessun ostacolo a che questa procedura sia attivata. La chiediamo come maggioranza parlamentare, oltre che come gruppi consiliari in tute le Regioni, ma la chiediamo per motivi completamente opposti a quelli qui espressi dal collega Favia che ha naturalmente la piena legittimità di valutare la riforma nel modo secondo me eccessivo con cui ha espresso le rispettive motivazioni.
Purtroppo — e lo dico da cittadino e, prima ancora, come rappresentante delle istituzioni — ancora una volta un passaggio importante nella vita costituzionale di questo paese viene “drogato” da situazioni meramente politiche sulle quali il cittadino non ha avuto la dovuta informazione, perché vittima di mistificazioni e purtroppo di informazioni assolutamente rovesciate e avvelenate, perché non c’è stato un dibattito sereno, in quanto caduto a ridosso delle prossime elezioni.
Sul piano squisitamente politico voglio dire ai colleghi del centro-sinistra che è difficile prendere lezione da chi ha voluto gli ultimi giorni della passata legislatura, portare avanti una riforma con quattro voti di maggioranza in Parlamento, purtroppo — so che il collega Favia su questo è d’accordo — introducendo una consuetudine che poi si è consolidata, perché è chiaro che tutti avremmo voluto una condivisione complessiva, a larga maggioranza dei Parlamenti, della precedente e di questa legislatura, con le minoranze del momento.
Quindi una riforma che è partita avvelenata dal 2001, con la famosa legge costituzionale 3, fino ad oggi. Però credo che noi abbiamo il dovere, anche in quest’aula, di lanciare un messaggio ai cittadini, almeno per interessarli a un dibattito, a un contenuto che va assolutamente visto scevro da contaminazioni di tipo politico. So che è un’utopia, perché parliamo dell’alta politica quale tutti vorremmo che fosse. Ma dico al collega Favia e ai colleghi del centro-sinistra: il bicameralismo perfetto vigente in Italia è stato considerato un caso costituzionale anomalo in tutto il mondo, giustificato sicuramente dal momento costituente del 1948 ma non più funzionale all’iter procedimentale delle leggi. Quante volte — questo lo dico da democratico cristiano: lo sanno gli amici della Margherita, di Forza Italia, dell’Udeur e tutti quelli che hanno vissuto la prima Repubblica del pentapartito ma anche gli amici del Pci — abbiamo detto che la seconda Camera doveva essere la Camera delle autonomie locali? Si è detto fin dagli ani ‘80, lo accennavano già nei “sacri testi”, sia Sandulli che Lavagna, lo stesso prof. Capotosti che ha insegnato anche all’università di Macerata. Poi è arrivata la situazione federale a modificare ed accentuare quello, ma che il bicameralismo perfetto dovesse avere una conclusione in questo paese era un dato acquisito da tutti.
La questione della legislazione concorrente ed esclusiva. Cari amici, non possiamo sottacere il fatto che la Corte costituzionale in questi quattro anni è stata ingolfata dal contenzioso Stato-Regioni, un contenzioso originato dalla riforma fatta dal centro-sinistra. E’ vero o no che abbiamo avuto un contenzioso extra ordinem abnorme per questo paese?
Se si cerca di fare chiarezza — e adesso parleremo di sanità, scuola e polizia locale — credo che questo sia a vantaggio di tutto il sistema.
I poteri del premier. Ma quando mai — nella prima Repubblica l’abbiamo vissuto tutti: 40 anni, 40 governi — il premier si è recato al Quirinale, di fronte a crisi extraparlamentari? Quante volte c’è stato lo scioglimento del Parlamento perché il premier ha detto “non c’è più nessuna maggioranza”? Non facciamo gli ipocriti. Quante volte ci sono state crisi che nessuno ha capito in questo paese? Cercate di apprezzarlo, perché lo dico da democratico cristiano. Spesso riguardava uomini del mio partito, che si sono recati al Quirinale senza altre soluzioni. Non che il presidente della Repubblica ha risolto le crisi parlamentari in questo paese. Ma quando?
Si dice che si sottrae al presidente della Repubblica quota delle nomine dei giudici costituzionali. Ma quante volte negli atti parlamentari è stato detto che i giudici parlamentari, come avviene in altri paesi — Austria, Spagna, Francia — hanno una nomina di derivazione regionale o comunque espressione del decentramento autonomista?
Sto ripetendo cose che tanti di voi del centro-sinistra hanno sempre detto. Non potete cambiarle secondo le stagioni delle maggioranze politiche. Cari amici e compagni, debbo forse tirarvi fuori l’articolo di Augusto Barbera? L’avete messo in soffitta quest’uomo? Vi dice “ma di quali lacerazioni state parlando?”. Questa riforma io la interpreto in maniera opposta alla vostra per un altro motivo: questo è un riaccentramento statale e statalista, cari amici. A me non mette paura, non mi faccio condizionare da quello che va dicendo Bossi, che qualcosa doveva vendere al suo elettorato. Gli fa fare le feste sulle rive del Po e che cosa ha ottenuto, Bossi, con questa devolution? I nostri partiti — An, Dc e Forza Italia — hanno introdotto la clausola di interesse nazionale, che per me autonomista — vengo da una scuola autonomista forte, quella sturziana — è eccessiva. E’ il contrario di quello che dite voi. Ma quale lacerazione? Dato che si parla di lacerazione, i sindacati hanno parlato di violazione dei diritti umani e umanitari sul territorio e anche l’amico Favia ha parlato del tessuto dei diritti sociali, vi faccio una domanda: alzi la mano chi mi può dire che se Gian Mario Spacca e il suo governo decidono di chiudere l’ospedale di Cagli o di Fabriano o di San Severino o Tolentino ci salva il Governo. Ma non facciamo gli ipocriti. La sanità è in mano alla Regione totalmente. Poi andate a Roma alla Conferenza Stato-Regioni a chiedere qualche soldo in più o in meno, ma voi fate il programma, voi fate il piano. Non possiamo fare niente né se sprecate, né se chiudete, né se chiudete i pronto soccorso, se sopprimete i posti dei primari.
Non facciamo gli ipocriti: la clausola di interesse nazionale, insieme alla lettera m) dell’articolo 123 che fissa l’obbligo della legislazione per i livelli di assistenza, quindi la possibilità di intervenire nel modo perequativo non c’era neanche nella prima Repubblica. Qualcuno può dire che i servizi all’ospedale di Catanzaro, nella prima Repubblica erano uguali a quelli di Varese? Chi lo può dire? Parlo di quando regnava la Democrazia cristiana: le sperequazioni c’erano e come, perché anche voi protestavate. Chi perequava? Sapete chi perequava? Il politico del territorio che riusciva a portare i finanziamenti dalle sue parti, quindi Gasperi in Abruzzo, Misasi in Calabria. Sono monumenti da fare a quei personaggi che, di fronte a una legislazione incompleta, riuscivano a perequare. (Interruzione). Lascia stare, perché sulla “Quadrilatero” c’è proprio la firma della vostra contraddizione. Voi volete una garanzia statale e statalista, perché secondo voi le Regioni operano in maniera sperequata in tutto il territorio e quindi avete fatto ricorso alla Corte costituzionale dicendo che la grande opera la volete fare voi, poi a livello nazionale dite che la grande opera la deve fare lo Stato. Ma è esattamente il contrario di quello che dite, questa è contraddizione. Dentro i vostri partiti ne parlate o no?
La scuola. La nostra discussione sulla scuola è ancora carente. Siamo indietro nella programmazione della scuola, complessivamente.
La garanzia che lo Stato fa i programmi o fa i contratti generali di lavoro, basta o non basta? Della cultura regionale che viene introdotta per una certa quota di ore ne parlavate voi nella precedente legislatura. Qual è la violazione? Bossi esulta — e voi naturalmente, con l’evidenziatore sottolineate “Bossi esulta” — per la polizia locale. Che cosa è cambiato nella polizia locale con la cosiddetta devolution? Qui dentro, dentro quest’aula stiamo parlando di organizzazione di polizie municipali, di unificazione dei servizi, della possibile polizia regionale. Cosa c’entra la devolution? Bossi ha portato a casa un risultato che rispetto a quella che era stata la prima stesura della devolution è ridicolo. Detto qui — se volete mandare il resoconto in Lombardia lo potete mandare — io non ho capito come faranno gli elettori della Lega a dire che Bossi ha ottenuto un risultato. Però lasciamoglielo dire, non c’è problema, non ci ingelosiamo per questo. Mi meraviglio di un centro-sinistra che cade in tremila contraddizioni: leggetevi l’articolo di Augusto Barbera: “Cari compagni, è stato fatto un riaccentramento”. Non parlate di Barbera solo quando c’è la legge “Barbera-Bassanini”, parlatene sempre.
Concludo dicendo che noi siamo per il referendum, perché sia, con il consenso popolare, confermata una riforma che è migliorativa perché secondo i canoni che illustri uomini del centro-sinistra hanno sempre evidenziato, anche negli anni passati. Quello che mi dispiace è che le culture unitarie, costituzionali su questo problema siano state tenute in disparte, messe in soffitta e sacrificate sull’altare dello scontro politico, di fronte al quale il cittadino non ci capisce niente, perché io ho sentito dire cose aberranti nelle scuole, nelle categorie, nei sindacati, nelle associazioni, senza che nessuno sappia nulla di questo problema, nell’ignoranza più totale e con una mistificazione elettorale che veramente, come cittadino mi trova assolutamente deluso es confortato. Quindi si faccia questo referendum, ma per tesi — mi dispiace per l’amico Favia, con il quale ci troviamo su tante cose — completamente opposte a quelle che Favia ha espresso per il centro-sinistra.
Non è possibile, collega Favia, che i due rappresentanti, effettivo e supplente, siano del centro-sinistra. Atteso che siamo d’accordo che si svolga il referendum, ciò non è possibile.

David FAVIA. Se la votate...

Francesco MASSI GENTILONI SILVERI. La votiamo con altre motivazioni, ma mi pare che almeno uno debba essere del centro-destra.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Castelli.

Guido CASTELLI. Il veleno lo vorrei iniziare subito, invece che lasciarlo in coda, perché parlando di Costituzione inevitabilmente i pensieri vanno a quello che recentemente ha dichiarato, credo intelligentemente, Romano Prodi in occasione del “big talk della Margherita” sulla base di un impegno che io ho molto apprezzato. Ha detto Romano Prodi “mai più riforme a maggioranza, mai più una Costituzione che venga riformulata sulla base di un atteggiamento non teso, preliminarmente, a racimolare, a rastrellare, a conseguire un’amplissima maggioranza”. Credo che Prodi, al di là della bontà e della buona fede che lo ha ispirato, abbia detto una cosa intelligente e che oggi, secondo me, deve essere soprattutto presente nell’atteggiamento della maggioranza e di coloro i quali stanno cercando di brandire l’argomento referendum come se la Costituzione fosse uno dei tanti elementi che deve in qualche modo generare nell’elettorato italiano la sensazione che quella del 9 aprile sarà una sfida fra civiltà, fra mostri, fra le forze della luce e le forze dell’oscurità, come pure, ahimé, certe parole spese a vanvera sulla riforma costituzionale della Casa delle libertà fanno pensare. Bene ha fatto Francesco Massi a chiarire che il nostro voto sarà favorevole e sarà favorevole perché noi l’abbiamo letta questa riforma costituzionale, che per l’appunto introduce un principio rispetto al quale non potremo certamente entrare in contraddizione, perché con la riforma della Casa delle libertà sarà sempre necessario il referendum approvativo delle riforme costituzionali e non solo quando le riforme in oggetto non abbiano conseguito i due terzi della maggioranza qualificata in uno dei due rami del Parlamento.
Quindi noi siamo conseguenti, coerenti rispetto a una riforma costituzionale che ha succeduto di pochi anni quella precedente dell’Ulivo.
Se vogliamo fare un discorso serio e non pensare solo di inserire anche la denominazione “Marche” nella lunga schiera di Regioni che si battono il petto contro l’orrendo e abominevole “uomo delle nevi”, dobbiamo fare una serie di ragionamenti che devono in qualche modo essere coerenti con il prestigio dei ragionamenti che dovremmo fare in un’aula così significativamente coinvolta nel dibattito su questo tipo di riforma costituzionale.
Voglio allora ricordare, a me stesso prima che ai colleghi, che la riforma della Casa delle libertà del 16 novembre innanzitutto, su 57 articoli dedica appena 3 articoli alla famosa devolution. Ha ragione Augusto Barbera a dire che si è fatto un gran can-can su questo argomento della devoluzione, che inevitabilmente vede Bossi costretto mediaticamente, propagandisticamente, ad andare sulle sponde del Po a dire “abbiamo vinto”: poverino, fa propaganda politica anche lui. La realtà vera è che se c’è una riforma che ha riconsegnato al Parlamento nazionale la possibilità di evitare le derive devoluzioniste cui in qualche misura davano la stura gli articoli della prima riforma, quella dell’Ulivo, è proprio la riforma della Casa delle libertà. Perché, attenzione: l’interesse nazionale non se lo è inventato Domenico Nania nella baita veneta; l’interesse nazionale esisteva nella Costituzione della Repubblica italiana approvata il 27 dicembre del 1947 ed era stato espunto, come concetto, dalla riforma federalista dell’Ulivo. L’interesse nazionale viene ripristinato, e non introdotto solo per agitare la clava contro le autonomie regionali, per un semplice motivo che dovrebbe essere noto a chi come me — ma c’era anche il Presidente Minardi — ha partecipato all’Assemblea delle Regioni che si è svolta qualche mese fa al Parlamento italiano, dove sia Pera che Casini, di fronte a noi, ricordavano come uno dei problemi che più minacciosamente sta lì ad incrinare la tenuta della nuova Italia federale, è l’abnorme e parossistica crescita dei conflitti che la Corte costituzionale è chiamata a dirimere dopo l’introduzione del concetto di legislazione concorrente — questo sì, fatto ex novo — del marzo del 2001 ad opera dell’Ulivo. La riforma costituzionale dell’Ulivo, che io reputo legittima come quella della Casa delle libertà, ha introdotto in maniera — questa sì, a mio modo di vedere, pasticciata — una serie di rapporti fra Regioni e Stato nazionale che si incentrava sulla cosiddetta legislazione concorrente, che ha prodotto uno sterminato volume di contenziosi di cui anche noi Regione Marche sappiamo qualcosa.
I tre famosi articoli in realtà definiscono e precisano gli ambiti della legislazione concorrente, riducendo quella delle Regioni, aumentando quella dello Stato, ma soprattutto stabilendo un criterio che non sarà solo un elemento in nome del quale il Governo nazionale e il Parlamento nazionale potranno arginare tutti quegli accessi disgregatori che dalle Regioni potrebbero determinarsi, ma anche e soprattutto un valore costituzionalmente protetto, che sarà utilizzabile anche dalla stessa Corte costituzionale, perché nel momento in cui nel dettato costituzionale compare un principio come quello dell’interesse nazionale, anzi riappare un principio, perché il costituente del 1947 l’aveva già introdotto, ecco che la Corte costituzionale potrà fare riferimento a quel principio, proprio per contenere e mitigare tutti quegli eccessi.
Se ne sono dette di tutti i colori, come spesso accade quando di una riforma si fa argomento di battaglia politica. Non mi scandalizzo per questo, certo registro certe figure pessime dei “governatori” dell’Ulivo, tipo Agazio Loiero che in una recente trasmissione a “Porta a Porta” ha fatto una figuraccia tremenda perché stava a contestare a Formigoni “avete dato l’assistenza sanitaria alle Regioni”, dimenticando che l’assistenza sanitaria è alle Regioni addirittura dal 27 dicembre 1947, scordando che l’organizzazione sanitaria è competenza delle Regioni ben prima di quanto abbia fatto la Casa delle libertà, perché è stato nel marzo del 2001 che l’organizzazione sanitaria materia concorrente è stata dedicata alle Regioni. Potrei continuare. Ho sentito rappresentanti della sinistra culturale protestare contro il fatto che una parte dei programmi scolastici possano essere delegati alla Regione per definire contenuti di storia locale. Io ho detto “scusate, di questo fa scandalo la sinistra?”. Mi pare di ricordare che fu un ministro che rispondeva al nome di Luigi Berlinguer a introdurre nella riforma scolastica, espressamente, la possibilità che si potessero inserire argomenti di questo genere nei programmi scolastici. Allora mi dico: la sinistra, dopo essere stata federalista nel 2001, pensa che la scelta se collocare un liceo scientifico a Piobbico piuttosto che un istituto magistrale a Casteldilama la debba fare lo Stato o la Regione?
Questo genere di argomenti propagandistici ho riletto e rivisto nella proposta di Favia, che ora capiamo per quale motivo martedì scorso si agitava perché voleva essere il primo a pretendere di essere iscritto nella lista delle Regioni che hanno sfidato a singolar tenzone il Governo della Casa delle libertà. Ma non è questo il punto e noi votiamo a favore proprio per esautorare questo argomento specioso.
Infine una valutazione la dobbiamo fare, da legislatori, da soggetti che comunque, in questo federalismo scalcinato, saranno chiamati a svolgere un ruolo. E allora la mia riflessione è questa: spero davvero che Romano Prodi sia — quali che sia il suo ruolo dopo il 9 aprile del 2006: io spero che sia il ruolo di leader dell’opposizione — tenga fede al principio che è giusto evitare che le riforme vengano fatte a maggioranza, però da questo punto di vista non possiamo dimenticare i quattro voti di maggioranza che portarono in fine di legislatura 2001 l’Ulivo ad approvare quella riforma, soprattutto dopo che dal 27 dicembre del 1947 al marzo del 2001 tutte le forze politiche si erano in qualche misura ispirate a un principio: quello che sulla Costituzione vi dovesse essere un largo consenso. Vi ricordate? Nel 1969 ci furono i contatti Ingrao-De Mita per arrivare a una riforma della Costituzione, poi ci sono personaggi che sono stati consegnati alla storia del diritto pubblico come Bossi, come altri. Ma Bicamerale: D’Alema Berlusconi, 1997-98.
E’ come se la riforma dell’Ulivo del 2001 abbia dato l’avvio ad un principio politico che fino a quell’anno nessuno si sognava di pensare: quello secondo cui, sulla Costituzione ci sono grandi intese da raggiungere ed è giusto. Probabilmente è stato il nuovo primo maggio unitario a dare la sensazione che si potessero comunque fare operazioni costituzionali senza queste larghe intese, ma la lettura dell’atteggiamento della Casa delle libertà del 16 novembre 2005 non può essere disgiunto dalla esigenza di provvedere al contenimento degli effetti della riforma ulivista del 2001. E’ stata una reazione necessaria, doverosa che ha corretto dove doveva correggere e ha stabilito dei principi che sarebbe stato bene poter maturare insieme al centro-sinistra, però una cosa va detta: quando sento dal centro-sinistra che il premierato, che è stato un’intuizione di D’Alema presidente della Bicamerale, non andava più bene, capisco allora che le larghe intese bisogna essere in due, per lo meno, a volerle fare.
Sull’interesse nazionale che ripristinavamo dopo che Togliatti e De Gasperi l’avevano introdotto nella nostra Costituzione e l’aveva tolto D’Alema non possiamo essere d’accordo. Il premierato l’ha inventato D’Alema come soluzione italiana e ora viene considerato come un attentato alla democrazia. Sul discorso del Senato federale, sul regionalismo si sono spesi quintali di inchiostro da sinistra, perché la destra, allora, era addirittura contraria all’attuazione del regionalismo. Un Senato che si vota insieme alla Regione e che ha competenze su quelle cose: lo diceva veramente la Costituzione che fu firmata nel gennaio del 1948.
Allora di cosa parliamo? Bisogna essere onesti intellettualmente, se si parla di Costituzione e non è onesto intellettualmente il comportamento di chi si appresta ad agitare fantasmi solo per svolgere una campagna elettorale fondata sull’incattivimento, sulle paure, sulla generazione di fobie invece che sulla disputa di programmi e leader.
Spero che anche dalle riflessioni di oggi si voglia accantonare la tentazione di fare campagna elettorale, perché credo che qui nulla sia la possibilità di convincere a cambiare voto i presenti in quest’aula grigia. Facciamo allora un discorso alto: andiamo a misurarci su quello che sarà il gradimento dell’Italia su questa riforma, ma una cosa è certa, il cittadino deve essere correttamente informato e sarebbe davvero un’occasione perduta, soprattutto per chi andrà a governare dopo il 9 aprile, che il giudizio su questa riforma costituzionale sia prodotto sulla base di dati che spesso vengono forniti da chi neanche l’ha letta. L’introduzione del collega Favia, a mio modo di vedere ha dato il sospetto che la lettura dei 57 articoli della riforma della Casa delle libertà del 16 ottobre siano stati appena accennati ma certamente non sottolineati.
E’ con questa premessa che associo anche il mio gruppo nel votare favorevolmente ad un referendum che in sé è sempre bene accetto e che noi abbiamo introdotto come indefettibile e automatico per ogni successiva riforma costituzionale.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giannini.

Sara GIANNINI. Intanto registro con favore il fatto che negli interventi, rispetto a quello che noi dobbiamo discutere oggi, cioè la decisione di votare una delibera che consenta alle Marche di avanzare la richiesta insieme alle altre Regioni sul referendum che riguarda la riforma costituzionale, si è dichiarato consenso. Credo che non possiamo — io non me la sento, a differenza dei miei illustri colleghi che sono esperti di diritto — addentrarci nelle questioni di carattere specificamente giuridico. Penso che dobbiamo avere chiaro che cosa succederà — e mi pare che ci siano abbastanza preoccupazioni su questo aspetto — dopo la definitiva approvazione di questa riforma.
Pongo una questione che attiene a un rapporto serio che deve esistere sul modo con cui le Assemblee legislative decidono delle regole che riguardano la totalità dei loro cittadini, che riguardano l’essenza stessa della democrazia. Se ricordiamo come è avvenuta l’approvazione della Costituzione repubblicana, forse ci rendiamo conto di quanto improprie siano oggi le modalità attraverso le quali interveniamo su questo atto fondamentale. E’ stato un lavoro importante, imponente, che ha coinvolto le personalità più alte da un punto di vista politico, culturale, intellettuale del nostro paese, all’epoca. Uscivamo da una vicenda terribile e drammatica qual era quella della guerra, erano diversi i rapporti sociali, ma lì si è trovata la capacità di trovare una sintesi sulle regole con le quali avremmo gestito la vita democratica del nostro paese. Siamo arrivati, invece, a questa trasformazione importante della Costituzione e sono stati cambiati moltissimi articoli che attengono alla vita e alla costruzione democratica dei nostri organismi parlamentari e del rapporto che esiste tra il Parlamento, le Regioni e gli enti locali, sono stati introdotti sì degli argomenti che hanno fatto parte e fanno parte anche della discussione che attraversa il centro-sinistra, però io credo che manchi un pezzo, cioè oltre alla rappresentanza formale c’è anche la necessità di una rappresentanza che conti.
Ci diceva adesso Favia che nel Senato i rappresentanti delle Regioni non hanno diritto di voto, non è necessario, questo, alla costruzione della maggioranza. Al di là delle singole questioni sugli argomenti specifici, forse ci dovrebbe far riflettere questo aspetto, cioè come questa modifica della Costituzione costruisce il nuovo rapporto tra il Parlamento, le Regioni, gli enti locali e quindi il territorio e introduce elementi di differenza nella costruzione di quei valori fondanti che deve condividere il popolo italiano all’interno di questa riforma.
Credo che il referendum abbia quindi lo scopo, intanto, di far capire ai cittadini quello che è accaduto, perché non possiamo fingere, tra di noi. Molto spesso la discussione di questi aspetti non viene percepita da coloro che invece ne debbono avere una maggiore conoscenza, cioè i cittadini italiani; non viene compresa perché è molto tecnica. Forse noi dobbiamo spiegare — lo faremo attraverso il referendum — quali sono le vere novità introdotte da questa riforma che è sostanziale, non formale, non si cambiano alcuni articoli. E’ stata vissuta come una compensazione di questioni che hanno attraversato la maggioranza. Diceva prima Castelli che Bossi, poverino, deve fare la campagna elettorale. Io credo che al di là di quello che farà la Lega, ci dovrebbe far pensare il fatto che su una riforma costituzionale che attiene alle regole di vita democratica, noi diamo l’opportunità, a una parte peraltro non proprio attenta alle questioni nazionali, di fare la campagna elettorale e credo che una maggiore condivisione di questi argomenti avrebbe potuto consentire l’approvazione comunque di una revisione della Costituzione che aveva fondamento nella necessità di costruire rapporti seri, condivisi e corresponsabili tra lo Stato e le Regioni, con un’attenzione alle cose che ci uniscono, ma con una particolare attenzione a quelle che in Italia dividono i territori, cercando di rispettare le diversità culturali e cercando di uniformare il tessuto sociale, culturale e anche di condivisione di alcuni principi e valori che ci appartengono: la libertà, il rispetto della democrazia, il dialogo e la possibilità di offrire ai territori un minimo di servizi uguali per tutti e anche garantire la possibilità di riequilibrare le differenze, non di aggravarle, perché il dato che noi forse sottovalutiamo di questa riforma, è che le differenze nei servizi, le differenze di opportunità che ai cittadini vengono date vengono aggravate. Noi che viviamo in regioni dove opportunità, fortunatamente, rispetto ad altri ne abbiamo di più, una riflessione su questo dovremmo farla, non perdendo il segno di essere una nazione, non un insieme di regioni, ammassate l’una all’altra per caso.
Credo che l’introduzione di queste norme ciò comporti e sono convinta che quando andremo a spiegare ai cittadini, in occasione del referendum, i cambiamenti profondi che questa revisione costituzionale comporta, saranno anche loro d’accordo con noi che bisognerà rimetterci mano.
Bene ha fatto Prodi a dire che rispetto a queste norme occorre il concorso anche dell’opposizione. Sarebbe stato necessario adesso, visto l’imponenza della revisione, e sono convinta che questo potrebbe essere l’elemento che nella nuova legislatura parlamentare si può portare. Evitiamo di caricare questo di atteggiamenti elettoralistici e credo che su questo — dato che la Lega non è presente in aula, qualcuno di voi glielo potrà riferire — una maggiore consapevolezza dei bisogni dell’Italia sarebbe più opportuna, soprattutto da chi adesso, per volere del popolo, l’Italia la governa, speriamo per poco.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Viventi.

Luigi VIVENTI. Ringrazio il presidente del gruppo di Forza Italia per la cortesia che mi ha concesso consentendo l’inversione dell’ordine degli interventi.
Vorrei esprimere alcuni concetti su questa proposta. Dicevo già la settimana scorsa che l’Udc, sia a livello nazionale che regionale è favorevole a che questa modifica della Costituzione venga sottoposta al giudizio dei cittadini. E’ una modifica importante, quindi è democratico che i cittadini si esprimano su questo. Voi sapete che il partito dell’Udc aveva criticato due specifici aspetti della riforma: il metodo e inizialmente alcuni contenuti. Sui contenuti delle modifiche importanti siamo riusciti a ottenerle, come quella della reintroduzione dell’interesse nazionale, ma ne è uscita un’altra che non è stata qui citata e che secondo me è estremamente importante: riportare sotto la tutela del Governo centrale tutto ciò che riguarda telecomunicazioni, comunicazioni, grandi vie di comunicazione ecc. Questo è stato riportato dal Governo Berlusconi sotto la propria centralità e non è un fattore secondario, anche perché stiamo vedendo anche qui quanti contrasti all’interno delle Regioni, a volte, impediscono la realizzazione di importanti infrastrutture senza le quali non ci sono crescita e sviluppo economico.
Se si va a guardare nei contenuti, dopo gli interventi di partiti che non sono quelli della Lega ma altri partiti, questa devolution si è profondamente modificata dal testo originario e credo su diverse questioni si potevano trovare convergenze fra centro-destra e centro-sinistra. Sarà anche colpa nostra, però bisogna anche essere onesti: non è passibile che ogni provvedimento che viene preso dal Governo Berlusconi sia vissuto dal centro-sinistra come un affronto alla democrazia, all’unità nazionale ecc. Insomma, io non vedo provvedimenti, dalla riforma del codice della strada che è stato un ottimo provvedimento, alla legge sul divieto di fumo, su cui il centro-sinistra non abbia avuto modo di criticare il Governo. Ci saranno cose che il Governo sbaglia, ma ce ne sono altre che sono giuste: troviamo il modo e la serietà, un po’ più europea, di essere così civili, così democratici di dire “questa è giusta”, “questa è sbagliata”. Se facciamo solo politica non riusciremo mai a fare delle cose buone.
Io credo che su questo tema — l’hanno detto quelli che capiscono più di me a Roma, ma io ne sono stato sempre convinto — sarebbe stata buona cosa che si fosse realizzata una riforma con il consenso di tutti, però liberandoci da certi pregiudizi, perché se uno dice “il Governo Berlusconi fa questa riforma che va a suo vantaggio, quindi gli devo dire no per partito preso”, allora non faremo mai niente di buono.
Un altro aspetto che mi permetto di sottolineare è il seguente. In un periodo in cui parliamo di europeizzazione e globalizzazione tornare a centrare il discorso sull’autonomia locale, sul provincialismo, sul regionalismo potrebbe sembrare un non senso: il mondo che si deve aprire un mondo globale, unico e noi che puntiamo a recuperare, anche con la giornata di sabato, l’identità regionale. Questo sembrerebbe in controtendenza ma in effetti non lo è, perché proprio a fronte di questo rischio di eccessiva globalizzazione, di perdita di identità culturale noi dobbiamo spingere affinché ci siano delle specificità che poi ben si coniughino all’interno del mondo globale. Ma a questo punto, se questo provvedimento ha un difetto è di non essere completo, perché manca il riferimento al federalismo fiscale. Se vogliamo essere onesti ce lo dobbiamo dire fino in fondo: io sono convinto che voi, che oggi siete al governo di questa Regione, avreste migliori possibilità di governo — come lo sarebbe per noi in situazione ribaltata — se la riforma fosse stata completa anche con il federalismo fiscale, altrimenti mi dovete spiegare: se io non posso incidere sulle mie entrate, su quello che poi voglio spendere per la comunità, questo potere del Presidente della Giunta che chiamiamo “governatore”, dov’è, in effetti? Quale possibilità ha di governare se dipende, per le risorse, da qualcun altro?
Io non vorrei essere stato nei panni del Presidente Berlusconi, perché quello tira la giacchetta da una parte, quello dall’altra. Bisogna trovarsi in queste condizioni per capire come sia difficile “portare avanti la baracca”: la Lega spingeva per certe cose, Alleanza nazionale per una cosa opposta, l’Udc si è messa di traverso e lui che doveva tenere tutti insieme ha tribolato. Ma se ci fosse stata la convinzione da parte di tutti, noi saremmo dovuti andare fino in fondo e credo che questo lo dobbiamo dire. La vera riforma fatta fino in fondo, con serietà, è quella che prevede il federalismo fiscale. Allora veramente avremmo dei laender, delle situazioni come in Germania, come negli Stati Uniti in cui veramente un governo regionale ha la sua autonomie e la sua responsabilità di fronte agli elettori, altrimenti assistiamo sempre a questo continuo balletto per cui “questo va bene perché l’ho fatto io, questo non va bene perché Berlusconi mi ha tagliato i fondi”, poi magari non è vero ma è facile dire questo. A parti invertite succederebbe lo stesso.
Secondo me la cosa più importante che doveva essere introdotta e che i prossimi Governi dovrebbero introdurre è il federalismo fiscale.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Procaccini.

Cesare PROCACCINI. Poche considerazioni perché avremo modo di tornare su un argomento di questo tipo, quindi oggi svolgeremo solo delle riflessioni brevissime.
Condividiamo la necessità di indizione del referendum, perché in effetti la controriforma costituzionale di oggi appartiene ad una lunga stagione, ad una fase di attacco alla forma e alla sostanza della Costituzione da parte del centro-destra. Si sono attaccati i principi ma anche i diritti materiali: l’antifascismo, il ripudio della guerra, il diritto al lavoro, il diritto alla scuola pubblica, il diritto alla salute. Con la devolution si rompe l’unità nazionale, non intesa in senso nazionalistico ma come unità solidale. L’interesse nazionale, il cosiddetto interesse nazionale previsto da questa controriforma viene dopo l’interesse locale, nella vostra concezione nella quale ognuno deve fare per sé. Già oggi, con il cosiddetto federalismo fiscale c’è una disuguaglianza, la devolution accentua, sancisce e crea per legge una netta selezione tra Regioni ricche e Regioni povere, si ferisce la Costituzione nata dalla Resistenza per una concezione liberista dello Stato e il rischio serio è quello di avviarsi verso una democrazia autoritaria, nella quale il primato del diritto viene sopraffatto da quello delle opportunità. Le Regioni, in questa concezione diventano piccoli staterelli che si contendono le minime risorse. La politica delle entrate verrà prima di qualsiasi altra programmazione, sarà impossibile mantenere gli attuali livelli di assistenza pubblica. E’ il primato della competizione sulla solidarietà. Lo Stato si ritrae, ma domani scomparirà, anche sul versante della sanità, il residuo fondo statale, che oggi garantisce, seppure in parte, un minimo di solidarietà su scala nazionale. La democrazia autoritaria si concretizza con l’elezione diretta del presidente del Consiglio, c’è una vera e propria sovversione istituzionale. Il presidente del Consiglio, in prospettiva, assumerà anche il potere di sciogliere il Parlamento e sarà anche questo sotto ricatto. Il presidente del Consiglio, in ciò, diventa anche un po’ presidente della Repubblica e il presidente della Repubblica, quello vero, sarà presidente “in camicia”, come lo ha definito in maniera seria l’on. Scalfaro.
Anche noi riteniamo che tutto ciò non è solo il prezzo pagato a Bossi per tenere in piedi una maggioranza in pezzi. C’è anche una pagliacciata di questo tipo, ma in realtà c’è la volontà da parte del Governo di cancellare la Costituzione formale e materiale perché per loro è insopportabile: la cosiddetta seconda Repubblica che oggi è diretta, tranne qualche eccezione, da forze che fin dall’inizio erano contro nell’Assemblea costituente, oggi sono coerenti in questo disegno.
A conclusione, però, c’è anche una riflessione autocritica per noi e per le forze democratiche che troppo spesso hanno sottovalutato questo pericolo e si sono incamminate verso un revisionismo troppo frettoloso. Occorre recuperare una più seria valutazione sui pericoli di questa controriforma e mobilitarsi per vincere il referendum, che a questo punto diventa essenziale.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Capponi.

Franco CAPPONI. Presidente, colleghi consiglieri, noi siamo favorevoli alla richiesta di referendum confermativo. Lo siamo così tanto che Favia nell’esposizione ha omesso di enunciare che l’art. 138 è stato anch’esso cambiato proprio per favorire la tenuta dei referendum anche quando le Camere approvano le riforme con un maggioranza superiore ai due terzi. Quindi nessun problema per noi il fatto di dover tenere a testa alta, difendendo i nostri principi, questo referendum.
Prima di tutto voglio rassicurare l’opposizione che i principi cardine della Costituzione italiana, cioè la prima parte della Costituzione stessa non è stata assolutamente oggetto di modifica. Questa è la nostra riforma, la riforma costituzionale della Casa delle libertà. E’ una riforma di ampio respiro, qualcun la chiama devoluzione, per noi più semplicemente è l’attuazione dei principi del federalismo. Infatti la riforma riguarda sia la forma di Stato, ovvero il federalismo già avviato in modo pasticciato dal centro-sinistra nella scorsa legislatura, con solo la parziale riforma del titolo V, sia la forma di governo, con il rafforzamento dei poteri del primo ministro e le norme per dare stabilità ai governi. In modo organico il Governo di centro-destra ha dato finalmente una risposta a due esigenze che erano maturate negli anni ‘80 e soprattutto negli anni ‘90. Faccio un inciso. Noi abbiamo chiesto ripetutamente all’opposizione di centro-sinistra di partecipare al tavolo delle riforme, ma voi sapete come in questa legislatura l’opposizione è stata totalmente chiusa ed estranea al coinvolgimento nelle principali riforme che si sono ottenute: 22 per l’esattezza, e nessuna porta un contributo del centro-sinistra.
Queste esigenze erano maturate soprattutto negli anni ‘90? a seguito della globalizzazione che cambiava radicalmente il rapporto tra il potere dello Stato centrale e quello degli enti territoriali. La tendenza generale era verso una riduzione del potere centrale, burocratico e poco flessibile e in un ampliamento della capacità decisionale locale, anche a livello legislativo, perché più flessibili e più rapide nel rispondere ai bisogni e ai cambiamenti. Il vecchio regionalismo autonomistico si era dimostrato insufficiente. La logica autonomistica, infatti, tende ad espandersi nei settori più convenienti, scaricando sullo Stato centrale le altre responsabilità. Noi siamo testimoni di quello che avviene anche in questa regione. Noi, qui esercitiamo la pratica degli sprechi ma poi ci lamentiamo con il Governo centrale della riduzione dei trasferimenti dovuta a una forte responsabilità della stagione che sta vivendo l’economia globale e soprattutto quella europea. La logica federale invece, accrescendo i poteri legislativi delle Regioni in tutti i campi non riservati allo Stato le rende più direttamente responsabili di fronte ai propri abitanti e le obbliga a coordinarsi con le altre Regioni da un lato, quindi sviluppa la concorrenza ma dall’altro rafforza la solidarietà, quindi l’unità nazionale.
Ciò sarà particolarmente importante per le Regioni del sud che non potranno scaricare sullo Stato centrale le loro rivendicazioni ma dovranno rispondere ai cittadini sull’uso delle risorse proprie ed evitare quindi gli sprechi che, come in questa Regione, sono esilaranti. Inoltre un impegno sulle scelte legislative.
I rafforzamenti dei poteri del primo ministro con tre obiettivi: sottrarlo alle logiche partitocratiche attraverso un’investitura, anche se indiretta di tipo popolare, con la possibilità data di indicarne il nome, attribuita alle coalizioni; coordinare meglio l’iniziativa di Governo con i lavori del Parlamento; garantire la stabilità governativa attribuendogli il potere di proporre al presidente della Repubblica, e non di sciogliere esso stesso la Camera, ma senza pregiudicare il principio della fiducia parlamentare attraverso il meccanismo del voto di fiducia costruttivo.
In particolare — una cosa essenziale, cardine anche della riforma della famosa Bicamerale — viene superato il principio del bicameralismo perfetto da tutti sempre auspicato. Il Senato federale e la Camera esamineranno disegni di legge su materie proprie e peculiari, salvo alcune strettamente bicamerali e comunque anche prevedendo meccanismi per superare eventuali contrasti. La Corte costituzionale recepirà la nuova struttura federale dello Stato.
La riforma della Casa delle libertà, così attaccata dalle opposizioni prosegue invece nel solco della “riforma Bassanini”: la 57, la 127. La “riforma Bassanini” è stata giustamente definita riforma in senso federalistico dello Stato a Costituzione invariata, ovvero senza modificare la Costituzione, mediante un approccio con il dettato costituzionale, fondato sull’accettazione del principio di sussidiarietà. Tuttavia sono emerse le difficoltà legate a questo approccio in quanto i poteri regionali non avevano il necessario riconoscimento a livello costituzionale, imponendo il passaggio a un vero federalismo e soprattutto lasciavano allo Stato u potere residuale che poi lo esponeva, come poi si è visto con la parziale riforma del titolo V della Costituzione approvata alla fine della scorsa legislatura, a un aumento del contenzioso, senza affrontare gli altri nodi costituzionali emersi: la stabilità dell’Esecutivo, il suo rafforzamento, il suo progressivo adattamento al bipolarismo e all’alternanza.
Sono circa al 50% le pratiche che la Consulta sta esaminando, che derivano proprio da questo cattivo rapporto tra Regioni e Stato dovuto a questa vostra riforma. Le critiche dell’opposizione alla riforma costituzionale della Casa delle libertà sono perciò da noi giudicate estremamente pretestuose e pericolose e sono motivate solo dal fatto che è il centro-destra a realizzarle in modo organico, nel senso di una più precisa delimitazione dei poteri tra Stato e Regioni.
Anche sulla delicata questione del federalismo fiscale, per il momento non affrontata, la riforma della scorsa legislatura prevedeva il riconoscimento dell’autonomia di entrata e di spesa alle Regioni e agli enti locali. La riforma della Casa delle libertà mora a responsabilizzare ad ogni livello la gestione delle risorse.
In materia di ordine pubblico e sicurezza — un altro dei temi offuscati dalla vostra propaganda — non è vero che lo Stato devolve la responsabilità alle Regioni. L’ordine pubblico e la sicurezza restano di competenza dello Stato. L’art. 117 della Costituzione vigente recita “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie”, tra cui ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale. L’articolo cambiato dice le stesse cose, esplicitando solo che la polizia amministrativa può essere di livello regionale e locale. Detta formula — “polizia amministrativa regionale e locale” — è la stessa recepita nel decreto legislativo 112 del 1998 in materia di conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni. In particolare la riforma non mette in discussione la competenza statale sulla pubblica sicurezza ma la integra introducendo il concetto di sicurezza urbana e di sicurezza del territorio.
Veniamo al problema sanità, anch’esso offuscato da questa propaganda. Altro punto forte dell’opposizione è l’accusa alla riforma della Casa delle libertà di disintegrare il sistema sanitario. Accusa infondata, perché nella delega 59 del 1997, proprio la prima “Bassanini”, si prevedeva nel contesto dalla decentralizzazione di una serie di competenze amministrative dagli apparati centrali dello Stato la riforma dei Ministeri, cioè l’accorpamento di essi sotto un unico dicastero. Da qui è nato proprio il Ministero della salute e delle politiche sociali. Il Ministero della salute è proprio rinato con uno dei provvedimenti del primo Governo Berlusconi, che con legge di conversione di un decreto ha sostituito la denominazione “Ministero della sanità” con quella di “Ministero della salute”. Lo Stato continuerà ad avere prerogativa in materia di norme generali sulla salute, ma le Regioni potranno legiferare in materia esclusiva sull’organizzazione ospedaliera e sull’assistenza sanitaria. Autonomia non significa anarchia ma gestione più razionale del sistema sanitario locale. Secondo il Censis, il 56% degli italiani si dichiara a favore di una sanità regionalizzata, che potrà essere più attenta alle esigenze dei cittadini, quando le spese sanitarie sono passate, durante questo Governo, proprio per rafforzare l’impegno, da 65 a 93 miliardi di euro: aumento del fondo nazionale del 50% in quattro anni. Infatti gli italiani invecchiano più in buona salute, secondo quanto emerge proprio dai dati Istat, e già il 73,4% della popolazione anziana definisce buona la propria condizione fisica.
L’orgia di patriottismo scatenata contro la riforma costituzionale nelle dichiarazioni di voto degli esponenti del centro-sinistra fa riflettere. Anche il presidente Scalfato ha esaltato questo aspetto che è assolutamente non presente in questa riforma.
Oggi la maggioranza di centro-destra assorbe i secessionisti, proprio per arrivare a un tema politico anch’esso cauto, da allora in un moderno disegno federalista del riordino territoriale dei poteri e delle competenze. Ecco i “bossiani di complemento” del 1994-95, che avevate portato per far cadere il Governo Berlusconi dalla vostra parte, fare quadrato intorno all’unità nazionale, da nessuno e neanche dalla Lega messa più in discussione.
Il centro-sinistra cerca di accreditarsi come l’unione delle forze riformiste, ma è tenuto insieme dalla comune volontà di fare n modo che nulla cambi, perché i rapporti di potere consolidati nella società non siano messi in discussione. Alleanza reazionaria contro il cambiamento. Altro che il riformismo di cui andate parlando in questo periodo!
La sua capacità di persuasione è affidata all’incessante ripetizione di argomenti menzogneri di parte di una stampa come non mai di parte.
La campagna elettorale e quella referendaria che seguirà metteranno sicuramente i cittadini dinanzi alla scelta tra la conservazione dell’esistente e il coraggio del cambiamento, scelta cruciale in un passaggio storico in cui occorre che le cose cambino per restituire al paese, sulla scena dell’Europa e del mondo, un futuro all’altezza della sua grande tradizione democratica.
Il referendum confermativo non modificato nella sua totale possibilità dalla riforma, ci vede sereni, anzi favorevoli, proprio perché con esso, effettivamente, il popolo italiano potrà conoscere ancora più approfonditamente la sua portata innovativa in un momento in cui vengono ricercate soluzioni di semplificazione alla complessità amministrativa e una vicinanza quanto mai significativa dello Stato ai cittadini. Per noi questa riforma rivitalizza l’unità nazionale, rafforza il senso di responsabilità di tutte le istituzioni, in primis proprio quella delle Regioni che da sempre hanno chiesto una vera autonomia. Avvicina inoltre i cittadini ad esse.
La riforma del federalismo fiscale non fa parte di questa modificazione costituzionale, ma è in embrione, è stata già abbozzata. Su essa si chiederà, con la costituzione di un Senato federale, una partecipazione specifica delle Regioni alla sua definizione. E’ un atteggiamento di grande responsabilità democratica: la riforma e/o aspettare la riforma per fare le cose che sono più difficili e che fino ad oggi non hanno trovato il necessario consenso.
Per questi principi siamo favorevoli al referendum, proprio perché sarà questo il momento in cui gli italiani potranno valutare la bontà e la portata di questa riforma, perché finora annebbiata dal fuoco di sbarramento della sinistra e dei mass-media a lei vicini. Noi vogliamo questo referendum, vogliamo far capire ai cittadini italiani la sua portata: questo momento ci favorisce proprio per rafforzare l’unità nazionale a cui tutti noi tendiamo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Luchetti.

Marco LUCHETTI. Questo dibattito che oggi facciamo sulla possibilità o meno che questo Consiglio regionale sia d’accordo o meno a svolgere un referendum popolare sulle nuove norme costituzionali così come avvenne nel 2001, ci dà l’opportunità per la prima volta di ragionare, in questo Consiglio regionale, sulle questioni di ordine costituzionale, dibattito che probabilmente i Consigli regionali hanno sottovalutato nel mentre, in Parlamento, si discuteva della legge di riforma costituzionale che interessava, in alcune parti, anche la revisione del titolo V della Costituzione.
Voglio sottolineare i limiti di un dibattito che si è sviluppato in questo paese più sull’onda della comunicazione e dell’interesse politico di parte piuttosto che sull’interesse della comunità nazionale, delle comunità regionali che venivano in qualche modo a dover modificare sostanzialmente l’ordinamento pubblico, l’ordinamento costituzionale che disciplina i poteri del nostro paese e si è assolutamente tralasciato quello che poteva essere un dibattito ovviamente più adeguato rispetto ad un interesse generale che non può sottacere la necessità del cambiamento rispetto alla nuova realtà europea, ma soprattutto alle nuove realtà che si propongono nella visione generale della conduzione delle comunità rispetto alle novità economiche e sciali che sono intervenute negli ultimi dieci-venti anni. Accelerazioni incredibili, sia di carattere economico che di carattere sociale, che imponevano indubbiamente una revisione, soprattutto in un tempo in cui una gestione adeguata della cosa pubblica si impone rispetto alle sfide internazionali che sia il nostro paese che l’Europa tutta si trovano a dover affrontare.
Sottolineo i limiti di questo dibattito che — lo denuncio in maniera palese — hanno solamente il sapore dell’appartenenza politica e non comportano una riflessione di carattere politico rispetto al dato della divisione del potere in un paese, che attiene direttamente alla possibilità o meno di sviluppare la democrazia e la libertà.
Questi sono atteggiamenti che secondo me non fanno l’interesse vero della nostra comunità, non fanno l’interesse vero del buon andamento, della conduzione pubblica, del governo pubblico delle politiche, che oggi più di ieri devono avere a cuore un equilibrio complessivo dello sviluppo, nonostante le derive liberiste che sopraffanno le conduzioni degli stessi governi. Non è un caso che la finanziarizzazione del capitale sia uno degli aspetti che ancora non sono stati sollevati adeguatamente nelle legislazioni nazionali, tant’è che la rendita prende il sopravvento e la conduzione della politica economica è sopraffatta letteralmente dagli interessi finanziari, per cui solo coloro che detengono le grandi ricchezze finanziarie possono attaccare liberamente, tranquillamente gli stessi governi nazionali e mettere a soqquadro l’intera economia nazionale.
Ecco perché il dibattito doveva tener conto di queste cose, doveva tener conto soprattutto dell’equilibrio dei poteri all’interno del nostro paese, equilibrio che non può essere messo in discussione da condizioni di parte o da valutazioni di parte, ma doveva essere patrimonio assolutamente generale.
Io sono qui a dichiarare innanzitutto che la decisione di portare avanti una modifica costituzionale così incisiva, profondamente incisiva nell’ordinamento generale, non poteva essere gestita come è stata gestita. Posso capire quello che è stato fatto al centro-sinistra — e lo ritengo un errore — nel 2001 quando si è approvata la legge costituzionale senza tener conto della posizione della minoranza. E’ stato un errore, ma giustificato dal fatto che quell’impianto era già stato approvato, era già stato ampiamente condiviso da tutte le forze e ha trovato solamente all’ultimo istante la contrarietà della minoranza, che per questioni politiche non voleva che il centro-sinistra varasse la riforma costituzionale. Sottolineo che quell’impianto era stato approvato da tutti i Comuni, da tutte le Regioni, anche dalla minoranza, per cui si è dato luogo ad una decisione sbagliata che è stata replicata in maniera maldestra dal centro-destra, evitando assolutamente il confronto e soprattutto non aprendo un dibattito costruttivo rispetto alle varie posizioni delle parti in causa.
Pertanto, rispetto a un Governo come quello della Casa delle libertà che si vanta di avere difeso l’impianto complessivo del titolo V, ribadisco qui con molta nettezza che, in effetti, tutto quello di cui si parla circa la devolution è frutto di una contrapposizione di parte piuttosto che di sostanza. Sono convinto che Bossi e compagni non possono assolutamente celebrare la loro vittoria, perché per certi versi il nuovo testo della Costituzione, il nuovo testo costituzionale non fa altro che tornare indietro dall’autonomia regionale, confermando, tra l’altro — lo dico en-passant — uno stile centralistico del Governo della Casa delle libertà. La presa in giro che si sta effettuando, come la presenza di Bossi nell’aula di Montecitorio, la dice lunga sul fatto di non avere neanche capito cosa significasse, per la devolution, il nuovo testo del titolo V, tant’è che addirittura quello che prima veniva demandato alla Corte costituzionale come conflitto di competenza tra la legislazione regionale e quella nazionale, oggi è sottoposto non tanto al giudizio della Corte costituzionale ma alla possibilità, addirittura, che il Senato possa cancellare politicamente le stesse leggi regionali. Pertanto fanno bene le Regioni ad impugnare il nuovo progetto, non tanto perché hanno guadagnato la loro autonomia correndo dietro alla devolution, ma proprio perché hanno perso potere.
Io sono d’accordo con coloro che osservano che di devolution non si tratta. Sono d’accordo e rafforzo il ragionamento circa la questione che le Regioni hanno perso potere rispetto al titolo V e rispetto a tutto quello che mediaticamente si sta svolgendo nel nostro paese, soprattutto la Lega Nord che sbandiera una vittoria, dico che di vittoria non si tratta. Non capisco come la Lega possa avere accettato un progetto di questo genere.
Ma la cosa che voglio mettere in evidenza non è tanto il discorso del titolo V, il problema è un altro. Il vulnus che è stato fatto alla Costituzione non riguarda tanto il titolo V ma l’assetto generale del governo di questo paese e la riforma che è stata fatta del Parlamento. Riguarda i poteri che sono stati attribuiti al presidente del Consiglio, riguarda i poteri che sono stati tolti al presidente della >Repubblica. Questo è il vulnus che la nuova legge costituzionale ha operato. Nessuno paese democratico al mondo attribuisce quei poteri al premier, questo è il dato di fondo che va assolutamente modificato. Non è pensabile che un capo di governo ricatti o possa ricattare il Parlamento con lo scioglimento diretto dell’organismo stesso nel momento in cui non si è d’accordo con il premier. O addirittura questo potere di ricatto viene esercitato a tal punto che le stesse leggi regionali possono in qualche modo essere cancellate solamente per l’interesse politico di parte. Questo è il vulnus grande che è stato fatto alla Costituzione. Così come è stato fatto il vulnus nella competenza e nella composizione della Corte costituzionale, dove si è persa quella terzietà che la vecchia Costituzione prevedeva.
Questi sono i fatti rilevanti, che vengono stranamente confusi da una comunicazione che si sofferma malamente sui criteri giuridici che attengono al nuovo impianto.
Ecco perché credo che dobbiamo denunciare, come Regioni, l’impianto che prevede un Senato federale che non è federale, un Senato che dovrà rappresentare le Regioni ma che non le potrà rappresentare, per il semplice motivo che è un Senato non derivato dal potere regionale ma da una logica politica che farà pendent con la Camera e che non avrà niente di federale ma dovrà solamente ripercorrere un appiattimento politico che non è quello che difenderà gli interessi delle Regioni e delle autonomie locali. Cosi come dobbiamo denunciare la confusione legislativa che propone il nuovo testo della Costituzione. Non è pensabile portare il paese ad una confusione in un momento come questo, in momenti in cui deve esserci chiarezza nelle responsabilità politiche e istituzionali.
Prendo atto che tutte le forze politiche che oggi si sono espresse, sono d’accordo nel sottoporre questo testo al parere del popolo, proprio perché dovremo chiarire queste cose alla gente, perché la gente si deve rendere conto di cosa rischia con questo nuovo progetto. Pertanto invito tutti ad abbandonare le posizioni preconcette, di parte, rispetto ad un testo costituzionale che deve prevedere una condivisione generale di un paese, dei cittadini che devono essere coscienti di quello che si va a decidere con un referendum di questo tipo. Ripeto, non è un problema delle Regioni, che, anzitutto, rischiano di perdere il potere che avevano con il titolo V precedente, ma è un problema di equilibrio democratico, un problema di ripartizione dei poteri e noi non possiamo trasgredire il mandato che la gente che ha fatto la Costituzione, i costituenti del ‘47 che hanno dato equilibrio a questa nostra democrazia, ci hanno affidato. Non è pensabile rimettere in discussione questo, a fronte di un disegno che non ha nulla di oggettivamente apprezzabile e che confida unicamente su una leadership assolutamente autoritaria. Sicuramente la deriva potrebbe essere autoritaria. Dobbiamo evitare questi rischi, dobbiamo fare in modo che il referendum possa essere svolto e spero che almeno in quell’occasione possiamo andare a dire ai cittadini la verità. Così come dai banchi del centro-sinistra dobbiamo evitare strumentalizzazioni della devolution, dall’altra parte non è pensabile non sottolineare che un’attribuzione di poteri così forte al premier non fa altro che stravolgere i cardini essenziali di una Repubblica che era basata sulla ripartizione fondamentale dei poteri che ancora debbono essere riaffermati per difendere la libertà e la democrazia del nostro paese.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giannotti.

Roberto GIANNOTTI. Diceva giustamente il nostro presidente di gruppo che è solo una finzione quella di questa mattina, cioè il tentativo di una parte politica di compiere un atto politico, quello di far pronunciare un certo numero di Regioni per raggiungere un obiettivo che era e che è più facilmente raggiungibile raccogliendo le firme in un’aula del Parlamento, quindi un rito inutile, una prova di forza che credo in qualche modo ci poteva essere evitata. Anche perché questo avrebbe consentito di evitare le figuracce che avete fatto l’altra volta e che rischiate di fare oggi, perché se di fronte a questa volontà di propaganda politica la maggioranza non è capace di sostenerla in aula con una presenza che consenta di raggiungere il numero fatidico dei 21 consiglieri, evidentemente non si va lontano e non mi sembra, almeno stando le cose come stanno in questo momento, che abbiate la maggioranza, che questa maggioranza abbia i numeri per approvare questo atto.
Se la minoranza ha detto che è d’accordo, seppure con motivazioni opposte, sulla scelta tecnica dell’indizione del referendum, evidentemente non siamo la stampella della maggioranza, quindi se la maggioranza ha i numeri voteremo coerentemente anche noi, ma se la maggioranza i numeri non li ha, io sono per non votare questo atto, per dimostrare ai marchigiani che al di là delle sceneggiate politiche non sapete fare altro.
Credo che alcune considerazioni possano e debbano essere fatte. La riforma costituzionale introduce il federalismo, o devoluzione come volete. Significa una cosa semplice: che le Regioni possono fare leggi su una serie precisa di materie per realizzare bene l’interesse dei cittadini. Credo che al di là di come si voglia ammantare il senso di questo provvedimento, la riforma è tutta legata a questa scelta di fondo, l’interesse dei cittadini, e non è assolutamente vero che questa scelta cozza con l’esigenza del rispetto dell’interesse nazionale. Credo che questa sia una battuta polemica che non ha ragione di esistere, anche perché la legge di riforma ma soprattutto la volontà politica dei principali partiti del paese, dei principali partiti della coalizione è bene attestata, a difesa della sostanziale unità del nostro paese. Credo che non sarebbe giusto sul piano culturale richiamare questo rischio della dissoluzione come un dato, perché è un dato inesistente. Mi pare però che si possa rilevare che i paesi federali nel resto d’Europa, hanno avuto e hanno uno sviluppo più elevato e più duraturo, hanno costi amministrativi molto più bassi, hanno una maggiore efficienza delle loro istituzioni, hanno un rapporto più concreto con i cittadini, perché sostanzialmente federalismo vuol dire autogoverno, dunque l’avvicinamento delle decisioni dei cittadini alle cose che li riguardano. Questa è la scelta culturale di fondo che sta dietro questo provvedimento.
Questo provvedimento riconosce, qualifica il principio della sussidiarietà orizzontale. Da tempo discutiamo di questo aspetto del ruolo dello Stato rispetto al ruolo delle autonomie sociali, la riforma afferma questo valore e lo pone, quanto meno, sullo stesso livello della sussidiarietà verticale, cioè dell’adeguamento dei rapporti fra potere centrale e sistemi delle autonomie locali. In questo senso, invece, viene recuperato.
Da questo punto di vista il venir meno di una gestione centralistica dello Stato rispetto all’affermazione di un’autonomia, evidentemente pone i cittadini in una posizione diversa.
Questa riforma mette ordine nel caos delle competenze fra organi centrali e organi locali, creatasi con la riforma pasticciata approvata dal centro-sinistra nel 2001, che ha provocato, da quelle stesse Regioni a cui si fa riferimento, un ricorso alla Corte costituzionale paralizzando per tanto tempo, per molte questioni, l’attività delle Regioni e dello Stato centrale.
Questa riforma rappresenta un fatto di costume sul piano del rapporto con i cittadini. La riduzione del numero dei parlamentari, il ridimensionamento del Parlamento è un atto che va incontro alla sensibilità popolare. Questo è un altro dato che non ho sentito, oggi, in quest’aula, ma credo che i cittadini hanno avuto modo di apprezzare e apprezzeranno il fatto che per la prima volta in questo paese un livello istituzionale decide di autoregolarsi e autolimitarsi. Questo era uno degli obiettivi del programma elettorale della Casa delle libertà ed è un impegno mantenuto.
La riforma pone fine al bicameralismo perfetto, introduce elementi di novità e di diversa competenza fra Camera e Senato. Anche questa è una questione importante perché questo meccanismo rallenta l’attività legislativa, rallenta l’attività del Governo, la modificazione, in questo senso, delle competenze del Senato e della Camera consentirà oggettivamente di accelerare, di migliorare, di rendere più efficace ed efficiente l’azione del Parlamento: la Camera si occuperà, secondo la riforma, dei problemi dello Stato, mentre al Senato rimarrà la competenza nel campo delle Regioni e del territorio, il tutto con un risparmio di tempo e di denaro pubblico.
La riforma compie una scelta di fondo rispetto al diritto dei cittadini di scegliere un primo ministro, un programma e una coalizione di governo, quindi è una riforma che semplifica, che migliora il rapporto e il ruolo dei cittadini.
La stessa scelta che viene riportata e che affida poteri diversi e maggiori al primo ministro — legato allo scioglimento, alla revoca dei ministri, alla norma “antiribaltone” — rafforza, oggettivamente, la governabilità del paese e il nostro sistema bipolare, al di là delle boutade propagandistiche che ho sentito questa mattina, e toglie potere alla partitocrazia.
Il consigliere Luchetti non lo vuole ammettere ma questo è un altro dato oggettivo. Così come mi sento di rigettare la preoccupazione che è stata espressa in ordine alla possibilità che la riforma sia l’anticamera della disgregazione dello Stato. Io credo che ormai tutti sanno quali sono le competenze della Regione. Per esempio nel campo della sanità ipotizzare, così come è stato detto venti modelli diversificati mi sembra una grande bufala, perché oggi è già così. Rimangono in capo allo Stato le responsabilità di carattere finanziario e di controllo, rimangono in capo alle Regioni le responsabilità di organizzazione del sistema sanitario, tenendo conto delle proprie specificità.
Credo realisticamente che con la riforma il paese farà un passo in avanti e soprattutto credo che la riforma abbia mandato un grande messaggio culturale al paese: che la politica deve adeguarsi sempre più ad un criterio, ad un valore che è quello del mantenimento degli impegni. Credo che la coalizione di governo della Casa delle libertà abbia mantenuto, con questa scelta, uno degli impegni assunti con il paese.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

Carlo CICCIOLI. Io sono abituato agli schemi mentali, per cui da un certo punto di vista a destra c’era sempre un tentativo di difendere, tutelare una situazione che magari poteva essere pregressa e a sinistra c’era sempre il rinnovamento, il riformismo, come viene chiamato nell’interpretazione sociologica. Da qualche anno mi trovo lo schema invertito: il riformismo è a destra e la conservazione è a sinistra. Da tempo tutte le battaglie della sinistra sono tese a tutelare gli schemi, i progetti, le leggi precedenti.
Questa, a mio parere è una situazione molto particolare, che non è comune quasi a nessun altro paese occidentale. Oggettivamente la sinistra dovrebbe cercare di essere evolutiva sulla Costituzione, invece l’intervento di Procaccini è stato come una lezione magistrale: non bisogna toccare niente, tutto deve rimanere com’è, tutto deve essere statico e assolutamente legato alla cultura dell’800 e ai disegni del ‘900.
Qui ci sono problemi nuovi e grandissimi che incalzano. Gli schemi interpretativi della politica della società del secolo precedente non funzionano più all’interno delle nostre organizzazioni giovanili, ad esempio. Io ho militato nelle organizzazioni giovanili negli anni ‘60-’70 e vedo che i ragazzi di oggi hanno schemi completamente diversi. Il sistema delle Amministrazioni locali della seconda metà del secolo scorso è profondamente diverso dalla sensibilità, dalle richieste dei cittadini di questa fase. Cambiano i problemi. Il problema della droga era assolutamente sconosciuto a Carlo Marx e si sociologi del ‘900. Oggi il problema dell’uso delle sostanze, quindi dei giovani che comunque utilizzano queste sostanze, anche quelli “per bene” che hanno un problema grave di futuro, è una cosa che non appartiene alle culture precedenti ma a quelle di oggi, così come i comportamenti demografici. Il comportamento demografico oggi, in occidente, è assolutamente diverso dal comportamento demografico di tutto il ‘900.
Di fronte a questo è possibile che le leggi siano immutabili? E’ possibile che i contenuti e i comportamenti siano immutabili? E’ il secolo delle contraddizioni tra il locale e il globale. Oggi tutto è globale, però le richieste delle persone sono del potere dell’autonomia locale. Addirittura la sociologia anglosassone ha creato un termine, “glocal”, che è la sintesi di globale e locale, per dire un nuovo contenuto in cui ci deve essere un quadro di riferimento generale e una delega forte al locale.
Di fronte a tutto questo, può essere che tutto deve rimanere come prima? Possibile che non si può toccare niente? La stessa idea della giustizia è cambiata, oggi. Il meccanismo storico, classico del diritto, della scuola classica, delle cosiddette sentenze con la pena retributiva, oggi è modificato in termini diversi ed esistono cambiamenti per quanto riguarda il criterio oggettivo di regolazione della giustizia nello Stato e nella società.
In tutto questo credo che la spinta innovativa che viene dalla destra è un fatto positivo. Io non sono fra quelli che dicono che tutto è perfetto. Se fossi stato nelle condizioni di decidere forse non avrei scritto tutti i cambiamenti costituzionali quali quelli che sono stati scritti, perché Alleanza nazionale è un partito che ha nella sua radice “alleanza e nazione”, quindi è evidente che avrebbe sottolineato gli aspetti di solidarietà nazionale rispetto agli aspetti autonomistici. Però un punto di sintesi ci deve essere e la stessa sinistra — ormai siamo in campagna elettorale, per cui si può dire tutto e di tutto — si era posta il problema di cambiare la Costituzione, la stessa sinistra si era posta il problema delle riforme fatte male, peggio delle nostre. Io non voglio dire che queste siano perfette ma quelle della sinistra erano assolutamente insufficienti, criticate dagli stessi esponenti delle autonomie locali della sinistra. Avevano creato un contenzioso incredibile alla Corte costituzionale tra i poteri locali e i poteri dello Stato. Grazie al riformismo sbagliato della sinistra noi abbiamo avuto cinque anni di ricorsi continui delle Regioni alla Corte costituzionale e continuamente la necessità della Consulta di emettere referti per stabilire qual era il punto preciso di contatto di confine tra l’autorità regionale e l’autorità dello Stato. Quindi credo che questa riforma costituzionale sia un passo avanti, che dovrà essere verificata e probabilmente, da qui a breve ci dovrà essere anche qualche ritocco, meglio se fatto anche insieme agli altri. Non è mica male che su alcuni punti, sulla Carta fondante dello Stato, destra e sinistra in qualche punto si possano incontrare. Anzi, molto spesso alcuni forti movimenti di unità nazionale hanno dato una forte spinta alla crescita di una nazione e di una società.
Detto questo mi sembra che da un po’ in qua tutti gli argomenti, tutte le scelte della politica nazionale di questo Governo, di questa fase siano sbagliati per definizione dell’opposizione di sinistra. Addirittura a me sembra che questa linea possa provocare un effetto di rimbalzo nei confronti della sinistra stessa, perché quando è troppo, il troppo, da noi si dice “stroppia”. E’ troppo. Il centro-destra — io sono uno di quelli che parla con le persone, va nei paesi, va nelle associazioni di categoria — sta creando, con il suo incalzare così forte, un effetto contrario che grazie a Dio ci ha ridato ossigeno.
Io ho la sensazione forte che questo atteggiamento così manicheo alla fine farà del male ai proponenti stessi.
Detto questo non posso non sottolineare la strumentalità di questa spinta forte al referendum, quando lo stesso centro-destra ha detto di condividerlo. Condividendo la stessa scelta non c’è bisogno di tuta questa confusione.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Brandoni.

Giuliano BRANDONI. Anch’io credo che le parole rischiano di avere uno strano destino. Una di queste è la parola “conservazione”. E’ stato detto poco prima che io intervenissi, che la sinistra si presenta come una forza conservatrice. Per quanto riguarda la Costituzione io dico sì, noi siamo una forza conservatrice. C’è un tentativo — e questo dibattito lo dimostra — di sminuire non tanto la Costituzione ma quello che è accaduto in questi ani. Quando dico in questi anni non parlo solo dell’ultima riforma costituzionale, ma di quella che l’ha preceduta. C’è un atteggiamento nei confronti della Costituzione che è stato di grande superficialità, tanto che anche in quest’aula ho sentito paragonare la riforma costituzionale alle riforme che si sono fatte in campo sanitario, magari per la eliminazione del fumo dai locali pubblici.
Credo che questo atteggiamento, questa superficialità siano il vero rischio di questi anni. Credo allora che il referendum che noto qui tutti condividiamo, è già una grande opportunità, è già una grande possibilità: quella di ridare in questo confronto, in questo dibattito dignità vera ad una carta che, vorrei ricordare ancora una volta, nasce dopo un periodo tragico e glorioso, cioè il periodo tragico del fascismo ed il periodo glorioso della Resistenza. Nasce da quelle battaglie, da quelle speranze, da quelle idee. Questo è la Costituzione. Se mai dovremmo chiederci oggi, in ogni momento, quanto di questa costituzione è stato attuato.
In queste ore, in Val di Susa i cittadini che decidono di esprimere la loro opinione di partecipare e di dire come la pensano vengono brutalmente caricati dalle forze dell’ordine, vengono feriti anziani, giovani. Ebbene penso che quella Costituzione, quella carta che è stata scritta con il sangue e la quotidianità hanno uno iato profondo. Quindi ben venga questo referendum, perché oltretutto riporterà al centro e darà ai cittadini la possibilità non solo di decidere, di cancellare quelle norme fatte da apprendisti stregoni, da piccoli chimici.
Vorrei ricordare che il punto culmine di quel voto è stato l’applauso dei leghisti in festa a Umberto Bossi. Si può giudicare in qualsiasi modo ma Umberto Bossi è l’uomo che più di una volta, anzi in molte occasioni si è espresso con il dileggio, con l’offesa e con l’oltraggio nei confronti dell’unità nazionale, nei confronti del tricolore, nei confronti del nostro paese.
Questo è il paradigma da dove nasce questa riforma costituzionale. Credo che tutti gli apprendisti stregoni, del prima e del dopo, che hanno toccato con estrema superficialità quella Carta costituzionale, oggi dovrebbero largamente pentirsi.
Ritorno a dire che quella Carta va applicata, va tutelata, va valorizzata. Penso all’art. 11 che è il punto supremo della nostra Carta, quello che cambia e capisce molto prima di tanti l’uscita da quel secolo breve che è stato il ‘900 e che trova nel pacifismo e nel ripudio della guerra il punto essenziale, il cambiamento generale che oggi, fortunatamente, è senso comune. Anche con queste espressioni, anche con questi significati quella carta dimostra oggi tutta la sua attualità e tutta la sua capacità. Quindi venga il referendum e sia l’occasione, la possibilità non solo di entrare nel merito delle questioni, ma l’occasione e la possibilità di ridare alla nostra carta costituzionale quel ruolo, quella funzione di punto essenziale della nostra convivenza civile, perché il nostro comune senso di patria nasce con quella Carta, nasce con quella Costituzione, nasce con la Resistenza.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Bugaro.

Giacomo BUGARO. Sarò veramente breve e non aggiungerò molto a quanto già detto. Preannuncio la mia astensione per un fatto di carattere personale. Io non sono d’accordo — in questo mi dissocio dalla posizione che il mio partito ha assunto in sede parlamentare — da questa riforma, non sono ancora convinto, non ho ancora preso una decisione, perché da parlamentarista convinto, questa riforma mi lascia alcuni dubbi. Prima di decidere la mia posizione rispetto al prossimo referendum vorrò vagliare questa riforma in maniera più approfondita perché è un fatto di coscienza, la Costituzione è un fatto importante, è la Carta che dovrebbe riunire tutti gli italiani. Il fatto che nella scorsa legislatura il centro-sinistra abbia modificato una parte di essa non dà la stura al centro-destra per comportarsi nella stessa maniera in questa legislatura. E’ altrettanto vero che non si può di volta in volta, secondo chi governa a livello nazionale bloccare le riforme, quindi una convergenza ci deve essere, è auspicata ma non necessaria; certo è che questa riforma, così come è stata licenziata dal Parlamento è estremamente profonda e ben superiore a quella del titolo V, il famoso articolo 117.
Per questi motivi devo ancora assumere una decisione di carattere personale e, se mi troverà difforme dal deliberato e dalla posizione del mio partito a livello nazionale me ne assumo la responsabilità. D’altronde il tema è così importante e fondamentale per la nostra vita, che necessita di un ulteriore approfondimento. Per questo mi asterrò da questo voto, proprio con queste motivazioni.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Pistarelli.

Fabio PISTARELLI. La discussione di oggi che solo grazie a quanto sostenuto nella scorsa seduta del Consiglio è articolata, perché voleva essere strozzata e all’ultimo momento, addirittura con un voto immediato — questa è la proposta che era avvenuta la scorsa volta in questo Consiglio dai banchi della sinistra — è stato chiesto da noi che fosse fatta in una seduta apposita, che ci permettesse di esplicitare i nostri ragionamenti. E’ una proposta non nuova, le Marche e la maggioranza di sinistra vogliono allinearsi a quanto già deliberato da altre Regioni. E’ una proposta conosciuta e che non ci ha scandalizzato né a livello nazionale né a livello locale. Parli il popolo, giusto, ma parli venendo a conoscenza dei contenuti di quella che è stata la riforma costituzionale votata da ultimo dal Parlamento e di quella che era la situazione venutasi a creare dopo quella riforma costituzionale che il centro-sinistra, allora al governo della nazione, aveva con 5 voti di scarto votato negli ultimi giorni della vita parlamentare, anno di grazia 2001.
Quanti di voi hanno letto la riforma costituzionale votata dal Parlamento? E’ una bella domanda ritengo, perché ho sentito delle cose che non stanno né in cielo né in terra. Il capogruppo dei Ds ci dice che ci saranno squilibri tra le Regioni nei servizi, nelle opportunità. Ma quando mai? Si vanno a correggere storture che hanno prodotto sì, oggi, squilibri di servizi e disomogeneità rispetto alle opportunità pari da Torino a Palermo, da Bolzano a Cagliari. Oggi sì ci sono delle situazioni pazzesche di sperequazioni, di conflitti. Guardate quanti conflitti di costituzionalità sono pendenti presso la Corte costituzionale. Anche le Marche hanno contribuito ampiamente a questo arretrato giurisdizionale, caro collega Santori.
Rimettiamo allora le cose nei loro giusti termini, soprattutto parliamo di contenuti, di articoli, delle norme. Che cosa significa “seconda parte”? Quali aspetti della Costituzione vengono modificati?
“Lo Stato tutela l’interesse nazionale”, riscrive la Carta costituzionale, “garantendo a tutte le Regioni le stesse opportunità”. E’ scritto. Nel 2001 il centro-sinistra se l’era dimenticato. I cittadini hanno di fronte una riforma anche di meccanismo di elezione del premier, del capo di Governo, del primo ministro, della sua maggioranza che nessuno può modificare tradendo il voto popolare e cambiando capo. Solo la stessa maggioranza può indicare un nuovo premier, altrimenti la parola passa agli elettori. Meno parlamentari meno poltrone, meno costi, più efficienza, meno burocrazia. Non lo ricorda nessuno. Non ci saranno pi due Camere fotocopia. Quante volte insigni giuristi ma anche sociologi, politologi, gli stessi rappresentanti politici hanno lamentato questa anomala situazione istituzionale, costituzionale italiana, dove ci sono due Camere fotocopia che fanno la stessa cosa? Se cambia qualcosa al Senato deve ritornare alla Camera, poi ancora al Senato nella seconda definitiva — qualche volta non basta neppure quella — lettura. La Camera dei deputati si occupa delle questioni dello Stato, il Senato si occupa delle questioni regionali. Il presidente della Repubblica garantisce tutti, è più forte, è più libero.
Il federalismo, la cosa che è stata il nocciolo di tanti interventi. La devoluzione significa solo chiarire le competenze delle Regioni, specificare quello che non era stato specificato e che anche a noi, ogni volta, creava enormi difficoltà, noi istituzione regionale: “questo si può scrivere, questo no, forse questo sì, questo però non può essere aggiunto”. Regole nuove e precisate per l’organizzazione scolastica, sanitaria, la polizia locale. I tre elementi fondamentali sui quali si inserisce la riforma. Le Regioni, le Province, i Comuni governeranno il proprio territorio con vera autonomia per quanto riguarda l’aderenza e l’immediatezza delle risposte da dare con il territorio. L’abbiamo predicato tutti: la sinistra non si ricorda più il cittadino. Le istituzioni si devono avvicinare la cittadino nel momento in cui si decidono cose che riguardano il territorio. Questo nell’ambito sempre di una unità rafforzata della nazione e dello Stato.
Come il nostro manifesto che è stato affisso in tutte le città dico che è finalmente nata la nuova Italia, quella che è stata oggetto di impegno specifico e che il Governo ha rispettato. Il tricolore che può essere finalmente tricolore di tutti, perché nelle autonomie locali si ritrova e finalmente si riconoscere in maniera esplicita il valore dell’interesse nazionale. Questa è la riforma che abbiamo di fronte.
Ben venga allora che scelga il popolo, si espliciti il proprio pensiero, il proprio orientamento, l’orientamento di tutti. Certamente on dobbiamo fare le corse, come immagino voglia essere questa iniziativa da parte della sinistra, propagandistiche, prive di contenuto e solo ricche di slogan senza conoscere il merito.

PRESIDENTE. Il consigliere Favia, come relatore di maggioranza avrebbe chiesto il rinvio della votazione, però vorrei che lo facesse lui, che in questo momento non è in aula. Pongo in votazione la prosecuzione dei lavori, che prevederanno, poi, il punto 3 all’ordine del giorno.

Il Consiglio approva

Ha la parola il consigliere Favia.

David FAVIA. Vista l’urgenza che ha l’assessore Marcolini, direi di affrontare la discussione sulla società per la valorizzazione del patrimonio immobiliare regionale, chiedo il rinvio alla prossima seduta e chiedo di iniziare la discussione della proposta di legge n. 63.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Capponi.

Franco CAPPONI. Siamo alla farsa, perché è già la seconda volta che questo argomento viene rinviato su richiesta dei proponenti. L’altra volta sappiamo perché, questa volta ugualmente sappiamo per quale motivo, non per quello ufficializzato. Riteniamo che questa maggioranza, qualora voglia governare su questa che è solo un’occasione per la messa in evidenza di alcune figure presenti in questo Consiglio — perché il referendum poteva essere chiesto benissimo dal quinto dei componenti una Camera, quindi non occorreva neanche che avessimo perso due giornate di lavoro in questo modo —... (Interruzione). Perso perché non votiamo, Favia e perché non c’è la maggioranza che sostenga la tua proposta. Per questo rinviamo e quindi lo mettiamo in evidenza.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di rinvio.

Il Consiglio approva

Fabio PISTARELLI. Presidente, non ho capito come è finito il voto precedente.

PRESIDENTE. C’era la maggioranza per il rinvio.

Fabio PISTARELLI. Voglio sapere i voti. Voglio sapere il segretario cosa ha scritto nel verbale! Io ho visto due mani alzate. Io sto qui e voto, voi proponete e nemmeno avete i numeri per votare.

PRESIDENTE. Per favore, consigliere...

Fabio PISTARELLI. Perciò penso che il grintoso non lo debba fare, oggi.

PRESIDENTE. Per cortesia, Pistarelli.

Fabio PISTARELLI. Voglio sapere quanti voti per il rinvio e quanti contro.

Cesare PROCACCINI. Voi non avete il coraggio delle vostre azioni. L’abbiamo visto sulla mozione per il 60° anniversario della Resistenza.

PRESIDENTE. Il voto si è espresso in questi termini: quindici voti favorevoli al rinvio e 10 astenuti.
Bisogna comunque assumere un comportamento lineare, perché non possiamo ogni volta inventare il sistema.

Fabio PISTARELLI. Presidente, quando si vota lei deve fare più ordine.

PRESIDENTE. Per cortesia, consigliere Pistarelli, si sieda. Sa come funziona la nostra Assemblea? C’è una richiesta di voto per il ritiro, nessuna dichiarazione contraria. Non c’è bisogno neanche di contare il numero di voti. Avete detto che vi siete astenuti.

Fabio PISTARELLI. Ha parlato Capponi...

PRESIDENTE. D’accordo, comunque se la maggioranza non esprime una posizione difforme rispetto al relatore si presuppone che abbia votato questa richiesta. Vuol ripetere la votazione? Ripetiamo la votazione.

Il Consiglio approva

Giacomo BUGARO. Presidente, chiedo la parola.

PRESIDENTE. Su che cosa?

Giacomo BUGARO. Sull’ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Giacomo BUGARO. Anche per toglierla dall’imbarazzo, Presidente.

Marco LUCHETTI. presidente, lei è imbarazzato?

Giacomo BUGARO. Non fare sempre lo spiritoso, sto parlando di una cosa seria, fino a prova contraria.
Quest’aula è dotata di un meccanismo che non penso ai cittadini marchigiani sia costato 1.500 lire, per il voto elettronico. Mettetelo in funzione, perché è una vergogna! Nemmeno in un consiglio di circoscrizione si vota più per alzata di mano, ci vuole il voto elettronico, è previsto, l’abbiamo qui, mettetelo in funzione perché è una vergogna che ad ogni voto non si possa usare. La invito caldamente.

PRESIDENTE. Per l’inizio del nuovo anno vedremo come mettere in pratica questo strumento di cui è dotata l’aula.



Proposta di legge (Discussione e votazione): «Società per la valorizzazione del patrimonio immobiliare regionale» Giunta (63)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la proposta di legge n. 63, ad iniziativa della Giunta.
Ha la parola il relatore di maggioranza, consigliere Favia.

David FAVIA. Signor Presidente, colleghi consiglieri, con proposta di legge n. 63 ad iniziativa della Giunta regionale, così come la trovate modificata dalla Commissione competente, si tende alla costituzione di una srl — “Società per la valorizzazione del patrimonio immobiliare regionale” — che ha lo scopo di favorire una più efficiente ed efficace gestione del patrimonio immobiliare regionale e la migliore valorizzazione dello stesso.
Con l’art. 1 si prevede che la Regione costituisca questa società nella forma della srl con capitale sociale iniziale di 100.000 euro. La Commissione, su felice intuizione del consigliere Solazzi in onore del genere femminile, propone di chiamarla “Irma Immobiliare Regione Marche”.
Con l’art. 2 della proposta di legge si fissa l’oggetto della società, che è quello di gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare della Regione Marche e dei servizi connessi con questo patrimonio immobiliare, autorizzando l’organo amministrativo a compiere tutte le operazioni necessarie proprio per l’effettuazione di queste operazioni immobiliari. L’art. 3 dà alcune indicazioni di massima per lo statuto della società che si prevede debba essere deliberato entro 15 giorni dalla pubblicazione sul Bur della legge con esecutività immediata. L’oggetto sociale dovrà essere conforme a quanto previsto dalla legge. Prevediamo che ci sia un amministratore unico nominato dalla Giunta regionale ed un organo di controllo nominato dal Consiglio regionale, che l’esercizio finanziario coincida con l’anno solare e che lo statuto preveda la durata della società e l’obbligo di presentazione entro il mese di settembre di ciascun anno, di un piano di attività corredato da un budget economico-finanziario che deve essere sottoposto all’approvazione della Giunta sentito il parere della competente Commissione consiliare.
Ovviamente questa società opera secondo criteri ed indirizzi approvati dalla Giunta regionale sentita la competente Commissione consiliare ed è previsto che per le alienazioni degli immobili, così da rendere omogeneo il trattamento tra immobili direttamente di proprietà della Regione e immobili di proprietà di questa società, serva comunque la deliberazione del Consiglio regionale. E’ previsto che per la gestione degli immobili in uso al Consiglio regionale ci sia una apposita convenzione tra la società e l’ufficio di presidenza del Consiglio regionale e in sede di transazione l’organo amministrativo viene autorizzato ad acquisire l’immobile cosiddetto “palazzo delle Ferrovie” che, come sapete, dovrà essere destinato ad uffici, a sede del Consiglio regionale per raggruppare in un’unica sede logistica tutti gli uffici che sono sparsi nella città di Ancona. Inoltre è previsto che questa società acquisisca anche l’immobile che è stato acquisito con legge regionale n. 18 del 2005 in leasing.
E’ prevista una disciplina transitoria per la nomina immediata, al di fuori delle procedure previste per le nomine dalla normativa regionale da parte della Giunta, dell’amministratore unico fino al 30 giugno 2006 per consentire, entro quella data, che vengano fatte tutte le procedure di competenza sia della Giunta che del Consiglio regionale. L’articolo 6 contiene le disposizioni finanziarie sia per le spese afferenti la costituzione della società che per quelle afferenti il finanziamento della società in vista dell’acquisto dell’immobile suddetto. L’art. 7 prevede la dichiarazione d’urgenza, ovviamente sussistendo urgenza per l’acquisto dell’immobile del “palazzo delle Ferrovie”.
Credo che con questa normativa, al di là delle specificità, dell’immediatezza degli acquisti da compiere si possa veramente dare una razionalizzazione ed una organizzazione più significativa al patrimonio immobiliare della nostra regione e da ultimo anche vedere se è possibile effettuare un recupero dell’Iva o una diluizione nel tempo del pagamento dell’Iva su questi immobili. Ragion per cui credo che questa legge sia assolutamente positiva, da condividere, spero, da parte di tutta l’aula che invito a votare favorevolmente.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Santori.

Vittorio SANTORI. Contrariamente a quanto è stato affermato poco fa, questa proposta di legge che è venuta al nostro esame parte con il piede sbagliato, con gravi violazioni in sede di competenze amministrative e addirittura sembra proprio non cogliere il presupposto della norma stessa, cioè lo scopo principale per il quale era stata ideata e voluta.
Innanzitutto gli indirizzi relativi alla valorizzazione del patrimonio immobiliare regionale sono di competenza del Consiglio e non della Giunta. Con questa legge si persegue l’ormai ricorrente atteggiamento espropriativo della Giunta nei confronti dei diritti e delle facoltà del Consiglio. Guardiamo infatti l’articolo 3 della legge che riserva impropriamente alla Giunta la nomina del collegio dei revisori dei conti: chi amministra nomina anche i propri controllori.
Che dire dell’art. 4 ultimo comma, che prevede la stipula di apposite convenzioni con la società di gestione, vanificando così l’effetto relativo al risparmio dell’Iva sull’acquisto degli immobili? Perché dovremmo poi pagare, ovviamente, l’imposta sulla eventuale locazione o sull’eventuale compenso da dare alla Regione. Che dire dell’art. 5 che erroneamente carica l’acquisto dell’immobile del palazzo delle Ferrovie direttamente alla società, quando la società di gestione immobiliare, in base alla normativa che ci ha letto testé il consigliere Favia esclude la possibilità di gestione dei beni indisponibili ma acquisisce soltanto quelli disponibili?
Quindi è un volere addirittura il contrario di ciò che si vuole nella normativa legislativa.
Chiedo quindi che i beni, se devono essere conferiti, siano declassificati. Una sede di un Consiglio non può ritenersi un bene disponibile ma un bene indisponibile, quindi la norma va comunque rifatta, rivista, perché così è erronea, confusa e assolutamente inefficiente al raggiungimento dello scopo.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale. Ha la parola il consigliere Favia.

David FAVIA. Brevemente mi faccio carico delle eccezioni del collega Santori.
Anzitutto il collegio sindacale è previsto che sia nominato dal Consiglio regionale come organo di controllo. Poi, sul discorso del patrimonio disponibile o indisponibile, il palazzo delle Ferrovie, non entrando mai nel patrimonio della Regione ma entrando direttamente nel patrimonio della società è per sua natura disponibile, perché non diventa mai indisponibile.
Anche l’altro immobile di cui parlava il consigliere Santori non è mai entrato nel patrimonio, perché è anch’esso detenuto in leasing, quindi è di proprietà della società che lo concede in leasing. Nel momento in cui il leasing venisse riscattato da questa società Irma, non sarebbe mai divenuto patrimonio indisponibile, altrimenti lei avrebbe avuto ragione, ma credo che questo sia un chiarimento che fa ragione delle sue eccezioni.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame degli articoli. Nomino consigliere segretario il consigliere Pistarelli.
Articolo 1. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Emendamento n. 1. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio non approva

Articolo 2. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 3. Subemendamento sostitutivo dell’emendamento 2. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio non approva

PRESIDENTE. Chiedo cinque minuti di sospensione per una riunione dei presidenti di gruppo. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 13,55,
riprende alle 14,50

PRESIDENTE. Direi di riprendere dalla votazione iniziale, tranquillizzando tutti gli animi, anche di coloro che hanno pensato che una votazione è avvenuta con eccessiva velocità.

Franco CAPPONI. Presidente, chiedo di riesaminare tutta la votazione che abbiamo fatto, perché mi sembra che sia stata molto confusa.

PRESIDENTE. Ho già detto che ricominciamo dall’art. 1 anche in base alla discussione che c’è stata nella Conferenza dei presidenti di gruppo.
Articolo 1. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 2. Subemendamento 01, sostitutivo dell’emendamento 1. Propone al comma 3, dopo le parole “appartenenti al patrimonio disponibile della Regione”, di aggiungere le seguenti: “con esclusione dei beni immobili provenienti dalle Asl attuali, anche se conferiti alla Regione e all’Asur”.
Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Pongo in votazione l’art. 2 come emendato.

Il Consiglio approva

Articolo 3. Subemendamento 002 a firma Giannini, che propone di aggiungere alla lettera b), dopo “nominato dalla Giunta regionale”, le parole “tra il personale del ruolo regionale”.
Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Sara GIANNINI. All’art. 5 è previsto che si proceda alla nomina dell’amministratore unico con la legge sulle nomine. Rispetto all’emendamento approvato credo debba essere cassato l’ultimo articolo nella parte che riguarda la nomina attraverso la procedura stabilita dalla legge sulle nomine.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’articolo 3 come emendato.

Il Consiglio approva

Articolo 4. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 5. Lo pongo in votazione, con il suggerimento relativo al coordinamento tecnico.

Il Consiglio approva

Articolo 6. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 7. Si tratta della dichiarazione d’urgenza, quindi occorre la maggioranza assoluta. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Ha la parola, per dichiarazione di voto, il consigliere Procaccini.

Cesare PROCACCINI. Una breve dichiarazione di voto, perché una discussione l’abbiamo già svolta in occasione dell’acquisizione dell’ex palazzo del Mediocredito.
Noi riteniamo che questa scelta sia sbagliata per due motivi. In primo luogo perché non è giusto che il patrimonio della Regione Marche sia affidato ad una società di gestione, seppure come braccio operativo, perché anche la motivazione addotta che una società di questo tipo eviterebbe il pagamento dell’Iva non è certa, non è sicura, anzi in larghissima parte non è vera, altrimenti si andrebbe all’interno dell’elusione dell’Iva stessa. In secondo luogo c’è un problema di merito, perché il palazzo delle Ferrovie, che pure è una struttura pubblica, in realtà non risolve, ormai è una discussione non più attuale, ma noi ci eravamo sgolati per dire alla Giunta regionale e al Consiglio “verificato la possibilità di intravedere l’acquisizione di strutture già esistenti o costruzioni ex novo che risolvano per sempre il problema”, invece siamo nell’ottica della politica del carciofo e questo a nostro modo di vedere non è un buon programmare.
Per questi motivi ci asteniamo.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

Carlo CICCIOLI. Con le adeguate modifiche frutto degli emendamenti concordati noi esprimeremo un voto favorevole. Credo che sia sentita da tutti la necessità di avere luoghi adeguati per i lavori delle Commissioni consiliari, degli uffici del Consiglio regionale e per gli stessi dipendenti che collaborano. Da anni siamo in una situazione di estremo sacrificio, da anni abbiamo operato la politica del rinvio, più che del carciofo, oggi arriviamo, pur con le difficoltà del caso, a un indirizzo di soluzione. Credo che questo sia opportuno, credo che da sempre i grandi edifici istituzionali siano nei centri storici di tutte le città. Per esempio, il Consiglio regionale del Lazio è alla Pisana, in un centro direzionale della capitale di Roma ed è assolutamente eluso da quasi tutte le istituzioni romane, dalla gente, è marginalizzato.
Questo edificio è posto al centro della città capoluogo di regione, è stato costruito quasi un secolo fa, però con tutti i crismi di un’architettura storica. Quando mi reco nei Consigli regionali, nei palazzi delle altre Regioni mi trovo davanti sempre edifici maestosi, mentre purtroppo per noi, il Consiglio regionale delle Marche ha avuto sempre una localizzazione “acrobatica”.
Detto questo voto a favore della legge, sottolineando che tutte le garanzie nei successivi atti debbano essere osservate in maniera assolutamente scrupolosa.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Capponi.

Franco CAPPONI. Noi non siamo completamente soddisfatti di questa legge, perché è arrivata in modo un po’ anomalo, abbastanza confuso e non abbiamo potuto appurare tutta la portata di questa normativa. Seppure riteniamo che l’obiettivo principale, quello dell’acquisto della nuova sede sia assolutamente prioritario, abbiamo mantenuto questo comportamento di responsabilità, perché l’azione che i consiglieri regionali debbono svolgere, oggi, non ha possibilità di esplicazione in modo razionale, sicuro e con la dignità che un consesso come questo dovrebbe avere.
Per questo riteniamo di dover mantenere il numero legale per approvare questo documento che, altrimenti la maggioranza, oggi, non avrebbe.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Massi.

Francesco MASSI GENTILONI SILVERI. Ribadisco la convinzione del mio gruppo che noi siamo favorevoli all’acquisto dell’immobile che darà sicuramente più funzionalità e prestigio al Consiglio regionale. Abbiamo ancora delle perplessità che riguardano la legge, abbiamo garantito responsabilità, numero legale, collaborazione per migliorare la legge, però ci asteniamo.

PRESIDENTE. Pongo in votazione il coordinamento tecnico.

Il Consiglio approva

Pongo in votazione la proposta di legge nel suo complesso.

Il Consiglio approva





Proposta di legge (Discussione e votazione): «Disciplina delle attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande» Giunta (46)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la proposta di legge n. 46 ad iniziativa della Giunta.

Carlo CICCIOLI. Chiedo il rinvio di questa proposta di legge. Essa interessa essenzialmente il commercio, però molte attività artigianali vendono anche i prodotti alimentari, quindi interessa anche il segmento dei prodotti alimentari. Ho fatto una consultazione, così come altri, per informarmi sull’opportunità di questa legge e la più grossa associazione regionale degli artigiani, la Confartigianato, ha detto che nell’articolato c’è un punto che non va e ha chiesto il rinvio. Me l’ha chiesto addirittura per iscritto, ma ieri sera c’è stata l’assemblea regionale della Confartigianato e nell’ambito di tale assemblea hanno chiesto questo. E’ quindi un rinvio perché ci sarebbe un punto controverso.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Giannini.

Sara GIANNINI. Questa proposta di legge è già stata rinviata una volta e c’è attesa da parte di coloro che esercitano prioritariamente il commercio. Mi dicono anche che la Confartigianato, come le altre associazioni artigiane non sono state udite perché non fanno parte dell’accordo nazionale che riguarda la materia trattata dalla legge. Quindi pur rispettando le perplessità e le preoccupazioni delle aziende artigiane che lavorano in parte nel settore alimentare, è forse opportuno che noi approviamo la legge, riservandoci poi di approfondire queste ulteriori preoccupazioni e verificare le eventuali modifiche che potrebbero essere apportate, però intanto diamo la legge al settore principalmente interessato.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Massi.

Francesco MASSI GENTILONI SILVERI. E’ un momento un po’ particolare: alle nostre audizioni in Commissione, nonostante gli inviti che vengono diramati si presentano pochi soggetti. La domanda è “come mai si presentano pochi soggetti?”. La risposta che ci diamo è “forse non vengono in Commissione, snobbano il Consiglio però parlano con la Giunta”. A un successivo approfondimento — parlo di associazioni che fanno riferimento ad aree politiche di tutti i colori — ci dicono “della Giunta non abbiamo sentito nessuno. Una cosa strana. Quando c’è qualche associazione che chiede un approfondimento, direi che il Consiglio dovrebbe presentarsi abbastanza disponibile. Non mi pare ci sia nulla di male ad accogliere la richiesta di Ciccioli, mi pare che anche la Giunta possa essere d’accordo su un rinvio di una settimana.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Badiali.

Fabio BADIALI. Non sono d’accordo sul rinvio in quanto in Commissione si è raggiunta l’unanimità su tutte le problematiche. Sono tate consultate le associazioni più rappresentative, cioè Confcommercio e Confesercenti e hanno detto che questa proposta di legge ha un’impostazione eccezionale. Non è merito nostro ma degli uffici e dei dirigenti che l’hanno predisposta.
Questa mattina ho parlato con il segretario della Confartigianato, il quale non è rimasto così sconvolto. Ha detto “non siamo stati consultati” e gli ho risposto “non fate parte dell’accordo nazionale”. Mi ha risposto “è vero, comunque se volete andare avanti, fatelo pure”. Quindi non c’è una contrarietà. L’abbiamo anche rassicurato che è una legge che è stata condivisa da tutti gli altri, soprattutto dagli interessati, che sono la Confesercenti e la Confcommercio.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di rinvio.

Il Consiglio non approva

Ha la parola il relatore di maggioranza, consigliere Badiali.

Fabio BADIALI. Questa proposta di legge è stata predisposta a seguito dell’entrata in vigore della legge costituzionale di modifica del titolo V. Le Regioni hanno competenza esclusiva in materia di commercio, che attualmente è materia regolamentata dalla legge 287 del 1991. Per predisporre questa normativa le Regioni si sono più volte incontrate a Roma e hanno concordato una bozza di legge che è già stata approvata in vari Consigli regionali fra cui l’Emilia Romagna, il Veneto e la Lombardia.
Vediamo alcune differenze fra la proposta di legge 46 e la legge 287. La 28/77 prevedeva quattro tipologie di attività, la proposta 46 ne prevede una soltanto, pertanto c’è uno snellimento. Per l’autorizzazione commerciale occorre il possesso dei requisiti igienico-sanitari per determinare e differenziare il tipo di attività che ogni esercente può svolgere. Inoltre il rilascio delle autorizzazioni è subordinato ai requisiti morali e professionali. Questa è la famosa legge 26 del 1999, “Bersani”. Inoltre occorre la conformità del locale alle prescrizioni (edilizie, urbanistiche, di sicurezza, di prevenzione incendi e di inquinamento acustico e sorvegliabilità. C’è una semplificazione amministrativa: per certi passaggi basta soltanto la dichiarazione di inizio attività. Prima era prevista l’iscrizione al REC, oggi non c’è più bisogno, ma c’è solo bisogno dei requisiti morali e professionali. I requisiti professionali possono essere di diverso tipo: occorre un diploma di istituto secondario o universitario; occorre essere stati iscritti, nel quinquennio antecedente, al REC; occorre avere superato davanti a un’apposita Commissione costituita presso la camera di commercio, un apposito esame; occorre avere superato, davanti all’apposita Commissione costituita dalla Giunta regionale, un esame di idoneità all’esercizio dell’attività. Prima c’erano, nella 287, le Commissioni, ora sono state abolite ma vengono tenute in considerazione per quanto riguarda il sistema programmatorio, nel senso delle nuove disposizioni che la Regione dovrà emanare in merito a questa legge e poi il recepimento, da parte dei Comuni, con un piano regolatore del commercio. Le organizzazioni vengono consultate e tenute in debita considerazione.
La normativa nazionale prevede esclusivamente un contingentamento numerico al fine del rilascio dell’autorizzazione della somministrazione di alimenti e bevande, non prevede meccanismi rigidi di contingentamento numerico delle autorizzazioni. In linea generale nella proposta di legge sono previsti i criteri regionali, da definire con successivi atti. I Comuni inoltre, sulla base degli indirizzi regionali stabiliscono i criteri per la gestione amministrativa nel settore (rilascio autorizzazioni, subentri, trasferimenti, ampliamenti, nonché rispetto dei criteri comunali così specificati, alla disponibilità, da parte dell’interessato, dei locali e all’indicazione dell’eventuale preposto all’esercizio, alla presentazione dell’autorizzazione sanitaria e all’accertamento di conformità dei locali).
Un’altra parte rilevante riguarda gli orari che vengono liberalizzati ma sarà il Comune, poi, a dire quali saranno gli orari minimi e massimi all’interno del territorio comunale, per poter dare la possibilità ai Comuni turistici o ai Comuni che hanno altra necessità, di stabilire i propri orari. C’è un articolo apposito sulla tutela del consumatore. Devono essere esposti menù e prezzi relativi.
Una cosa importante è anche l’autorizzazione temporanea, perché si dice “previo accertamento dei requisiti di cui all’art. 8 — quelli sanitari — nonché dei requisiti di sicurezza, ad eccezione dell’attività di somministrazione in forma temporanea nell’ambito di manifestazioni a carattere religioso, benefico, politico, sociale e sportivo”. In queste iniziative prima era necessario che vi fosse una persona che dichiarava il suo nome per fare queste iniziative, ora con questa legge non c’è più bisogno del preposto ma occorrono le necessarie autorizzazioni igienico-sanitarie ma non più l’indicazione del preposto che era un vincolo gravoso.
Gli strumenti di concertazione, consultazione, partecipazione delle componenti economiche ai processi decisionali (associazioni di categoria e dei consumatori) sono altre cose importanti previste. Infatti per ogni atto programmatorio, regionale o comunale, dovranno essere consultate le associazioni che avranno un ruolo di spinta propulsiva nel settore.
Le associazioni sono state favorevoli a dare una omogeneità per quanto riguarda gli aspetti igienico-sanitari. Prima ogni Asl dava le sue regole, le sue direttive e siccome abbiamo 13 Asl, c’erano 13 comportamenti differenti. Abbiamo voluto dare un comportamento unico a livello regionale, soprattutto per quanto riguarda li grandi indirizzi sulle questioni igienico-sanitarie e non far sì che il singolo “dottorino” della Asl più sperduta del territorio regionale possa dire la sua, ma deve essere una cosa omogenea a livello regionale.
La Giunta regionale determina i requisiti di classificazione nonché i segni distintivi corrispondenti al tipo di strutture a livello di classificazione e le indicazioni da esporre al pubblico. Questo significa far fare un salto di qualità ai nostri esercizi pubblici. La distinzione come per gli alberghi che hanno le stelle, è prevista anche in questo caso. Gli esercizi, per la loro professionalità, per la loro caratteristica, per il loro arredo o altre cose che possono incidere in questa formulazione della classificazione, possono esporre il loro simbolo di locale più o meno di livello alto o basso. Questo non significa un aumento di costi, non significa costi neanche per gli operatori, significa soltanto andare nell’indirizzo di migliorare l’esercizio.
Un’altra cosa importante sono i corsi professionali per gli operatori. Periodicamente è prevista la formazione delle persone che operano in questi esercizi, per essere maggiormente in grado di rispondere alle esigenze di un pubblico sempre più attento, sempre più esigente.

Presidenza del Vicepresidente
DAVID FAVIA

PRESIDENTE. Ha la parola il relatore di minoranza, consigliere Cesaroni.

Enrico CESARONI. La proposta di legge 46 recepisce le normative comunitarie e quelle statali. La bozza è stata fatta a livello nazionale, nella Conferenza Stato-Regioni. Alcune Regioni d’Italia — Lombardia, Veneto, Emilia Romagna — l’hanno già approvata. Noi saremmo la quarta Regione ad approvare questa proposta di legge che favorisce lo sviluppo e l’innovazione degli esercizi commerciali, favorendo anche la crescita dell’imprenditoria e dell’occupazione, con la salvaguardia e la riqualificazione degli esercizi pubblici nelle zone montane e svantaggiate e nelle zone rurali, cioè nelle zone dove il commercio è molto più debole.
La proposta di legge regolamenta i metodi e discrimina il rilascio delle autorizzazioni sanitarie, perché ogni Asl aveva un metodo, un sistema propri. Oggi invece ci sarà un modulo unico regionale, con autorizzazione eguale per tutte le Asl, con gli stessi requisiti previsti in tutto il territorio.
Si fissano inoltre gli indirizzi per il rilascio delle autorizzazioni ai Comuni, gli orari di apertura, si limita l’esercizio dell’attività e i sub-ingressi. Inoltre, si stabiliscono le sanzioni e gli orari di apertura.
Una proposta di legge discussa ed emendata in Commissione, sempre all’unanimità. L’abbiamo addirittura approvata due volte in Commissione consiliare all’unanimità, perché è stata prima approvata, poi emendata, poi riapprovata sempre all’unanimità. Abbiamo fatto un’audizione con le associazioni di categoria e tutte hanno detto che è una legge valida e fatta bene.
Quando una legge è fatta bene la vota anche la minoranza. Se una cosa è fatta bene noi la votiamo e vorrei che anche la maggioranza, quando l’opposizione chiede qualcosa di giusto, abbia il coraggio di approvare, perché noi a testa alta approviamo questa proposta di legge in quanto è una cosa giusta, fatta bene, che i cittadini da tanto aspettano e le associazioni da tanto tempo la invocano. Noi questa sera dobbiamo approvarla. Per questo abbiamo votato contro la proposta di rinvio, perché i cittadini hanno già aspettato tanto, è tanto tempo che aspettano questa legge per cambiare la propria attività.
Forza Italia voterà quindi a favore della legge, ma visto che in Commissione tutti i commissari che rappresentano le forze politiche ella Casa delle libertà hanno votato a favore, mi auguro che anche le altre forze della Casa delle libertà votino a favore di questo atto.
E’ stato presentato un emendamento. Noi siamo quindi propensi ad andare avanti e approvare la legge.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Mammoli.

Katia MAMMOLI. Probabilmente il mio intervento apparirà come inutile, in quanto nel momento in cui avvengono già dichiarazioni da parte della maggioranza e dell’opposizione rispetto alla condivisione di una certa legge, effettivamente gli interventi possono apparire inutili. Ho voluto però intervenire perché mi fa piacere, come componente della maggioranza regionale, che oggi si porti questa proposta di legge all’approvazione, perché ritengo che con questo atto il governo regionale abbia svolto bene il suo compito. Visto che qui dentro a volte passiamo delle ore anche per discutere o scontrandoci tra maggioranza ed opposizione o anche all’interno delle varie forze politiche per piccole cose, ritengo che a una cosa buona che viene fatta sia necessario dare non dico enfasi, perché non abbiamo necessità di enfasi, ma il riconoscimento indispensabile.
E’ vero che i Comuni aspettavano da tempo questa legge, perché le abitudini sono cambiate, perché c’è sempre più richiesta di aprire nuovi pubblici esercizi, in particolare da parte dei giovani, i quali potrebbero anche trovarsi a non avere poi quel riscontro necessario di opportunità di lavoro, ma che comunque sono molto aperti rispetto a questa situazione.
Siccome so che molti di noi sono stati amministratori nei Comuni, penso che se riflettiamo, oggi, su che cosa qualcuno di noi ha dovuto soffrire quando questa legge non c’era, con ricorsi al Tar per cose molto gravi, perché abbiamo assistito anche a vendite di licenze fatte in maniera scorretta, penso che oggi questo non avverrà più, perché non ci sarà più il contingentamento delle licenze, quindi sarà possibile, per chi volesse aprire un pubblico esercizio avendo i requisiti che nella legge sono stati proposti, di poterlo fare. Questo apre quindi la strada ad una innovazione e una possibilità di nuove attività, anche lavorative, con una garanzia e una semplificazione delle procedure comunali.
Fino a pochi anni fa addirittura all’interno di uno stesso territorio comunale era impossibile spostare una licenza da un punto all’altro, considerando le attività di pubblico esercizio come un servizio legato ad una parte dello stesso territorio comunale, considerando a come si è evoluta la società oggi e a quanto oggi siamo più portati, non perché siamo più ricchi, ma perché il lavoro è strutturato in maniera diversa, ad utilizzare queste strutture, capiamo quanto le leggi di cui finora eravamo dotati erano vecchie.
Non solo, ma trovo molto appropriata la legge nella sua parte principale, perché attraverso essa si cerca anche di dare un livello superiore a questi pubblici esercizi, ai loro operatori, un livello di qualità superiore. Non dimentichiamo che a volte il turista il primo contatto che ha con il territorio è quello con il pubblico esercizio e se il proprietario, se l’operatore del pubblico esercizio è preparato ed in grado di dare una professionalità, questo va a vantaggio di tutto il territorio, così come va a vantaggio del territorio il fatto che all’interno di questa legge sia entrato anche il discorso della promozione dei prodotti tipici, ma questa legge ha anche un’altra volontà di carattere politico che sicuramente non va disconosciuta ed è il fatto che, pur dando la libertà a chi vuole di aprire pubblici esercizi tenendo conto della qualità, dei prezzi, delle prospettive e di tutte le cose di cui è giusto che si tenga conto, cerca di mettere insieme — e non è assolutamente facile — anche l’esigenza dei Comuni di non trovarsi in alcune zone in cui non vorrebbero che ci fossero pubblici esercizi che di contro hanno il fatto che a volte portano rumorosità anche in ore notturne, stabilendo dove questi pubblici esercizi possano essere messi.
Condivido anche le proposte che la Commissione ha fatto, quindi anche il lavoro della Commissione va assolutamente condiviso e approvato, perché ritengo che anche gli emendamenti fatti, soprattutto quello a cui faceva riferimento il consigliere Badiali affinché ci sia all’interno di tutto il territorio regionale una stessa regolamentazione sanitaria per questo tipo di esercizio, è utile, perché non è possibile pensare che, a seconda della sensibilità specifica, da una parte si possano aprire più pubblici esercizi con certe caratteristiche e da altre parti se ne possano aprire di meno e con altre caratteristiche.
Il mio intervento è per dire che mi fa piacere votare questa legge.

PRESIDENTE. Passiamo all’esame degli articoli.
Articolo 1. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 2. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 3. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 1. Emendamento a firma Rocchi, Badiali e Cesaroni. Ha la parola il consigliere Badiali.

Fabio BADIALI. Al comma 1 si propone di aggiungere, dopo le parole “..sulla programmazione regionale e locale”, le parole “previo parere della competente Commissione consiliare”. Questo perché la Regione dovrà emanare entro 180 giorni i criteri perché i Comuni adottino i loro piani del commercio predisposti dalla Giunta. I consiglieri hanno chiesto, giustamente, che i criteri prima di essere approvati dalla Giunta vengano discussi nella Commissione competente.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l’emendamento.

Il Consiglio approva

Pongo in votazione l’art. 4 come emendato.

Il Consiglio approva

Articolo 5. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 6. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 7. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 8. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 9. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 10. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 11 Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 12. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 13. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 14. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 15. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 16. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Articolo 17. Lo pongo in votazione.

Il Consiglio approva

Pongo in votazione il coordinamento tecnico.

Il Consiglio approva

Pongo in votazione la proposta di legge nel suo complesso.
Ha la parola per dichiarazione di voto il consigliere Capponi.

Franco CAPPONI. Per ribadire la nostra condivisione alla legge che giunge con un po’ di ritardo per le note difficoltà. Ritengo di dover sottolineare la Casa delle libertà si farà portatrice delle perplessità della Confartigianato, proponendo eventuali modificazioni o integrazioni a questa legge.
Esprimiamo quindi il nostro voto favorevole.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Cesaroni.

Enrico CESARONI. Vorrei ringraziare il servizio e gli uffici per la pazienza che hanno avuto perché hanno fatto un lavoro fatto bene, insieme con le organizzazioni di categoria.

PRESIDENTE. Noi ci associamo. Ha la parola il consigliere Massi.

Francesco MASSI GENTILONI SILVERI. Dichiaro a nome anche del gruppo Udc il voto favorevole.

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Ciccioli.

Carlo CICCIOLI. Invece io dichiaro che, pur prendendo atto dei lavori della Commissione, delle associazioni di categoria, siccome questa attività non riguarda solo i commercianti ma tutti gli artigiani che hanno vendita al pubblico e che mostravano perplessità per alcuni passaggi, il gruppo di Alleanza nazionale si asterrà.

PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta di legge.

Il Consiglio approva

La seduta è tolta.


La seduta termina alle 15,30